Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse/Discorso Quarto/Capitolo VII

Capitolo VII

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CAPITOLO VII.


Ancora; alcuni ultimi essenziali riflessi sulle conseguenze dell’aggiotaggio.


Parlando per l’ultima volta delle società industriali, cui molti vorrebbero vedere esclusivamente affidato l’assunto delle strade ferrate tra noi, senza riflettere al più probabile avvenire del maggior numero di quelle società, crediamo ancora dover fare alcune osservazioni sur esse, onde meglio così fissare l’attenzione degli uomini di Stato che debbono approvarle, e degli speculatori, come de’ privati d’ogni specie, i quali hanno capitali da impiegare, non in ispeculazioni d’aggiotaggio, ma in solidi e reali investimenti.

[p. 443 modifica]Lo spirito d’associazione, applicato ed attuato in imprese d’industria d’ogni specie con mezzi reali ed efficaci, è sicuramente atto a produrre risultati utilissimi, cui qualsìasi più facoltoso trafficante da sè, ed anche col concorso di pochi e del più esteso credito, mal potrebbe riuscire. — Ma lo spirito d’associazione esercitato in modo tutto aleatorio non può produrre che risultati fatali alla pubblica ed alla privata moralità ed economia. — Cotesti risultati sono quelli del giuoco tenuto nelle biscazze, dove per qualcuno arricchitosi colle male arti di quelle speculazioni, innumerevoli sono le vittime.

Non è vero che gli eccessi dell’aggiotaggio attuato col giuoco di borsa siano un male soltanto dell’epoca nostra.

Molti dati si hanno, i quali provano che nelle antiche repubbliche italiane esso allignava ugualmente; e le borse della ventura, onde venne poi il giuoco del seminario, erano certamente una delle specie di aggiotaggio che praticavansi allora, collo stesso fine, sebbene con modi e form diverse. — In vece le società potentissime di San Giorgio ed altre, come i varii banchi istituiti in quelle repubbliche, erano associazioni aventi mezzi reali ed efficaci, le quali salirono a quel segno di prosperità di cui l’istoria ci ha tramandato la memoria.1

A’ tempi da noi men lontani la Francia ci porgeva nel secolo scorso esempi ripetuti dei furori dell’aggiotaggio.

Nell’Olanda esso allignava del pari, come ricavasi da un italiano scrittore, ch’ivi risiedeva lungamente (Gregorio Leti).

A’ dì nostri, là dove lo spirito d’associazione è applicato ai pubblici lavori, ed in ispecie alle imprese di vie ferrate, il farneticare dell’universale in simili imprese segue le stesse fasi; quello d’abbandonarsi con furore alle illusioni di mal concepite lusinghe; e d’abbandonarvisi senza aver mezzo di continuar nel giuoco, sperando non già negli utili futuri dell’impresa [p. 444 modifica]quando sia compita, ma nei guadagni d’una prematura cessione del carato sociale, mediante un premio conseguibile appena che il valor nominale, salito al corso del cambio, conceda di ottener dalla vendita il detto premio, calcolato sull’intero valor nominale suddetto, di cui s’è appena sborsata però una parte minima soltanto2.

La differenza che vuolsi notare nell’età nostra dall’antica, tutta sta nella più gran somma cui salgono le speculazioni dell’aggiotaggio: la qual cosa deriva da ciò, che ne’ tempi attuali essendo molto cresciute le ricchezze reali, è naturale vogliansi pure accrescere quelle simulate, di cui nella massima parte compongonsi le speculazioni aleatorie in discorso.

Le tre nazioni dove gli eccessi dell’aggiotaggio salgono ad un massimo punto, anche perchè son le più ricche nella nostra Europa (tacendo dell’America settentrionale, dove il malanno giunto all’estremo trovò nelle molte rovine causate un efficace contegno), sono la Gran Brettagna, la Francia, e la Germania. Anche nella capitale spagnuola l’aggiotaggio è animatissimo; se non che il difetto assoluto di mezzi in tutti, lo rende talvolta affatto nullo e ideale, meno per qualche ricco banchiere.

Nella Gran Brettagna, all’opposto, in ragione appunto dell’ingente ricchezza reale, che molte ardite e fortunate speculazioni le procacciarono, quella che fittiziamente si pretende creare è giunta a segno che par favoloso.

Perchè le nostre parole non abbiano taccia d’esagerate, riportiamo la relazione fatta al proposito da uno de’ più riputati [p. 445 modifica]giornali del Regno-Unito, traducendo il sunto d’un suo articolo relativo dato da un foglio periodico francese.

«Non è in Francia soltanto», dice quel periodico, «che le immaginazioni ed i capitali si gettano ciecamente nelle speculazioni di strade ferrate. Lo stesso furore notasi pure in Inghilterra, e vi ha già prodotti assai disastri. Varie case di Liwerpool furono costrette di deporre il loro bilancio, dopo di essersi rovinate con temerarie operazioni sulle azioni di codeste strade. Oggi il Times contiene un eccellente e interessantissimo articolo sullo stato delle cose in proposito, di cui ci parve utile di presentare l’analisi e riprodurre i riscontri. Ciò potrà illuminare gli spiriti fra noi, e antivenir forse molte catastrofi. Non basta declamare contro l’aggiotaggio, bisogna procurare di frenarlo; se esso ha preso un sì rapido volo in Francia, sono da accagionarsene in gran parte quegli stessi che affettano di mostrarsene i più scandolezzati. Si è tanto e tanto detto che gli affari di strade ferrate erano miniere d’oro, che la folla finì con credere a tutte queste belle promesse, e si gittò ad occhi chiusi nelle speculazioni che doveano compierle. Lo stesso abbiam detto, è accaduto presso i nostri vicini. Quivi le operazioni in azioni di strade ferrate si aggirano oggi su di un capitale enorme. Giusta il Times, 44 nuove compagnie sonosi formate nel corso di un solo anno, per intraprese che richiederanno un capitale di 900 milioni.

«Le azioni da esse rilasciate ascendono a 1,086,690, e il totale dei premii già ottenuti su queste azioni è stimato di 90 milioni.

«Da un altro canto si contano 58 compagnie, anch’esse di formazione recentissima, e che operar debbono su di un capitale di presso a 1,200 milioni. Il numero delle azioni emesse dalle medesime è di 1,413,000, e il valore dei premii già guadagnati su queste azioni è di 120 milioni circa.

«Talché presentemente il numero delle azioni di strade ferrate circolanti sul mercato inglese, e alimento quotidiano della speculazione, vuol essere calcolato come segue: [p. 446 modifica]

Per le vecchie compagnie …. azioni 9,100,000
Per le 44 compagnie formatesi nel 1844 ….

"

1,086,650
Per le 58 nuove compagnie ….

"

1,413,000
Totale azioni 11,599,650

Così in Inghilterra il giuoco alla borsa si esercita su più di 11 milioni di azioni di strade ferrate. Ma qui non istà il tutto, e questo non comprende che le azioni delle strade ferrate stabilite nei tre regni.3 [p. 447 modifica]"Bisogna aggiungervi tutti i titoli delle strade ferrate belgiche, francesi, tedesche, ec., ec., che sono ogni di l’obbietto di mille transazioni nelle borse delle principali citta inglesi, di Londra [p. 448 modifica]e di Liwerpool segnatamente. Il Times fa ascendere a 20 il numero di queste strade straniere le cui azioni sono giornalmente segnate sul solo mercato di Londra, e a 250 milioni il capitale che queste azioni rappresentano.

"Trattando questo soggetto", aggiunge il foglio inglese, "noi non possiamo dispensarci dall’eccitare l’attenzione sul modo onde queste azioni ai distribuiscono, e sulle persone che ne prendono la maggior parte. La Camera dei Comuni ha fatto stampare la lista di tutti i soscrittori di azioni in varie intraprese di strade ferrate per una somma maggiore di 50,000 franchi.

Sarebbe superfluo dimostrare l’impossibilita pei più di questi soscrittori di soddisfare agli impegni contratti. Il fatto è evidente, notorio. Vi si veggono donne, persone poste in condizioni subalterne, obbligate per somme che variano da 1,200,000 franchi a 15 milioni. Evidentemente nulla di serio può esservi in simili negozi, e le azioni non furono soscritte che per essere trasferite in tempo opportuno, quando il corso si sarà elevato artificialmente, a qualche speculatore più confidente o più ignorante.

"Cosi l’aggiotaggio ha raggiunte, di là dello Stretto, proporzioni a cui non è per anco, grazie al cielo, salito fra noi. Si è parlato, è vero, a Parigi l’anno scorso di una soscrizione di 22 mila azioni (capitale 11 milioni) fatta da un personaggio più celebre, che ricco; ma si sa pure essere stata questa una delle cause che hanno fatto escludere dal concorso la compagnia sulle cui liste si trovavano soscrizioni così colossali. Gl’Inglesi sono ancora i nostri maestri a questo riguardo, e giova sperare che noi non andremo mai di pari passo con essi.

"Da tutti i fatti e da tutte le cifre che egli espone, il Times deduce due conclusioni. La prima si è che, quando si tratterà di versare la totalità dei capitali esigibili per le strade straniere i cui titoli sono fra le mani di portatori inglesi, il denaro scarseggierà sul mercato, e una crisi finanziera sarà a un dipresso inevitabile. La seconda si è che, oltre a quanto è dovuto all’estero per le azioni soscritte, il capitale impegnato nella stessa Inghilterra nelle linee nazionali è fuori di proporzione coi mezzi disponibili e applicabili a simili affari; e si vedranno allora vendere [p. 449 modifica]i consolidati e gli altri yalorì in cui si sono fatti da lunga pezza impieghi. Nuova causa questa di perturbazione da non trascurare in verun modo.

"Le riflessioni del giornale inglese", aggiunge quello francese "sono buone a meditare dappertutto, perchè perfettamente giuste. L’Inghilterra corre manifestamente ad una crisi; ora una crisi in Inghilterra non può non ripercuotersi sui principali mercati del mondo. La Francia se ne risentirà più presto e più profondamente per avventura, che gli altri paesi, perchè essa porta già in sè stessa cause attive di perturbazione, che al primo urto debbono «necessariamente spiegarsi.

"Prudenti adunque coloro che preveggono queste eventualità, e le segnalano altrui fra i deliri del giorno. Prudenti coloro i quali, giacché la gestione delle grandi linee di ferro non ha potuto essere lasciata fra le mani dello Stato, la vogliono almeno affidata a compagnie serie e potenti, capaci di portare, senza cedere, il peso, di tutte le emergenze che l’avvenire può riservarci"

(Dalla gazzetta di Torino N.° 205 del 9 settembre 1845; che tolse tale articolo dal giornale francese La Presse del 2 detto mese ed anno).

I riflessi del foglio francese, come quelli del periodico inglese, certo sono giustissimi. — Se non che, il rimedio che vantasi applicato in Francia, qual succedaneo al principale temperamento, indicato fallito, di non abbandonare tutte le speculazioni in discorso all’industria privata, a parer nostro è ben lontano dall’essere efficace, e dal prevenire le crisi; esso può anzi accrescerne le rovine.

II giornalista francese, noto da lunga pezza per esser favorevole all’aristocrazia bancaria, ne loda le speculazioni; e mentre molti giorni prima prendeva a giustificare la coalizione delle varie società industriali formatesi onde escludere ogni concorrenza favorevole al governo (perciò ai contribuenti) nell’appalto che dar si dovea della nota strada del Nord: pretende che quella coalizione fu anzi utile, perchè così fece cadere l’affare in mano a quella società che sola potrà disimpegnarlo a dovere, pei [p. 450 modifica]larghissimi mezzi di cui possono disporre que’ potenti moderatori delle borse di Parigi e di Londra.

L’argomento sarebbe fondato forse, se l’impresa rimanesse davvero a mani di que’ facoltosissimi speculatori.

Ma qui appunto sta il vizio del ragionamento del foglio francese.

È noto che que’ fondatori dell’impresa, dopo essersi assicurato lo spaccio del numero occorrente di azioni, colle promesse avute di molti altri speculatori, essi pure ricchissimi, fonderanno ancora la società anonima, la quale emetterà le azioni definitive, ed avrà in ultima analisi la gestione reale dell’impresa, sia essa composta d’azionisti potenti ed illuminati, ovvero no.4

Lo scopo delle case bancafie fondatrici altro non è adunque che una speculazione di borsa. — La molta fama d’accorgimento e di prudenza che quelle case hanno, avendone giustamente fatto salire il credito a grande solidità, è naturale che la fiducia dell’universale reputi la speculazione medesima anche migliore di ciò che in realtà può essere. — Quindi il rapidissimo accrescimento delle azioni, immensamente diffuse e ripartite in ogni più modesta casa; chè tutti vogliono averne. — Quindi il pronto spaccio d’esse al favorevolissimo prezzo, che le case bancarie [p. 451 modifica]preallegate non omettono di tosto lucrare, cessando così dall’appartenere all’impresa, tutta lasciata in mano degli illusi, che avran pagati carissimi i titoli o cedole d’essa, credendoli un’inesaurirbile miniera di lucro.

Se poi questa fiducia conseguirà il pieno suo effetto, lo dira l’avvenire. Intanto ciò che solo v’ha di sicuro e positivo attualmente si è il guadagno realizzato nella prima vendita delle azioni fatta dai banchieri, cbe le ebbero al valor nominale.

Strana tendenza dell’uomo a sempre illudersi! Son pochi anni appena cbe alcune di quelle stesse case bancarie potenti ottenevano la concessione d’una delle strade di Versaglia, ed emettevano azioni per essa del valore di lire 5oo. La fama di quegli speculatori ne facea, crescer tosto il valore al corso, a segno che i fondatori della società per tal fine creatasi vendevano tutte quelle azioni oltre a lire 800.

Costrutta ed esercitata la strada suddetta, le concepite illusioni svanirono; i ricchi fondatori delle azioni le lasciarono a mani del volgo; — e successivamente decadute, nel valore al corso, arrivarono ad esser ridotte a poco più della metà di quello nominale; — attalchè se qualche combinatone ulteriore di prolungamento proficuo di quella linea od altro spediente non viene a migliorare nell’avvenire l’impresa, questa correrà il certo pericolo del fallimento; — laonde l’unico profitto d’essa tutto starà nel primo lucro conseguito dai fondatori.

Ebbene, ciò malgrado, il pubblico parigino applaude al rinnovamento della stessa speculazione quanto ai modi; — poiché, se accresci il valore dell’impresa e la lunghezza della strada, le condizioni, quanto ai fondatori, sono le stesse, — e, non ostante l’esempio recente avuto, tutti vogliono, un’altra volta correre il pericolo di veder rinnovato il caso già seguito.

Ma si dirà: le condizioni sono diverse. Nel primo caso le spese, calcolate in somma insufficiente, ed il prodotto, valutato troppo largamente, furon causa del poco felice esito della speculazione.

In vece’nel caso attuale la spesa prima reale è certa e nota; quella successiva si conosce del pari in modo positivo; la rendita risulta, dai calcoli fatti, più che adequata a procacciare un [p. 452 modifica]largo profitto. Questo frutterà dunque agli azionisti; qualunque essi siano, nè alcuna delle temute crisi consimili a quella del detto primo caso potrà succedere.

Rispondiamo che: se la discussione della pratica mostrò certa la prima spesa, probabilmente sicura quella ulteriore, fondati però 'tanto non parvero i calcoli del prodotto, poiché le Camere opinarono doversi accrescere la proposta durata della concessione, onde meglio assicurare fruttuosa la speculazione. D’altronde, il frutto da concedersi valutavasi a proporzioni assai minori di quelle cui dovrèbbe ascendere se il valore al corso delle azioni salisse, per effetto dell’aggiotaggio, com’è da prevedersi, ad altissimo prezzo; ed allora è facil comprendere, che la speculazione da fruttuosa debbe diventar perdente, per effetto dell’illusione creata dal gran credito de’ primi speculatori; i quali soli probabilmente riusciranno a conseguir profitto, mentre i successivi, o non ne trarranno alcuno, od al meno uno molto esiguo in confronto di quello sperato.

Queste induzioni, che a noi paiono innegabili, dimostrano come pecchi l’argomento del giornalista francese, e come il da esso vantato temperamento sia lontano dal rimediare ai pericoli dell’aggiotaggio, cui solo avrebbero in Francia potuto ovviare le proposte del signor conte Darù, delle quali altrove si è parlato, e che noi abbiamo creduto dover suggerire.

Nè le tante altre società che ogni corriere annuncia formarsi in quel regno per aspirare alle concessioni successive ancora da accordarsi, quand’anche esse pure si eoalizzino per raccogliere copia maggiore di mezzi, opereranno altrimenti, nè esse avranno risultati diversi. Il giuoco crescerà sicuramente in Francia come in Inghilterra ed in Germania, finché non sia efficacemente frenato; e se le proporzioni saranno diverse in ragione della presunta e reale ricchezza delle tre contrade, gli effetti ne saranno adequatamente consimili.

Succederanno allora pertanto le stesse conseguenze, le quali noi crediamo dover qui accennare ben più estese e più gravi di quelle dai due giornalisti inglese e francese accennate soltanto nel previsto caso di crisi. [p. 453 modifica]1.° L’industria agricola, in vece di arrivare a que’ miglioramenti di cui tanto pur è ancpra bisognevole, mercè d’utili imprese in essa assunte; per le quali imprese occorrerebbero nuove poste di capitali aggiunti a quelli già in essa impiegati; scaderà maggiormente, od almeno rimarrà viepiù stazionaria, perchè le saran fors’anche tolti alcuni de’ capitali ch’ora son investiti in ispeculazioni agricole per* convertirli in acquisti d’azioni.

2.° Lo stesso succederà, ed in proporzioni anche maggiori, all’industria manifatturiera, la quale ai vedrà tolti molti capitali ch’ora l’alimentano per correre pure all’investimento in azioni di vie ferrate.

3.° Molte fra le tante economie, collocate sicure alle casse di risparmio; sedotte dalle illusioni dell’aggiotaggio, ne saranno ritirate per aadare alla stessa destinazione. E tanto è ciò vero, che da qualche tempo a questa parte notasi ridotto in molte d’esse casse il prima osservato aumento de’ collocamenti superiori sempre allora ai chiesti rimborsi, ch’ora invece li superano. La qual cosa; se in parte può in Francia anche attribuirsi alla legge che ristrinse il massimo accolto degli impieghi, vuolsi pure attribuire alla crescente mania dell’aggiotaggio nelle vie ferrate.

4.° Le già antiche consimili imprese di vie’ ferrate o d’altri pubblici lavori anche felici; e cresciute nel loro valore capitale pei lucri conseguati; abbandonate con premura mercè della vendita delle azioni loro per convertirne il prezzo ne’ nuovi investimenti; avranno per certo ad incontrare una notevol perdita pel ridotto valore delle azioni suddette e perciò del capitale sociale cumulato dell’impresa.

5.° Le cedole consolidate de’ debiti governativi, in generale, per effetto della pace e della buona gestione delle finanze del maggior numero degli Stati, salite al corso ad un valore, di molto eccedente quello nominale, vendute in più grande quantità sul mercato per concorrere ai nuovi investimenti, scapiteranno grandemente nel detto valore ai corso, onde nascerà una grave causa di perturbazione nella fortuna pubblica e de’ privati. Allora, lungi dall’accelerarsi la redenzione di que’ debiti e dal [p. 454 modifica]facilitarsene il minore aggravio, mercè del noto spediente delle conversioni, onde ridurne gl’interessi; si renderan quelle conversioni impossibili; e dovendosi, per una causa qualunque contrar nuovi debiti dal governi, le condizioni che faran loro i capitalisti, rivolti ad altre speculazioni, saranno ben più onerose.

A queste innegabili conseguenze dell’aggtaggio pregiudizievoli all’universale, vuoisene ancora aggiungere due altre, le, quali, sebbene tocchino direttamente soltanto ai casi pecuìiari delle singole imprese, e di coloro che in esse perdono le proprie sostanze, non sono meno dannose indirettamente alla ricchezza generale, di tanto scemata sempre quanto si può valutare il cumulo delle perditei ndividuali.

Difatti, un’impresa di vie ferrate, la quale per difetto di previsioni, o per erronee illusioni sia perdente a segno da non potersi compire, od anche compita, da non potersi esercitare senza grave perdita, o da correr persino incontro ad un pieno fallimento, sarà certamenteuna grave rovina, e per le spese prime, fatte inutili, e per quelle future, rese più gravi e più costose, onde salvar quelle già anticipate, e finalmente per i gravi dissesti che produrrà nell’ordinamento del lavoro, con datino degli operai ad esso addetti, e del processo, della produzione.5

Ancora; le perdite e le rovine private, dalla crisi prodotte, operando sempre direttamente, come per riverbero, sopra una ìnfinità di transazioni particolari, non solo saran lesi i fonti della produzione suddetta arrestata nel suo corso, ma, crescendo l’importanza del sinistro, crescerà la miseria pubblica e privata.

Queste sono, a nostro parere, le conseguenze che è pur troppo lecito, anzi dovere, temere dall’aggiotaggio.

Ora quali effetti pregiudicevoli sulla moralità e sulla stessa condizione economica d’una nazione producano siffatte conseguente, sembra inutile dimostrare. Perocché là dove l’avidità di guadagno è promossa all’eccesso e con ogni maniera d’incitamenti, come d’arti subdole e meno oneste; — là dove le frequenti [p. 455 modifica]rovine traggono a grave infortunio, fors’anche a disperazione; — là dove invece gli straordinari arricchimenti di pochi non sono frutto d’assiduo lavoro e d’operosa economia, ma solo derivati da raffinata malizia, o della cieca fortuna, fanno un triste contrasto colla rovina di molti miseri accalappiati dalle male arti d’alcuni giuntatori; non sr potrà credere certamente avviata a successivo perfezionamento morale la popolazione, nè sperarsi mai prospera, in fin di conto, la condizione economica di questa.6 [p. 456 modifica]Il trionfo dell’aggiotaggio, adunque è compagno del lutto delle molte sue vittime, e per quanto esso sia fin qui riuscito a penetrare nelle aule più riverite e più potenti; — a persuadere che esso ha l’arte di creare capitali; — a spacciarsi comè atto a soccorrere colle sue operazioni l’autorità; — a convincere che concorre al mantenimento così prezioso dell’ordine ed a comprimere i politici trambusti, ottenendo in compenso di tanti pretesi servigi alla repubblica non solo que’ larghi premii in danaro, che sono in sostanza l’unico suo scopo, ma eziandio autorità, influenza ed onori; noi nom possiamo, come tanti altri, sagrificare a siffatto idolo; epperò crediamo debito d’uno scrittore coscienzioso di combatterne coraggiosamente le male arti, di smascherare i subdoli modi con cui all’ombra di quegli speciosi argomenti d’ordine, di sicurezza e di stabilità governativa, che ugualmente possano ottenersi senza l’aggiotaggio, esso cerca insinuarsi anche là dove per buona ventura ancora non è penetrato. [p. 457 modifica]Ma ecco un altro argomento d’uomini retti bensì, ma troppo facili a rassegnarsi a que’ mali che suppongono inevitabili.

Sia pure vero, dicon essi, che l’aggiotaggio produca qualche atto immorale; che ne’ casi di speculazioni perdenti esso arrechi rovine private, ed anche danno economico universale; è però un male inevitabile, come tanti altri della presente civiltà: per l’aggiotaggio intanto, se le speculazioni sono felici, grandemente, cresce il capitale nazionale; — per laggiotaggio svegliasi l’operosità dell’universale in sommo grado, e ne nasce una grande attività di traffici, la quale accresce la produzione, e va moltiplicando le facoltà private di coloro che ad essi traffici attendono; — per l’aggiotaggio moltiplicasi all’infinito il giro e rigiro del capitale circolante, ripetendo ad ogni giro il frutto dell’operazione.

Tolgasi con provvedimenti restrittivi questo mezzo di speculazione aleatoria, deriverà l’inazione de’ traffici; e mentre tutte [p. 458 modifica]le nazioni che ci circondano attendono ad essi con istraordinaria operosità, noi per iscrupoli morali, e per timori di pericoli economici, rimarremo inoperosi, e dopo aver vissuto qualche tempo stazionari, fatta ragione dell’altrui progresso universale, primeggiante sempre alcune private rovine, le quali sono come i morti e feriti del vincitore in una battaglia (chè quella è pugna industriale) successivamente impoveriremo del tutto, e saremo ugualmente rovinati.

D’altronde, aggiunqesi, volere o non volere, finché vi saranno speculazioni di traffico, vi sarà aggiotaggio; e la cosa è tanto vera, che anche lì dove son leggi proibitive d’esso, quello succede egualmente, non solo di soppiatto, ma nel modo più notorio.

Nella nostra Italia istessa, in fatti, per tacer di Germania e di Francia, abbiamo esempi di società neppure ancora costituite, nè aventi altra concessione tranne quella di fare studi, senza esser certe d’avere quella definitiva, quindi anzi non ottenuta; le quali, abbenchè proibite di spacciare azioni, gran parte però ne aveano di mano in mano collocate.

Tanto fa adunque di permettere ciò che non può vietarsi; perchè almeno non si porge lo scandalo della violazione delle leggi e si può alle Borse, con regole da stabilirsi’, ovviare alle frodi particolari, pìu facili sempre a succedere ne’ contratti clandestini, fatti in frode alla legge, che non in quelli stipulati notoriamente, in modo lecito e legale.

Noi non abbiamo voluto tacere alcuno degli argomenti con cui si pretende, con vario fine, difendere od almeno scusare l’aggiotaggio. Ci proveremo ora a combatterli successivamente.

1.° Si premette che l’aggiotaggio vuolsi distinguere dalla speculazione; della quale esso non che l’abuso; ed a questo riguardo preghiamo i lettori d’aver presente l’opinione invocata dell’economista Chevalier, che abbiamo trascritta alla nota 3 della pagina 70; come si pregan del pari a rammentare quella già da noi esposta al capitolo 8.° del Discorso III.7 [p. 459 modifica]Non torneremo pertanto a scanso di ripetizioni su questa indispensabile distinzione. Noi lodiamo, lo dichiariamo nuovamente, la speculazione, e la desideriamo promossa e favorita; solo vogliamo proscritto adunque l’abuso d’essa.

2.° Non si contende che nel principio del secolo, coerente le speculazioni di credito pubblico giovarono a far conseguire quella pace di cui godiamo. Nel contribuire con questa al riordinamento delle finanze di molti Stati, nel consolidarne il credito, quelle speculazioni giunsero a rendere possibile la riduzione dei carichi, che assai gravi pesavano sui popoli. In ciò i banchieri, che allora specularono sui pubblici prestiti, mentre con calcoli previdenti si arricchirono, ad un tempo furono benemeriti della cosa pubblica. — -Lodansi adunque i premii ad essi largiti.

3.° Ma anche in questa materia insieme all’uso nacque pure l’abuso. Imperocché, allettati dalle rapide fortune fatte in quelle speculazioni, sorsero in gran numero altri speculatori, attalchè i traffici sui pubblici debiti degli Stati divennero la principale occupatione dei banchieri, tutti intenti a trasportare dall’uno all’altro debito de’ varii governi i capitali loro, in ragione del maggiore o minor favore del valore al corso delle cedole di essi.

— Allora cominciò l’abuso della speculazione, cioè l’aggiotaggio; — allora le nuove di politica sì interna che estera serviron di mezzo a far alzare o cadere ad arte il detto valore al corso; e quando non si aveano le nuove anzidette atte a produr

[p. 460 modifica] variazioni, esse si supponevano, ideandole anche inverosimili, purchè riuscissero ad agire per poco sulle menti illuse de’ giuocatori. - Allora, per meglio attuare il giuoco, si praticò lo spediente dei mercati a termine, vere scommesse, aperte anche ai nullatenenti. Perocché non trattasi in esse già d’acquisto reale d’alcun valore, ma solo di scommettere che una data qualità, d’essi avrà, in capo ad un certo tempo (un mese per lo più), un valore determinato; il qual valore non verificandosi, trattasi di pagare non già le cedole acquistate al proclamato valore, ma solo la differenza che passerà tra il valore reale registrato alla borsa, e quello presunto, e non verificatosi.

Come scorgesi adunque, coloro che attendono, a cosiffatto giuoco, nè han mestieri di capitali ingenti per specular sovr’esso in proporzioni anche larghe assai; — nè lucrando un ragguardevol guadagno, questo costò loro fatica o pena alcuna cui debbasi premio; — nè menomamente crearono capitale alcuno od aumento della generale ricchezza; sibbene una fittizia affatto ne han supposta, la quale non ha alcuna realtà, se si eccettua la somma, per sè poi, rispetto all’universale, poco ragguardevole, de’ premii lucrati da vincitori nel giuoco.

4.° Se questo processo tutto aleatorio sia utile alla cosa pubblica; — se giovi a mantenere l’ordine e la quiete; — se concorra a render più solido il credito de’ governi; — se faccia questi più securi nell’esistenza loro, noi ne lasceremo il giudizio agli stessi nostri avversari di buona fede, come li vogliamo pur giudici, della benemerenza, da attribuirsi ai promotori ed attori di siffatto giuoco.

Troppo pregiasi da noi il buon criterio degli avversari preallegati per credere che vogliano, discussa seriamente la vertenza, opinare in senso diverso dal nostro; troppo stimiamo reale, e non infinta, la moralità loro, per supporre, che vogliano ancora difendere una pratica provata in ogni suo particolare immorale.

5.° Quanto al dir poi che il male dell’aggiotaggio sia una conseguenza inevitabile della presente civiltà, noi non possiamo a modo alcuno ammettere che il vero progresso non possa sussistere senza siffatto abuso, conducente, come riconoscono, [p. 461 modifica]l’immoralità. Cotesto progresso vero tale non si potrà mai ammetter pure da noi, se non è anzi accompagnato dalle maggiori cautele morali; — chè il traffico onesto, la sola speculazione, cioè, su’ valori reali e non fittizi, attuata tra gente idonea a dedicarvisi, può sussistere senza il concorso dell’abuso d’essa, e meglio promuove anzi l’aumento della produzione.

Tuttociò ci par cosa di per sè così evidente da neppure richiedere ulteriore discorso.

6.° Per l’aggiotaggio solo con si accresce il capitale nazionale il quale aumenta soltanto per speculazioni fatte con mezzi reali, non con mezzi fittizi, cui la propria nullità vieta di produr cosa alcuna. — D’altronde, le imprese felici nascono dalla vera speculazione, non dall’abuso d’essa; chè, atteso il difetto di giusti calcoli e di consumata prudenza, il detto abuso sa tentare solo imprese arrischiate, per lo più perdenti.

7.° Per l’aggiotaggio non svegliasi un’operosità generale efficace; piuttosto, occupando le menti in non fondate illusioni, si distraggono dal lavoro indefesso e produttivo, come da quello spirito d’ordine e di economia il quale solo produce l’accumulazione della ricchezza; questa le imprese arrischiate e temerarie non possono conservare, perché anche, acquistata col giuco di sorte, non con assidua fatica, disperdesi colla stessa facilità con cui si conseguiva.

Laonde allo stesso modo che le facoltà private non aumentano nelle biscazze il maggior numero di quelle facoltà, il capitale nazionale dilapidato al giuoco di borsa.

8.° Per l’aggiotaggio non si moltiplica punto col giro e rigiro il capitale circolante. Perocché, il giuoco essendo quasi sempre attuato senza mezzi reali, e con soli capitali supposti, anche ammesso un giro e rigiro di questi in più mani, la produzione non può ricavarne aumento alcuno, nessun frutto potendo nascer mai dal nulla; o se ne nasce, sarà mediante anzi il consumo d’altretanta copia di capitale effettivo perduto dal giuocatore, che l’ha avventurato contro il nullatenente.

9.° Non sussiste a modo alcuno che dal cessato aggiotaggio derivi l'inazione de’ traffici, e un’assoluta inoperosità, dalle [p. 462 modifica]quali però è vero che deriva la decadenza. L’operosità nazionale impiegata nel lavoro assiduo, e nelle speculazioni solide ed efficaci meglio anzi mantiene l’attività comune, che non l’operosità eccedente i mezzi degli speculatori, i quali mezzi consumansi in isterile fatica. No, non sono vani scrupoli morali, nè men fondati timori economici che conducano a proscriver l’aggiotaggio; egli è il rigore necessarip de’ buoni precetti, l’interesse ben inteso della produzione che consigliano i reggitori onesti, prudenti ed avveduti a condannare un giuoco in cui perdonsi la virtù e le sostanze!

10.° No, non è vero che l’aggiotaggio sia inseparabile dal progresso ben inteso, nel quale abbondano, lo dichiariamo, l’agio comune e le ricchezze equamente diffuse! Egli è compagno piuttosto del mal inteso progresso, dove pochi sono i ricchi epuloni, innumerevoli i miseri faticatori; i quali, bagnato di sudore e di lagrime lo scarso pane che guadagnano lavorando, vedonsi preclusa la via alle economie con cui solo potrebbero migliorare la condizione loro; o se riescono a forza di privazioni a farne alcuna, la vedono carpita da un giuntatore, d'essi più destro ed avveduto, il quale seppe illuderli al giuoco.

11.° No, non è vero che una nazione in cui non abbia ancora, la Dio mercè, penetrato l’aggiotaggio, perchè mancante d’operosità, sia esposta a divenir povera e decaduta a fronte degli operosi vicini presso i quali alligna quel giuoco! Essa potrà ugualmente progredir faticando, in ogni ramo d’industria vera, ritraendone guadagni reali, senza corrompersi colle male arti del giuoco. Posto ancora, che, più castigata, a minori cimenti si avventurasse, e più lentamente arricchisse, il frutto più puro del suo lavoro risulterebbe più solido, più durevole, più diffuso nell’universale; epperò meglio assicurerebbe la comune e generale prosperità, preferibile sempre, osiamo pur dirlo, alle immense ricchezze da pochi raccolte, mentre è desolante la miseria del maggior numero. Non può temersi adunque dell’assenza dell’aggiotaggio la generale povertà, debbesi in vece prevedere da esso la rovina dei più fra coloro che vi attendono.

12.° Quanto al dir poi impossibile d’impedire un tal giuoco, [p. 463 modifica] risponderemo: non negare che l’avidità personale può farlo nascere, e praticare anche là dove esso è vietato, ma molto meno gravi allora esserne e men diffuse nell’universale le conseguenze, di ciò che accade là dove apertamente giuocasi alle pubbliche Borse, ed i fogli periodici ne registrano le fatali speculazioni. Succedere in ciò come del giuoco del lotto là dove questo venne abolito; chè alcuni giuocatori viziosi e pervicaci continuano bensì a giuocare all’estero, o ne’ lotti clandestini, ma tolta al maggior numero l’occasione, esso tralascia la viziosa abitudine, e converte in utili spese od in proficue speculazioni quelle somme dianzi consumate improduttivamente nel giuoco.

13.° Un governo il quale abbia autorità, e sappia praticarla con prudente fermezza non manca di mezzi per curar l’osservanza de’ propri provvedimenti; e si dovrebbe compiangerlo di non sapervi riuscire, come di deplora in fatti la condizione di quegli Stati in cui, malgrado il divieto delle speculazioni più arrischiate dell’aggiotaggio, quella, per esempio, de’ mercati a termine, esse si lasciano notoriamente praticare, con permettere che se ne registrino i risultati ai listini della borsa, e che i sensali, cui è interdetto il traffico, vi abbian parte, senza che siano rimossi, come dovrebbero, dall’uffizio loro. Si fatto esempio non prova a modo alcuno impossibilità vera; prova piuttosto debolezza od immoralità governativa, forse i due mali al tempo istesso.

14.° Il caso citato seguito in Italia di spaccio d’azioni fatto non ostante il divieto promulgato, non è prova d’impossibile osservanza di questo, solo dinota seguìta una violazione della legge suddetta, come d’alcune altre interviene. D’altronde non essendo quello spaccio legalmente permesso, nè alle Borse, registrato, solo può essere seguito, in modo privato affatto, e tra intimi e confidenti; epperò con ben minor copia d’illusioni, e delle dannose conseguenze di queste, che notansi quando la speculazione è pubblica ed a tutti accessibile.

15.° Quando un governo stabile e regolare promulga un divieto lo mantiene osservato in tutti i casi che sono ad esso noti, qualche infrazione non avvertita del medesimo non può [p. 464 modifica]chiamarsi una violazione scandalosa della legge, sihbene uno de’ soliti incidenti dell’umano consorzio in cui sempre furono e saranno uomini trasgressori delle leggi, alcuni puniti delle pene sancite contro essi, perchè colti in colpa, altri a caso impuniti, perchè il reato loro non venne a notizia del governo, non per chè questo, anche saputolo, trascurava la prescritta repressione.

16.° Allegar, finalmente, preferibile la tolleranza d’un abuso perchè dalla sua più recondita pratica potrebbero venirne conseguenze peggiori, che se fosse nell’atto della tolleranza medesima regolato con qualche freno, ei pare im argomento affatto erroneo nel caso speciale. Vi sono, è vero, nel civile consorzio alcuni mali che, propri dell’umana debolezza, non potendosi interamente far cessare, si tollerano con qualche regola anche notorii, per cansare mali più gravi; ma tra questi non può annoverarsi l’aggiotaggio al quade abbiam veduto possibile un freno.

Conchiudiamo; se un governo vuole davvero appor questo freno, sta in sua mano di farlo, e il savio provvedimento, promulgato dall’oracolo della legge, fatto osservare con prudente ed accorta fermezza, debbe fruttare resultati utilissimi al vero progresso, giovando alla morale ed alla stessa più solida condizione economica della nazione.

A coloro che allegassero più ricche alcune delle nazioni dove ora più ferve l’aggiotaggio, a confronto d’alcune altre, dov’esso non è ancora penetrato, risponderemo: chè quelle nazioni, già ricche, ben più lo sarebbero in realtà se tanti capitali consunti nel giuoco si fossero a più solide e più reali speculazioni applicati. — La vera ricchezza loro, frutto d’alcune di queste speculazioni, è dell’assiduo, come dell’efficace lavoro, temperare bensì le dannose conseguenze del giuoco; renderne meno sensibili e palesi le funeste conseguenze; ma a lungo andare, crescendo il male ed aggravandosene gli effetti, poter succedere a quelle nazioni come ad altre è succeduto, di veder giungere i disastri economici a segno di consumare la generale rovina. — La minore ricchezza delle altre nazioni, dove non ancora penetrò l’aggiotaggio, non derivate menomamente dall’assenza di questo, [p. 465 modifica]sibbene dal difetto d’operosità nelle speculazioni vere ed efficaci, da vizioso ordinamento del lavoro, da erronei provvedimenti economici a guesto relativi. Rimediati cotali difetti, quelle nazioni, premunite ancora al tempo istesso dalla tabe dell’aggiotaggio, ben più presto giugnerebbero a vera e solida prosperità, poichè ogni speculazione di traffico in esse promossa, e da savie regole governata, in breve riuscirebbe a porgere i più larghi profitti.

Discussa ne’ termini più estesi la materia presa a trattare, ora rimane a far cenno dell’applicazione delle nostre dottrine ai varii Stati della Penisola.

In essa, la Dio mercè, finora la piaga dell’aggiotaggio o non allignò mai, od appena si mostrò esordiente.

A Napoli, anni sono, le imprese che a quell’abuso conducono, se male ordinate, ad un tratto si moltiplicarono, come già notammo.

Nè mancarono scrittori, i quali tentarono di aggirare l’opinione e persuaderla di potere crear dal nulla immensi valori.8 [p. 466 modifica]Un momento riuscirono là dove le menti più vive più erano soggette a cadere in siffatte illusioni. Ma una circostanza lamentevole, già accennata al capitolo I.° discorso III, la quale gravemente pregiudicò quelle istituzioni di credito, se produsse rovine, riuscì però ad illuminare il buon senso pubblico sulla fallacia delle bandite teoriche. Lo spirito d’associazione ne fu gravemente compromesso: e fu vero infortunio, lo dichiariamo, ma la tabe del giuoco fu anche annullata, e noi, le auguriamo che non si rinnovi più mai.

A Milano ed a Venezia si tentò d’introdurvela nell’esordire dell’impresa della via Ferdinandea, ed anche nel corso delle sue peripezie; ma il buon senso italiano ivi pure, la Dio mercè prevalse.

A Trieste il traffico reale abbastanza occupa da una parte; dall’altra manca l’occasione, quella strada facendosi dal governo.

Nella Toscana, in vece, ed a Lucca, come abbiamo veduto, non mancarono tali occasioni. Se gli speculatori trovarono il paese per più ragioni non ancora preparato a figurare come primo partitante nel giuoco, seppero associarvi l’estero, e le cose sono avviate a segno, che può col tempo, se non si provvede all’uopo, aggiungersi al malanno del lotto quello ancora dell’aggiotaggio; del che preghiamo il cielo venga quell’ottimo e bel paese preservato, mercè della saviezza d’un governo paternale, che ancora è in tempo ad arrestare la funesta tendenza. [p. 467 modifica]Negli Stati sardi la previdente saviezza d’un governo paterno ed oculato, resistendo alle sollecitazioni degli speculatori, i quali non mancarono di cercare con ogni maniera d’inviti e proposte di ridurlo al mal passo, seppe finora tenere illeso il paese da quella tabe; e mentre notiamo come i sudditi debbono essergliene grati, faceiam voti perchè, senza lasciarsi sedurre dagli altrui sofismi, o intimorire da certe impazienze, quel governo continui nel tenuto sistema.

A Parma, a Modena, a Bologna ed a Roma fin qui mancò l’occasione. Noi, che pensiamo potersi far le vie ferrate senza inciamparvi, ben lontani dal desiderare che non si facciano, come vorrebbero alcuni, per sfuggire ai pericoli dell’aggiotaggio: auguriamo a quegli Stati, che i reggitori d’essi, imitando gli altri governi italiani, i quali seppero tentar l’assunto, scansando gli abusi d’esso, procurino ai sudditi un beneficio che il voto pubblico non dubbio sollecita nel modo più evidente ed insieme più giusto.

A tutti i governi italiani, in somma, desideriamo il cauto e retto ordinamento delle vie ferrate, che la rispettiva condizione de’ luoghi dimostra utili ed opportune; colle cautele però gii consigliate e che seguono, qui riepilogate in più esatta formola, onde tener sempre lontano dalla Penisola il fatale malanno, cui ci credemmo tenuti a muover guerra, svelandone e combattendone le male arti e le illnsioni:

1.° Nell’ordinamento di qualsivoglia società per azioni sia proibito di creare ed attribuire ai fondatori quelle beneficiarie.

2.° Venga in tale occorrenza pure vietato di far traffico delle promesse d’azioni, molto più delle prime ricevute provvisionali delle dette promesse, con cui i concorrenti impegnansi, mediante una determinata somma versata, a promettere di prendere un dato numero di azioni.

3.° Non sia lecito alcun traffico di azioni che dopo la costituzione definitiva della società, e remissione regolare delle cedole costituenti la proprietà d’ogni azione.

4.° Dichiarisi specialmente proscritto l’uso de’ contratti a termine, coi quali prendesi l’impegno di rimettere ad epoca fissa, [p. 468 modifica]ed al prezzo convenuto, un determinato numero di azioni, che non si hanno; pagandosi soltanto, senz’alcuna rimessione di titoli, a scadenza il montare della differenza che passa tra il prezzo convenuto ed il valore al corso.

5.° Sia perciò proibita alle borse commerciali la liquidazione di siffatte differenze, e vietato ai sensali addetti a quelle borse di prender parte in tali negozi; registrarli ne’ loro taccuini e conti-aperti; prestare il proprio ministero a quelle liquidazioni, come a qualsiasi contratto di compra e vendita di azioni senza la oontemporanea rimessione materiale delle cedole o titoli d’esse.

6.° Non possano i listini della borsa registrare e far noti che i prezzi occorrenti delle cedole così vendute e comprate, non mai quelli di ricevute provvisionali, di promesse d’azioni e di contratti a termine.

7.° Sia vietato ai giornali di registrare nelle pagine loro manifesti per società non autorizzate, e prezzi correnti d’azioni altri che quelli legalmente registrati alla borsa de’ contratti seguiti come al precedente n.° 5. Non mai i prezzi correnti, e nè manco le offerte di vendita delle ricevute provvisionali, delle promesse d’azioni e dei contratti a termine seguiti. Così pure non possano promulgare qualunque calcolo preventivo concernente a società per azioni, senza la previa autorizzazione del presidente del tribunale di commercio.

8.° Siano comminate ai sensali come ai trafficanti d’azioni ed agli editori risponsali dei giornali, i quali tutti contravenissero ne’ modi come sopra vietati, pene di multa, di rimozione dall’ufficio, ed anche personali di carcere ne’ casi di recidiva, e d’insolvibilità.

Tutte queste discipline per niente incagliano le speculaziooi reali e non fittizie, che volessero farsi delle azioni definitive, delle quali anzi desideriamo promosso e protetto il traffico serio ed onesto. Tutta la severità del proposto provvedimento sol tende adunque a frenare il giuoco, il traffico fittizio ed illecito, come i soprusi che possono farsi all’altrui buona fede; raggiri questi che la buona morale condanna, nè l’interesse economico richiede di permettere, perchè anzi ad esso nocivi.

Note

    ferrate, sarebbe però, qui come altrove, più utile conceder loro straordinarie gratificazioni, regolate in ragione del migliore servizio fatto da codesti agenti, specialmente per l’economia conseguita da essi sul combustibile usato per le locomotive.
         E siccome è nella natura dell’Italiano non colto l'esser talvolta trascurato e disattento, onde stimolarne lo zelo, vorremmo che, comminata ai detti agenti e ministri una multa prelevata sul salario loro ogni qual volta succedon nel materiale guasti che potevansi avvertir prima, ed essere a tempo riparati, sia all’incontro conceduto ad essi un premio in compenso dell’avviso dato della necessità di qualunque ristauro al detto materiale.
         Questa disciplina, che non sappiamo ancora altrove introdotta, e dieci sorge al pensiero di proporre alle amministrazioni di vie ferrate aperte o da aprirsi fra noi, gioverebbe alla maggior sicurezza, ed impedirebbe più d'un sinistro, educando all’attenzione ed all’attività i nostri agenti preallegati.
         Noi speriamo pertanto, che nell'interesse comune del maggior concorso possibile di forestieri fra noi, tutti porranno opera a correggere l'antico abuso. apertamente, come si conveniva, sopra condannato, e che nelle nostre strade ferrate verrà introdotta la novità da noi proposta.

  1. Vedasi il cenno fattone dal chiarissimo cavaliere Cibrario nella sua Economia politica del medio evo, e più particolarmente nella Storia della legislazione del pure chiarissimo signor conte Sclopis, tomo I, pag. 182 e seguenti.
  2. Esempio. Una società anonima è creata col fondo sociale di 32 milioni di lire toscane per la strada della Maremma. Si vendono le promesse d’azioni di lire 4,000, richiedendo soltanto il primo pagamento dei 5 per % = lire 50. Si giuocano alla borsa, e salgono, supponiamo, al 10 per % di premio (si spacciò, non sappiamo con qual fondamento, che ne lucravano uno del 30 per %). Anche col premio del solo 10, ecco lucrate per ogni azione venduta lire 400, colla sola anticipazione d’un capitale di lire 50. Ora chi è che non farà ogni sforzo per raggranellare lire 50, e investirle nella detta posta di giuoco? Se poi la strada si faccia o no, se anche fatta, darà frutto adequato, son queste induzioni cui non si ferma il giuocatore, preoccupato di vincere il premio, e tosto.
  3. Si è detto che, anche ammesso per vero il novero sopra indicato delle azioni, quanto alle 9,100,000 delle vecchie compagnie, le quali hanno già terminato l’opera loro, essendo esercitate le strade fatte da quelle società, il capitale sociale non può dirsi tutto posto in giuoco, ma collocato in solidi investimenti, come di un podere rurale, per esempio; sicché non occorre che i giuocatori acquirenti abbiano il capitale equivalente per tutte acquistar quelle azioni. Restano solo le altre azioni delle nuove società, valutate al numero di 2,499,650, estimate del valore di franchi 2,210,000,000; per giuocar sulle quali non manca certo il danaro occorrente nella Gran Brettagna, anche giunto il giuoco sulle azioni estere, valutato a 250,000,000; non aversi a temere perciò una crisi per difetto di capitali, onde far fronte alla scadenza degli impegni assunti dai soscrittori; perché la detta scadenza non essendo a un giorno solo, ma successiva or per l’una ed or per l’altra società, ii giro e rigiro de’ capitali, in quel ricco paese cosi abbondanti, basta a far fronte all’uopo. Se ne è conchiuso adunque, che un tal giuoco può benissimo farsi senza pericolo, purché le imprese cui viene applicato sian fondate su probabile buon esito, perciò produttive. Da cotesta condizione pertanto di buono o di cattivo esito, dipende o no il pericolo di crisi, non dal giuoco per sè stesso. Noi non neghiamo che tutte le azioni delle vecchie compagnie non sono poste in giuoco, e che molte fra esse sono conservate dai possessori come un capitale immobile. Ma, ciò malgrado, crediamo fondati i riflessi del giornalista, quando anche si voglia ammettere, che l’abbondanza de’ capitali inglesi ed il giro e rigiro di questi, il quale permette allo stesso capitale di fare successivamente più operazioni, abbiano per effetto di non veder nascere l’insufficienza loro. Ma queste, d’altronde, sottili distinzioni, perchè possano ammettersi, debbono sapporre un fatto, che risulta appunto insussistente. Se le speculazioni d’aggiotaggio fossero attuate soltanto dai possessori di que’capitali, concorrenti al traffico delle azioni con mezzi sufficienti, certo che basterebbero all’assunto. Ma invece le informazioni che si hanno dimostrano che i concorrenti all’aggiotaggio, de’quali pubblicavasi un elenco, son persone ben lontane dal reputarsi atte a soddisfare all’assunto impegno. Ancora; risulta che molti facoltosi capitalisti specularono per somme così eccedenti le facoltà loro, che furon condotti a fallire. La speculazione tutta aleatoria adunque è colà, come altrove, assunta da persone meno idonee a tentarla; epperò, supposta ancora qualsivoglia più ingente massa di capitali nella Gran Brettagna, dove d’altronde a tante altre speculazioni più sicure attendono i capitalisti più oculati: sarà sempre probabile la temuta insufficienza di mezzi, quindi il pericolo di crisi denunciato. Nè ci si venga dire eh, la fama di arditi si, ma previdenti speculatori, di cui meritamente godono i trafficanti inglesi, è garante ch’essi non s’avvieranno a speculazioni arrischiate ed infelici; chè piuttosto debbonsi supporre prudenti abbastanza per non cimentarvisi; laonde il più probabile buon successo è un anticipato rimedio al pericolo di crisi. Per quanto si vogliano ammirare tutte le doti della nazione inglese, se si riconoscerà in essa abbondantissimo il numero degli speculatori accorti e prudenti, non si vorrà negare, speriamo, essere colà, come altrove, anche uomini arrischiati e temerari, i quali, mossi dall’avidità di guadagno, illusi dalla passione del giuoco, imprevidenti sulle fatali conseguenze di questo, si cimentano ad esso perdutamente. A coloro che, illusi pure sulla perfezione inglese, volessero negar tal cosa, risponderemo coll’elenco pubblicato a Londra dei soscrittori delle azioni, coi listini del valore al corso, di quelle di molte società che risultano perdenti nella speculazione loro; e risponderemo ancora colla nota annualmente pubblicata dei fallimenti, nella quale, d’altronde, son ben lontani dal figurare tutti que’ privati che si rovinano nelle speculazioni dell’aggiotaggio. Da questi riflessi par lecito conchiudere, che la somma dell’aggiotaggio è colà giunta a segno tale, che reale e non supposto, come vorrebber taluni, è il pericolo di crisi; e che al presunto succeder di questa, attesa la grande sua importanza, essa debbe per riverbero influire sui principali mercati del mondo. Le più recenti notizie de’ fogli inglesi e francesi, del resto, già indicano come questa crisi si tema imminente, ed anticipatamente sembrano così giustificare i nostri riflessi.
  4. Il vantaggio speciale di cotali speculazioni, perciò, così vagheggiate dai banchieri, gli è quello che neppure occorrono anticipazioni di fondi, e quindi nessunissimo pericolo della propria sostanza essi incontrano. Un fabbricante debbe avere unp fondo ingente investito nel casamento, nelle macchine, nella materia prima, nel salario dato agli operai. Prima che lo ricuperi con discreto lucro, vendendo la merce fabbricata, corre mille pericoli, e talvolta stimasi ancor fortunato d’aver conseguito il capitale primo, e solo perduto ogni guadagno. Un banchiere, invece, di colossale riputazione altro non ha a portare nella speculazione, che il proprio nome e la sua firma. Con tal atto egli persuade al pubblico conveniente l’impresa, e trova nell’universale il numero d’azionisti che cerca; costoro, col primo versamento che fanno, porgono il mezzo di fai fronte a qualsiasi anticipazione richiesta di cauzione od altra. Come scorgesi adunque, niuna fatica, niuna anticipazione, niun pericolo incontra il fondatore, il quale solo ha un lucro certo, mentre ogni eventualità dannosa è degli azionisti.
  5. Ricordiamo al proposito l’opinione esposta del Dunoyer alla nota 1 della pag. 236 sul danno di coteste imprese fallite.
  6. Mentre, guidati dal solo nostro intimo convincimento, scrivevamo queste parole, ecco come un foglio francese, non addetto, come molti altri, ai moderatori detta Borsa, informava i suoi lettori della situazione delle cose: Gazzetta Piemontese, giovedì 25 settembre 1845, N.° 19. Leggesi nella France: «Da qualche tempo Parigi presenta l’aspetto d’una vera biscazza; il più sfrenato aggiotaggio vi domina. Dall’alto al basso della scala della società tutti sono in preda alle frenesie della speculazione e del giuoco. È un delirio veramente senza esempio, dopo l’epoca funesta del banco di Law. La Borsa e i suoi dintorni tengono ora il luogo della troppo celebre bisca della via Quincampoix. »Ben difficile sarebbe il porgere un’esatta idea della sregolatezza inaudita che si manifesta nell’aggiotaggio sulle strade ferrate. Non sono più le faccie conosciute sotto i pilastri delle scene, o al passaggio dei teatro dell’Opera, che in pieno giorno operano sulle azioni o promesse di azioni: grandi e piccoli, agiati cittadini e gente bisognosa, si scontrano e si urtano sulle scalinate della Borsa, alla porta degli uffizi di compagnie, o degli agenti di cambio, e dentro e fuori, a tutte le ore, e in ogni luogo, risicando, all’alzarsi o abbassarsi dei fondi, questi ogni loro sostanza, queglino i loro risparmi, il pane dei loro figliuoli; ed alcuni perfino un capitale che non hanno, ma che sanno trovare all’improvviso col favore di un credito fattizio. »Quel che havvi di più deplorabile in quelle sregolatezze di genere nuovo, in quei veri baccanali della speculazione, si è che avranno per risultato un traslocamento funesto delle piccole sostanze. Può farsene giudizio dal numero sempre crescente delie somme ritirate in ogni settimana dalle casse di riparmio. L’artière economo, laborioso e ben regolato, per l’allettamento dei guadagni a lui offerti dal giuoco della borsa, gitta a poco alla volta i suoi modesti risparmi in quel profondo abisso. »Niuno vi è, si dica a vergogna del tempo nostro, fino al vostro portinaio,che non venga a chiedervi, colla scopa alla mano> il mezzo di procurarsi un certo numero di azioni su questa o quella linea di strade ferrate. «Eccoci dunque, dopo tre anni di applicazione, eccoci giunti ai risultamenti morali della famosa legge del 1842; risultamenti infelici, che diverranno, secondo tutte le apparenze, ancora più funesti dai lato degli interessi materiali. »Quando le Camere si attennero al sistema di esecuzione applicato oggi in materia di strade ferrate, noi fummo dei primi ad accennare i disastri che ne sarebbero conseguiti. Le nostre predizioni pur troppo si adempiono. Ma ciò che allora non dicevamo, e che non ostante si avvera col sopragiungere dell’esperienza, si è che il governo della rivoluzione entrò con questo in una via disastrosa per gl’interessi propri. Il sistema del 1842 aprendo, per così dire, l’industria delle strade ferrate ai furori dell’aggiotaggio, preparò anticipatamente uno scadere dei prezzi,un abbassarsi di fondi inevitabile a un dato momento. »Ora, in ultima analisi, £a chi saranno sopportati questi scadimenti e questi abbassamenti? Forse dal piccolo capitale? Non già; il piccolo capitale è; per sua natura, capriccioso e mobile, va e viene, si trasmuta da un luogo all’altro con una maravigliosa rapidità, fino al momento in cut il capitale del ceto medio, il solo che sia davvero importante, si impadronisce del posto, e diventa in ultima mano il solo possessore delle azioni industriali. Ma allora solamente la febbre delle speculazioni si accheta, e fa luogo alla realtà. Che mai resta all'ultimo compratore? L’esperienza vel dica; non gli resta che il conoscere troppo tardi le infallibili perdite, e spesso una totale rovina. »Adunque il capitale del ceto medio sarà quello che pagherà le spese della partita; andrà soggetto agli sconvolgimenti più o men lontani, ma in ogni caso infallibili, che si preparano ormai nel giuoco delle strade ferrate. Orbene, il governo, dopo un tale sconquasso, venga a negoziare un prestito, e si rivolga al ceto medio, il solo che possa dare i propri capitali in simile congiuntura; egli è certo che difficoltà grandissime, per non dire impossibilità, tosto si presenteranno; e se a ciò si aggiunga un caso di forza maggiore, come sarebbe una guerra imminente, in quali perplessità orribili non troverassi il paese? »Guardando le cose da questo lato, che senza dubbio è il più importante, il più grave ed il più spaventevole, è da dirsi che l’imprevidenza del gabinetto si manifestò nel voto malaugurato della legge del 1842. Noi bramiamo ardentemente che il caso del quale parliamo di sopra, non avvenga; ma è già un immenso torto ed irreparabile l’aver macchiata un’epoca e svilita una società con quanto il giuoco, l’usura e la speculazione, hanno di più orribile e di più scandaloso». Facciasi ancora la parte di un foglio opponente, ed ammettasi pure qualche esagerata declamazione: la sostanza de’ fatti però non è men vera, poichè tutte le corrispondenze dichiarano la denunciata condizione di cose.
  7. Noi preghiamo tanto più caldamente di avvertire a questa essenzialissima distinzione, che, mentre cerchiamo con ogni più efficace argomento di combattere l’aggiotaggio e coloro che vi attendono, onoriamo singolarmente il trafficante che investe i suoi’ capitali in speculazioni serie e reali, tanto lontane dall’avere le conseguenze del giuoco. Agli speculatori adunque, che assumono le imprese di vie ferrate per mandarle realmente ad effetto, non per giuocare soltanto sur esse, non sono indirizzate le nostre censure; ai soli avventurieri che cercano di speculare sul giuoco, e nulla più sono rivolte, siano essi pure facoltosi o no. Ai primi anzi desideriamo buon successo nell’imprese loro, ed è appunto perciò, che abbiamo, suggeritogli assisterle dovunque non fossero sicure, di un anche largo utile, col proporre ai governi la garanzia di un interesse minimo, onde assicurarli da ogni danno. Questo abbiamo voluto notare, onde escludere ogni taccia d’essere avverso agli industriali facoltosi e prudenti, i quali anzi abbiamo in gran pregio, da che li reputiamo parte essenzialissima del civile consorzio.
  8. Senza parlare di molti scritti, cadati, appena nati, nella meritata dimenticanza, basti citare: La magia del eredito, opera voluminosa d’un defunto, signor De Weltz, di Como, trapiantato a Napoli, ed una grande quantità di opuscoli del barone Corvaia, siciliano, con cui questi, sempre lamentando le proprie peripezie fino al ponto di divenir molesto, pretendeva dimostrare i miracolosi effetti della sua Bancocrazia. -Noi, porgendo questo br»vissimo cenno di quelle due pubblicazioni, ci guarderemo dal sottrarle all’obblivione in cui caddero; chè sarebbe in vero sperdere il tempo nostro e de’ lettori senza la menoma utilità. — Solo nel far parola della prima, ricordiamo un aneddoto il quale molto bene pinge che cosa sia un giocatore di borsa. — Il signor De Weltz, venuto a Torino anni sono, ci era indirizzato nell’epoca in cui cominciavasi a pariare della strada ferrata di Genova, ma dubitavasi tuttavia se l’arte avrebbe riuscito a superare il passo dei Giovi. Egli a noi rivolgevasi onde sapere qome avrebbe potuto riuscire ad ottenere la concessione di quell’impresa. Prima di rispondergli al proposito, noi credemmo dovergli chiedere, se avesse anzi tutto verificato possibile in linea d’arte l’assunto. — Ma egli, con una burbera ingenuità, che pareva in lui naturale, fissandoci, stupito quasi della nostra semplicità, ci replicava bruscamente: «Cosa importa a me se la strada si potrà fare o no; credete voi ch’io sia per ciò qui venuto? Arrivo di Francia, ove ho guadagnato de’ bei quattrini sopra il co d'azioni di vie ferrate. Se trovassi qui a fare una speculazione consimile mi vi accingerei, convinto che col mio vantaggio combinerei nelle mie operazioni di credito anche quello del vostro paese.». — A tale dichiarazione noi credemmo dover rispondere al signor De Weltz, non esser questo paese fatto per lui, perché non ancora atto a comprendere gli arcani delle sue miracolose dottrine. — Lo speculatore ci guardava con occhio compassionevole, dicendo: vedo bene che, se voi non mi capite, questo non è luogo ove sianvi affari a trattare. Vi credea più informato delle nostre dottrine. Dette queste brevi parole, ambo ci accommiatammo, il signor De Wells persuaso della nostra ignoranza, e noi contenti, lo confessiamo, di terminare una conferenza che troppo ripugnava a’ nostri princìpi, men progressivi, forse, nel senso dello speculatore, ma a parer nostro più sicuri, e, quel che più monta, più tranquillanti per la nostra coscienza. Abbiamo creduto fosse pregio dell’opera registrare questo fatto.