Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/216

208 EURIPIDE

ulisse
Ecuba ascolta, e pel bollor dell’ira
non reputar nel cuore tuo nemico
chi ben favelli. A te salvar son pronto
ond’ebbi il beneficio, e non rifiuto;
ma non rinnegherò quanto pur dissi
a tutti quanti che, caduta Troia,
convenia la tua figlia al piú gagliardo
degli Achivi immolar, che la chiedeva.
Ché di molte città questa è magagna,
allor che un uom volonteroso e prode
nessun vantaggio sui da meno ottiene;
e fra noi, donna, d’onor degno è Achille,
l’eroe che a morte soccombé per l’Ellade,
con somma gloria. E non sarebbe turpe,
se come nostro amico un uom trattassimo
sin ch’egli vive, e quando è morto, no?
Dimmi e se si dovesse ancor l’esercito
adunare, affrontar le ostili schiere,
combatteremmo, oppure ai nostri giorni
riguardo avremmo, quando il morto privo
vedessimo d’onore? Infin ch’io vivo,
anche se dí per dí ben poco avessi,
mi basterebbe; ma la tomba mia
onorata veder vorrei ché a lungo
questo onor dura. E poi che miserevoli
dici le pene che tu soffri, ascoltami.
Ci sono anche fra noi vegliarde, misere
di te non meno, e vecchi, e spose prive
dei prodi sposi onde le salme copre
polvere d’Ida: ed anche tu rasségnati.
E noi, se male ci apponiamo, quando