Azioni egregie operate in guerra/1622

1622

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F
U in istato di marciare al Reno, verso dove l’Imperatore spedì un corpo di due mila cinquecento Cavalli, e sei mila Fanti, tra’ quali i Napolitani. D. Carlo Spinelli ebbe l’incarico di condurli, e comandare a tutti. Per quel lunghissimo viaggio a traverso a’ paesi, o nemici, o diffidenti esso li trasportò con celerità regolata, e con sicurezza, quasi sugli occhi d’altro esercito nemico più numeroso del suo. Precedevano gl’Italiani sotto D. Tommaso Caraccioli. Lo seguivano le altre truppe tutte con disciplina regolatissima.

Guerreggiavano nell’Alsazia, e nel Basso Palatino due Generali Austriaci, il Conte Giovanni Tilli, e D. Tommaso di Cordova. La loro mira era di combattere due Generali dell’Elettor Palatino, cioè Federico Marchese di Baden Durlac, e Cristiano Duca di Bransvic, detto il Vescovo, o Amministratore d’Alberstat. A rinforzare i Cattolici giunsero i Napolitani in tempo acconcio. Coll’ajuto loro si conseguirono due segnalate Vittorie, l’una a Vinsen sul Necar, in cui fu disfatto il Durlac, l’altra a Hoecst sul Meno poco lungi da Francfort con la ruina totale dell’Alberstat. Gl’Italiani in amendue le battaglie fecero prodezze di valore; e distintamente in una d’esse, vedendo battute, e incomodate assai le schiere Cattoliche da alcuni pezzi d’artiglieria nemica, fiancheggiati da due Reggimenti1, essi sprezzata generosamente la grandine di quelle palle, corsero veloci addosso a que’ Reggimenti, in pochi istanti gli rovesciarono, e impadronitisi de’ Cannoni, gli rivoltarono a danni degli antichi Padroni Luterani. Azione, che recò a coloro l’ultimo esterminio, e partorì una intera vittoria agli Austriaci. Dal Palatinato passò D. Scipione Filomarino ne’ Paesi bassi, dove ritrovossi alle battaglie di Fleurv tra continui pericoli. Urtò co’ suoi Napolitani bravamente ne’ nemici, che facevano gran fuoco sopra la fanteria Spagnuola, a cui giovò molto. Cessato il bisogno delle truppe Cesaree al servigio dell’Infante Isabella in Fiandra, D. Carlo Spinelli ricevette ordine dall’Imperatore di lasciare le genti Napolitane colà, [p. 16 modifica]à, e ricondurre le altre in Germania. Ritornato Egli a Vienna, Cesare, dichiaratosi ben servito, lo tenne occupato in varj impieghi, e consulte; finchè invitato dalla Repubblica di Genova per capo, e Governatore delle di lei arme in circostanze pericolose per quel Dominio, ivi attendendo con indefessa vigilanza a’ preparativi di guerra, ammalò gravemente; Nè potutasi superare l’infermità, accettò con intrepida rassegnazione d’animo la morte, finendo di vivere da buon Cristiano. Fu splendido, liberale, magnanimo. Si ritrovò in dieci battaglie, e dalla buona condotta, e valore mostrato in esse, si acquistò fama di celebre Guerriero. D. Scipione Filomarino dalla Fiandra fu chiamato in Italia, ove intervenne alle guerre, che seguirono in Piemonte, Milanese, Monferrato per lo più al comando delle soldatesche di sua Nazione, sempre imperterrito, e generoso in ogni sua azione. Dopo trent’anni di servigio prestato con ampia cognizione, ed uso indefesso dell’arte militare, ritiratosi a godere nella patria i frutti di tante fatiche, morì nell’anno 62 di sua età. Tutte le provincie d’Italia somministrarono nel secolo, di cui favelliamo, Generali di credito, ed Ufficiali di condotta, e di valore in copia alla Casa d’Austria; affine di tenerla in quell’ascendente di grandezza, e di possanza, a cui l’avevano sollevata nel secolo decimo sesto i Colonna, gli Avalos, i Gonzaga, i Duchi di Savoja, di Parma, tutti Italiani. Ma questi ottennero di riuscirvi felicemente, perchè ebbero a lungo il comando supremo, e governarono le faccende militari con assoluta autorità e independenza, come dettava loro il buon senno, di cui erano dotati. Ma nel secolo, di cui parliamo, i Generali Italiani per lo più servir dovettero in gradi inferiori, ubbidire, e nella pratica tener dietro agli altrui pareri, regolamenti, e voleri. Suggerirono alle occorrenze saggi Consigli, ma sovente ebbero la mala sorte, di vedere le loro proposte nè apprezzate, nè abbracciate. Talvolta dovettero imbarcarsi in imprese, mal misurate e peggio incamminate. Essi però dal canto loro operarono con fortezza, con bravura, e colla miglior regola allora possibile, affine di diminuire i discapiti peggiori, a’ quali erano instradati. Per altro, quando ottennero primaria, e piena autorità sulle truppe colle provvisioni sufficienti a sostenerle, uguagliarono la condotta di qualunque gran Generale d’altra nazione; riportarono splendide vittorie, e condussero ad esito felice importanti imprese. Il Regno poi di Napoli, dilatato assai in varie provincie, popolate da Nobiltà, e da popolo armigero, provvide Gran Capitani, e parecchi eserciti alla Corona di Spagna. Per non estendersi a tutto il corso di quel secolo, il che sarebbe troppo lungo, accennerò unicamente, come in soli sette anni spedì in diversi corpi a diverse2 Pro[p. 17 modifica]vincie dell’Austriaca dominazione cinquanta mila Fanti, e sei mila Cavalli, arrolati volontariamente, non avendo mai il Monarca Cattolico usata in ciò la forza con que’ popoli.

Non parlo della rivoluzione di Napoli, nella quale la fedeltà insuperabile, e le azioni risolute, costanti, e prodi de’ Principi, e Nobili Napolitani conservarono quel Regno al Re Cattolico. Sagrificarono alla furia della Plebe le Case, gli averi, i più cari pegni, la Moglie, e i figliuoli. Ricusarono le vaste offerte del popolo, e de’ nemici della Spagna. Sempre si opposero alle sedizioni, finchè, assistendo a’ Capitani Regi, l’ebbero sedate.

L’Imperatore zelantissimo della Religione Cattolica, dopo d’aver liberati i paesi suoi ereditarj da’ nemici, attese a purgarli da’ Calvinisti, e da’ Luterani. Proibì l’uso delle false Sette; Bandì i Predicanti: fece gettar al fuoco i libri degli Eretici. Comandò, che tutti quelli, i quali non volevano vivere secondo la fede Ortodossa, sfrattassero da’ suoi Stati; Nè valsero interposizioni, nè altri riguardi per impedire la di lui costantissima determinazione. Il di lui zelo era così acceso, che non sapeva, nè poteva sopportar ne’ proprj dominj altra fede, che quella, la quale egli professava.

Con questi beneficj prestati a’ suoi popoli congiunse Ferdinando altre grazie, compartite a’ suoi nemici. A quanti avevano militato nel contrario partito, e supplicavano per il perdono, lo accordava con somma benignità. Anche al Conte Enrico Mattias della Torre il primo, il più arrabbiato, e il più ostinato, a risvegliare nuovi torbidi, avrebbe condonato tutto, se si fosse umiliato. Ma questi, sempre pertinace nella ribellione, continuò per lunghi anni a suscitare nemici contra di Cesare, e a combattere sotto le loro insegne. Tanta benignità di Ferdinando, e la propensione sua fervida alla concordia co’ nemici, e allo stabilimento della quiete nell’Impero, nulla profittò a terminare prontamente la guerra.

Poichè appena disfatto un potente nemico, ne sorgeva un altro non inferiore di forze, e dopo questo un terzo, ed anche più altri; onde prima di debellarli tutti, si dovette consumar molto tempo; Con tutto ciò la fortuna, secondando perpetuamente le mosse delle armi Cesaree con replicate sconfitte, date alle Soldatesche avversarie, sollevò la potenza dell’Imperatore Ferdinando a tale grandezza, che dopo Carlo Magno niuno degli Augusti Alemanni aveva potuto vantarla eguale. Teneva egli sotto le sue insegne cento mila Fanti almeno, e quaranta mila Cavalli, ripartiti per tutta la Germania, Soldatesche veterane, peritissime nell’arte militare, ricche per tante spoglie guadagnate negli antecedenti conflitti, rese animose da i trionfi riportati in parecchie battaglie. I capi, che le comandavano, stimatissimi per lunga esperienza di guerra, per intrepida generosità ne’ cimenti, per favore non mai interrotto d’amica fortuna. [p. 18 modifica]

Ferdinando, riconoscendo da Dio tante prosperità, giudicò suo dovere, l’avvantaggiare gl’interessi dell’Altissimo Signore, e promuovere il risarcimento de’ mali, inferiti per quasi ottanta anni da’ Protestanti alla Chiesa Cattolica nell’Imperio. Dopo l’accordo, o Transazione di Passavia, estorta pur anco colla violenza da’ Principi Luterani nel mille cinquecento cinquantadue, questi avevano usurpati nuovamente due Arcivescovati, dieci Vescovati, diverse Abbazie, Monisteri, e molte altre considerabili rendite. L’usurpazione era succeduta per più capi. In alcune Chiese i Vescovi eletti avevano presa moglie, e apostatato. Indi per tenersi fermi nel possesso de’ beni temporali, avevano introdotto Predicanti Luterani, che prevertissero i popoli, e li riducessero alla Confessione Augustana. In altri Monasteri i Principi confinanti se n’erano impossessati, e cambiatili in Prefetture laicali, colle quali avevano impinguate le loro rendite, e resisi più potenti di forze, e di armati. Gli Ecclesiastici chiesero instantemente a Cesare la restituzione di tutto il tolto al Clero; giacchè le circostanze d’allora la promettevano non tanto difficile da ottenersi. Sopra queste rimostranze l’Imperatore ricercò il parere de’ Principi Cattolici. La maggior parte rispose, che dovevasi dimandare. Eperò la Maestà sua fece pubblicar un Editto, ordinando, che tutti i Beni, da’ Protestanti indebitamente rapiti dopo la convezione di Passavia, si rimettessero nelle mani de’ Prelati, e degli antichi posseditori. Affine poi di comporre gli affari, assai sconvolti dell’Alemagna, e per promuovere efficacemente l’adempimento dell’Editto suddetto, invitò gli Elettori, a convenire con lui in Ratisbona, dove giunse a’ diecinove di Giugno, e vi accolse gli Elettori di Magonza, Colonia, Treviri, Baviera, capitati posteriormente. Gli Elettori di Sassonia, e di Brandeburg vi mandarono loro Ambasciatori. Quegli del primo a nome del suo Padrone, e de’ Principi, e degli Stati Protestanti, insistette gagliardamente, che fosse annullato l’Editto suddetto. Rispose Ferdinando, ch’essendo egli supremo Giudice, non poteva a meno di non amministrare giustizia alle parti lese dopo la pace di Religione stabilita a Passavia; molto meno non poteva negare a’ Cattolici i loro diritti.

Avrebbe potuto Cesare sostenerli, e riportare la ricupera di tante Prelature, e Prebende ricchissime in benefizio del Clero Alemanno; se avesse voluto conservare intieri gli eserciti, dipendenti da’ suoi comandi. Ma avendo gli Elettori chiesto con calde voci, che si diminuissero le Milizie; Egli, che per pura necessità di difendersi, e di riavere il suo rapitogli, aveva armato gagliardamente, si lasciò piegare a compiacerli, e ordinò, che le truppe si riducessero a numero minore. Prima però che ciò seguisse, fu ventilato il punto fra Consiglieri Imperiali. Taluno di quelli con gravissime ragioni sosteneva il non farlo, e l’esperienza dell’avvenuto di poi ha comprovato, che questo era il miglior partito. Molte Milizie sbandate si arrollarono sotto gli sten[p. 19 modifica]dardi del Re di Svezia, che allora machinava, e poi recò tante ruine nell’Imperio, e tanti pregiudizi a’ Cattolici. I disgustati, e male intenzionati contra la Casa d’Austria presero animo maggiore, e più pronto, per collegarsi, ed aderire allo Svezzese. I Protestanti si tennero fermi nella contrarietà, a dimetter i beni Ecclesiastici. E dove all’ora col braccio potentemente armato avrebbe Cesare costretti i Luterani, a rilasciare le Chiese, i Monasterj, e l’entrate Sacre a’ Prelati, a’ Parrochi, a’ Regolari della Religione Romana; dopo la riforma di più reggimenti a piedi, e a cavallo, ne avvenne, ch’esso sfornito del nervo di più migliaja di fedelissimi soldati, ed abbattuto da parecchie disfatte cadute sopra le Milizie rimastegli, vide poi cadere a voto, quanto aveva desiderato, e proccurato per l’accrescimento della vera fede in Alemagna, e per lo ristabilimento de’ Vescovi, degli Abbati, ed altri beneficiati nel possesso delle Città, Ducati, Principati, e terre di loro antichissima, ed incontrastabile giurisdizione, involate dagli Eretici. Se ne dolse poi Ferdinando per i gravissimi detrimenti sopraggiunti. Ma egli amò meglio seguire gli esempj de’ Cesari Austriaci suoi Antenati, stati sempre affezionatissimi al sollievo de’ popoli, alla soddisfazione degli Elettori, e alle compiacenze degli Stati Alemanni, come anco nemicissimi di muover ombre, o sospetti nelle menti de’ suoi Nazionali, ch’essi anelassero alla padronanza universale della Germania, e all’abbattimento degli altri Principi, o Città libere. Ebbero bensì a pentirsi di tale istanza fatta gli Elettori, e i Principi Cattolici; mentre sopra di loro si rovesciarono le peggiori invasioni, e devastazioni, tanto del Re Sveco, quanto de’ Principi, e paesani, e stranieri, che confederatisi con lui rinforzarono l’armata Svezzese e con grossi esborsi di denaro, e coll’unione delle loro Soldatesche. Sembra in vero, che o quelli non dovessero con tali inchieste premere Cesare per la pubblicazione ed esecuzione del nuovo Editto, o dovessero poi lasciargli in mano la spada ben affilata, col vibrar della quale riducesse all’ubbidienza i renitenti. Si trattava di levar dalla mano di molti Principi, Cavalieri, e Baroni Luterani Principati, e Signorie valutate parecchi milioni di scudi, i di cui redditi ammontavano a centinaja, e centinaja di migliaia d’altri scudi. Questo spoglio non poteva aver luogo, quando la possanza di copiosi eserciti a loro veduta non li costringesse ad effettuarlo. Instarono ancora gli Elettori, che si levasse il comando degli Eserciti Cesarei al Duca Alberto di Valstain. Produssero contra di lui varie accuse, alle quali però non mancò egli di contrappor sue difese. Cesare, quantunque conoscesse la necessità, che aveva, di conservare al governo delle proprie Armate un Capitano di grido a lui fedelissimo, amato da’ Soldati, e fortunatissimo, che conservava il decoro delle proprie armi; e benchè si accorgesse degli artifizj, che si nascondevano sotto tali istanze; con tutto ciò, dotato di grande mansuetudine, prontissimo a sod[p. 20 modifica]disfar tutti, negando la propria, aderì all’altrui volontà, Rese però ragione de’ motivi, che l’avevano indotto, a conservar sin all’ora gli eserciti, e il comando al Valstain. Si contentò, che quella dignità di primo Generale delle sue truppe passasse nel Conte Giovanni Tilli Generale dell’Elettor Bavaro, e dell’armi della Lega Cattolica; con che venne come a depositare tutta la sua possanza nelle mani di quell’Elettore. Ordinò di più processo contra que’ Commissarj, che avevano commesse estorsioni sopra de’ popoli, obbligandoli alla restituzione. Il che alienò molti, che per non rendere il mal acquistato, si gettarono al partito de’ Nemici di Casa d’Austria.

Non così placido si contenne il Duca Alberto di Valstain. Al sollecitarlo, che fecero i Ministri di Cesare, perchè deponesse il comando, v’acconsentì; ma poi soggiunse, predicendo le future calamità, che ne deriverebbono alla Casa d’Austria per il disarmo di tante soldatesche, quelli, che l’avevano suggerito alla Maestà sua, gli troncavano il braccio destro. Conoscerebbe un giorno S. Maestà, quanto esiziali, e ruinosi fossero i consigli, che a lui suggerivano.

Altra guerra, nata in Italia, divertì colà più di venti mila Alemanni. Per la morte di Vincenzo Gonzaga Duca di Mantova senza figli maschi, aveva diritto di succedergli, tanto in questo Ducato, quanto nell’altro di Monferrato, Carlo Gonzaga Duca di Nivers, come il più prossimo al defonto, e come quello, il cui figlio Principe di Retel aveva sposata Maria Nipote, ed unica ereditiera dell’estinto Signore. E già il Nivers se n’era messo in possesso, ed era sicuro dell’assistenza del Re Cristianissimo Luigi decimo terzo a di lui favore. Gli Spagnuoli, che possedevano la Ducea di Milano, situata in mezzo al Mantovano, e al Monferrato, temettero, che un Principe, allevato in Francia, ed imbevuto delle massime, delle affezioni, e degl’impegni per quella Corona, fosse per cagionare almeno col tempo pericoli considerabili a quella loro dominazione. Perciò uniti al Duca di Savoja, che nutriva altre pretensioni, assalirono gli Stati del novello Signore, e se ne impadronirono di buona parte. Sostenevano ancora le pretese del Principe di Guastalla sopra il feudo di Mantova.

L’Imperatore, al di cui tribunale, come di Sovrano di quel Feudo Imperiale, gli Opponenti proponevano i loro contrasti, inclinava a determinazioni moderate, e bramava comporre con condizioni discrete quelle controversie. Ma avendo poi inteso, che il Re Luigi con grosso esercito, pieno di fioritissima Nobiltà disceso dall’Alpi, aveva superate le trincee, o barricate di Susa con l’acquisto di quella Città, e gettata la confusione, ed il terrore nel Milanese, dove gli Spagnuoli non avevano forze da controbbilanciare gli assalimenti Francesi; Allora Cesare, con premurosissime istanze sollecitato da’ Ministri del Re Cattolico, a trasmettere in loro soccorso altra Armata, non seppe ritirarsi dal compiacerli. L’Imperatore Ferdinando si professava sommamente [p. 21 modifica]obbligato al Re di Spagna, il quale nelle angustie passate colla profusione dell’oro, e con varj corpi di milizie, spedite prontamente in sua difesa, lo aveva sollevato da pericoli manifesti, di perdere la massima parte de’ suoi Stati, e però non ebbe cuore di negare agli Ambasciatori Spagnuoli la spedizione di quanto bramavano. Ordinò per tanto a Rambaldo Conte di Collalto suo Generale, che raccolte le soldatesche Alemanne, acquartierate ne’ confini della Lombardia, calasse con loro nel Milanese, e camminasse di concerto col Governatore di quel Ducato. Venne il Collalto con sopra venti mila tra Cavalli, e Fanti e cominciò le ostilità contra il Mantovano. Ma perchè in questa guerra due Cavalieri Italiani cominciarono ad acquistar fama d’Illustri Guerrieri, e perchè di essi avrà a favellarsi non poco nelle presenti memorie, perciò conviene esporre in avanti la loro nascita, e i primi incamminamenti nella Milizia. Furono questi il Baron Mattia Galasso Trentino, e D. Ottavio Piccolomini Sanese.

Che il Vescovato, e il Principato di Trento siano membri naturali d’Italia, benchè politici dell’Alemagna, lo confessano tutti i Geografi, che alla sommità dell’Alpi stabiliscono i confini dell’una, e dell’altra. Colà da famiglia nobile, ed antica, feconda di molti Uomini celebri nell’armi, e nelle lettere, trasse i suoi natali il Baron Mattia. Il Padre per nome Pancrazio militò molti anni in Fiandra sotto il grand’Alessandro Farnese, poi in Italia sotto il Colonello Madruzzo. In Piemonte cominciò Mattia a guerreggiare, finchè, sopite colà le guerre, passò in Germania; nè andò molto, che fu sollevato pel merito d’ottimi diportamenti a gradi militari di Tenente Colonnello, e di Colonnello. Con questo carico fece alquante Campagne in Boemia, e nell’Imperio, nelle quali si diportò a tutte le occasioni in diverse spedizioni difficili, e scabrose con grande prudenza, desterità, e valore3. Nel Vescovato di Brema per ordine del Conte Tilli, gravemente ferito, assalì alcuni mila cavalli nemici negli angusti passi di certe paludi, e gli sforzò a rendersi, e a pigliar servigio sotto le bandiere Cesaree. Ebbe gran parte nella vittoria, ottenuta dall’Esercito Austriaco nella battaglia di Steinfort. Nella Frisia orientale diede diverse rotte alle genti del Re di Danimarca, indirizzate al soccorso di Cremperc. Si trovò quasi sempre alle più famose battaglie seguite in Alemagna, dove acquistò molti luoghi.

Nata la guerra di Mantova, il Galasso n’ebbe la più importante direzione, poichè il Conte di Collalto Comandante supremo de’ Tedeschi prima in Lodi, poi nel famoso Monistero di S. Benedetto incomodato da male, si rese inabile ad operare. Il Galasso espugnò Goito, chiave principale del paese: attraversò più volte i soccorsi, che si volevano introdurre in Città, e finalmente sorprese con istratagemma la piazza; do[p. 22 modifica]v’entrato non potendo impedire il saccheggio, voluto dalle soldatesche, pose buone guardie; perchè alquante Chiese, Monisteri, ed altri luoghi Pii non fossero svaligiati, e disonorati.

Resa sotto la padronanza di Cesare quella Città, il Galasso colla metà delle genti Imperiali passò nel Monferrato ad assister alle armi di Spagna, impegnate nell’assedio di Casale; dove pure essendosi ritrovato D. Ottavio Piccolomini, anche di questo Cavaliere porgeremo le prime notizie.

Dalla Dama Caterina, Sorella del Pontefice Pio secondo, dopo più generazioni trasse la sua discendenza D. Ottavio. Ebbe per padre Silvio Piccolomini, che militò per sett’anni in Fiandra, indi in Ungheria, e in Transilvania, poi in Barberia, sempre con estimazioni di consiglio, e di saggia direzione nel maneggio dell’armi. Finalmente servì il Gran Duca Cosimo in dignità di Mastro di Camera, e di Generale della Cavalleria.

D. Ottavio fu terzo di lui figliuolo. Sortì dalla natura corpo robusto, e genio militare. Dalla celebre disciplina del Padre apprese il vero maneggio dell’armi, ed in eccellenza tutti gli esercizj Cavalereschi. Adoperava perfettamente ogni sorta d’arme, e nel maneggio del Cavallo era così destro, e gagliardo, che vestito tutto di ferro saliva sopra ogni gran corsiere, senza metter piede in istaffa. Di dicisette anni uscì a militare Venturiero nel Campo Spanguolo sotto Vercelli.

Suscitata la ribellione di Boemia il Gran Duca lo elesse Capitano di Cavalli nel Reggimento, che S. A. mandò in soccorso dell’Imperatore suo congiunto. Uscito di Vienna contra il Conte Enrico della Torre, che come abbiamo detto di sopra, era entrato nell’Austria con forte armata ad oppressione di Cesare, combattette co’ nemici, segnalandosi con la sua compagnia in varj conflitti4 a Pistriz, alle palme di Longlais, a’ Ponti di Vienna, e poco dopo nella rammemorata battaglia in vicinanza di Praga. Ottenuta la Vittoria, D. Ottavio fu comandato a seguitare il Conte di Bougvoi, che marciava con altre truppe, per impedire ulteriori avanzamenti nell’Ungheria al Principe Bethlem Gabor nemico di Cesare.

Sotto il medesimo trovossi in continue scaramuccie co’ nemici, sempre con valore, per cui meritò da quel gran Capitano parecchie volte pubbliche commendazioni. Vi ritornò qualche tempo dopo sotto il comando di Girolamo Carafa Marchese di Montenegro, allora quando dovendo l’esercito Cesareo ritirarsi da Goeding per il numero troppo superiore de’ Transilvani, e Turchi, toccò a lui coprire la retroguardia. Il che fece colla sua compagnia la più forte, avendo egli in costume d’averla sempre meglio montata, ed armata dell’altre, anzi al doppio più copiosa, dilettandosi d’aver in essa i più bravi, ed esperti soldati, per trattener i quali spendeva liberalmente. [p. 23 modifica]

Nel 1625 discese in Italia sotto il Conte Papenahim in difesa dello stato di Milano. Colla direzione di mille Cavalli rese servigi singolari all’Armata Spagnuola inoltratasi nel Piemonte. In vicinanza d’Asti urtò gagliardamente la Cavalleria Francese, e Savojarda, e la respinse fin sotto le mura di quella Città con tanta bravura, che il Duca di Savoja, quantunque impegnato nel partito contrario, ebbe a dire, come godeva, essere stato un Italiano quegli, che aveva fatto quanto di buono erasi fatto. Ritornato in Alemagna, il Generale Valstain lo dichiarò Colonnello delle sue guardie, e lo incaricò della leva d’un nuovo Reggimento, che ben presto arrolò; e cogli avanzi delle sue paghe, che tutte impiegava in beneficio delle proprie truppe, lo armò, e lo vestì superbamente.

Per la guerra di Mantova calò nuovamente in Lombardia, e dopo varie spedizioni a diversi Principi d’Italia, e replicati viaggi in Germania, si ritrovò col Generale Galasso all’assedio di Casale. Lo aveva intrapreso il M. Ambrogio Spinola coll’esercito Spagnuolo con tanto vigore, sicchè per mancanza di viveri, ed altre strettezze caddero nelle di lui mani la Città, ed il Castello; nè rimaneva più a’ Francesi, entrati colà dentro in soccorso del Duca di Mantova, se non la bellissima Cittadella di sei baluardi; e quell’ancora doveva esser provveduta di cibo dagli Spagnuoli sin alla fine d’Ottobre; nel qual tempo, se non fosse soccorsa, dovrebbe il Comandante Monsieur di Toiras renderla allo Spinola. Ma questi, prima che terminassero i giorni stabiliti, finì di vivere, lasciando dopo di sè fama gloriosa, d’esser egli stato uno de’ più eccellenti Capitani del secolo passato. Succeduto nel comando dell’esercito il Marchese di S. Croce, s’apparecchiò a sostenere gli assalimenti, che i Francesi meditavano al di lui Campo, trincerato attorno la Cittadella di Casale. A lui si congiunse il Generale Mattia Galasso con le milizie Alemanne, e a lui pure fu appoggiato il distribuire, e lo schierare le soldatesche a posti convenevoli in ordinanza di battaglia; il che fece con regolamento, benissimo inteso. Armò la trincea con gran numero di picche, e di moschetti, dietro a’ quali stavano i battaglioni de’ Fanti, spalleggiati da due grossi corpi di Cavalli in tale distanza, che nello spazio, rimasto voto, potessero agiatamente muoversi, e spingersi addosso a’ Francesi, quando questi avessero superati i ripari del proprio campo; Ma non sormontandogli fosse libero alla Cavalleria Austriaca l’uscire per le aperture comodamente, ed investire parimenti di fianco il nemico, occupato nell’assalto, oppure scorrere attorno secondo che l’occasione lo richiedesse. Tre Marescialli, della Forza, Scomberg, e Marigliaco governavano l’Esercito del Re Cristianissimo.

Attraverso il Piemonte, e il Monferrato erano discesi alla veduta di Casale, per liberare quella fortezza dall’assedio. Si persuasero alla prima, che gl’Imperiali non fossero per unirsi agli Spagnuoli, stante le discordie, che regnavano tra [p. 24 modifica]il Collalto capo de’ primi, e il Santa-Croce capo de’ secondi. Ma quando li videro uniti, rimasero sorpresi, per esser essi molto inferiori di gente, giacchè appena contavano quindici mila Fanti, e tre mila Cavalli con sei soli piccioli Cannoni; laddove gli Austriaci sorpassavano i venti mila a piedi, e cinque mila a Cavallo, con copioso apparato d’artiglierie, piantate dietro a forti, e ad altri ripari di terra, benchè non perfetti, pure sufficienti a riparare il primo impeto degli invasori. Ciò non ostante i Marescialli animati dall’ardore de’ proprj Soldati, che instavano di venire alle mani, si resero vicinissimi agli assedianti Alemanni, e Spagnuoli.

D. Ottavio Piccolomini, pieno di coraggio, e di fuoco uscì dalle trincee con parte della Cavalleria Tedesca, risoluto d’urtare i Francesi sul fianco diritto, se intraprendevano l’assalto, e già cominciato aveva scaramuccia gagliarda co’ Cavalli nemici. Quando tutte all’improvviso uscirono voci di pace, che annunciarono, come il Marchese di Santa-Croce era convenuto co’ Marescialli Francesi ne’ patti di scambievole concordia. D. Ottavio, sdegnato per la pusillanimità, e fiacchezza del Santa Croce, non seppe tollerare, che quel Signore si fosse lasciato sfuggire una vittoria, che tutte le circostanze d’allora gli promettevano sicura, mercè la superiorità notabile delle truppe, e specialmente di Cavalleria, l’avvantaggio delle trincee di difesa, la ben composta ordinanza de’ Fanti, che le guernivano, la stanchezza delle Soldatesche assalitrici, venute da lontano; e però pubblicamente s’espresse, come avrebbe sparso tanto sangue dalle sue vene, per cancellare dalla memoria degli uomini un’azione5, che aveva rapito alla Casa d’Austria un vantaggio così notabile, e voleva dire la sicurezza di conquistare la Cittadella di Casale, sfornita affatto di viveri, dopo d’aver ributtati con istrage gli assalitori, e forse ancora la sicurezza di disfarli totalmente, per essersi questi avanzati in distanza d’ottanta miglia dalle proprie frontiere senza piazza di rifugio, e senza convogli di provianda, co’ quali sostentarsi.

In fatti l’opinione comune degl’Istorici di quella guerra asserisce, come non v’era apparenza, che i Francesi avessero potuto sforzare il Campo Spagnuolo, ed aver accesso nella Cittadella: essere parso strano, che si trovasse tanta debolezza d’animo, e di consiglio nell’esercito Spagnuolo, che si cedesse, e si abbandonasse la pretensione della Corte di Spagna, d’aver nelle mani quella Fortezza, allora che si stava in procinto di conseguirne l’esito tanto bramato.

Per verità il primo a pentirsi dell’accordo, precipitato senza necessità, fu il Santa Croce, che poi s’avvide, quanto per ciò la Corte del suo Re avesse perduto di quell’autorità, che prima godeva sugli affari d’Italia, e quanto le armi Spagnuole decadessero da quel credito, e [p. 25 modifica]riputazione, di cui da cento cinquanta anni s’erano messi in possesso nell’Europa.

L’Imperatore, che nella Dieta di Ratisbona aveva stabilita la pace col Duca di Mantova, e promesso di ritornarlo ne’ dominj perduti, quando poi intese che il nuovo Governator di Milano si era reso ad accettarla, deputò il Galasso per ristabilirla, e darvi perfetto compimento. Il Galasso co’ Ministri Francesi, e Savojardi vi travagliò con tanto zelo, e frutto, che dentro l’anno 1631 le piazze, e i dominj furono consegnati, a chi doveva divenirne padrone. Passarono nelle mani del Pontefice a Ferrara, e sotto la custodia del Cardinal Palotta ivi Legato tre ostaggi Cesarei, e tre Francesi per sicurezza, che il convenuto si eseguirebbe con fedele puntualità. Per parte dell’Imperatore fu destinato il primo D. Ottavio Piccolomini, che vi si fermò, finchè vennero avvisi, che le piazze erano state evacuate dalle milizie Austriache, e Regie.

I Capitoli primarj della pace, conchiusa a Ratisbona tra l’Imperatore, e il Re di Francia a’ 3 d’Ottobre 1630 contenevano oltre le restituzioni suddette, che il Duca Carlo, umiliandosi, dimandasse, ed otterrebbe da Cesare l’investitura de’ suoi Stati dentro sei settimane col perdono.

Il Re Cristianissimo prometteva di non offendere nè per sè, nè per altri nè Cesare, nè l’Impero, come anco di non assistere i ribelli, e nemici loro presenti, e futuri con gente, nè denaro, nè consiglio, nè viveri.

L’essere stati absenti dall’Alemagna i Generali Galasso, e Piccolomini in questi due anni, ne’ quali si ultimò la pace in Italia, pregiudicò non poco agl’interessi di Cesare; Poichè essendo essi non solo valorosissimi, ma quello, che più s’apprezza ne’ Comandanti, essendo dotati di gran prudenza, e di pari condotta militare, come anco circospetti nelle risoluzioni azzardose, e capaci di conoscere, e di appigliarsi al meglio, era sperabile, che avessero impedite quelle peggiori ruine, e distruzioni di soldatesche, nelle quali furono precipitati gli eserciti Austriaci dall’ardire sovverchiamente animoso di que’ Generali Cesarei, che comandavano contra il Re Sveco nel di lui primo ingresso in Germania. Il ritorno dell’uno, e dell’altro tanto del Galasso, quanto del Piccolomini in Alemagna, e l’assistenza, che proseguirono a prestare di poi all’armate Austriache, cominciò a migliorare di molto la condizione dell’armi, e gl’interessi di Cesare, quali avrebbono essi condotti ad ottimo stato, se il comando fosse stato perpetuato nelle loro mani, e se i loro saggi consigli fussero stati sempre abbracciati, come osserveremo nel progresso della Storia. In tanto toccò a due altri Principi, e Generali Italiani, il sostenere al possibile i primi impeti del Monarca Svezzese col valore, e cogli sforzi dell’ingegno; giacchè non erano assistiti da possanza sufficiente di mani armate. [p. 26 modifica]

Quando Gustavo Adolfo Re di Svezia invase la Pomerania sul mare Baltico, reggeva le schiere Austriache, lasciate alla guardia di quelle Provincie, Torquato Conti de’ Duca Poli Signor Romano.

Dal Cardinale suo Zio paterno era stato egli negli anni giovanili incamminato per la Prelatura Ecclesiastica; ma prevalendo l’inclinazione alle armi, il Zio gli permise, che andasse a militare in Lombardia, Capitano di Cavalli per la Corona di Spagna. Di là passò in Germania a miglior dignità tra Cesarei. Combattette con valore distinto alla battaglia di Praga, indi sotto Nayasel, dove rimase prigione. Riscattato, tornò in Italia a’ stipendj del Pontefice per la custodia della Valtelina.

Aspirando poi a rendersi più glorioso, volle ritornare in Alemagna, ove militò contra il Re Danese con ingegno, bravura, e felicità; perlochè da Cesare fu inalzato al grado di Generale dell’Artiglieria.

Era stato destinato alla Guerra di Mantova; ma risonando da pertutto i preparamenti grandi del Re di Svezia contro la Casa d’Austria, amò di rimanere alla difesa della Pomerania. Non aveva truppe, da contrapporre agli assalimenti nemici; Applicò per tanto alle industrie, e agli stratagemmi, per difficoltare le imprese, e ritardare gli avanzamenti del Re Gustavo. Apprensione ancora maggiore, ed imbarazzo più molesto davano al Duca Conti i Paesani, i quali, professando la Religione medesima del Re, e tenendo col di lui Regno rilevante commercio di negoziazione, e di guadagno, perciò amavano, e davano opera, affine di soggettarsi a lui. Ed appunto per la certezza d’aver Alleati, e corrispondenti in tutta l’Alemagna, il Monarca Svezzese erasi accinto a questa guerra.

Alcuni Istorici scrivono, ch’esso medesimo era passato prima in Alemagna, affine di osservare lo stato di quelle Provincie, il genio de’ Principj, la situazione de’ Paesi, la fortezza delle Città, e tutto ciò, che ad un saggio Capitano è necessario sapere, prima d’esporsi ad un’impresa sì grande6. Colà stabilì alleanza co’ Principi Protestanti a queste condizioni, ch’Egli congregasse lo Soldatesche, ed essi somministrerebbero del denaro. Ma quando avesse stabilito il piede nella Germania, essi gli assistessero a tutto potere. In ordine poi a’ paesi, che si guadagnassero, quelli, ch’erano de’ Cattolici s’intendessero acquisti suoi, e quelli ch’erano di Signori d’altra Religione, tornassero a’ loro antichi Padroni.

I Protestanti erano altamente irritati per l’obbligazione, imposta loro dall’Editto Imperiale, di restituire tanti Vescovati, Abbazie, e ricch’entrate Ecclesiastiche, usurpate da loro. I Commissarj Cesarei, delegati a quest’effetto, premevano per l’esecuzione del decreto; E già avevano sottratte dalle loro mani parecchie doviziose prebende, e restituitele a Cattolici. L’Elettor Sassone, ed altri Protestanti proseguivano ad esclamare contro a quel decreto. Ma le loro querele non [p. 27 modifica]erano sufficienti, a frastornarne la esecuzione. Per tanto molti di loro ricorsero a Principe più potente, qual era Gustavo, e con lui fermarono l’accennata confederazione. Era quel Principe dotato dalla natura, e ammaestrato dallo studio con rari talenti per il maneggio delle armi, e per la condotta degli eserciti. Nelle intraprese contra de’ Polacchi, e de’ Moscoviti, come anche nelle paci conchiuse, aveva acquistato fama di gran Politico, e di gran Guerriero. La corporatura ben formata lo rendeva del pari maestoso, ed avvenente. Alto di statura, carnagione bianca, e rubiconda, occhio brillante, fronte larga, naso aquilino, capigliatura tra il biondo, e il rosseggiante, gentilezza di tratto, amenità nelle conversazioni, eloquenza veemente nel persuadere gli conciliavano l’affezione, e l’aderenza di quelli, co’ quali trattava. Addestrato nell’armi, animoso nelle risoluzioni, fortunato nelle spedizioni, s’invaghì della gloria, che ne riporterebbe col divenir Protettore vittorioso, ed ampliatore acclamato della Setta Luterana in Germania, a cui pretendeva non solo conservare que’ beni doviziosissimi, che l’Editto Cesareo voleva ritorre loro; ma di più ampliazione di dominio, e libertà di coscienza.

Sopra tutto mirava ad abbattere la grandezza, e la possanza di Casa d’Austria, salita all’auge maggiore dopo tanti trionfi, conseguiti sopra de’ suoi nemici.

Ed in fatti prima ad esso Gustavo, poi a’ Capitani di sua nazione, eredi della di lui militare perizia, e della di lui propizia fortuna, riuscì, coll’urto di moltiplicate sconfitte, spegner la Religione Cattolica in Germania, e la Casa Imperiale sull’orlo del precipizio; se non che quando sembrava imminente la ruina dell’una, e dell’altra, l’Altissimo Signore vi frappose la mano7. E quella Sapienza Onnipotente, che dalle tenebre volle cavar la luce, con sovrumani splendori infusi nello spirito di Cristina figlia di Gustavo, Sovrana di Svezia, illuminò la di lei mente, a conoscere la verità de’ dogmi Cattolici, e persuase la di lei volontà ad arrestare le armi proprie, e quelle de’ suoi Alleati piucchè mai vincitrici; allorch’erano prossime a dare un gran tracollo agl’interessi della fede Ortodossa, e all’Austriaca Dominazione, sostegno primario d’essa nella Germania, come dimostreremo a suo luogo.

Verso la metà di Giugno il Re Gustavo sciolse da’ lidi della Svezia con numeroso esercito, portato da dugento, e più vasselli verso Stralsunt, Città d’Alemagna, da lui protetta, e soccorsa negli anni antecedenti contra gli assalimenti del Valstain Generale Cesareo. Questa Città doveva servire a lui di Piazza d’armi, e di deposito per le munizioni da guerra, che aveva apparecchiate copiosissime, per assalire le Città nemiche con impeto, e con violenza di batterie. Presto s’impadronì [p. 28 modifica]dell’isole di Rugen, e di Usedon, ove i forti, e i presidj Imperiali erano debolissimi, e più atti a contenere i popoli in ubbidienza, che per ostare ad invasioni ostili.

Torquato Conti, e Federico Savelli Principi Romani custodivano quelle frontiere sotto i Vesilli di Ferdinando. Al primo allarme si mossero solleciti, e prepararono que’ maggiori ostacoli, che loro promettevano le deboli truppe Cesaree. Il Conti spedì veloci Corrieri a Vienna con rimostranze della forte possanza di Gustavo, e del pericolo, in cui versavano tanto la Pomerania, quanto il Mechdburgo, di cadere nelle di lui mani; mercechè i popoli, affezionatissimi agli Svezzesi, inclinavano totalmente a congiungersi con loro, e a dar braccio alle di loro conquiste. Esso poi prontamente adunò in un sol corpo le migliori Soldatesche; ne ritirò parte dalle piazze deboli, e con queste provide le più forti. Incoraggì gli Ufficiali, e le soldatesche ad una generosa resistenza. Si rammemorava, come il Pomerano era stato parziale dell’Elettor Palatino, fin da quando questi fu coronato Re di Boemia, a cui mandò alcuni pezzi di Cannone, per servirsene contro Ferdinando.

Quindi venne ragionevolmente in sospetto, che se l’intendesse con Gustavo. Per tutto ciò si prevalse di esortazioni al Duca, affinchè non mancasse agli obblighi suoi verso Cesare. Gli promise generose ricompense dalla liberalità di Ferdinando, se dimorava fedele. Replicò istanze, per aver nelle mani Stettino, ma il Duca sostenne la negativa.

Il Conti, per levare l’appoggio, e la sussistenza a’ nemici, disarmò gli abitanti malintenzionati. Raccolse molte vettovaglie ne’ proprj magazzini; e quelle che non poteva trasportare, le disperse. Incendiò i molini, fece diroccare i ripari delle Città meno forti. Si assicurò di Gartz, passo di grand’importanza, e lo munì alla meglio. Queste diligenze operarono non poco a di lui favore; Quando intese, che il Re Gustavo, chiesto ed ottenuto l’abboccamento con Bogislao Duca di Pomerania, lo aveva persuaso a consegnargli Stettino, piazza fortissima sull’Odera, il di cui acquisto somministrava nuova fermezza, e grandi avvantaggi al medesimo. Entrò quel Monarca nella Città con grandissimo applauso, e vi fu ricevuto a modo di Trionfante con tutte le dimostrazioni di sviscerato affetto da quegli abitanti. Rivide le fortificazioni, e ne ordinò di nuove; a perfezionare le quali impiegò per più giorni l’esercito. Egli medesimo soprastava al lavoro, stimolando tutti ad accelerarlo; giacchè meditava di stabilire colà la sede primaria della guerra ad acquisto delle circonvicine provincie. Conciliavano al Re Gustavo grandi aderenze le voci, ch’esso Gustavo spargeva, e faceva correre per l’Alemagna, colle quali si protestava, non essere sua intenzione di ritenere il Paese, che conquistava, ma liberare gli Stati altrui dalle violenze, che risentivano, e poscia restituirglieli. Mirare i suoi disegni semplicemente alla conservazione pel[p. 29 modifica]la libertà de’ Principi dell’Imperio suoi Amici, parenti, confederati contra le violenze, usate loro da’ Cattolici. Pronto egli a ristabilire tanti oppressi dalla soggezione degli Austriaci.

Quando poi il Generale Conti fu certificato dell’ingresso di Gustavo in Stettino, s’appigliò ad un ottimo partito e fu di fortificarsi poco lontano di colà col corpo maggiore delle sue Soldatesche. Si collocò sul fiume Odera a Gartz, e Griffenagen, quella alla sinistra, e questa alla destra di quell’acque. V’aggiunse nuovi ripari moderni, benchè tumultuarj, perchè il tempo non gli permetteva il rassodarli di meglio. In mezzo ad amendue sù un’Isola alzò un forte ben inteso per la comunicazione scambievole d’amendue le Città. Distese un ponte, che attraversasse la corrente, e facilitasse il passaggio da una Città all’altra. Con tali precauzioni impossibilitò a Gustavo l’andare avanti nel cuore dell’Impero, se prima a viva forza non conquistasse quelle due piazze. Esso poi vegliava in attenzione de’ movimenti di quel Re. Teneva spie, che l’informassero diligentemente di tutti i suoi passi, per cogliere qualche congiuntura, favorevole a’ proprj interessi. Fu informato come il Re, premuroso di conoscere accertatamente i siti del paese, ed esser instruito minutamente di quanto occorreva in que’ contorni, usciva sovente; E per farlo con maggior segretezza, prendeva seco poche truppe. Per tanto il Conti disegnò di sorprenderlo in una imboscata. Ordinò cinquanta Napolitani a cavallo, come scrive un Istorico meglio informato8, non cinquecento, come molti hanno scritto per errore; mentre tanti non v’erano a quella parte. I Napolitani si posero nelle insidie, ed appunto era sortito Gustavo con settanta Guardie. Per avanzarsi meno osservato, lasciò addietro la maggior parte de’ suoi, e con pochissimi s’avanzò vicino a’ trinceramenti Alemanni. Senz’avvedersene entrò nel sito, dov’erano occultati gl’Italiani. Questi uscirono addosso al Re, e menarono le mani. Avrebbono potuto a tutto loro agio ucciderlo colle armi da fuoco. Ma o provassero orrore nel toglier la vita ad un Re, o riputassero gloria loro, ed utilità maggiore l’averlo prigione, o non volessero fare gran strepito collo scoppio della polvere, adoperarono le spade per obbligarlo col terrore ad arrendersi. Gli ammazzarono sotto il Cavallo, e lo gettarono a terra. Ma Gustavo, risoluto di più tosto morire, che cader vivo nelle loro mani, sempre intrepido, e coraggioso, si riparava alla meglio da’ colpi nemici, e infervorava i pochi suoi a difenderlo. Si sostenne bravamente sin a tanto, che l’Uffiziale Svezzese lasciato addietro, riflettendo a tanta tardanza del Re, s’avanzò con tutti i suoi. I Napolitani, udendo rumor di gente, che sopraggiungeva, nè sapendo, quanti questi fossero, ristretto in buon ordine il loro squadrone, s’allontanarono da lui. Il Re salvato dal suo valore entrò in Stettino con sommo giubilo de’ suoi. [p. 30 modifica]

Altro tentativo praticò il Conti, per impossessarsi di questa Città. Tenne corrispondenza con alcuni Cittadini, parziali dell’Imperatore, affine d’essere ammesso dentro una porta. Promise loro grandi ricompense, ed il perdono intero del passato. Questi lavorarono una mina, per far volare in aria una parte delle mura. Con questo scoppio speravano, di tirare il Presidio Svezzese colà, nel qual tempo si promettevano di sorprendere la porta al lato opposto, e consegnarla agli Imperiali. Avevano di già lavorata la cava, e trasportativi alcuni barili di polvere; quando le guardie, che giravano attorno, scopersero quel lavoro; Allora il Governatore Iforn, insospettitosi di tradimento, rinforzò le porte. Al giorno concertato il Conti s’accostò a Stettino con quasi tutti i suoi. Gli Svezzesi, lasciate ben custodite le porte, uscirono a combattere. Il conflitto durò per due ore. Gl’Imperiali prevalsero, ed uccisero maggior numero de’ nemici. Ma non vedendo mossa alcuna nella Città in suo favore, nè vedendo aprirsi in loro vantaggio veruna porta, recedettero al proprio Campo. Seppero di poi, che i Cittadini, congiurati per intrometterli, avendo osservate ben munite le porte, non avevano osato di praticare, quanto avevano promesso, e piuttosto per non dar peggiori indizj di macchinazioni, avevano seguitati gli altri Cittadini, accorsi sulle mura colle armi per difendersi.

Torquato Conti, trovandosi in poco buono stato di salute, per cui non poteva maneggiarsi con quell’attività indefessa, che desiderava, chiese alla Corte di Vienna un sostituto nel comando; tanto più che il Pontefice, suo naturale Signore, lo ricercava, per confidargli il governo delle proprie Milizie. Ottenuta per tanto la dimissione, e capitato in di lui vece Annibale Conte di Sciamburg, passò a Vienna, ove rese buon conto della propria condotta. E potette ben farlo, poichè mancandogli le forze armate, supplì abbondantemente col buon consiglio, saggie industrie, e occulata attenzione, per minorare gli acquisti del Re Gustavo; il quale, se col negozio non avesse conseguito Stettino, era tuttavia in istato di perdere le piazze fin allora cadute nelle di lui mani, colla medesima facilità, con cui se n’era impossessato. Erano piazze deboli; E noi le osserveremo in questo secolo riprese più volte da’ nemici della Svezia con breve consumo di gente, e di tempo.

Sul principio d’Ottobre il Re di Svezia, vedendo di non poter avanzar passi ulteriori sul fiume Odera per l’ostacolo delle due piazze, munite e ben guardate dal Duca Conti sù quelle acque, erasi ricondotto nel Ducato di Meclburg, di cui erano stati spogliati da Cesare i due Fratelli Adolfo Federigo, e Gio: Alberto, come pretesi autori, e primarj stromenti della guerra, antecedentemente fatta dal Re di Danimarca. Per il passo di Ribnitz lo Svezzese si aprì l’ingresso colà; E subito spedì comandamento a que’ sudditi, che, come fedeli a’ loro Principi dispossessati, unissero le loro truppe alle proprie, e perseguitassero [p. 31 modifica]come nemici gl’Imperiali, affine di scacciarli da quelle contrade. A tal effetto offeriva loro la sua assistenza, e protezione. Meditava d’impadronirsi di Rostok Città capitale; Ma il Duca Savelli l’aveva già prevenuto con occuparla. Ordinò, che mille Cavalli chiedessero il passaggio per quella Città, fingendo d’andare di presidio a Vismar. Entrarono le prime squadre, e si fermarono sulla piazza sotto pretesto di comprar commestibili. Le seconde, ottenuto poco dopo l’accesso sulla porta, impugnarono le spade, e ne cacciarono i difenditori. Tutti si unirono, e si resero padroni della Fortezza. Obbligarono i Cittadini, a trasportar le armi nell’Arsenale, e a soggettarsi a’ loro comandi. Il Savelli munì quella Città, e l’altra di Vismar con viveri copiosi, e con forte guarnigione; talchè amendue si sostennero a lungo soggette a Cesare. Accresciuto poi il Savelli con nuove Soldatesche sopraggiunte, e reso più animoso, e più possente, si avanzò in faccia a Gustavo. Schierò le proprie milizie, e presentò al Re la battaglia. Ma questi, perduta la speranza di avere Rostok, non volle ad un solo cimento rimettere la decisione di tutta l’impresa. Stimò meglio di ritornare in Pomerania, e trasportare colà la guerra, ove gl’Imperiali custodivano pur anco Gartz, e Griffenagen sull’Odera, donde con iscorrerie cagionavano a Stettino, e ad altri distretti molestie gravissime. Gustavo, volendo liberare il paese dalle loro infestazioni, radunò artiglieria in copia per assalirle, e batterle con orribile furore nel più crudo della vernata. Il paese era tutto coperto di neve; Ciò non ostante di nascosto si accostò a Griffenagen in gran silenzio. Piantò di notte i Cannoni, che al far del giorno con la frequenza, ed impeto de’ tiri, in poche ore dirocarono torri, bastioni, e massime le cortine, aprendovi una larga breccia. Sotto gli occhi suoi ordinò Gustavo furiosissimi assalti. Colla presenza, e colla voce infervorava i suoi a gran prove di valore, e di ardimento. Gl’Imperiali sul principio resisterono con pari virtù, e costanza, ributtando i feroci assalimenti; Ma non perciò desistettero gli Svezzesi. A’ stanchi succedendo altri nuovi battaglioni freschi, replicarono gli assalti sempre più gagliardi. In tanto i Cesarei, conoscendo impossibile il difendere le mura in gran parte atterrate, mentre durava la mischia, fabbricarono negli Orti vicini una tumultuaria ritirata, in cui dopo più ore di difesa si ripararono. Sul terreno acquistato trasportarono prestamente i Svezzesi tre Cannoni, e cominciarono a fulminare il debole riparo, che poco fu sostenuto fino alla notte da’ presidiarj. Finalmente questi giudicando difficilissimo il ricuperare le mura perdute, nè stimandosi sicuri dietro quella debolissima trincea, risolvettero d’uscire dalla Piazza, e trovar loro scampo in Gartz sull’opposta riva dell’Odera, con cui tenevano communicazione. D. Ferdinando di Capua Napolitano colà di Presidio si oppose alla loro determinazione9. In quella difesa col consiglio, col comando, e col [p. 32 modifica]combattere in persona erasi diportato generosamente, e date prove iterate d’invitta bravura. Aveva ancora riportate due ferite. Non potendo tollerare l’uscita de’ suoi, dopo d’averli disortati, benchè inutilmente, dalla risoluzione precipitosa, perseverò nella piazza con quelli che vollero fargli compagnia. Nel nuovo assalto si difese, fin ch’ebbe vigore di corpo. Trapassato da altri colpi, bagnato tutto di sangue, perdute affatto le forze, cadde prigioniere, e fu condotto a Stettino, ove finì di esalare glorioso lo spirito. Il Presidio, benchè si ritirasse di notte, non ritrovò lo scampo preteso; poichè accortasene la Cavalleria nemica, diede addosso a’ fuggiaschi, e parte ne uccise, parte ne condusse in ischiavitù.

Il Co: di Sciamburg, intesa l’espugnazione di Griffenagen, abbandonò Gartz, e il Forte nell’Isola, dopo d’aver gettate nel fiume le artiglierie, bruciate, e consumate le munizioni da bocca, e da guerra, e desolato colle fiamme il luogo. Fu biasimato universalmente, poichè aprì largo campo agli Svezzesi d’entrar in un posto di tanta importanza.

Gustavo, ottenuto con somma felicità l’acquisto di due Fortezze, che per i ripari, fabbricati in avanti con diligenza, e buon consiglio da Torquato Conti, temeva difficilissime, ad essere superate, prese maggior animo, a tentare l’assedio d’altra piazza, ancora più forte, e meglio munita. Nel che la sorte lo secondò stupendamente nel prossimo anno

Note

  1. P. Filamondo pag. 139.
  2. P. Filamondo: Genio bellicoso di Napoli nella facciata seconda, diretta alla valorosa milizia Napolitana.
  3. Gualdo, Vita, ed azioni di Personaggi. V. Galasso.
  4. Gualdo Vita ed Azioni di Personaggi. V. Piccolomini.
  5. C. Gualdo: Istoria de’ Personaggi illustri. V. Piccolomini.
  6. Mappamondo Istorico parte prima pag. 354, volume 7.
  7. Brietius tom. 2 p. 4. Bellum, toti Germaniæ, adeoque Ecclesiæ, periculosum, a quo tamen utraque emersit incolumis ope tamen unius Dei dumtaxat, non sine aliqua jactura, & dedecore.
  8. Filamondo suddetto: l’Autore a chi legge.
  9. Bisaccioni: Guerre di Germania pag. 36.