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codarda sembrerei, ligia alla vita.
E a che viver mi giova? Era mio padre
signor dei Frigi tutti, e della vita
era questa per me prima ragione;
e fra speranze eccelse io crebbi, a re
destinata consorte, e le mie nozze
non piccolo argomento eran di gare,
di chi dovessi alla magione, all’ara
andare sposa. Ero signora, misera
me, fra le donne d’Ida, fra le vergini
ero ammirata, e, tranne ch’io dovevo
morir, pari alle Dive. Or sono schiava;
e già tal nome insolito mi fa
bramar la morte. E poi, trovar potrei
d’animo duro il mio padrone, quello
che col denaro comperasse me,
d’Ettore e d’altri molti eroi sorella,
ed in sua casa a preparare il pane
mi destinasse, ed a spazzar la casa,
attendere alla sposa, costringendomi
a ben miseri giorni; ed uno schiavo
chi sa donde comprato, insozzerebbe
il mio talamo; e un dí fui destinata
a nozze regie. Oh no! L’ultimo sguardo
libero vo’ che dal mio ciglio brilli,
all’Ade offrendo questo corpo. Guidami,
Ulisse, e la tua guida a me sia morte.
Ché sostegno di speme e di fiducia
non ho d’aver piú mai fortuna. E tu
non opporti con fatti o con parole,
o madre mia, bensí brama con me
ch’io muoia, prima di patir qualche onta
di me non degna: perché quei che avvezzo