Vita e morte del Re Riccardo III/Atto terzo
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
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ATTO TERZO
SCENA I.
La stessa. — Una strada.
Squillano le trombe. Entrano il Principe di Galles, Glocester, Buckingham, il cardinale Bouchier ed altri.
Buck. Siate il ben venuto, amabile principe, nella vostra città di Londra.
Gloc. Benvenuto, caro cugino, che regnate sopra tutti i miei affetti. Sembra che la fatica della strada vi abbia reso malinconico.
Prin. No, zio; non sono che stanco. Ma non veggo qui gli altri miei zii per ricevermi.
Gloc. Caro principe, la vostr’anima innocente e pura non ha potuto ancora alla età vostra scrutare tutta la profondità della frode e della malizia del cuore umano. Voi non potete discernere in un uomo, che ciò che le sue sembianze offrono ai vostri occhi; e l’esteriore, Dio lo sa, si accorda di rado coll’anima. Gli zii di cui notate la mancanza, erano uomini pericolosi. Voi gustavate la dolcezza del miele che condiva le loro parole, e non sentivate il veleno che sotto vi si ascondeva. Dio voglia preservarvi da coloro, e da ogni altro amico egualmente traditore!
Prin. Sì, Dio voglia preservarmi dagli amici traditori! ma i miei zii non lo erano.
Gloc. Ecco il Prefetto di Londra, milord, che viene a rendervi omaggio. (entra il lord Prefetto col suo seguito)
Pref. Dio benedica Vostra Grazia, e vi conceda salute e lunghi giorni di felicità.
Prin. Vi ringrazio, mio buon lord, e voi tutti ringrazio egualmente, (esce il Pref., ecc) Credevo che mia madre e mio fratello mi sarebbero venuti incontro a qualche distanza: vergogna ad Hastings! perchè non si mostra egli per dirmi se vengono o no? (entra Hastings)
Buck. In buon tempo arriva e tutto trasudato.
Prin. Ben venuto, milord. Verrà dunque mia madre?
Elis. Dio ne sa la cagione, io l’ignoro, ma la regina vostra madre, e vostro fratello si sono riparati in un tempio. — Il giovine principe avrebbe ben desiderato di venir con me per salatarvi; ma sua madre glie l’ha impedito.
Buck. Quest’è un’ostinatezza ben bizzarra e intempestiva. Lord Cardinale, volete andare a dire alla regina che mandi tosto il duca di York da suo fratello? Se ella vi si oppone, voi, milord Hastings, unitevi al cardinale e strappate il principe dalle braccia di quella donna gelosa.
Car. Milord di Buckingham, se la mia debole eloquenza può ottenere da sua madre il giovane duca di York, aspettatelo qui fra un istante; ma se ella rifiuta d’aderire alle vostre dimande, il Dio del Cielo non permetta che violiam mai il santo asilo in cui si è ridotto. Pel regno intero non vorrei rendermi colpevole di tale attentato.
Buck. Voi ricalcitrate spesso a mal proposito, milord, per un rispetto a formole vane e a viete costumanze. Riguardate la cosa anche colle idee rozze di questo secolo, e vedrete che non violate il tempio costringendo il principe ad uscirne. Le immunità della Chiesa non sono concesse che a coloro che ne hanno legittimamente meritato il benefizio, o a quelli che i meriti hanno per acquistarlo. Ora questo principe non può in nessun modo godere di tal privilegio. Facendolo quindi uscire dal luogo in cui non ha diritti per rimanere, voi non offendete alcuno. Ho spesso inteso dire che vi sono ecclesiastici che hanno privilegi; ma non avea mai sentito che di tali se ne accordassero anche ai fanciulli.
Car. Sia, milord, voi mi avrete costretto una volta in vostra vita ad abbandonare le mie idee per le vostre. — Andiamo, milord Hastings; volete venir con me?
Hast. Vi seguo, signore.
Prin. Cari lórdi, usate, ve ne prego, della maggior sollecitudine che potrete. (il Card. e Hast. escono) Ditemi, zio Glocester, se nostro fratello viene, dove soggiorneremo fino alla nostra incoronazione?
Gloc. Dove sembrerà meglio a Vostra Grazia. S’io potessi consigliarvi, vi direi di riposarvi per un giorno o due alla Torre, per isceglier quindi quella dimora che meglio alla vostra salute e al vostro diletto si confacesse.
Prin. La Torre è il luogo del mondo che più mi spiace. — È egli vero, zio, che fu Giulio Cesare che la eresse?
Gloc. Ei vi pose le prime pietre, mio grazioso signore; e di secolo in secolo si è poi venuta ampliando.
Prin. Sta ciò scritto? o è solo trasmesso di età in età da qualche tradizione?
Buck. È narrato dall’istoria, mio principe.
Prin. Ma imaginate, milord, che registrato non fosse; mi sembra che la verità dovrebbe passare di generazione in generazione, come un retaggio della posterità fino all’ultimo giorno in cui tutto deve finire.
Gloc. (a parte) Tanta saviezza in età così giovine non suol dirsi foriera di lunga vita.
Prin. Che dite, zio?
Gloc. Dico che anche senza il ministero dei libri la fama vive lungo tempo. (a parte) Così, come il demone delle nostre antiche commedie, io moralizzo sempre con parole a doppio significato.
Princ. Quel Giulio Cesare fu un uomo molto illustre! Il suo valore ingrandì il suo genio, e il suo genio ha fatto vivere nei suoi scritti le opere del suo valore. La morte non può nulla contro quell’eroe: se il soffio della sua vita è estinto, egli ha vita nella sua gloria. — Vo’ mettervi a parte di un’idea, cugino Buckingham.
Buck. Qual’è essa, mio grazioso signore?
Prin. S’io giungo all’età virile riconquisterò tutti i nostri possedimenti di Francia, o morirò da soldato, come sarò vissuto da re.
Gloc. (a parte) Brevi estati conseguono per lo più primavere troppo precoci. (entrano York, Hastings, e il Cardinaìe)
Buck. Ecco il duca di York.
Prin. Riccardo di Tork? Come state, amato fratello?
York. Bene, mio temuto signore; così io debbo ora chiamarvi.
Prin. Sì, fratello; con nostro gran dolore, come con vostro. Troppo recente è ancora la perdita del re, che avrebbe dovuto ben maggior tempo conservare questo titolo, che colla sua morte ha perduto molto delle sue verità.
Gloc. Come sta il nostro cugino, il nobile lord York?
York. Vi ringrazio, grazioso zio; ma foste voi che diceste che le erbe maligne crescono presto: ora il principe, mio fratello, mi ha superato assai in altezza.
Gloc. È vero, milord.
York. È egli dunque cattivo?
Gloc. Oh! mio bel cugino, cotesto io non posso dire.
York. Dunque ei vi dev’essere più obbligato che non io.
Gloc. Ei può comandarmi come sovrano: ma voi avete soltante su di me il potere di un parente.
York. Vi prego, zio, di darmi quel pugnale.
Gloc. Il mio pugnale, piccolo cugino? con tutto il cuore.
Prin. Sei mendico, fratello?
York. Chieggo soltanto al mio buon zio, che so che mi appagherà: non è che un balocco che gli dimando; e non può dolergli di darmelo.
Gloc. Vo’ fare a mio cugino un più bel dono.
York. Un più bel dono! Oh! certo volete aggiungervi la spada.
Gloc. Sì, cugino amabile, se essa fosse abbastanza leggiera.
York. Dunque m’avveggo che non volete farmi che doni leggieri, e che in dimande più gravi non mi compiacereste.
Gloc. Questa spada sarebbe troppo pesante per Vostra Grazia.
York. Foss’ella anche più grave, e non l’avrei che in conto di ben leggiera.
Gloc. Vorreste dunque la mia spada, piccolo lord?
York. Sì, per compensarvi dell’epiteto che mi date.
Gloc. Quale?
York. Piccolo.
Prin. Milord di York sarà sempre contradditore: ma voi, mio zio, sapete come sopportarlo.
York. Vorreste dir portarlo, e non sopportarlo. — Zio, mio fratello si fa beffe di voi e di me. Perchè son piccolo come una scimmia, ei crede che potreste sostenermi sulle vostre spalle.
Buck. Con quale acume ei ragiona! Per mitigare il sarcasmo che lancia verso suo zio, sa destramente motteggiare se stesso. Meraviglioso è il vedere tanta astuzia in così giovine età.
Gloc. Mio grazioso signore, volete rimettervi In via? Io stesso e il mio buon cugino Buckingham andremo da vostra madre per supplicarla di venirvi ad incontrare alla Torre, e di farvi la buona accoglienza.
York. Che! vorreste voi andare alla Torre, milord?
Prin. Milord Protettore crede che ciò sia bene.
York. Ei non dormirà placidamente nella Torre.
Gloc. Perchè, signore? di che temete?
York. Perchè quel luogo è frequentato dall’ombra sdegnosa del mio zio Clarenza, che la mia avola mi disse essere stato colà assassinato.
Prin. Io non temo zii morti.
Gloc. Nè vivi, ho fede.
Prin. Se vivono, ben credo che non avrò motivo per temerli. Ma venite, milord, e con mesto cuore pensando ai nostri cari, andiamocene alla Torre. (esce con York, Hast., il Card., e il seguito)
Buck. Credete voi, milord, che quel piccolo parlatore di York non sia stato istruito dalla sua astuta madre, e incitato da lei a schemirvi con motteggi obbrobriosi?
Gloc. Oh! certo, certo; è un fanciullo pericoloso: audace, inquieto, vivo, atto ad ogni impresa: somiglia alla madre interamente.
Buck. Bene, lasciamoli dove sono. — Avvicinati, gentil Catesby; tu giurasti d’attuare con fermezza il nostro disegno, e di sepellire in un profondo segreto le cose che ti confidiamo. Tu hai intesi i nostri discorsi per la strada: di’, che ne pensi? Sarebb’egli tanto difficile di far entrare lord Hastings nel nostro divisamento, di porre questo illustre duca sul trono d’Inghilterra?
Cat. Egli ama così teneramente il giovine principe, per la memoria di suo padre, che non si potrà indurlo a nulla di contrarlo a’ suoi interessi.
Buck. E di Stanley che credi?
Cat. Stanley farà tutto quello che farà Hastings.
Buck. Allora non se ne parli più; e fa solo ciò ch’io ti dirò. Va, caro Catesby, scruta destramente da lungi lord Hastings; osserva le impressioni che il nostro disegno produrrà su di lui, e invitalo a venir domani alla Torre per assistere all’incoronazione. Se lo trovi mansueto e proclive per noi, infiammalo esponendogli le nostre ragioni. Se è di ghiaccio, fingi tu pure di esserlo, e rompi ogni colloquio. Dimani terremo due consigli separati, in cui tu compirai una gran parte.
Gloc. Raccomandami a lui, e digli, Catesby, che l’antico triumvirato de’ suoi avversarii spargerà dimani il sangue nel castello di Pomfret. Digli per me che in segno di gioia per questa novella, dia un bacio di più all’amabile mistress Shore.
Buck. Buon Catesby; va, riempi bene il tuo ufficio.
Cat. Miei degni lórdi, avrò tutto lo zelo.
Gloc. Riceveremo tue novelle, Catesby, prima dì porci a letto?
Cat. Sì, milord.
Gloc. A Croby ci troverete entrambi.(Cat. esce)
Buck. Ora, milord, che farem noi, se Hastings non ci seconda?
Gloc. Gli troncheremo il capo, amico... qualche cosa faremo. Rammenta quand’io sarò re di chiedermi la contea di Hereford, con tutti i suoi dominii, di cui il re, mio fratello, era in possesso.
Buck. Dimanderò l’adempimento di tale promessa dalle mani di Vostra Grazia.
Gloc. E pensa che ti sarà accordata con tutta la bontà. Vieni, ceniam tosto; onde possiam maturar meglio i nostri divisamenti.
(escono)
SCENA II.
Dinanzi alla casa di lord Hastings.
Entra un Messaggiere.
Mess. Milord, milord... (battendo)
Hast. (dal di dentro) Chi batte?
Mess. Un inviato di lord Stanley.
Hast. (come sopra) Che ora è?
Mess. Le quattro omai. (entra Histings)
Hast. Il tuo padrone non trova dunque sonno in queste notti noiose?
Mess. Così sembrerebbe da quello che ho da dirvi; ma anzitutto ei si raccomanda alla grazia di vossignoria.
Hast. Poi.....
Mess. Poi vi fa assapere, che ha sognato questa notte, che un cinghiale lo aveva atterrato, e vi ammonisce che si tengono due consigli separati e segreti, e che nell’uno di questi si potrebbe prendere un partito che valesse a far pentire lui e voi d’aver assistito all’altro. Questo è che l’ha indotto a spedirmi onde conoscere il vostro sentimento, perchè egli dividerà la vostra sorte quand’anche voleste montar tosto a cavallo con lui, e cercare nel nord d’Inghilterra un asilo contro il pericolo che vi minaccia.
Hast. Va, mio amico, ritorna dal tuo signore. Digli che non abbiam nulla a temere da questi due consigli, che si raduneranno separatamente. Noi due dobbiamo assistere ad uno, e il nostro fedele amico Catesby sarà nell’altro; non può dunque nulla accadere contro di noi che non ne siamo istrutti. Digli che i suoi timori son vani, e quanto a quel sogno... stupisco ch’ei sia tanto semplice da prestar fede alle imagini di una fantasia commossa. Fuggire il cinghiale1 prima ch’ei ne insegua sarebbe un eccitarlo a correre sopra di noi; un porlo sulla traccia d’una preda alla quale neppur pensava. Va, di’ al tuo padrone di alzarsi, e di venirci a raggiungere; andremo insieme alla Torre, dove vedrà che il cinghiale ne tratterà bene entrambi.
Mess. Vado, milord, a recargli la vostra risposta.
(esce; entra Catesby)
Cat. Buon giorno, mio nobile lord!
Hast. Baon giorno, Catesby; v’alzaste per tempo. Quali novelle, quali novelle, in questo nostro vacillante stato?
Cat. Vacillante in verità, milord; e credo che non diverrà più fermo se Riccardo non cingerà la ghirlanda del regno.
Hast. Come! qual ghirlanda? intendereste la corona?
Cat. Sì, mio buon lord.
Hast. Questa mia testa mi sarà mozzata, prima ch’io vegga la corona così mal posta. Ma puoi tu credere che egli intenda ad averla?
Cat. Sì, sulla mia vita; e spera inoltre di vedervi adottar le sue parti per procacciargliene il conquisto. A tale effetto vuole vi avverta che in questo medesimo giorno i vostri nemici, parenti della regina, moriranno a Pomfret.
Hast. Di ciò non mi dolgo, perocchè essi mi furono sempre avversi: ma ch’io dia il mio voto a Riccardo per escludere dal trono i legittimi eredi, questo è ciò che Dio sa ch’io non farò mai.
Cat. Dio mantenga vossignoria in questi generosi sentimenti!
Hast. Fra alcuni giorni riderò ben di cuore d’esser vissuto tanto da veder il tragico fine di quei miei nemici, che aveano cercato di attirarmi l’odio del mio signore. Va, va, Catesby; prima che siano trascorsi quindici dì mi ricomprerò bene da alcuni altri che non se l’aspettano.
Cat. È cosa crudele, milord, di dover morire quando meno vi si pensa.
Hast. Oh! crudele, crudele: ed è nondimeno ciò che avviene a Rivers, a Vaughan ed a Grey; e accadrà ad alcuni altri che si reputano ora sicuri, come noi che godiamo dell’amicizia di Buckingham e del principe Riccardo.
Cat. Quei lórdi entrambi vi tengono nel più alto conto: (a parte) e perciò porranno la vostra testa ben alta sul ponte di Londra.
Hast. So che fan caso di me, e ben parmi d’averlo meritato. (entra Stanley), Venite, venite; dov’è dunque il vostro spiedo, mio caro? voi temete il cinghiale, e andate così sprovveduto?
Stan. Milord, buon giorno; e buon giorno, Catesby; voi potete celiare, ma per la Santa Croce! questi consigli separati a me non piaciono.
Hast. Milord, io tengo la mia vita così cara come la vostra: e non mai questa vita, ve ne fo fede, mi fu più preziosa di ora: credete voi che se non fossi sicuro del nostro stato, sarei così lieto?
Stan. I lórdi che sono a Pomfret eran lieti del pari allorchè partirono da Londra, e veramente non avevano alcun motivo per esser mesti: nondimeno voi vedete come la loro sorte si è mutata. Colpo sì rapido di pugnale sveglia la mia diffidenza, e prego il Cielo che sia pusillanime la mia paura! Ebbene, andremo alla Torre? Il giorno è già caduto.
Hast. Andiamo, verrò con voi. — Sapete quello che voglio dirvi, milord? Oggi i signori di cui parlavate saranno decapitati.
Stan. Oimè! essi potrebbero portar meglio le loro teste, che alcuni di quelli che li accusarono i loro cappelli. Ma venite, milord, partiamo. (entra uno del seguito)
Hast. Andate innanzi: vo’ dire una parola a quest’uomo. (escono Stan. e Cat.) Ebbene, amico? come va il mondo? come stai?
Seg. Meglio, dacchè piace a Vostra Signoria di domandarmelo.
Hast. Ti dirò ch’io sono oggi più contento, amico, che non lo era l’ultima volta che m’incontrasti qui. Io andava allora qual prigioniero alla Torre, vittima delle trame dei parenti della regina; ma ora (e tienlo nascosto) quei miei nemici son messi a morte, ed io vengo redento da ogni timore.
Seg. Dio voglia far sempre lieta Vostra Signoria?
Hast. Grazie, amico. Tieni; bevi alla mia salute. (gettandogli la sua borsa)
Seg. Ringrazio Vostro Onore. (esce. Entra un Prete)
Pr. Ben trovato, milord; son lieto di vedervi.
Hast. Ti ringrazio di cuore, buon sir Giovanni. Io ti debbo qualche cosa per l’ultimo ufficio. Vieni da me domenica, e ti salderò. (entra Buckingham)
Buck. State parlando con un prete, lord Ciambellano? Il prete abbisogna ai vostri amici di Pomfret. Voi non avete ragione per confessarvi.
Hast. In buona fede, allorchè incontrai questo sant’uomo pensai a quelli di cui mi parlate. Ebbene; andate verso la Torre?
Buck. Sì, milord; ma molto non mi tratterrò colà; ne ritornerò prima di Vossignoria.
Hast. È molto facile, perchè mi fermerò là a desinare.
Buck. (E a cenar anche, sebbene tu nol sappia) (a parte) Volete venire?
Hast. Seguo Vossignoria. (escono)
SCENA III.
Pomfret. — Dinanzi alla fortezza.
Entra Ratcliff, con una scorta di soldati tra cui stanno Rivers, Grey e Vaughan che s’incamminano al patibolo.
Hast. Fate avanzare i prigionieri.
Riv. Sir Riccardo Ratcliff, odi le mie parole: tu vedi morir oggi un suddito fedele, punito pel suo zelo e per la sua lealtà.
Grey. Dio salvi il principe dalle vostre infami trame! voi siete una torma di cannibali assetati di sangue.
Vau. Ma vivrete abbastanza per maledire un giorno questo iniquo ufficio.
Rat. Affrettatevi: il filo della vostra vita sta per troncarsi.
Riv. Oh Pomfret, Pomfret! prigione sanguinosa e fatale ai Pari di questo regno! Nell’empio ricinto delle tue mura Riccardo II fu sgozzato: e per aumentare l’orrore che ad ogni onesto tu ispiri, i tuoi pavimenti beveranno l’innocente nostro sangue.
Grey. Ora la maledizione di Margherita cade sui nostri capi: essa la profferì allorquando Hastings, voi ed io restammo freddi spettatori, mentre Riccardo le uccideva il figlio.
Riv. Ella maledisse ancora Hastings, maledisse Buckingham, maledisse Riccardo. Oh! ricordati dunque, Dio, di esaudire le sue imprecazioni sopra di loro come sopra di noi le adempisti! Quanto a mia sorella e ai suoi illustri figli, sii pago, buon Dio, del nostro sangue che con tanta iniquità sta per essere versato!
Rat. Affrettatevi, l’ora della vostra morte è suonata.
Riv. Vieni, Grey, vieni Vaughan, abbracciamoci: addio, fino a che ci rivediam di nuovo in cielo. (escono)
SCENA IV.
Londra. — Una stanza nella Torre.
Entrano Buckingham, Stanley, Hastings, il vescovo di Ely e Catesby, Lowel ed altri stanno seduti ad una tavola. Ufficiali del consiglio a qualche distanza.
Hast. Nobili Pari, l’oggetto che qui ne raduna è di fermare il giorno dell’incoronazione: in nome di Dio parlate! qual dì sarà?
Buck. Sono ammanite tutte le cose per quella cerimonia?
Stan. Sì; nè resta più che a fissarla.
Ely. Dimani credo sia un felice giorno.
Buck. Chi conosce le intenzioni del lord Protettore? Chi è il più intimo amico del nobile duca?
Ely. Vostra Grazia pensiamo che meglio di ogni altro conosca la sua mente.
Buck. Noi ci conosciamo nel volto l’un l’altro, ma quanto ai nostri cuori... a lui non è più noto il mio, che a me noi sia il vostro; ed io non conosco meglio il suo, che voi il mio. — Lord Hastings, voi siete legato a lui di stretta amicizia?
Hast. Qrazie alla sua bontà, so ch’ei molto mi ama; ma quanto all’incoronazione, non gliene ho parlato, nè so quel ch’ei ne pensa. Ma voi, nobile lord, potreste decretare il giorno; ed io darò il voto anche pel duca, sperando che ciò non sia mal veduto da Sua Grazia. (entra Glocester)
Ely. Fortunatamente, ecco il duca stesso.
Gloc. Miei nobili lórdi e cugini, do a tutti il buon giorno: ho troppo dormito: ma spero che la mia assenza non avrà nociuto per nulla al grande oggetto che si doveva discutere dinanzi a me.
Buck. Se non foste giunto così a proposito, milord Hastings avrebbe statuito per voi il giorno: intendo che avrebbe dato il vostro voto per l’incoronazione del re.
'Gloc. Niuno poteva farlo con maggior sicurezza di lui; ei ben mi conosce, e molto mi ama. — Milord di Ely, l’ultima volta ch’io fui a Holborn, vidi nel vostro giardino fragole assai belle. Vi prego mandarmene.
Ely. Di tutto cuore, milord. (esce)
Gloc. Cugino di Buckingham, una parola se vi aggrada. (lo tira in disparte) Catesby ha scrutato Hastings e lo trovò sì tenace e sì caldo, che perderà la testa prima di acconsentire che il figlio del suo signore, così egli con venerazione lo chiama, perda la sovranità del trono d’Inghilterra.
Buck. Ritiratevi per un poco, io verrò con voi. (esce con Gloc.)
Stan. Noi non abbiamo ancor fermato questo giorno solenne. Dimani è troppo presto e non sarei apparecchiato a tal cerimonia. (rientra il vescovo di Ely)
Ely. Dov’è milord Protettore? Ho mandato a prendere le frutta ch’egli desidera.
Hast. Sua Grazia è questa mattina ben affabile: ei vagheggia certo qualche idea che gli sorride; lo deduco dal modo grazioso con cui ne ha augurato il buon dì. Non credo che vi sia uomo in tutta la cristianità che sia meno abile di lui nel dissimulare: nel tuo volto si legge sempre tutto quello ch’egli ha nel cuore.
Stan. E qual cosa leggeste dunque oggi sul di lui volto?
Hast. Ch’ei non è malcontento d’alcuno; e nutre verso di tutti le più benevoli intenzioni. (rientrano Glocester e Buckingham)
Gloc. Vi prego tutti di dirmi che cosa meritano coloro che cospirano contro la mia vita, valendosi dell’arte di diabolici sortilegi, e che coi loro incantesimi infernali son giunti a estenuar lentamente il mio corpo?
Hast. Il tenero amore ch’io porto a Vostra Grazia, milord, mi fa ardito a parlar pel primo in questa illustre assemblea, onde profferire la condanna dei colpevoli. Chiunque essi siano, dico, milord, che han meritata la morte.
Gloc. Ebbene, siano i vostri occhi testimoni del male che mi han fatto. Mirate su di me gli effetti della loro malvagità: il mio braccio è disseccato come un ramo isterilito. Tutto ciò è opera di quella moglie di Eduardo, di quella strega mostruosa, collegata con quell’infame prostituta Shore: esse furono che coi loro sortilegi così mi ridussero.
Hast. Se esse operarono questo misfatto, mio nobile lord...
Gloc. Se! Che ardisci tu co’ tuoi se, protettore di quella dannata femmina? Tu pure sei un traditore. Si tronchi la testa a costui. — Giuro per san Paolo! che non desinerò, fino che non l’abbia veduta cadere dalle sue spalle. Lowel e Catesby, attendete all’esecuzione di ciò; chiunque altro mi ama, sorga e venga meco. (escono tutti, tranne Hast., Low., e Cat.)
Hast. Sciagura, sciagura all’Inghilterra! Per lei, e non per me io piango. Insensato che fui! io avrei potuto prevenire quel che ora m’accade. Stanley aveva veduto in sogno il cinghiale che mi atterrava: ma disprezzai l’avviso, e sdegnai di fuggire. Tre volte oggi il mio cavallo inciampò, e si gittò per spavento all’indietro, veggendo la Torre, come se ricusato avesse di condurre il suo signore al macello. — Ah! ora ho bisogno del prete a cui dianzi parlava. Mi pento ora d’aver detto con inconsiderata gioia, che i miei nemici spiravano a Pomfret, e ch’io era sicuro d’essere in grazia ed in favore! Oh, Margherita, Margherita, è adesso che la tua funesta maledizione colpisce l’infelice Hastings!
Cat. Affrettateci, milord, il duca vuol pranzare: fate una breve confessione: ei desidera di vedere la vostra testa.
Hast. Oh! favori momentanei dei mortali, a cui intendiamo con più ardore che a conseguir la grazia di Dio! Chi fonda le sue speranze nell’aere dei vostri piacevoli sguardi, vive come il marinaio ubbriaco sulla punta del suo albero, in procinto di cadere alla più piccola scossa nell’abisso.
Low. Venite, venite: è vano lagnarsi.
Hast. Oh, sanguinoso Riccardo! Misera Inghilterra! io ti predico i più spaventosi giorni che mai vedessero le tue età più dispietate. — Andiamo, guidatemi alla morte, mozzatemi il capo; molti sorrideranno vedendolo, che pur fra breve saranno estinti. (escono)
SCENA V.
La stessa. — Le mura della Torre.
Entrano Glocester e Buckingham con armature rugginose e in pessimo stato.
Gloc. Dimmi, cugino: sai tu simulare un tremito subitaneo, impallidire, cambiar di volto, troncar a tempo una parola, ricominciar un discorso, e fermarti ad un tratto, come se invaso fossi da delirio, o confuso da spavento?
Buck. Io potrei compiere le parti del più grande attore da tragedia. So parlare guardando a ritroso e girando un occhio inquieto; so tremare e rabbrividire al muoversi d’una foglia, come se assalito fossi da cento sospetti; so fingere terrore e gioia, e i miei membri mi servono come meglio voglio. Ma è dunque andato Catesby?
Gloc. Sì; ed eccolo che conduce il Prefetto.
Buck. Lasciate ch’io gli parli solo. — (entrano il lord Prefetto e Catesby) Lord Prefetto...
Gloc. Badate a conservare il ponte.
Buck. Udite, udite! Sono tamburi.
Gloc. Catesby, custodite le mura.
Buck. Lord Prefetto, il motivo per cui vi abbiamo chiamato...
Gloc. Guardati le spalle, difenditi, i nemici ne son presso.
Buck. Dio e la nostra innocenza ci proteggano. (entrano Lowel e Ratcliff colla testa d’Hastings)
Gloc. Rassicuratevi, son nostri amici; Ratcliff e Lowel.
Low. Ecco la testa di quell’ignobile traditore, di quel pericoloso Hastings di cui niuno sospettava.
Gloc. Tanto l’ho amato che non posso rattenere le lagrime; l’avevo sempre estimato il più sincero e il miglior uomo che respirasse nella cristianità; il suo cuore era il ricetto di tutti i miei più segreti pensieri. Ei sapeva coprire i suoi vizii colla vernice di virtù così seducenti, che senza il suo delitto, manifesto a tutti gli occhi (parlo del nefando commercio che aveva colla Shore) su di lui non sarebbe mai potuto cadere il più lieve sospetto.
Buck. Oh! era il traditore più profondo e dissimulato che mai vivesse! Avreste immaginato, lord Prefetto, o potreste crederlo, che, se la Provvidenza non ci avesse conservato in vita, questo scaltrito traditore avrebbe ucciso me e l’illustre duca di Glocester, in questo giorno istesso, nella camera del consiglio?
Pref. Ah! è egli vero?
Gloc. Come? ci avete voi in conto di Turchi o d’infedeli? E pensate che saremmo proceduti così violentemente, contro le formole delle leggi, alla morte di questo scellerato, se l’estremo pericolo del differire, la pace dell’Inghilterra, e la sicartà nostra non d avessero costretti a così rapida esecuzione?
Pref. Il Cielo vi benedica! Egli ha meritata la morte. E voi vi siete ben comportati, dando un esempio fatto per intimorire i traditori. Nulla io pur più di bene sperai da lui, da che lo vidi unito colla Shore.
Buck. E nondimeno nostra intenzione non era che fosse ucciso prima del vostro arrivo, milord: ma lo zelo troppo precipitoso dei nostri amici ci ha prevenuti. Noi saremmo stati ben lieti che voi pure aveste udito parlare il traditore, e che lo aveste inteso confessar tremando i particolari e lo scopo della sua frode, onde poteste darne conto ai cittadini, che interpreteranno forse male questo giudizio, e compiangeran la sua morte.
Pref. La vostra parola, mio illustre lord, varrà, come s’io lo avessi visto ed udito: siate certi, miei nobili principi, ch’io istruirò a dovere i nostri fedeli sudditi della condotta che avete tenuta in questo pericolo.
Gloc. Era per ciò che desideravamo la vostra presenza, che salvati ne avrebbe dalla censura delle lingue malediche.
Buck. Ma poichè siete giunto troppo tardi, a tenore dei nostri voti, potrete almen dire quello di cui vi abbiamo parlato, intorno alle nostre intenzioni. È con tale fiducia, mio buon lord, che vi diciamo addio. (esce il Pref.)
Gloc. Seguilo, seguilo, cugino Buckingham. Il Prefetto corre a Guildhall. Affrettati di raggiungerlo colà, e quando ne troverai il destro poni in campo l’illegittimità dei figli d’Eduardo, ricorda ai cittadini di Londra come Eduardo fece perire uno de’ suoi compatrioti, per aver detto che farebbe suo figlio erede della corona, sebbene non alludesse che all’insegna della sua locanda che portava tal nome. Insisti poscia sulle sue abbominevoli lascivie, e la brutalità delle sue inclinazioni incostanti chesi volgevano con indifferenza sulle matrone, e sulle figlie de’ suoi domestici, da per tutto dove il suo cuore sfrenato imaginava una preda. Ciò fatto potrai condurre il discorso sopra di me. — Di’ poi anche che, allorchè mia madre era incinta d’Eduardo, il duca di York attendeva alle guerre di Francia; e che facendo un computo esatto, ei riconobbe che il fanciullo non gli apparteneva, opinione in cui lo confermò l’aspetto di esso che non somigliava per nulla a quello del nobile duca, genitor mio. Quest’ultima corda dovrai però sfiorarla soltanto, perocchè ben sai che mia madre vive ancora.
Buck. Confidate in me, milord: compirò la parte di oratore colla medesima arte e il medesimo zelo, che se la splendida corona, oggetto dei miei discorsi, dovesse essere portata da me. Intanto vi lascio.
Gloc. Se il tuo discorso riesce, guidali al castello dì Bayuart: e là mi troverai in compagnia di reverendi personaggi e di dotti vescovi.
Buck. Parto: a tre o quattro ore riceverete le novelle di quanto sarà accaduto a Guildhall. (esce)
Gloc. Va, Lowel, corri a cercare il dottore Shall. — Tu, Catesby, guidami il frate Pencker. Dite ad entrambi di venirmi a veder tosto al castello di Bayuart. (escono Low. e Cat.) Ora rientrerò per dare alcuni ordini particolari, onde allontanare i bracchi di Clarenza, e fare che per niuna cosa del mondo si abbia ricorso a quei principi. (esce)
SCENA VI.
Una strada.
Entra uno Scrivano.
Scriv. Ecco i capi d’accusa mossi contro il povero milord Hastings, segnati con bella scrittura e riposata mano, ond’essere letti pubblicamente nella chiesa di San Paolo! Come le circostanze sono verosimili e ben collegate! Spesi undici ore intere per metterle in chiaro, perocchè non è che da ieri sera che Catesby mi ha mandato l’originale, che certo deve essere costato almeno un egual tempo, sebbene cinque ore fa Hastings vivesse ancora senza rimproveri, senza accuse, e in piena libertà. È forza confessare che siamo in un tristo mondo! Chi sarà tanto stolto da non vedere questa rozza frode? E nondimeno chi sarà tanto ardito per avere il coraggio di dire ch’ei la vede? Il secolo è corrotto: e ogni senso d’onore è irrevocabilmente smarrito, allorchè non si scorgono che cogli occhi silenziosi della mente così indegne scelleratezze. (esce)
SCENA VII.
La corte del castello di Bayuart.
Entrano Glocester e Buckingham da diverse parti.
Gloc. Ebbene! che dicono i cittadini?
Buck. Per la santa Madre del Signore! i cittadini son mutoli e non dicono parola.
Gloc. Accennasti all’illegittimità dei figli di Eduardo?
Buck. Sì; parlai del suo contratto di nozze con lady Lucy, e di quello che fu stretto in Francia dai suoi ambasciatori. Dipinsi l’insaziabile ardore delle sue passioni, e le sue violenze sulle nostre donne, i furori della sua tirannide eccitata dai più lievi sospetti; la sua illegittimità, e cento altre cose. Poscia parlai di voi; del vostro volto tanto simile a quello di vostro padre, non pei lineamenti, ma per la fisonomia, che v’è ritratta, e che così bene chiarisce la nobiltà della vostr’anima. Posi quindi in campo tutte le vostre vittorie nella Scozia, la vostra dotta disciplina in guerra, la vostra saviezza in pace, le vostre virtù, la bontà del vostro carattere e la vostra umile modestia: in fine nulla obbliai di ciò che poteva facilitarvi il conseguimento del vostro scopo, e allorchè ho terminato, invitai quelli che amavano il bene del loro paese a gridare: viva Riccardo re d’Inghilterra!
Gloc. E l’hanno essi fatto?
Buck. No, pel Cielo! ma impietriti e simili a statue, si son messi a guardarsi l’un l’altro con occhio smarrito, divenendo pallidi come cadaveri. — Allorchè ho veduto ciò, gli ho garriti, chiedendo al Prefetto che cosa significasse quel silenzio contumace. La sua risposta fu che il popolo non era avvezzo ad udirsi arringar direttamente, e ch’ei non conosceva che la voce degli ufficiali della prefettura. Allora l’ho stimolato a ripetere il mio discorso: ma egli ha detto solo: così ha parlato il duca, così il duca ha conchiuso; senza nulla aggiungere del suo. Finito quel discorso, alcuni dei miei appostati nella sala hanno gittate per aria i berretti, e una dozzina di voci ha gridato: viva il re Riccardo! Ho approfittato tosto di quelle poche voci, per dire: grazie, miei buoni cittadini; grazie, miei ottimi amici. Quest’acclamazione così piena e universale, e queste grida di gioia mostrano il vostro discernimento € l’affezione vostra per Riccardo. Così ho finito, e mi sono ritirato.
Gloc. Stupida e muta plebaglia! Perchè non volle essa parlare? Ma il Prefetto verrà qui coi suoi colleghi?
Buck. Il Prefetto è vicino; mostratevi intimorito dalla loro visita: non date loro udienza che dopo le più lunghe e le più vive istanze, e comparite innanzi ad essi con un libro d’orazioni in mano, accompagnato da due venerandi ecclesiastici: perocchè voglio fare una predica edificante sopra questo testo. Non vi arrendete che colla maggior ripugnanza alla nostra inchiesta. Recitate la parte della verginella, e rispondete no, anche accettando.
Gloc. Vado, e se riescirete così bene nella vostra parte sollecitandomi ad accettare, com’io son sicuro di ben riescire nella mia, rispondendovi no; non dubitate che non conduciamo il negozio ad un esito fortunato.
Buck. Andate, andate, salite nelle vostre stanze, il lord Prefetto è alla porta. (Gloc. esce) Ben venuto, milord; (entrano il lord Prefetto, alcuni magistrati ed altri cittadini) io stava qui aspettando il duca: credo ch’ei non voglia riceverne oggi. (entra dalla parte del castello Catesby) Ebbene, Catesby! che dice il vostro signore della mia inchiesta?
Cat. Vi prega, milord, di rimettere a un altro giorno la visita. Egli è chiuso con due santi ecclesiastici, e immerso in profonde meditazioni. Non vuol udir parlare di nessun affare temporale, che interromper possa i suoi pii esercizii.
Buck. Torna dal duca, buon Catesby, te ne prego. Digli che il Prefetto, i magistrati, ed io, mossi da motivi della maggior importanza, e che interessano noi al pari di lui, siamo venuti a sollecitare una conferenza seco.
Cat. Questo io farò tosto. (esce)
Buck. Ah! milord, questo principe non è un Eduardo. Ei non sperde il suo tempo con indifferenza, cullandosi sopra un letto voluttuoso: ma sta in ginocchio da mane a sera. Non coi cortigiani passa le ore in frivoli sollazzi, ma bensì versa in profonde meditazioni con dotti teologhi. Non nel sonno della mollezza ei s’immerge, per accrescere la pinguedine del suo corpo indolente; ma veglia in preghiere per arricchir la sua anima. Felice l’Inghilterra, se questo virtuoso principe volesse divenirle sovrano! Ma temo che non mai perverremo ad ottener ciò da lui.
Pref. Dio ci preservi da un tal rifiuto per sua parte!
Buck. Temo che egli non mai acconsenta: ma ecco di nuovo Catesby. (rientra Catesby) Ebbene, Catesby, che dice Sua Grazia?
Cat. Ignora a qoal fine abbiate radunato qui un tal numero di cittadini, e ne stupisce; sopratntto non essendone stato prima avvertito. Egli sembra anche temere che non abbiate fatto cattivi disegni contro di lui.
Buck. Son dolente che il mio nobile cugino sospetti di me: protesto al Cielo che è per zelo ed affezione che qui venimmo; tornate, ve ne prego, e assicuratene Sua Grazia. (Cat esce) Quando un uomo pio sta in preghiere, ben difficile è di ritrarnelo, tanto è il diletto che trova nelle sue contemplazioni! (entra Glocester in una galleria al disopra fra due vescovi. Catesby rìtorna)
Pref. Guardate dove sta Sua Grazia, fra due ecclesiastici!
Buck. Quelle son due colonne di virtù per un principe cristiano; essi lo sostengono e lo allontanano dagli scogli del vizio e della vanità. Mirate, ei tiene fra le sue mani un libro di preghiere: a queste mostre si riconosce un sant’uomo. — Illustre Plantageneto, graziosissimo principe, porgete orecchio favorevole alla nostra inchiesta, e degnatevi perdonarci d’interrompere le vostre pie lucubrazioni e i santi esercizi del vostro zelo cristiano.
Gloc. Milord, voi non avete bisogno di scuse con me. Son io che vi prego di scusarmi di avere, per intendere, è vero, a servire il mio Dio, ritardata la visita dei miei amici. Ma veniamo al fatto; che desidera da me Vostra Grazia?
Buck. Un favore che spero sarà gradito a Dio, e rallegrerà tutti i buoni cittadini di quest’isola commossa.
Gloc. Voi mi fate temere ch’io sia caduto in qualche fallo che abbia offeso il popolo; e certo venite per rimproverarmi la mia ignoranza.
Buck. Tale è appunto il nostro scopo, milord. Vostra Grazia si degnerebbe ella, ascoltando le nostre preghiere, di riparare al suo fallo?
Gloc. S’io rifiutassi, a che vivrei in un paese cristiano?
Buck. Sappiate dunque che voi siete colpevole lasciando il seggio supremo, il trono maestoso, e lo scettro sovrano dei vostri antenati, la eredità delle grandezze, a cui la fortuna vi innalza, così come i dritti legittimi della vostra nascita, trasmessi sino a voi dalla nobilissima vostra casa, al rampollo corrotto di un tronco disseccato, intantochè in mezzo all’indolenza de’ vostri pensieri solitari!, da cui veniamo a risvegliarvi oggi pel bene della nostra patria, questa bella isola si vede manomessa, senza braccia e senza capo; deformata dall’ignominia agli occhi delle genti; retta da sozzi re, e sepolta quasi nell’abisso profondo della vergogna e dell’obblio. É per ritrarla da tale abisso che veniamo a scongiurarvi con tutto il cuore di assumere il peso e il governo di questa terra, vostra patria. Non è un protettore, un reggente, un luogotenente, che vi chiediamo, agenti subalterni, che da schiavi s’adoprano in profitto di un altro: ma vogliamo vedere in voi l’erede che ha ricevuto di generazione in generazione i dritti successivi ad un impero che vi spetta. Ecco, signore, il nostro movente; ecco la giustizia che vengo ad impetrare da Vostra Altezza insieme con questi fedeli cittadini, e i vostri amici più teneri e più affettuosi: io sono qui l’interprete dei loro voti e delle loro ardenti preghiere.
Gloc. Io mi sto incerto fra il ritirarmi in silenzio, o il rispondervi con amari rimproveri. La prima cosa non si addirebbe al mio grado: la seconda offenderebbe i vostri sentimenti. Perocchè s’io mi ritiro senza rispondervi, potreste forse imaginare che lo facessi per muta ambizione, e che volentieroso fossi di portare il giogo dorato della sovranità che vorreste follemente qui impormi. Se poi vi rimproverassi con asprezza le vostre offerte che vestono il carattere di sì ardente affetto, io lederei i miei generosi amici. Per appagarvi dunque, evitando il primo sospetto, e per non cadere nel secondo sconcio, questa sarà la mia risposta. Il vostro amore è degno de’ miei ringraziamenti: ma il mio merito, che non è di alcun prezzo, mi ammonisce di essere inadeguato alla proposta che mi fate. Anzi tutto, quand’anche ogni ostacolo fosse tolto, e i miei passi mi conducessero direttamente al trono, come al giusto retaggio che mi spetta; tale è la povertà dei miei talenti e la moltitudine delle mie imperfezioni, non essendo io che una fragile barca inetta a reggere agli impeti di così vasto mare, che preferirei di togliermi le grandezze, piuttosto che correr rischio di dover imprecare allo splendore della mia gloria e di essere soffocato dall’incenso del trono. Ma, grazie al Cielo, lo Stato non ha alcun bisogno di me; e se qualche bisogno avesse, io non sarei tale da soccorrerlo; il ramo reale ne ha lasciato un frutto che, fatto maturo a poco a poco dagli anni, diverrà degno della maestà del trono, e ci renderà tutti felici sotto il suo regno. È a lui ch’io lascio il peso che vorreste mi assumessi; ei deve portarlo per dritti più immediati dei miei, e per stella più fortunata. — Dio mi preservi dal volergliene rapire con alcuna violenza!
Buck. Milord, tutto nella vostra risposta prova la delicatezza della vostra coscienza: ma tali scrupoli son frivoli, e debbono svanire da ch’essi vengono a ben pesare tutte le circostanze. Voi dite che Eduardo è figlio di vostro fratello, e noi lo consentiamo; ma ei non è nato dalla sposa legittima di suo padre. Perocchè il padre suo si era fidanzato prima con lady Lucy, e vostra madre può attestarlo; poi colla principessa Bona, sorella del re di Francia. Queste due spose dimenticate, si fe’ a lui dinanzi una donna supplichevole, una madre piena di famiglia, una vedova addolorata e sul declinare della bellezza, che, sebbene molto avanti negli anni, accese un resto di fuochi nella sua lasciva pupilla, o lo sedusse tanto da farlo cadere dall’altezza de’ suoi primi voti ail’abbassamente e alla vergogna di una abbietta bigamia. È da questa vedova, e nel suo letto illegittimo che egli ha generato quell’Eduardo, che l’abito e l’adulazione ci han fatto fin qui chiamare col nome di principe. Potrei querelarmene con parole anche più amare di queste, se, ritenuto dal rispetto che debbo a una persona vivente, non imponessi un freno rispettoso alla mia lingua. Perciò, mio buon prìncipe, riprendete per la vostra real persona questa dignità che vi appartiene e che vi è offerta. Se indifferente siete al motivo di renderci tutti felici, fatelo almeno per togilere lo scettro dei vostri illustri avi dalla stirpe corrotta, in cui l’han fatto cadere la depravazione e l’abuso dei tempi, per rimetterlo in quella linea alla quale solo spetta.
Pref. Acconsentite, mio principe: i vostri sudditi ve ne scongiurano.
Buck. Non rifiutate, principe illustre, l’offerta che vi fa il nostro amore.
Cat. Oh! rendeteli felici, aderendo alla loro giusta dimanda!
Gloc. Oimè! perchè volete opprimermi con tante inquietudini? Nato io non sono per le grandezze e la maestà del trono. Ve ne supplico, non ve ne offendete, se non posso arrendermi ai vostri desiderii.
Buck. Se pur persistete a rifiutare, rattenuto dalla ripugnanza che sentite a deporre un fanciullo, un figlio di vostro fratello che amate per generosità, perocchè noi ben conosciamo la tenera sensibilità del vostro cuore, e quella pietà molle e effeminata che abbiam sempre osservata in voi pei vostri parenti, e che si stende su sutte le classi de’ buoni... sappiate che anche in tal caso il figlio di vostro fratello non vivrà mai nostro re, e che porremo qualcun altro in trono, con disdoro e ruina della rostra casa. È con questa ferma risoluzione che vi lasciamo. — Venite, cittadini, troppo lungo tempo abbiam supplicato invano.(esce coi cittadini)
Cat. Richiamateli, caro principe; accettatela loro dimanda: se voi la rifintate tutto il regno ne porterà la pena.
Gloc. Volete dunque costringermi ad addossarmi tanta bisogna? Ebbene, richiamateli: io non sono di pietra insensibile. Sento che il mio cuore è commosso, e tocco dalle vostre tenere preghiere, (Cat. esce) quantunque sia contro la mia ooscteoia e la mia inclinazione, (rientra Buck. con tutti gli altri) Cugino di Buckingham..... e voi, uomini saggi e venerandi, poichè volete assolutamente collegare alla mia la vostra fortana e fumi portare, ch’io il voglia o no, il peso de’ vostri destini, forza è ch’io mi sottometta con rassegnazione. Ma se la nera calunnia o l’odioso rimprovero s’alzano quindi contro la vostra scelta, la violenza che mi fate m’assolverà da tutte le censure e le macchie d’ignominia di cui si tenterà lordare la mia persona: perocchè Iddio mi è testimonio, e abbastanza lo vedete voi stessi, quanto le mie idee e i miei desiderii fossero lontani da quest’opera.
Pref. Iddio benedica Vostra Grazia! Noi lo vediamo, e lo bandiremo per tutto.
Gloc. Dicendolo, non affermerete che la verità.
Buck. Io dunque vi saluto con questo titolo reale: lungamente viva il re Riccardo, degno re d’Inghilterra.
Tutti. Amen!
Buck. Piace a Vostra Maestà di esser coronato dimani?
Gloc. Quando vorrete, poichè a ciò mi stringeste.
Buck. Dimani dunque verremo ad accompagnar Vostra Altezza, e intanto col cuore pieno di gioia ci prendiamo congedo da voi.
Gloc. Andiamo (ai vescovi) a riprendere i nostri santi esercizii: addio bnon cugino; addio, ottimi amici.(escono)
Note
- ↑ Si allude a Glocester.