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atto terzo 261


Gloc. Il mio pugnale, piccolo cugino? con tutto il cuore.

Prin. Sei mendico, fratello?

York. Chieggo soltanto al mio buon zio, che so che mi appagherà: non è che un balocco che gli dimando; e non può dolergli di darmelo.

Gloc. Vo’ fare a mio cugino un più bel dono.

York. Un più bel dono! Oh! certo volete aggiungervi la spada.

Gloc. Sì, cugino amabile, se essa fosse abbastanza leggiera.

York. Dunque m’avveggo che non volete farmi che doni leggieri, e che in dimande più gravi non mi compiacereste.

Gloc. Questa spada sarebbe troppo pesante per Vostra Grazia.

York. Foss’ella anche più grave, e non l’avrei che in conto di ben leggiera.

Gloc. Vorreste dunque la mia spada, piccolo lord?

York. Sì, per compensarvi dell’epiteto che mi date.

Gloc. Quale?

York. Piccolo.

Prin. Milord di York sarà sempre contradditore: ma voi, mio zio, sapete come sopportarlo.

York. Vorreste dir portarlo, e non sopportarlo. — Zio, mio fratello si fa beffe di voi e di me. Perchè son piccolo come una scimmia, ei crede che potreste sostenermi sulle vostre spalle.

Buck. Con quale acume ei ragiona! Per mitigare il sarcasmo che lancia verso suo zio, sa destramente motteggiare se stesso. Meraviglioso è il vedere tanta astuzia in così giovine età.

Gloc. Mio grazioso signore, volete rimettervi In via? Io stesso e il mio buon cugino Buckingham andremo da vostra madre per supplicarla di venirvi ad incontrare alla Torre, e di farvi la buona accoglienza.

York. Che! vorreste voi andare alla Torre, milord?

Prin. Milord Protettore crede che ciò sia bene.

York. Ei non dormirà placidamente nella Torre.

Gloc. Perchè, signore? di che temete?

York. Perchè quel luogo è frequentato dall’ombra sdegnosa del mio zio Clarenza, che la mia avola mi disse essere stato colà assassinato.

Prin. Io non temo zii morti.

Gloc. Nè vivi, ho fede.

Prin. Se vivono, ben credo che non avrò motivo per temerli. Ma venite, milord, e con mesto cuore pensando ai nostri cari, andiamocene alla Torre. (esce con York, Hast., il Card., e il seguito)