Azioni egregie operate in guerra/1631

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1631.

C
Ominciò il Gennajo con auspicj fortunati per questo gran Monarca. Nel mese presente esso conchiuse Alleanza col Re di Francia, il quale s’obbligò di sborsargli ogn’anno quattrocento mila scudi, sinchè durava la guerra. In rimborso poi delle spese fatte sin allora gli anticipò altri cento quaranta mila scudi1. Per questa confederazione, e per l’esborso di tanta pecunia furono fatte grandi allegrezze con accender fuochi sì nel campo del Re, come nelle Città conquistate. Il Cannone si fece sentire incessantemente per tre notti continue. I conviti, e le feste furono celebrate con gran giubilo. In fatti ebbero essi ben ragione di palesare con tante dimostrazioni il loro contento; poichè ne’ dieciotto anni della guerra, di cui favelliamo, la Francia contribuì in dono a’ Svezzesi, e agli Hassiani costantissimi loro Alleati poco meno di quindici milioni d’oro. Anche il Re d’Inghilterra provvide d’altri trecento mila scudi, e gli accordò la levata di sei mila Inglesi. Ingagliardito da tanto soldo, si rivolse Gustavo all’oppugnazione di Demin piazza di gran considerazione, dove comandava il Duca Savelli, e dove aveva raccolti magazzini copiosissimi, e da bocca, e da guerra, oltre alle [p. 33 modifica]fortificazioni riparate, ed accresciute. Quivi pure moltiplicò le batterie, che con tempesta incessante di palle spianavano le mura, ed anche desolavano le Case. Il Presidio era composto di milizie veterane, dalle quali doveva sperarsi una lunga resistenza. Quattrocento passi fuori di Demin eravi una rocca, che a quel lato copriva la piazza. Il Re comandò al Colonello Kimpausen, che l’attaccasse. A questo Comandante riuscì non solo di batterla, e di lavorarvi sotto una mina, ma di più ebbe la buona fortuna di fomentare intelligenze co’ difenditori. Offerse loro stipendio maggiore, se volevano passare nel Campo Regio. Dopo qualche resistenza abbracciarono costoro il partito. Tradirono il Forte. Vennero a militare tra’ Svezzesi. Consegnarono le bandiere, le quali furono dal Re Gustavo presentate a veduta della Città. La ribellione è un male contagioso, che ove comincia, si diffonde pessimamente. Tra la Città, e il forte preso eravi una palude, che serviva di seconda difesa a quel lato; Ma allora, mese di Febbrajo, rimaneva gelata sino al profondo. Su quel ghiaccio furono stabilite altre batterie contro le mura colà non molto forti, e però soggette, ad esser facilmente superate. La Guarnigione, sorpresa da timore improvviso, paventando d’esser espugnata a viva forza, denunziò al Savelli il doversi render subito a buoni patti. Il Savelli adoperò le persuasive, le preghiere, ed altri tentativi, per distornare i suoi dall’intempestiva proposta. Ma non potuti acquietarli, patteggiò la resa con onorevoli condizioni.

Il Conte Gio: Tilli supremo Generale di Cesare, venuto coll’esercito nella Sassonia, e postosi all’assedio di Magdeburg, aveva sperato, che Demin, ben provveduto di tutto, avesse dovuto sostenersi con lunga difesa. Ma quando vide il Savelli, se ne dolse aspramente. Rimproverollo con parole d’avvilimento, e gli ordinò, che passasse a giustificarsi in Vienna. Andò colà il Savelli. Esibì prove così chiare, e convincenti della propria innocenza, che l’Imperatore non solo gli continuò la propria grazia, ma ben tosto gli commise una legazione importantissima; ritornato dalla quale proseguì a prevalersi di lui in altre imprese, nelle quali il Savelli si diportò sempre con grande affezione all’Austriaca Casa, e con eguale volontà, ma quasi sempre contrariato da avversa fortuna.

Da ch’entrato era il Re Gustavo nell’Alemagna, l’Imperatore affrettato aveva i suoi Capitani, a raccogliere l’esercito, a marciare in Sassonia, ed ivi occupare i siti più vantaggiosi del paese, finchè, ingrossati con nuove levate fossero in istato di dar battaglie allo Svezzese, e respingerlo fuori dell’Imperio. Ma prima che ciò seguisse, la fortuna prodiga verso di Gustavo nel favorirlo con una continua prosperità di successi, rarissimi a vedersi, l’aveva reso più potente, e meglio in forze de’ Cesarei. Erasi fatto padrone in pochissimi giorni di molte piazze, ed alcune d’esse assai forti, capaci di ritardare a lungo i di lui avanzamenti. A lui eransi renduti moltissimi disertori della [p. 34 modifica]di lui medesima setta. L’arrolamento di milizie in Germania riesce più pronto, e più copioso tra’ Protestanti, tra’ quali non regna il Celibato; e la prole, divenendo abbondantissima, viene necessitata a procacciarsi il vitto col mestiere della guerra. Quindi i Generali di Cesare con le leve de’ Protestanti avevano ingrossato i loro reggimenti; E di qua originavasi la fuga di assai gente nel campo nemico. I Paesani erano additissimi al partito Svezzese, e a lui prestavano notizie degli andamenti Cesarei, e gli avvertivano di tutto. I Principi, che lo avevano solecitato a questa guerra, si erano messi in arme, per secondare le di lui mosse, e congiungersi a lui colle proprie milizie. Magdeburg, piazza di molta considerazione, situata sopra l’Elba, forte, popolata, ricca, che dominava molto paese, a persuasione di Cristiano Marchese di Brandeburg s’era dichiarato per Gustavo; Ed esso affine di tenerlo costante nel proprio partito, v’aveva invitato il Baron di Falchemberg. Questa Città era sempre stata avversa alla Casa d’Austria. Fin dal tempo di Carlo quinto erasi dichiarata contra di lui. Nella guerra passata l’aveva assediata il Valstain; Ma poi contento di grossa contribuzione impostagli, la lasciò in pace. Con l’acquisto d’essa meditava il Re di Svezia, di piantare la sede della guerra nel cuore dell’Alemagna. Per avvicinarvisi, e rinforzarla di gente, entrò negli Stati dell’Elettore di Brandeburg. Coll’eloquenza, in cui era felicissimo, guadagnò quel Principe, che gli accordò il passo per le sue contrade, ed ammise il di lui presidio in Spandau piazza del suo Elettorato.

Il General Tilli era pervenuto nella Sassonia coll’esercito Imperiale. Inoltratosi a’ confini della Pomerania, aveva per qualche tempo minacciato d’assalire lo Svezzese; ma vedendolo trincierato gagliardamente con forti benissimo intesi guerniti di molti Cannoni, si ritenne. Dall’altra parte, considerando l’importanza di non lasciar dietro alle spalle Magdeburg, piazza di rilevante polso, tenuto consiglio co’ suoi più confidenti, lasciò grosse guarnigioni a que’ confini, ed applicossi all’assedio di questa Città. L’oppugnazione riuscì difficilissima per la robustezza delle muraglie interne, che l’attorniavano, e per i molti forti esteriori.

Il Tilli, bramoso di conservare Città, cotanto famosa, invitò più volte gli abitanti, a rendersi sotto l’ubbidienza di Cesare. Ma, riuscendo inutili le di lui proposte, ordinò l’assalto generale. Allarmati tutta la notte i Cittadini, poi la mattina fingendo gl’Imperiali di riposare, quando s’accorsero, ch’erasi sminuito il grosso de’ difenditori, salirono un forte, ne cacciarono il presidio; Indi datisi mano gli uni gli altri, ascesero sul terrapieno, e trucidate le scarse sentinelle, entrarono dentro i ripari, occuparono la porta vicina, e per essa diedero accesso alla Cavalleria, che scorrendo per tutte le strade, sottommisse al sacco quella Città, forse la più bella, e la più doviziosa di tutta la Germania. Qui non finirono le disgrazie. S’accese un fuoco violentis[p. 35 modifica]simo, non si sa per opera di chi, il quale, rinvigorito dal vento, incenerì quasi tutte le Case. Pianse a così doloroso spettacolo il buon Conte Tilli. Aveva dati ordini, per impedire tante desolazioni. Ma la resistenza fatta da’ Cittadini, accorsi coll’armi per le contrade, affine di respingere i vincitori, inferocì per tal modo le soldatesche vittoriose, che non vi fu mezzo di più frenarle. Passato alquanto il furore de’ predatori, il Conte praticò co’ vinti grand’atti d’umanità a sollievo delle miserie, da loro incorse.

Il Re di Svezia, che aveva impegnata nel proprio partito quella Città, riputata opportunissima a’ suoi interessi, adoperò tutte le diligenze per soccorrerla. Ad aprirsi la strada a tale effetto, e a far diversione agl’Imperiali, espugnò Francfort sull’Odera, e vi ruinò un buon corpo di Cesarei. Coll’arte medesima obbligò alla resa Landsperg; spinse una grossa scorreria de’ suoi a danni della Silesia. Scrisse lettere caldissime all’Elettor di Sassonia, perchè si unisse con lui. Ma l’Elettore non v’acconsentì, e per fino ricusò l’abboccamento con quel Monarca, che felicissimo egualmente nel combattere e, nel persuadere, si lusingava coll’efficacia delle sue parole di guadagnarlo.

Poco dopo un ordine inopportuno, giunto al Tilli dalla Corte di Vienna, spinse il Sassone, a gettarsi dal partito di Gustavo. Il Consiglio di Cesare, vedendo il Pomerano, il Brandeburghese, e il Langravio d’Hassia, dichiaratisi in favore dello Sveco, udendo ancora continue querele, e strepiti dell’Elettor Sassone contra l’editto della restituzione de’ beni Ecclesiastici, e contra altri gravami pretesi da’ Protestanti, temette, che anco l’Elettore fosse segretamente confederato co’ suoi nemici, e solo aspettasse congiontura favorevole, per palesarsi tale. In verità questo Signore conservava pur anco dell’affezione per la Casa d’Austria. Avrebbe bensì voluto, che Cesare s’accomodasse a non molestare quelli della sua setta. Più oltre non pretendeva. Ma l’apprensione, rappresentando a Vienna i pericoli maggiori della realtà, fece sottoscrivere il comando diretto al Tilli, che gli prescriveva, d’entrare nella Sassonia, ed obbligare quel Principe a dichiararsi. Il Tilli invase la Turingia, e la Misnia. Conquistò parecchie piazze, e giunse sino a Lipsia, Città ricca, e di gran negozio per le fiere, che vi si celebrano. Obbligò colla forza quella Città a rendersi, e a pagare grossissime contribuzioni. L’Elettore, mirando il proprio paese divenuto preda degl’Imperiali, si strinse in confederazione con Gustavo a condizioni per sè molto gravose, ma pretese dall’altro. Amendue congiunsero le armate, per dar battaglia all’esercito Austriaco. Concorse nella allenza anche l’Elettore di Brandeburg. E tutti tre solennemente la giurarono in benefizio de’ proprj Stati, e a danno dell’Imperatore.

L’evento dimostrò, che fu infelice la determinazione d’irritare il Sassone; poichè questi con quindici mila Uomini de’ suoi augumentò talmente la possanza dello Svezzese, sicchè questi, reso superiore di sol[p. 36 modifica]he, potette cimentarsi a battaglia, laddove da sè solo non l’avrebbe mai fatto per il numero inferiore delle sue genti. Fatta l’unione de’ due eserciti, fu deliberato d’avanzarsi subito al conflitto prima, che il Tilli fosse raggiunto dall’Aldringen, e dal Tiensembac Capitani Cesarei, che conducevano in di lui rinforzo truppe veterane, e valorose. Contava il Tilli trentaquattro mila Uomini, e a quaranta mila giungeva lo stuolo delli due Alleati. Il Tilli, che si conosceva minore di forze, era fermissimo di occupare un sito avvantaggioso, e sù quello tenersi per all’ora alla difensiva, finchè avesse ricevute tutte le soldatesche, che non erano molto lontane. Prese posto su un Colle rilevato, ad una lega da Lipsia. Alzò ripari, e dispose a siti opportuni le artiglierie, per non essere impegnato a combattere per allora. Era nel di lui Campo, e dopo lui faceva la figura di primo Generale il Conte Gofredo di Papenhaim, Guerriero arditissimo, imperterrito, e vogliosissimo di menar le mani. Cogli assalimenti impetuosi, e franchi aveva più volte sconfitti i nemici, e riportatine strepitosi acquisti per Cesare. La fortuna lo aveva favorito grandemente in più incontri. Ma non rifletteva, che le vittorie sono per lo più parte del consiglio, delle saggie direzioni, della migliore ordinanza, e de’ sagaci stratagemmi. Ove queste arti sono migliori, opprimono il valore, e l’audacia. Non seppe tollerare, che il Tilli stesse irresoluto nel dar battaglia. Giudicando viltà, e scredito delle armi Austriache quella sospensione d’animo, trovò maniere d’impegnarlo contra il di lui volere a conflitto.

Per due strade differenti, poco distanti l’una dall’altra, s’avanzavano Gustavo, e l’Elettore. Il primo a giungere in faccia agl’Imperiali colla sinistra fu il Sassone, e il primo ad essere assalito. Poichè il Papenhaim, intesa dalle guardie avanzate la di lui prossimità, e informato malamente che i nemici non fossero molti, si mosse con pochi reggimenti ad attaccare la mischia. Senz’avvedersene entrò nel grosso degli avversarj, da’ quali ben tosto si vide circondato, e in pericolo d’esser co’ suoi tagliato a pezzi. Sdegnossi altamente il Tilli di questo temerario impegno, abbracciato contra i suoi ordini da quel Generale e fu quasi in procinto di lasciarlo perdere. Finalmente si risolse di spedire altra gente, per disimpegnarlo. Ma il Papenhaim, vedutosi più forte, invece di ritornar a’ suoi posti, come molti ne lo pregavano, s’inoltrò più fiero contra de’ Sassoni. Sarebbe perito certamente oppresso dalla moltitudine; se il Tilli, tuttocchè in estremo addolorato, non avesse spiccato il comando, che l’esercito si schierasse, e da tutte le parti si combattesse. La premura urgente di porgere pronto soccorso al Papenhaim, impedì, che l’ordinanza non fosse ben distribuita, nè che fossero dati a’ Comandanti subalterni gli avertimenti, del come contenersi con ottime regole nel maneggio delle truppe. Tutti s’affrettarono a sostenere il Papenhaim, ed a sbaragliare i Sassoni come seguì. Alcuni reggimenti giunsero fin al bagaglio, e cominciavano a depredarlo. [p. 37 modifica]Altri per aver parte della preda, corsero abbasso del colle, e si privarono del buon posto, occupato dal Tilli con tanta diligenza. Questo Generale esclamava contra un procedere così sconcertato, ma non era udito; perchè solo si attendeva a perseguitar i Sassoni, e a bottinare. Quando il Re di Svezia, ritardato per qualche ora da un passo cattivo, spuntò finalmente dal Bosco vicino colle sue genti benissimo schierate. Il Re era di statura elevata, e cavalcava un alto Corsiero; Perciò dominando con isguardo attento la campagna, s’accorse della confusione, con cui pugnavano gl’Imperiali. Rivolto a’ suoi, promise loro la vittoria col dire: Abbiamo vinto. Fece subito avanzare i reggimenti delle Corazze verso il Colle, ov’era il pieno de’ Cesarei. Attaccò la loro Cavalleria, e caricò ferocemente gli Ungheri, o Croatti, i quali incapaci di resistere ad un urto gagliardo de’ grossi Cavalli, piegarono, e si rovesciarono sopra il reggimento del Piccolomini, che posero in iscompiglio. Nella guerra presente si commise un errore notabile, e fu l’adoperare nel conflitto generale i squadroni Ungheri, armati alla leggiera. Sono questi impotenti, a sostenere l’impeto forte delle Corazze, e de’ Dragoni; e però urtati cedono facilmente, col dar addietro, e non solo intimoriscono, ma sconcertano l’altra Cavalleria, anzi bene spesso col loro esempio la conducono a fuga consimile. E’ stata fatta osservazione, che il Principe Eugenio di Savoja, tutto che avesse seco grosse bande di quella nazione, mai se ne prevalse in occasione di giornate campali, bensì con essi fortificava le guardie degli alloggiamenti; e solo dopo ottenuta la vittoria li chiamava a spingersi dietro a’ nemici, a moltiplicare prigioni, e ad uccidere i più lenti allo scampo. Per mancanza di questi riflessi, e per esser inferiore di schiere, e mal composta la Cavalleria Imperiale, non resistette a lungo, ma rimase dispersa qua, e là. Il Tilli, e il Papenhaim s’industriarono da tutte le parti, per ristabilirla, e per ricondurla al cimento. Il primo rimase ferito, e fatto prigione, poi ricuperato da una banda de’ suoi.

Il secondo si lanciò nel più forte, e contese a lungo la vittoria. Mancò ogni mezzo, di rimettere la Cavalleria troppo abbattuta, scompaginata, e mezzo distrutta. In ultimo abbandonò la Fanteria, e fuggì altrove. I Reggimenti a piedi non vacillarono d’animo, nè di costanza. Combatterono per cinque intere ore. Fecero più volte retrocedere gli Svezzesi. Si maneggiarono con tanta fermezza, e bravura, che si dubitò lungamente di chi dovesse vincere; se non che Gustavo, per abbattere tanta resistenza, spinse una grossissima banda di Cavalli freschi sul fianco di que’ Pedoni. Allora questi urtati di fronte, e percossi da un lato, dovettero cedere, ed abbandonare il Cannone, che fu ben tosto rivoltato contra di loro, e diede il tracollo alla sconfitta. Parecchi reggimenti a piedi, e massime quello del Marchese Rangoni, contrastarono sempre i posti presi, e prima che cederli si lasciarono uccidere. Non ostante tanti vantaggi di numero, e di ordinanza, molto [p. 38 modifica]ben intesa, Gustavo appena vinse; ma il frutto, che ne ricavò, fu copiosissimo. Otto mila morti degli Austriaci. Parecchie centinaja d’altri trucidati nel fuggire da’ Paesani Luterani. E quello, che più rileva, gran parte dell’Alemagna rimasta in preda, e sottomessa a’ suoi comandi, d’onde ricavò contribuzioni ampissime per il sostentamento, ed accrescimento delle propie milizie. La Franconia, la Svevia, l’alto Reno rese a lui tributarie; nel mentre che la Boemia cedeva al Sassone suo Confederato. Il Tilli, raccolte le truppe sbandate, le congiunse a quelle dell’Aldringen, ed altri Capi Cesarei. Si provò, se poteva almeno difendere la Baviera. Ma Gustavo, giunto sù quella frontiera, sforzò il passaggio del fiume Lec con ferita grave d’esso Tilli, morto poco dopo. Inondò la Baviera. S’impossessò di Monaco Capitale, e disseminò lo spavento non solo in tutta l’Alemagna, ma per fino in Italia. La Corte di Vienna, costernata da tante perdite, consultò, chi dovesse dichiarare nuovo Generale. Due furono i proposti. Il Re d’Ungheria, e il Duca di Valstain. I più prudenti opponevano a questi l’avversione grande, che professava contra degli Spagnuoli; quando questi erano il maggior appoggio dell’Imperatore, massime coll’abbondanza generosa del denaro a pro comune della Casa d’Austria. Opponevano l’avversione medesima contra il Duca di Baviera, creduto il promotore più efficace della passata di lui deposizione dalla dignità di supremo Generale; E pure questi era il braccio diritto, il più fermo, e il più affezionato alla Casa medesima. Dispiacevano le di lui pretese esorbitanti poco convenevoli ad un suddito. Voleva sopra tutto avere il Generalato in forma assolutissima con autorità indipendente in molte parti. Questi difetti, aggiunti alla condotta dell’armi, tenuta di poi dal Duca Alberto, e riuscita molto inferiore, a quanto eransi figurati i di lui partigiani, ed avevano fatto sperare, come impedirono il miglioramento degli affari di Cesare; così furono di poi la cagione potissima, per la quale l’Imperatore fu necessitato dopo due anni, a levare di nuovo dalle mani del medesimo il comando, e surrogarvi con molta felicità il Re d’Ungheria. Non ostante queste opposizioni Ferdinando, udendo la massima parte de’ suoi Consiglieri, inclinati a rimettere il comando nel Valstain con quelle condizioni, che chiedeva, v’acconsentì. In pochi mesi il ristabilito Generale congregò un copioso esercito. Coll’oro di Spagna, col proprio denaro, guadagnato in abbondanza nelle guerre passate, e con quello di molti Uffiziali, i quali s’erano largamente impinguati nelle occasioni medesime, numerò sotto l’insegne più di trenta mila soldati sotto capi valorosi, con copioso apparato di munizioni da bocca, e da guerra. Apprezzava molto i Capitani Italiani. A loro confidava i disegni più importanti, e di loro si prevaleva nelle imprese di più premura. Soleva dire, che la Monarchia di Spagna erasi ingrandita tanto, e sì a lungo erasi sostenuta per la politica, praticata in tenersi amorevoli gl’Italiani, e servir[p. 39 modifica]si de’ loro più attalentati Personaggi ne’ grandi affari sì di pace, come di guerra.

Era ritornato d’Italia il Conte Galasso con grande soddisfazione di Cesare, da cui ben presto fu sollevato a maggior dignità. Ito in Boemia, conservò fedele la Città di Pilsen, che vacillava, e cacciò i nemici da tutti i luoghi circonvicini fino a Praga. Poco dopo il Duca Valstain gli conferì la prima dignità nell’esercito dopo la sua persona. Con lui consigliava le deliberazioni più importanti. Il Galasso raccolse molte soldatesche disperse. A proprie spese fece nuove levate di gente, e si apparecchiò con le truppe ad accrescer il campo di suo comando, e a tener dietro al Valstain.

In Racconitz tra Praga, e Pilsen diede il Valstain la rassegna all’esercito. A’ quattro Maggio circondò Praga, ed ordinò a Galasso, di attaccare la Città piccola. Questi, battute le mura dalla parte del monte di S. Lorenzo, e fattavi larga breccia se ne impadronì. L’altre Città, vecchia, e nuova si composero: Premeva al Valstain, e questa fu sempre la massima delle sue attenzioni, il ricuperare l’Elettor Sassone; Perciò sollecitollo alla pace con grandi offerte, e con copiose ragioni. L’elettor Bavaro venne a congiungersi con lui poco lungi da Egra. Deliberarono di assalire il Re Gustavo, accampato sotto Norimberga, ed ivi trincieratosi. Speravano di consumarlo colla fame prima che questi ricevesse altri corpi di soldatesche, che aveva chiamate in tutta fretta di suo rinforzo. Il disegno non sortì esito felice; perchè la Città di Norimberga somministrò per ogni bisogno viveri, e foraggio a quel Monarca. Giunsero finalmente al Re Gustavo le soldatesche aspettate, e lo resero superiore di truppe. Perlochè uscì egli alla larga, e s’accinse a superare i Cesarei accampati tra’ buoni ripari. Aveva meditato di occupare l’erto d’un Colle, che signoreggiava gli alloggiamenti de’ Cattolici, e da quell’altezza batterli furiosamente. Ma il Galasso Generale accorto, e vigilante, osservato il vantaggio di quell’eminenza, marciò prima con due reggimenti, e vi si fortificò gagliardamente. Allora il Re si voltò contra de’ Bavari. Il primo ad opporvisi fu D. Mario Carafa Napolitano, che resistendo con gran fermezza, ricevete un colpo nel fiancho, per cui morì la notte seguente. Accorsero alla difesa i Soldati Cesarei del Cronemburg, che fecero le parti loro generosamente. Ma soprafatti dalla moltitudine degli Svezzesi, retrocedevano. Quando giunse in rinforzo D. Annibale Gonzaga, che sostenne gli amici, e ributtò gli assalitori. Nello stesso tempo uscì fuori dall’altra parte il Priore Aldobrandino Cavalier Romano, che urtando con gran impeto i Regj, di primo lancio guadagnò uno stendardo. Ma proseguendo a combattere, ed uccisogli sotto il Cavallo, fu fatto prigione, e poi ricuperato ben presto dal Cavalier Magalotto Toscano, avanzatosi con altri Cavalli del Valstain in di lui soccorso. La battaglia durò per trenta ore, nella quale il Re rimetteva gente fresca, a tener [p. 40 modifica]vivo l’assalto, sempre però ributtato. Vi perdette tre mila soldati morti senza i feriti, e i prigioni. Il Re, veduta inutile la sua dimora a quella parte, decampò altrove ad ulteriori conquiste.

Vedendo il Valstain l’esercito suo in gran patimenti per mancanza di viveri, e di foraggio, levò anch’egli il Campo, e separatosi dal Duca Bavaro, s’incamminò verso la Sassonia, per facilitarsi ad ogni occorrenza l’unione col Galasso, e coll’Holta altri Generali. Nel viaggio fu raggiunto dal Papenhaim, venuto in diligenza per trovarsi alla battaglia, che si credeva prossima. Il Galasso, accampato con alcuni mila uomini sotto Freiburg lontano dodici leghe2, non giunse a tempo; poichè prima che arrivasse il Re di Svezia, affrettò il combattimento. Il Valstain, non riputandolo così imminente, distaccò da sè il Papenhaim con alcuni mila uomini delle migliori bande, e gli diede ordine, che quando l’avesse richiamato, allora accelerasse il ritorno. Con questa separazione l’esercito Austriaco rimase notabilmente inferiore allo Svezzese. Lo era di artiglieria, non contando che ventun pezzi, quando ne vedeva disposti dal nemico contra di lui ben trentaquattro. Lo era di soldatesche, e massime di Cavalleria. E qui pure si commise l’errore medesimo di condurre al cimento la Cavalleria Ussara, che facilmente rovesciata, suole tirar seco in fuga qualche parte d’altra Cavalleria. Anche il Valstain per incomodo di podagra non era in istato di maneggiarsi con velocità, nè di accorrere celermente per tutto, affine di osservare, ed invigilare da per tutto alle occorrenze, che potevano succedere col dar ordini pronti al bisogno. Sopra tutto penava a raggirarsi a cavallo per l’incomodo sopradetto. Conoscendosi tra tanti disavvantaggi, proccurò di supplire in qualche modo, con occupar siti di miglior difesa. Schierò l’armata dietro a due fossi scavati di qua, e di là dalla strada, che tira verso Lipsia, e in essi appiattò alquanti pedoni. Occupò un’altura dominante la Campagna con sopra Casa, ed alcuni Molini. Quivi collocò quattordici pezzi, e ne diede la custodia ad alcuni battaglioni sotto gli ordini del Marchese Grana Piemontese. Gli altri sette pezzi collocò nel centro d’avanti la Fanteria. La notte fece scavare tanto di riparo a coprire i pedoni, quanto gli permise la scarsezza del tempo. Avvisò il Papenhaim, che cavalcasse con fretta di ritorno, per esser in tempo di rinforzarlo nel conflitto. Ma questi non ebbe agio da giungervi, se non verso il fine, e colle sole squadre a Cavallo. Il Valstain elesse il posto di mezzo, e con lui il Principe Mattia de’ Medici, Rinaldo, e Borso d’Este, venuti ad assistere alle urgenze di Casa d’Austria.

All’opposto il Re Gustavo distese sulla sua diritta i Cavalli Svezzesi, intramezzati da cinque maniche di scelti moschettieri, ed avanti [p. 41 modifica] a questi collocò alcune minute artiglierie3. Lo stesso praticò nella sinistra, dov’era la Cavalleria Alemanna. Nel Centro schierò la Fanteria, oltre la sua, di varie nazioni Inglesi, Alemanni, Francesi, Scozzesi con alla fronte quindi pezzi di grossa artiglieria. Egli poi rimase al comando della diritta, e appoggiò il governo della sinistra al Duca Bernardo di Vaimar, discendente da quel Gio. Federico, che cento anni prima era stato spogliato della dignità d’Elettore da Carlo Quinto.

Formato in perfetta ordinanza l’Esercito, trascorse il Re Gustavo per i Battaglioni, e Squadroni suoi. Con volto allegro animò tutti al Cimento. Rappresentò loro la debolezza de’ Cesarei, le speranze del bottino, l’acquisto della gloria, e il compimento della grandezza, se riportavano un’insigne vittoria. A tali voci fu corrisposto con acclamazioni di applauso, e di giubilo insigne dalle di lui Soldatesche. La mattina de’ sedici Novembre, dopo caduta foltissima nebbia con variazione di tempo, ora sereno, ora nubiloso, cominciò la battaglia. Il passo più arduo per gli Svezzesi versava nel superare i ripari deboli, e tumultuarj, alzati d’avanti le fosse, dentro le quali stavano appiattatti i Moschettieri Cesarei. Il Duca di Vaimar s’avanzò con più Reggimenti per sormontarli, ma travagliato terribilmente dalle palle de’ Cannoni, e de’ Fucili Austriaci, pativa grande strage de’ suoi.

Le cariche furiose durarono per più di due ore, senza che niuna delle parti prevalesse. Il Vaimar fece avanzare, e sparare parecchi pezzi carichi di sacchetti. Rinovò con gente fresca gli assalimenti, e giunse ad occupare co’ suoi alquanti Cannoni nemici, che rivolse contra di loro. I pezzi furono più volte perduti, e ricuperati. L’una, e l’altra Fanteria operò prodezze di valore. Gustavo, vedendo tanta resistenza, volle di persona adoperarvi i maggiori sforzi. Posto piede a terra, con una pica alla mano, esclamò a’ suoi, come tardassero tanto a vincere, dopo aver superati altre volte con facilità i nemici. Dov’è svanita la virtù delle mie milizie, dove la ferocia connaturale agli Svezzesi? Dove l’ardire vittorioso de’ miei Soldati, i quali superati ostacoli di fiumi, altezza di muraglie, e tante altre difficoltà, ora non osano di avanzare un passo? Queste voci misero in furore le guardie Regie, che, sprezzando ogni pericolo, superarono di nuovo qualunque ostacolo, ed entrarono nel Campo del Valstain. Allora il Re fu chiamato altrove da bisogno più pressante sulla sua diritta. Contra di questa combatteva D. Ottavio Piccolomini alla testa di più Reggimenti, tra’ quali il suo, quello del Gonzaga, l’altro dello Strozzi, e il quarto del Co[p. 42 modifica]ronino, tutti Colonnelli Italiani. D. Ottavio non solo aveva ripulsati i più bravi squadroni Filandesi, Goti, Imalandi, Svezzesi, ma dopo averne atterrati molti, i quali prima vollero morire, che abbandonare il loro posto, aveva riportati diciotto Stendardi4, Gustavo, inteso il danno de’ suoi più valorosi, rissalì a Cavallo, e di galoppo s’avanzò a quel lato, per rimettere, e rincorare i suoi. Erasi cavata la corazza, non potendo sopportare a lungo quel peso, nè l’incomodo, che a lui davano sotto tal peso alcune vecchie cicatrici. Con brusche parole rimproverò Gustavo le schiere, che avevano ceduto, e conducendole alla carica egli medesimo, si spinse tra’ colpi nemici5. Quivi fu colpito nel braccio sinistro da palla, che trascorse più oltre fino a fermarsegli nel fianco. Non ostante che uscisse il sangue dalla ferita, superando coll’animo il dolore, s’avanzò di nuovo, dov’era più dubbiosa la pugna, finchè sentendosi venir meno, disse al Duca Francesco Alberto di Sassen Lavemburg, a lui prossimo: Toglietemi da questo luogo, perchè son ferito a morte. Il Duca con alcuni altri lo ajutò alla meglio, per ritirarlo in sicuro.

Ma ritrovandosi ivi prossime alcune compagnie del Piccolomini, dirette dal Conte Ricciardo Avogadro, e dal Martellini amendue Italiani, queste fecero una nuova scarica, e lo colsero nelle reni, gettandolo morto da cavallo, e costringendo il Duca a salvarsi altrove. Con lui rimasero morti due Scudieri, che gli stavano a’ fianchi6. Giacque l’estinto Monarca sul suolo, intriso nel proprio sangue. I soldati del Piccolomini, senza conoscerlo, lo spogliarono di tutto fuorchè della camicia; Anzi lo percossero con tre altri colpi, due di spada, ed uno di pistola nel capo. Recata la infausta nuova al Vaimar, giurò questi di voler vincere, o morire. Riuniti alcuni battaglioni, esclamò: Chi ama la memoria del Re, mi segua. Continuò con furore accesissimo la battaglia. Essendo numeroso di truppe, fece girare alquante squadre dietro a’ Molini. Queste presero in fianco la Cavalleria destra degli Ungheri. Coll’urto gagliardo le scompigliarono, e dissiparono. Il disordine tirò seco altri reggimenti di Corazze Tedesche; e da questa parte fu, dove gl’Imperiali rilevarono la maggior perdita. Meglio l’intese il Piccolomini. Ordinò agli Ussari del suo corno sinistro, che girassero alla larga, rompessero le guardie del bagaglio, e corressero a bottinarlo. Così fecero gli Ussari. Colle sciable sbaragliarono alcune schiere, che se gli opposero, e trascorrendo verso il bagaglio, tentarono di predarlo; E già alcuni vi stendevano la mano; quando altre bande Svezzesi gli affrontarono, e gli costrinsero ad abbandonare le speranze del bottino.

Comandava a tutta la Fanteria Cattolica il Cavalier di Malta´ [p. 43 modifica]Fra Rodolfo Coloredo Italiano. Aveva egli disuasa la7 battaglia per il numero molto inferiore de’ suoi. Decretata questa, regolò l’ordinanza, e nel conflitto più volte la rimise. Confermò alquante schiere, che vacillavano, e fece tornar addietro altre Compagnie, che fuggivano. Ebbe a combattere contra i reggimenti più bravi, detti delle Casache turchine, e gialle, guardia del Re, che sforzarono più volte i fossi; Ma appena questi avevano penetrato nel di lui campo, ed il Coloredo subito con battaglioni freschi, e coll’ajuto d’alcuni squadroni era loro addosso, e ne tagliò a pezzi moltissimi, i quali piuttosto, che cedere, si lasciarono trucidare. Conservò i posti bravamente sino alla sera. Rilevò sette ferite, non ostante le quali, la notte seguente raccolse, e tirò in Lipsia un buon numero di pedoni. Venuto poi meno per la stanchezza, e sangue sparso, dovette abbandonarsi semivivo nelle mani de’ Medici, che penarono a preservalo dalla morte.

Il Piccolomini si tenne immobile nel proprio posto, e sempre costante a fronte dell’inimico. Stancò quattro Cavalli; e maneggiandosi qua, e là, sette volte ritornò alla Carica colla sua Cavalleria, da lui rimessa, e riordinata. Sei colpi di pistola lo colpirono, benchè non pericolosi. Tuttochè grondasse di sangue, e venisse un ajutante, a dirgli da parte del Valstain che dovesse ritirarsi, rispose8: Questo è il tempo da comprovare la fedeltà, dovuta a Cesare. Proseguì a combattere sin all’ultimo, con che rimise molti degli sbandati. Diede tempo all’Holeh, al Coloredo, ad altri Generali, di riordinare alcuni battaglioni di Fanti, e poi la notte rimetterli in salvo. Esso poi, rinserrati i suoi squadroni, l’ultimo di tutti con somma animosità andò retrocedendo non a modo di fuggitivo, ma come chi sen va altrove spontaneamente.

Era sopravvenuto il Papenhaim con alcune truppe di Cavalleria. Ma nelle prime sparate, colpito da palla di sagro, fu costretto, a rimettersi nella propria carrozza, dove confessatosi con atti di molta pietà Cristiana finì di vivere. La di lui morte empì di terrore i Soldati del di suo seguito. Sollevossi pur anco una voce falsa, che sparse, come tutto il Campo Cesareo era sbaragliato, onde molti in vece di combattere, scamparono altrove. Il Valstain aveva mandato ordine al Generale Rinoch, succeduto al Papenhaim, che assalisse dal suo canto. Ma questi, in vece di spingersi addosso agli Svezzesi, si contenne; volendo osservare, ove piegava la fortuna, prima d’impegnarsi più oltre, il che riuscì di grave danno a’ Cesarei del Valstain. Ma peggiore assai ne cagionò il falso rumore, disseminato tra loro, che non solo il Pa[p. 44 modifica]penhaim fosse rimasto ucciso, ma di più le di lui truppe tagliate a pezzi, o scampate altrove; Il che suscitò un panico spavento tra le soldatesche; e fu il motivo primario, per cui gl’Imperiali abbandonarono di poi il Campo di battaglia, quando la mortalità era stata almeno eguale negli Svezzesi, e parecchie squadre Austriache avevano pochissimo combattuto, le quali dal Marchese Grana, dopo d’aver egli pugnato con intrepida resistenza, furono tra le tenebre ricondotte a Lipsia con parte del bagaglio.

Sei ore era durato il combattimento, allorchè una folta nebbia, più oscura della prima, obbligò a sospendere il conflitto, e a fermarsi ne’ luoghi che ogn’uno teneva, affine di non operare alla cieca, ed esporsi a pericoli di maggiore svantaggio. Sopraggiunse la notte, che impedì la decisione della vittoria. In questa il Valstain giudicò di ritirarsi a Lipsia. Era stato ferito; Provava maggior molestie dalla podagra. Per l’uno, e per l’altro incomodo poteva poco operare. Sapeva, ch’era prossimo a congiungersi cogli Svezzesi il Duca di Luneburg con nuove genti. Era stato abbandonato da molti Ufficiali fuggiti, o mal conci da’ colpi nemici. Riputò miglior partito l’avvicinarsi al Galasso, richiamato in fretta con altri reggimenti, che non si trovarono alla battaglia. Fece inchiodare parecchi Cannoni, che lasciò per mancanza di Cavalli da strascinarli.

In quella Città consultò, se era bene, a fermarvisi, o dar più addietro in Boemia. Mancavano i viveri. I Cittadini erano avversi al partito Cattolico. Stava poco lontano il Sassone, che poteva co’ suoi difficoltare la ritirata ne’ paesi ereditarj. Perlochè determinò di passar a’ quartieri in contrade, soggette a Cesare, per ivi ristorare l’esercito. Tutti e Ufficiali, e Soldati, dell’uno, e dell’altro esercito si diportarono egregiamente, ed operarono, quanto poteva aspettarsi da milizie agguerrite, ed avidissime di vincere. I capi Italiani si distinsero al pari di qualunque altro, sì nella buona regola, come nel maneggiarsi con valore. Al Principe Mattia di Toscana fu ucciso sotto il cavallo. I Principi di Modena s’avanzarono, ove infieriva più feroce il conflitto; e la loro presenza influì costanza maggiore alle soldatesche Cesaree. L’Imperatore rimunerò i Generali, ed altri Uffiziali, che avevano operate prodezze. Il Coloredo fu promosso alla dignità di Generale dell’artiglieria, e altri Uffiziali riportarono mercedi, proporzionate al loro merito.

Il Vaimar, dopo la morte del Gran Gustavo, fu voluto dalle soldatesche per Generale supremo di tutti. La mattina seguente uscì in traccia, per rinvenire il corpo dell’estinto Signore. Fra un mucchio di cadaveri lo ritrovò, tutto imbrattato nel proprio sangue, e talmente [p. 45 modifica]sfigurato9 dal calpestio de’ Cavalli, e da’ colpi replicati, sicchè appena i suoi domestici lo raffiguravano per d’esso. Spettacolo, capace di confondere, e di umiliare l’umana alterigia. Un Monarca, asceso al colmo della gloria, ovunque compariva, acclamato qual Eroe dalla moltitudine, che si schierava sulle strade per vederlo con ammirazione, e per festeggiarlo con sommi applausi. Da per tutto era accompagnato con augurj strepitosi di compita felicità: Ora gettato in un campo, lasciato in abbandono per sì lungo tempo ludibrio della sorte, ed avvilimento delle terrene esaltazioni. Sola la fama conserverà eterna la rimembranza de’ pregi stupendi di natura, de’ quali era arricchito, e delle gesta strepitose, colle quali rese grande, ed immortale il suo nome.

La morte di Personaggio, ch’era l’anima dell’Alleanza, stabilita tra’ Protestanti, sarebbe stata valevole a cagionare il di lei abbattimento; ed appunto tale se la promettevano i Cattolici, se il Generale Valstain avesse saputo prevalersene. Ma il di lui spirito, depresso dalla riflessione di non aver vinto, per essersi lasciato sorprendere, lo tenne irresoluto, languido, e mancante di quell’attività, ch’era necessaria in tali contingenze. Non così il Gran Cancelliere di Svezia Conte Axelio d’Oxestern, che dirigeva gli affari per il suo Re in Alemagna. Udita la di lui perdita, si trasportò ad Erfurt nel cuore dell’Imperio. Essendo eminente Politico, colle sue destre, e sagaci maniere raffermò l’unione de’ Protestanti, ed altri Alleati: Guadagnò la loro stima, ed affezione; sicchè tanto gli Stati della Corona di Svezia, quanto le cospirazioni de’ Principi, e Signori Luterani gli confermarono l’amministrazione degl’interessi civili, e bellici, con la soprantendenza tanto a’ negozj, quanto alla direzione degli eserciti. Tutto fu governato da lui con perfetta intelligenza; onde si rese cagione principalissima delle vittorie, e de’ grandi acquisti, riportati dipoi in questa guerra dalle soldatesche del di lui partito.

Note

  1. Gualdo Istoria della guerra tra Ferdinando I pag. 14 parte prima; D. Vittorio Siri Mercurio Istorico tomo decimo terzo pag. 158.
  2. C. Gualdo, Vita di Ferdinando III pag. 407.
  3. Vedesi il dissegno della battaglia impressa.
  4. C. Gualdo Vita, e azioni di Personaggi illustri. V. Piccolomini.
  5. Nani Istoria Veneta pag. 275 tomo I.
  6. Lo stesso Nani pag. 275 to. I
  7. Gualdo vita ed azioni di Personaggi. V. Coloredo.
  8. Detto vita di Ferdinando pag. 412.
  9. Nani suddetto pag. 275.