Vita di Giacomo Leopardi/Capitolo XVIII

Capitolo XVIII. Il sussidio fiorentino e il sodalizio col Ranieri
Capitolo XVII Capitolo XIX

[p. 350 modifica]350 Capitolo XVIII. IL SUSSIDIO FIORENTINO E IL SODALIZIO COL RANIERI. 1830-1831. Sommario : Il Leopardi tornato a Firenze, prende alloggio vi- cino al Colletta. — Va in giro a restituire visite. — Carlotta de' Medici-Lenzoni. — Fanny Targioni-Tozzetti. — Nuova edi- zione delle poesie, da mettere in vendita per associazione. — Antonio Ranieri. — Il primo patto del sodalizio. — II Ra- nieri va a Roma dietro la Telzet. — Il Leopardi affida a Luigi De Sinner tutti i suoi manoscritti filologici. — Il Ranieri torna a Firenze. — Condizioni di salute del Leopardi. — L' edizione dei Canti fatta dal Piatti. — Il Collotta invia al Leopardi l'ultima rata del sussidio fiorentino. — Relazioni fra il Leopardi o il Colletta. — Nomina del Leopardi a de- putato di Recanati nella rivoluziono del 1831. — Lettera di Monaldo al figlio. — Risposta di Giacomo al Comitato. — La bellezza 6 una tacita menzogna. — L'abito turchino ridotto all'ultima moda.— Visita del poeta alla Targioni nella pri- mavera del ISJil. — L'album della signora. — Visita a Carlotta lionajiarte. — .Soliloqui d'amore. — Lo scialle della Tnrgioni. — Visito alla niarcliosa Sacrati. — Improvvisa risoluzione d'an- dare a Roma. Il 29 aprile 1830 il Leopardi partì da Recanati per Firenze. Si trattenne a Bologna dieci jjiorni, noi quali, come sappiamo, non trovò il tempo di faro una vi- sita alla Malvezzi. Rivide gli altri umici, o mandò alla Paolina il suo ritratto, regalatogli dal IJrighcnti, che lo aveva fatto incidere per la disegnata edizione delle opero complete di lui. Arrivato a Firenze, stette por un meso alla locanda della Fontana; poi trovò una dozzina in Borgo degli Albizzi, vicinissimo al generale [p. 351 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 351 Colletta; ma l'alloggio aveva molti inconvenienti; onde egli ci stava poco volentieri e cercava di cambiare.^ Pochi mesi prima del suo arrivo era corsa la voce ch'egli fosse morto. < Questa nuova, scrisse il 18 mag- gio alla Paolina, destò qui un dolore tanto generale, tanto sincero, che tutti me ne parlano ancora con tenerezza, e mi dipingono quei giorni come pieni di agitazione e di lutto. Giudicate quanto io debba ap- prezzare l'amicizia di tali persone. > Scrivendo così alla sorella, probabilmente paragonava in cuor suo la sollecitudine degli amici di Firenze alla indifferenza, per non dir peggio, di sua madre. Alla quale dieci giorni più tardi mandava una let- terina, rimasta finora inedita, che nella sua brevità e semplicità è terribile. < Pare impossibile, diceva, che si accusi d'immaginaria una così terribile incapacità d'ogni minima applicazione d'occhi e di mente, una così completa infelicità di vita come la mia. Spero che morte, che sempre invoco, fra gli altri infiniti beni che ne aspetto, mi farà ancor questo, di convincer gli altri della verità delle mie pene. > Nei mesi di maggio e giugno fu spesso in giro per la città a restituire visite. Fece nuove amicizie e co- noscenze. Fra le signore alle cui conversazioni era più assiduo, due meritano speciale menzione: Carlotta de' Medici-Lenzoni e Fanny Targioni-Tozzetti nata Ronchivecchi. La Lenzoni era una gentildonna della migliore ari- stocrazia, protettrice delle lettere e dei letterati, delle arti e degli artisti; aveva comperato, e salvato da pros- sima rovina, la casa di Giovanni Boccaccio a Certaldo; aveva contribuito generosamente alla colletta che diede modo a Carlo Botta di proseguire le sue storie italiane; aveva commesso allo scultore Tenerani la statua della Psiche, che adornava le sue sale; nelle quali conveni-

  • Epistolario, voi. II, pag. 389, 390. [p. 352 modifica]352 CAPITOLO XVIII.

vano quanti erano o capitavano in Firenze uomini il- lustri nelle lettere, nelle scienze, nelle arti. La Len- zoni nel 1830 aveva 44 anni, non era bella, ed era un po' curva di spalle ; ma la sua coltura, il suo spirito, la sua educazione squisita e la sua passione per ogni bella e nobile cosa facevano pregiata la sua amicizia e desiderata la sua conversazione. Fra le attrattive della Targioni primeggiavano la bellezza e la grazia. Era moglie del professore An- tonio Targioni, botanico e medico illustre; era nel primo fiore della maturità (aveva 29 anni); ed era, secondo il Leopardi, bellissima e gentilissima, anzi la bellezza e l'amabilità stessa.' In casa Lenzoni e in casa Targioni convenivano quasi tutti gli amici del Leopardi: la Targioni aveva tra essi, ed anche fuori di essi, molti ammiratori e corteggiatori, ai quali era prodiga de' suoi graziosi sorrisi. La sua bellezza era di quelle che facilmente si attirano la corte degli uomini galanti, ma che an- che facilmente fanno perdere la testa e possono essere cagione di grande infelicità agli uomini eccessivamente sensibili ed immaginosi. Non mi risulta quando pro- priamente il Leopardi facesse la conoscenza di lei; ma nel luglio del 1830 ci andava già in casa; e poco tempo dopo, ai primi di settembre, essendo andato ad abitare in via del Fosso, ebbe forse occasiono di ve- derla più spesso, per la vicinanza maggioro, abitando la Targioni in via Ghibellina. Nclhi nuova dimora il liCOpardi si trovò assai meglio, anche perchò aveva vicino alla sua parecchie case di conoscenti ed amici, nelle quali passar qualche ora. Quando egli non po- teva uscirò, andavano loro a tenergli compagnia." Uno dei primi pensieri del poeta, appena stabili- tosi a Firenze, fu di procurarsi qualche guadagno. Con- > EpMolarh, voi. II, png. 422. « Irlom nna iHfl Idem, png. 408. [p. 353 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 353 sigliatosi col Colletta e col Vieusseux, pensò di pro- cacciarsi qualche denaro con una nuova edizione delle sue poesie, da mettere in vendita per associazione. Nel luglio pubblicò il manifesto, nel quale era detto che la nuova edizione comprenderebbe sotto il titolo di Canti di Giacomo Leopardi le poesie di lui già stam- pate (escluse quelle che intendeva di rifiutare) ed al- cune nuove. Le poesie già stampate avrebbero avute molte correzioni dell'autore. Invece delle prose, che nelle precedenti edizioni andavano unite alle poesie, e che ora intendeva rifiutare (cioè le dediche al Monti e al Trissino, la Comparazione delle sentenze di Bruto minore e di Teofrasto vicini a morte, e le Annotazioni alle Canzoni), prometteva una lunga prosa nuova di argomento compagno a quello di uno dei canti.^ Ap- pena pubblicato il manifesto, ne mandò copie ai suoi amici, pregandoli di trovare sottoscrizioni. Tutti si diedero attorno con gran premura; ma più di tutti i Tommasini, che in breve tempo ne trovarono un cen- tinaio. L'associazione andò sul principio così bene, che il 9 settembre Giacomo, scrivendo alla Paolina, le di- ceva: < Non vi date pensiero alcuno di associazioni costà: ne ho già da 5 in 600, e si aumentano sem- pre. >■ Quando, alla fine di novembre, si trattò di con- cludere la stampa del volume, le sottoscrizioni erano settecento. Oltre la sottoscrizione per le poesie, cercava an- che altre vie di guadagno. Sapeva che c'era nell'Alta Italia, oltre lo Stella, un libraio veneziano, di polso e ben pagante, l'Antonelli; e pregò il Vieusseux di met- terlo in relazione con lui, per averne lavori di compi- lazione direzione, del genere di quelli per lo Stella. Ma il tentativo, se fu fatto dal Vieusseux, non ebbe, pare, alcun resultato.

  • Vedi il manifesto in Scritti letterari ec, voi. II, pag. 375, 376*
  • Epistolario, voi. II, pag. 398.

Chiakim, Leop. 23 [p. 354 modifica]354 CAPITOLO XVIII. ^._ Con lo Stella e con la famiglia* di lui il Leopardi aveva mantenuto relazioni amichévoli anche dopo ces- sate quelle d'affari. Gli Stella seguitavano a doman- dargli notizie della sua salute; e nel 1829 il figlio Luigi, volendo pubblicare una collezione di ritratti di donne, celebri, gli scrisse domandandogli consigli, e pregan- dolo di scriverne uno, del quale lasciava a lui la scelta fra una lista di donne che nominava. Giacomo rispose che avrebbe fatto il ritratto della Albrizzi, a condizione che la salute non lo impedisse; e lodando l'impresa, raccomandava che la galanteria non ren- desse r editore troppo indulgente. Ma la salute lo im- pedì di mantenere la promessa. In mano degli Stella erano rimasti VEpittcto e V Iso- crate, che oramai, abbandonata da Giacomo l'idea della raccolta di Moralisti greci, non avevano più intenzione di pubblicare. Offrirono di restituirli all'autore, la- sciandolo assoluto padrone di disporne a suo piacere, e lo avvisarono che avevano anche ritrovato il mano- scritto del Saggio sugli errori popolari degli antichi. Il Leopardi accettò, ringraziando, la restituzione del- VEpittcto e ([qW Isocrate^ e pregò gli Stella di ritenere ancora il Saggio. Essi intanto furono ben contenti di incaricarsi di trovare associati alla nuova edizione delle poesie, della quale avevano ricevuto da Firenze i manifesti. « * In questo tempo il Leopardi acquistò un nuovo amico, la cui persona ò strettamente legata ngli ul- timi unni dell'infelice sua vita. Ilo nominato Antonio Ranieri. Nato in Napoli nel IHOG, di famiglia sufllcionte- mcnte agiata, desideroso di conoscere il mondo e di farBi conoscere, desideroso d'istruirsi e di godere la vita, desideroso di libcrtA, il Ranieri aveva comin- ciato a viaggiare giovanissimo. 11 i)adrc o la niadru [p. 355 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 355 lo avevano lasciato andare e gli avevano, la madre specialmente, fornito i mezzi, anche per timore che, col suo ardente carattere, potesse in patria, sotto il sospettoso e tirannico governo del Borbone, compro- mettersi. Recatosi nel 182G a Roma, rivide là Carlo Troya, amico della sua famiglia» e fuggito di patria, perchè compromesso nella rivoluzione del 1820: in compagnia di lui, seguitando i suoi viaggi, passò prima a Bologna, poi a Firenze, dove trovò altri suoi rag- guardevoli concittadini, che avevano anche essi ab- bandonato per ragioni politiche il Regno, cercando riparo in Toscana. A Firenze frequentò il Gabinetto Vieusseux, dove conobbe per la prima volta, il 29 giu- gno 1827, il Leopardi, ed altri degli uomini illustri che là convenivano, con alcuni dei quali, particolarmente col Niccolini, strinse amicizia: ma col Leopardi non ebbe allora occasione di entrare in grande intimità. Per le sue relazioni col Troya venne sospettato di liberalismo ed esiliato dal regno. La notizia dell' esilio gli giunse a Firenze nel 1828 quando egli, avvisato che sua madre era gravemente malata, aveva chiesto al governo toscano il passaporto per correre a rivederla. Po.chi giorni dopo gli giunse la notizia eh' era morta. Nell'autunno del 1828, mentre il Leopardi tornava, coi^e sappiamo, a Recanati, riprese i suoi viaggi, vi- sitando la Svizzera, la Francia, l'Inghilterra. Restitui- tosi nell'estate del 1830 in Italia, rivide a Genova la celebre attrice Maddalena Pelzet, che aveva conosciuta a Firenze per mezzo del Niccolini, e della quale co- minciò, pare, allora ad innamorarsi. Da Genova il Ra- nieri tornò nel settembre a Firenze, latore di una let- tera della Pelzet al Niccolini: rivide gli altri conoscenti ed amici, che tutti gli fecero festa. Era un bel giovane, alto della persona, biondo, di aspetto gentile, di maniere insinuanti,- pieno di entu- siasmo per tutto ciò che gli appariva jiobile e bello ; ed aveva un' attitudine particolare a flettere in mo- i [p. 356 modifica]356 CAPITOLO XVIII. stra e far valere le sue migliori qualità fisiche e mo- rali. Non è perciò a meravigliare se, riuscendo sim- patico a tutti, specialmente alle donne, aveva lasciato a Firenze buona memoria di sé. Una delle prime sue visite fu per il Leopardi, che andò a trovare il 10 settembre 1830 nel suo quar- tierino in via del Fosso. Aveva sapute dagli amici le misere condizioni di lui, e n'era rimasto commosso. La vista dell'amico, che in quei due anni da che non si erano più veduti era molto deperito, gli fece dolo- rosa impressione: e sopra tutto lo afflisse la tristezza disperata di lui, derivante dalla paura di un forzato ritorno, più o meno prossimo, a Recanati. Strappata- gli la cagione di quella tristezza, il Ranieri in uno slancio di giovanile generosità ofi'rì al Leopardi il suo aiuto e la sua compagnia; e da quel punto cominciò, si può dire, il patto, se non il fatto, di quello che il napoletano chiamò il suo sodalizio col poeta di Reca- nati. La vita dispendiosa del giovane che viaggia, fatta fino allora dal Ranieri, doveva naturalmente far cre- dere al Leopardi che la famiglia di lui fosse ricca, o almeno molto agiata; e che nel sodalizio, dove cia- scuno dei due sodali avrebbe contribuito in quanto poteva, fosse facile, e niente incomodo, al più dovi- zioso supplire alla deficienza dell'altro. Il padre d(»l Ranieri non era ricco, ed aveva ben dieci figliuoli; ma ò noto a chi conobbe intimamente la famiglia di lui, che un amico di essa molto dena- roso contribuì con larghezza, vivente la madre, alle speso dei viaggi di Antonio. Onde ò naturalo che que- sti confìdaHsc, anche dopo la morto di lei, nell'aiuto del suo protettore. < Tutto ò poesia nella gioventù > ' scrive il Ranieri. E a lui dovè sorridere come una bella poesia l'idea ' 8tH4 anni di nodalizio con Giacomo Leopardi /fi ajtoU, Tipo- grafia Giannini, MDCOOLXXX, png. 12. — In queato libro, oh* Nu«citò tnnto polomicho, il Ranieri narrò da aè, quarantatre [p. 357 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 357 di dedicare la sua vita a sollevare le miserie di un grande infelice, a tenere accesa finché fosse possibile la fiamma di un alto intelletto che minacciava di spe- gnersi. Egli aveva, come dissi, desiderio di farsi co- noscere nel mondo, e si sentiva degno di avvicinarsi a quella fiamma. La comunione con essa poteva tor- nargli utile: qualche raggio di quella luce si sarebbe probabilmente riflesso sopra il suo capo. Dall'altra parte al Leopardi, rassegnato oramai alla elemosina degli amici, dovè sembrare una fortuna l'ofierta del giovane napoletano, che lo salvava per sempre dallo spettro di Recanati. Intanto, per cattive che fossero le condizioni di salute del Leopardi, non dovettero al Ranieri sem- brare così gravi (e realmente non erano), ch'egli non credesse di potere senza pericolo allontanarsi per qual- che tempo da Ini, e rimettere a migliore occasione il principio del sodalizio. Dedicatosi agli studi della storia, ed innamoratosi della Pelzet, il giovane napoletano aveva stabilito di andare a Roma a frugare nelle biblioteche, e a rive- dere la bella attrice che là recitava. Non nascose il suo proposito al nostro poeta, il quale, ben lieto di anni dopo la morte tlol Leopardi, le sue relazioni con lui; ma ingannato, parto dalla memoria, parte dalle sue passioni, rap- presentò i fatti sotto una luce così diversa dalla realtà, me- scolò ad essi tante notizie false ed inesatte, che quello, che avrebbe dovuto essere un aiuto prezioso per i biografi del poeta, riuscì invece un inciampo. Tuttavia non si può, chi voglia par- lare degli ultimi anni della vita del Leopardi, non tenerne conto. Ed io me ne son valso, cercando, con l'aiuto di altri do- cumenti, di trar fuori da quello strano miscuglio di sentimenti e pensieri buoni e cattivi, di esagerazioni e di falsità, ciò che al lume della critica mi è parso vero. Inutile dire che ho te- nuto molto conto del libro del dott. Franco Ridella, Una spen- tura jwgtitma di Giacomo Leopardi (Torino, Clausen, 1897), nel quale sono confutati e rettificati molti errori del Ranieri. Ho accettato le rettificazioni che mi son parse giuste, ma mi sono studiato di evitare il pericolo che il grande affetto al Leopardi mi facesse essere ingiusto verso l'amico suo. [p. 358 modifica]358 CAPITOLO XVIII. secondarlo, gli diede questa letterina di presentazione pel suo amico P, E. Visconti di Roma. < Mio caro Pietrino, ti raccomando il mio amicis- simo Antonio Ranieri, Cavaliere napoletano, qui mores liominmn muUorum vidit et tirbcs, giovane d'ingegno raro, di ottime lettere italiane, latine e greche, di cuore bellissimo e grande. Desidera acquistar cono- scenza massimamente di giovani e di belle donne, desidera cercar nelle biblioteche. Pochi possono sod- disfarlo di queste cose come puoi tu; ed io, se lo fa- rai, te ne sarò tenutissimo. >'

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Mentre il Ranieri stava a Roma cercando docu- menti nelle biblioteche, ammirando sulle scene e fuori la Pelzet e divertendosi coi giovani e le belle donne, capitò a Firenze un filologo svizzero. Luigi De Sinner, stabilito a Parigi, dove attendeva ad una edizione del Tesoro dello Stefano. Fu presentato al Gabinetto Vicus- seux, ed ivi sentì parlare del Leopardi e dei mera- vigliosi lavori di filologia fatti da lui in gioventù ed ora abbandonati. Desiderò di conoscerlo; e fu dal Vieusseux stesso accompagnato a casa del poeta il 23 ottobre. Dopo breve conversazione, il forestiero ri- conobbe subito di trovarsi dinanzi ad un uomo vera- mente straordinario per ingegno e per dottrina; ne andò predicando per Firenze le meraviglie; e si mo- strò con lui e con gli altri desideroso di aiutarlo a cavare qualche profitto di fama e di danaro da tante fatiche. Il Leopardi, contontissimo di ciò, si fece subito mandare da casa due copio dello Annotazioni (dl'Eu- srliin. Me diede iiiia al forosticro, corno saggio dei suoi

  • Kpittohtrlo, voi. II, png. 800 o 400. [p. 359 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. :i59

lavori, ed ebbe con lui molte sedute, dopo lo quali gli fece consegna formale di tutti i suoi mss. filologici, appunti, note, ecc. cominciando dal Porphyrius : < Egli, se piacerà a Dio, scrisse alla Paolina, li redigerà e completerà e li farà pubblicare in Germania; e me ne promette danari e un gran nome. > ' Monaldo, in- formato di ciò, credè suo dovere di mettere sull'av- viso il tiglio circa la possibile malafede del forestiero; ma Giacomo rispose cli'tra stato avvertito da lui stesso del pericolo; che d'altronde il suo carattere ispirava ogni possibile fiducia.^ E la fiducia ch'ebbe in lui fu a tutta prova. Passarono i mesi, passarono gli anni, e delle grandi speranze fondate sulle promesse del forestiero non ne vide avverarsi nessuna; cioè tutto si ridusse alla pub- blicazione fatta nel 1834 dal De Sinner in un gior- nale di Roma di un piccolo Spicilegio degli scritti filologici leopardiani, con molte lodi dell'autore. Tut- tavia il Leopardi non dubitò mai della buona fede del De Sinner, col quale anzi andò stringendo sem- pre più viva e forte amicizia: se le speranze di gua- dagno da lui fattegli balenare rimasero senza effetto, lo attribuì alla contrarietà dei tempi, non a mancanza in lui di buona volontà. E forse ebbe ragione : forse il De Sinner aveva promesso ciò che, esaminati me- glio i manoscritti, vide impossibile a mantenere. L'unico piccolo guadagno che essi poi diedero, ventun anni dopo la morte di Giacomo, andò (e non fu male) ad alleviare la miseria del filologo svizzero, il quale morì a Firenze, dopo essersi convertito al cattoli- cismo. Giacomo sperava di riabbracciarlo xa-c' ào?o8sXòv Xcinwvx ; ma egli, curando più il bene dell'anima sua che l'amicizia, al momento di partire per l'altro mondo prese il biglietto per il Paradiso, dove poteva esser certo che non avrebbe trovato il Leopardi. ' Ei)istolavh, voi. II, pag. 402. - Idem, pag. 405. [p. 360 modifica]360 CAPITOLO XVIII. 11 Ranieri tornò a Firenze il 10 novembre quando il De Sinner stava per partire. Tre giorni dopo fu cacciato da P'irenze il Giordani, cacciato in un modo indegno da quella polizia, ch'egli aveva tanto lodata. Ebbe, a un'ora di notte, l'intimazione di partire entro ventiquattr'ore. Tutti gli amici, compreso il Leo- pardi, ne furono dolenti: l'unico che il Giordani ac- cusò di freddezza e d'indifferenza fu il Capponi, né il Vieusseux e il Colletta riuscirono a persuaderlo del contrario. Alla fine di novembre il Colletta concluse col li- braio Piatti la stampa dei Canti del Leopardi, per il cui manoscritto il libraio stesso, accettate le sotto- scrizioni raccolte, consentì di dare all'autore un com- penso di ottanta zecchini.' Nel dicembre fu cominciata la stampa, alla correzione della quale attese il Ra- nieri, che dopo il suo ritorno era andato a stabilirsi nella casa stessa del Leopardi in via del Fosso, per non abbandonarlo mai nò la notte né il giorno.' Certo in questo tempo le condizioni di salute del poeta erano molto tristi, e la pietosa lettera scritta il 1 5 dicembre, con la quale dedica i Canti agli amici suoi di Toscana, no è un documento irrepugnabile. Con essa egli dice che, per correggere le stampe del suo libro, aveva dovuto servirsi de(fli occhi e della mano d'altn, e definisco so stesso un tronco che sente e pena. Tut- tavia in ciò che scrive il Ranieri dello stato, nel quale al suo ritorno da Roma trovò l'amico, c'ò della esa- gerazione. A sentirò lui, Giacomo era poco meno che moribondo: invece questi il 4 dicombro scriveva al padre che la sua salute era più tollerabile del solito, o piuttosto come soleva essere nelle stagioni inedie e tempe- ratissime. Dico il Ranieri che la camcruccia del poeta, quando egli tornò, era più che mai deserta; mentre ' Vodi l'piitlotaflo, voi. II, pag. AOTt in noln.

  • Vodi Mt« anni di Sodalizio oc, png. 11, 12. [p. 361 modifica]IL SUSSIDIO FIOUENTINO EC. 361

questi aif'enna, come abbiamo visto, che quando nou poteva uscire, aveva gente che andava a tenergli com- pagnia. Non si può ammettere che proprio all'arrivo del Ranieri si fosse fatto il vuoto intorno al Leopardi ammalato, e che ciò ch'egli scriveva della sua salute ai parenti e agli amici fosse in tutto il contrario della verità. La lettera di dedica dei Canti, sulla quale il Ranieri fonda le sue asserzioni, è una descrizione fe- dele, non tanto dello stato fisico del poeta in quel momento, quanto di tutta l'infelicità della sua vita. Escluso dal mondo e ristrettosi negli studi, s'era a venti anni veduto ridurre a meno che mezzo quell'unico bene, e a ventotto se lo vedeva togliere del tutto e per sempre. 11 suo strazio maggiore era di non poter lavorare, ed era accresciuto dallo spavento di dover tornare a finire i suoi giorni a Recanati. Dalle let- tere dei primi mesi del 1831 risulta che la sua sa- lute, se non era migliore, non era peggiore di quel che fosse a Recanati dall'autunno del 182S in poi. L' 8 febbraio dava alla Paolina notizie quasi iden- tiche a quelle date il dicembre innanzi al padre: < Della salute io soffro meno del solito, perchè que- st'inverno non è che un prolungamento dell'autunno e della primavera, sole stagioni nelle quali, quando vanno bene, io vivo tollerabilmente. > La lettera con- teneva anche questi altri particolari: «Io non man- gio una sola volta il giorno, né due sole, né tre: non ho più metodo alcuno, e vi farei ridere raccontandovi la mia vita, se non fosse cosa lunga.... > E nel marzo scriveva alla Maestri: < Io sto di salute mediocre- mente, anzi direi bene, se potessi applicare. >' Chi dava queste notizie di sé non era un mori- bondo; era però un malato cronico, il quale doveva usarsi grandissimi riguardi, perchè i suoi mali non si inacerbissero.

  • Epistolario, voi. II, pag. 412. [p. 362 modifica]362 CAPITOLO XVIII.

•x- Nell'aprile del 1831 fu pubblicato il volume dei Canti, ma senza la nuova lunga prosa promessa nel manifesto, né la vecchia che, in surrogazione di quella, il poeta aveva accennato al Colletta di voler met- tere,' La nuova non potè, credo, comporla: mettere la vecchia dovè all'ultimo momento sembrargli un ri- piego non degno di lui. Il volumetto, che conteneva due poesie nuove del più alto valore, Le ricordanze e il Canto del pastore errante dell'Asia, non aveva bi- sogno di riempitivi, che gli avrebbero scemato, non accresciuto importanza. Mentre il volume stava per uscire, il Colletta con lettera in data del 1" aprile inviava al Leopardi l'ul- tima rata del sussidio fiorentino, scusandosi del non poterlo rinnovare, a causa delle sue misere condizioni economiche. < Lo avrei potuto molti anni fa, dico nella lettera, oggi noi posso : perchè io stesso, amico mio, • Il Colletta Bcrivdva r1 Capponi il 23 ottobre 1830: « Vidi il Leopardi, ohe sta al solito; e ormai por Ini, cioò per In sua stnmpa, 8Ìnnio fuori d' imbarn/zi, avendo egli sciivnta un'anti- caglia di prowtt, stampata volantoinonte, poco nota, da surrogarn alla prosa lunga promessa noi manifesto : il pubblico lìordoncuiv tutto le liconzo ni Leopardi.» {Lettem di (• ino Cappotti n di altri a lui, voi. 1, pag. 316.) li Mestica credo obo in lunga prosa nuova promossa noi n>anifoHto dovoKSo essoro II Copernico o II Diahujo di yiotino « di J'orflrio. (Vodi Scritti li*f larari di Giacomo I.no- pardi, voi. II, pag. 875, 37(5 in nota.) A mo ciò paro poco pro- babile, purcbii nessuna di quello duo proso ò proprinmonto di argomento compagno a ijimllo di uno dui Canti, corno era proino.sHo noi ninnifusto. So mai, dolio duo, dovrol>bo o«Moro il Piaìof/o ili Plotino é di l'orflrio, olio tratta <IoI suicidio, argomento cbo Ita qualche analogia col Urnto minor». Io erodo piiittoNto cbo la nuova lunga prosa foMso uno ucritto cbo il Leopardi voleva comporrò, o non potò. A<1 ogni inodn mi paro strano ch'egli *1 potoHso ponsnro neppure piir un istante n sostituire alln prosa promossa nn'nnlicnglia di prona, gtanipala l'olanlament», poco notflf corno dico il Coltottn. [p. 363 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 363 stento la vita con la mia fiiniiglia, e misuro per ogni spesa (pur quella delle medicine) il poco più o meno. > La lettera finisce così: < Possa l'Italia pregiar l'opere vostre quanto esse meritano, ed arricchirvi. Il quale mio voto suppone l'altro ch'io fo caldissimo di ve- dervi ristabilito in salute ed occupato a pubblicare i lavori che avete nello scrigno, gli altri che avete in mente. >' Qualcuno ha sentito in queste parole un po' d' ironia : le apparenze dell' ironia ci sono, ma a me ripugna credere che l'animo del Colletta, buono, per quanto impetuoso e irritabile, fosse capace di una malignità così raffinata: né le piccole cagioni del suo risentimento verso il Leopardi spiegherebbero l'atroce oftesa. È fuori di dubbio che dopo qualche tempo dall'ar- rivo di Giacomo in Firenze le relazioni fra i due amici si erano andate raffreddando. Il Leopardi non aveva potuto comporre nessuno dei tanti lavori dei quali aveva parlato nelle sue lettere da Recanati al Colletta ; non aveva potuto (ciò che al Colletta importava molto più) dargli l'aiuto ch'egli aspettava da lui nella cor- rezione della storia. Di ciò lo storico napoletano si la- gna con amare parole nelle lettere al Capponi.* Né meno amaramente si lagna che, pubblicatosi dal Piatti il volume dei Canti, il Leopardi omettesse di mandarlo a lui e al Capponi. < Credo, gli scrive, che dei suoi amici tu ed io siamo rimasti soli a non avere il suo libro; né più glie ne parlo; né m'importa. Ho riletto parecchi dei componimenti antichi, alcuni dei nuovi; e ti dico all'orecchio che niente mi è piaciuto. La medesima eterna, ormai non sopportabile, melan- conia; gli stessi argomenti; nessuna idea, nessun con- cetto nuovo: tristezza affettata, e qualche secentismo:

  • Americo De Gennaro Ferrigni, Leopardi e Collelta, episodio

di storia letteraria, narrato su nuovi documenti; Napoli, 1888, pag. 24.

  • Vedi Ledere di Gino Capponi ce, voi. I, pag. 333. [p. 364 modifica]364 CAPITOLO XVIII.

stile bello. > ' In questo giudizio sui Canti c'entra forse un po' di dispetto : a parte ciò, possiam dire che il Colletta non era la persona meglio adatta a sentire il pregio della poesia leopardiana. Se il malumore di lui è spiegabile, sarebbe ingiusto fare al Leopardi una colpa del non avere potuto lavorare né per sé né per l'amico. Se poi, come si è pure sospettato, il Colletta si ebbe a male che il poeta non dedicasse a lui solo i Canti, il torto in ciò sarebbe stato tutto suo. Con la lettera che abbiamo in parte riferita il Col- letta vuol lasciar credere al Leopardi che il sussidio fu dato da lui solo, o da lui nella massima parte; ciò che non era vero, e contradiceva alla lettera con la quale egli aveva offerto per la prima volta il bene- fizio e fattolo accettabile. Il Leopardi non sapeva chi erano gli amici che lo avevano sovvenuto, ma il fatto ch'essi erano rappresentati dal Colletta non lo auto- rizzava ad attestare a lui solo la sua gratitudine. Egli non ignorava che alcuni di essi, come il Poorio, che fu certo del numero, e lo stesso Colletta, non erano toscani ; ma con le parole Amici suoi di Toscana volle comprendere tutti; tutti quelli che gli avevano dato modo di venire a Firenze, che dimoravano allora in Toscana, che si riunivano con lui dal Vicusseux. La dedica fu dunque quale doveva essere; e a me piace credere che il Colletta non solo non ne rimanesse scontento, ma dovesse approvarla. A gloria di lui ri- maneva il fatto, notissimo a tutti, che il sussidio era stato opera sua. Io non credo che Giacomo sperasse che il sussidio, finito l'anno, si sarebbe rinnovato. Sa- peva di non aver potuto pul)blicare nessun lavoro; e perciò mancavano lo condizioni di una possibile rinnovazione. Che Giacomo poi omettesse per j)ropo8Ìto delibe- rato di màndaro in dono un esemplare dei ('unti al ' Vudi Utttr* di alno Capponi oc, voi. I, pag. 881, 882. [p. 365 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 365 Colletta e al Capponi, non mi pare possibile. Se l'avesse fatto, sarebbe stata una colpa imperdonabile. Dovè essere una vera e propria dimenticanza: o forse il poeta stimò inutile quell'invio. Essendo il Colletta quegli che aveva trattato col libraio la stampa del volume, dovè credere ch'egli potesse averne diretta- mente dal libraio stesso le copie che desiderava per sé e per qualcuno degli altri amici ai quali era de- dicato. L'animo del Leopardi, checché si sia detto, fu e si mantenne sempre buono e gentile. Egli potè, ce- dendo ad una momentanea irritazione, fare qualche atto scrivere qualche parola ingiusta contro chi lo aveva profondamente e iniquamente offeso, come il Tommaseo; non potè mai essere sconoscente verso chi lo aveva una volta beneficato. E posto che avesse (ciò che io non credo) qualche ragione di sdegno col Colletta, perchè avrebbe fatto uno sgarbo al Capponi?

  • *

Quando nella rivoluzione del 1831 i paesi delle Marche doverono nominare i loro deputati all'assem- blea nazionale da tenersi in Bologna, Recanati fece cadere i suoi voti unanimi sopra il nome di Giacomo Leopardi. Tra quei voti era (ciò che parrà strano, e non è) il voto di Monaldo, uno dei componenti il Comi- tato. Nessuno può credere che egli mandasse volentieri suo figlio a rappresentare la rivoluzione, quella rivo- luzione che aveva proclamato cessato di fatto e per sempre di diritto il dominio temporale del romano pon- tefice, quello, cioè, che il conte reazionario chiamava il suo dolcissimo governo. Il conte naturalmente desi- derava e sperava che la rivoluzione fosse subito do- mata; ma finché essa era trionfante e comandava, egli si sentiva in dovere di obbedire; come tutti coloro [p. 366 modifica]366 CAPITOLO XVIII. che hanno paura, e non hanno coscienza. Ciò non vuol dire che Monaldo si acconciasse subito di buona vo- glia all'idea di nominare deputato il suo Giacomo. Com'era della sua natura, egli aveva tergiversato as- sai : prima aveva cercato di distogliere i voti dal capo del figlio, dicendo che esso non avrebbe accettato; poi, quando vide che la sua opposizione era inutile, aveva lasciato fare, e dato il suo voto, con la quasi certezza che Giacomo ricuserebbe, e con la certezza che in- tanto così si guadagnava tempo. La deliberazione del Comitato era stata presa il 19 marzo: in data del 21 il Presidente la comunicò all'eletto con una lettera, nella quale fra le altre cose era detto, che il Comitato lo avea prescelto coti unanime acclamazione, ravvisando in lui quél degno soggetto che poteva desiderare per questa rappresentanza, atteso il corredo de tanti suoi lumi ; e che era certo eh' egli avrebbe corrisposto esuberantemente alla fiducia della sua patria, per le prove ad essa già date del suo eroismo. Contemporaneamente alla lettera del Comitato, e con la data dello stesso giorno, Giacomo ricevè una lettera del padre portante la stessa notizia infiorata di prudenti consigli. È una lettera che dipinge l'uomo. < Non ho potuto, diceva, impedire tale elezione, sulla quale non si volle che aprissi bocca, e in fondo non mi ò dispiaciuto che la città vi abbia dimostrata la sua fiducia. Sarei però molto dolente se vi vedessi accettare l'incarico in questi momenti di somma in- certezza nei quali ogni uomo saggio pensa a non com- promettere HO stesso e la sua famiglia. La Gazzetta di Bologna, annunziando che gli Austriaci lianno oc- cupato Cento, viene a diro ancora che il principio di non intervento potrebbe non impedire la occupazione di tutto lo Stato Romano. Trovarsi a Bologna con carattere pubblico al momento di una, ancorchò pas- seggera, invasione, potrebbe essere di gran pericolo, e cosi potrebbe essere difficile o periglioso partirne [p. 367 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 367 nell'ora della confusione.... Rispondendo alla Magistra- tura, potreste evitare un'aperta rinunzia e temporeg- giare un poco con qualche mezzo termine.... Così ren- dereste alla città nostra un altro servizio, procurandole qualche settimana di largo, e disimpegnandola da un'altra scelta, la quale in questi momenti, in cui gli uomini prudenti stanno in cautela, potrebbe cadere in qualche scarto. >' Quando Giacomo ricevè la lettera del Comitato e quella del padre, la rivoluzione era già soffocata : gli Austriaci orano a Bologna tino dal 21 marzo. Rispon- dendo il 29 al padre, gli accludeva la risposta da lui fatta al Comitato, perchè la suggellasse e la con- segnasse. Nella lettera al padre erano queste parole, che al Carducci fecero impressione non buona: < De- sidero sommamente che la città e la provincia si scordino ora finalmente di me e de' miei ; creda per certo che non possano farci cosa più vantaggiosa. > * Ma la impressione non buona fu distrutta dalla risposta di Giacomo al Comitato. Con questa egli ringraziava dell'onore fattogli e si mostrava dolente che le circo- stante canihìate rendessero ahneno per il momento ine- seguibili le disposizioni del Comitato a suo riguardo ; < ma esse, soggiungeva, non distruggono né la grati- tudine ben viva che io sento alla confidenza dimostra- tami da esse SS. VV., né il desiderio ardentissimo di servire cotesta mia patria, a qualunque mio costo e fatica, ogni qualvolta che lo consentano i tempi e che l'opera mia non paia dover essere, come in questo caso, del tutto fuori di luogo. >^ Da questa lettera appare che Giacomo non era scontento della dimostrazione fattagli dai suoi concit-

  • Dalle carte napoletane, in corso di stampa.
  • Epistolario, voi. II, p.ig. 413, 4U.

^ Questa lettera fu pubblicata per intero dal Carducci, nel suo scritto « Giacomo Leopardi deputato. » Vedi Opure, voi. X, pag. 3'J3 e seg. [p. 368 modifica]368 CAPITOLO XVIII. tadini, e che, per quanto il corpo di lui fosse disfatto, e la sfiducia avesse sostituita la baldanza patriotica, il cuore, quel nobile cuore che aveva palpitato nella Canzone aW Italia, era sempre lo stesso. Ed era destinato a nuove torture. Una volta il Leopardi, leggendo in Teofrasto de- finita la bellezza una tacita menzogna, oiwTiwaav àjiaxYjv, annotò : < Pur troppo bene ; perchè tutto quello che la bellezza promette e par che dimostri, virtù, candore di costumi, sensibilità, grandezza d'animo, è tutto falso. > ' Per quanto egli avesse fatto questa, e molte altre osservazioni, prima e poi, dello stesso genere, intorno alle donne ; per quanto male avesse pensato e scritto di loro, egli sapeva che < all'aspetto di una beltà che gli usi qualche piacevolezza, l'uomo è sempre più o meno soggetto a ricadere in tutte le stravagantissime illusioni dell'amore, ch'egli ha conosciuto e sperimen- tato impossibile, immaginario, vano. >' La dolorosa fine dell'amore per la Malvezzi non gli aveva inse- gnato nulla. Anche ora che, a trentadue anni, si sen- tiva, ed era, vecchio decrepito, anche ora doveva ri- cader vittima di quella funesta passione. Si avverava così quello che a diciannove anni aveva scritto nel diario: < Veggo bene che l'amore dev'essere cosa amarissima, e che io pur troppo (dico dell'amor te- nero e sentimentale) ne sarò sempre schiavo. >* L'infelice poeta era arrivato da appena tre mesi a Firenze quando, scrivendo alla Paolina, lo mandò questa singolare notizia: < Cosa incredibile! il mio abito turchino ridotto all'ultima moda, coi petti lun- iria fllotofla 90., voi. I, pag. 87U. i'i lir, pag. 389.

  • In '|ii Im volumo A pag. 92. [p. 369 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 369

ghissirai; e par nuovo e sta molto bene. Ditelo a Carlo. > ' Queste parole ci richiamano alla mente il Leo- pardi giovinetto che, al tempo del suo amore per la Cassi, si guarda nello specchio col manifesto desiderio di trovare nel suo volto qualche cosa che possa piacere. Nei primi due mesi, maggio e giugno, egli, come dicemmo, era stato spesso in giro per la città a re- stituire e far visite. Di cotesto visite dovè farne più d' una in casa Targioni, dove la cortesia ed amabilità della signora lo allettarono probabilmente a tornare. E se si compiaceva che l'abito turchino ridotto all'ul- tima moda gli stesse bene, probabilmente se ne com- piaceva per lei. Niente di più naturale che la Targioni, avendo sentito parlare del giovane poeta, del suo ingegno straordinario e della sua infelicità, lo accogliesse con molta benevolenza; e niente di più naturale che la bellezza e la grazia della signora facessero subito grande impressione nell'animo del poeta. Le visite di lui, se furono più rade nei primi tempi e quando la stagione inclemente o la salute men buona lo con- sigliavano a stare in casa, non furono mai intermesse del tutto. Nell'inverno di quell'anno egli non sentì il bisogno di allontanarsi da Firenze per cercare un clima meno rigido. Scriveva, come abbiamo visto, a casa che quell’inverno era un prolungamento dell'autunno e della primavera. Forse preferì riscaldarsi alle fiamme d'amore, che già cominciavano a raggiare dalla bella persona. Le visite del poeta a casa della Targioni cominciarono a farsi più frequenti dal settembre dopo ch'egli andò ad abitare in via del Fosso vicino alla casa di lei: e la maggior frequenza delle visite ac- crebbe l'ardore. Il piacere ch'ei provava a vederla, ad ascoltare la sua voce, a conversare con lei, co- minciò a farsi ogni giorno più vivo: poi il non ve- ' Epistolario, voi. II, pag. 396. Cbiakini, Leop. S4 [p. 370 modifica]370 CAPITOLO XVm. derla cominciò ad essergli un dolore: insomma a poco poco il poeta cominciò ad innamorarsi, senza quasi volerlo, io credo, confessare a sé stesso. Così passò l'inverno. Sopraggiunta la primavera, una mat- tina che egli andò per una delle solite visite, trovò la bella signora nelle vezzose sue stanze, seduta mol- lemente sopra un sofà, con intorno un profluvio e un profumo inebriante di fiori; la trovò che, raggiante di bellezza e circonfusa di voluttà, accarezzava, strin- geva al petto e baciava le sue bambine. Dinanzi a quella scena si sentì vinto ; sentì che il proposito, forse già fatto, di non innamorarsi, se n'era con quelle dolci aure primaverili volato via, e si abbandonò intera- mente al sentimento che lo soggiogava. L'esaltazione fu tale, ch'egli non pensò più alla sua deformità, non pensò più alle sue malattie; non ebbe dinanzi a sé che il piacere sovrumano che la vista di quella donna gli recava; e si tuflfò tutto nel pensiero di cotesto piacere. Da quel punto le visite alla Targioni furono il suo primo pensiero d'ogni giorno; studiava i pretesti per andarla a trovare; quando le era dinanzi spiava som- messamente i suoi desiderii per prevenirli ; stava dello mezze oro muto, timido, tremante, a guardarla. La signora aveva un ricco album di autografi ; ed egli fu felice di offrirsi a procurarlene quanti più potesse dai molti amici e conoscenti che aveva fra i letterati. Cominciò col farsi mandare dalla Paolina i due volumi del suo protocollo di lettere letterario, perché la signora scegliesso di lì ciò che più lo pia- ceva; scrisse al Rosini, gran faccendiere, uomo che aveva una quantità di relazioni stragrande; scrisse al De Sinncr a Parigi, al Galvani, e a quanti altri credo potessero favorirlo. Lo lettere erano vive, pressanti, come per cosa che gli stava grandemente a cuore: al Resini ne scrisse non meno di tro dal maggio all'ottobre del 1831; che fu il tempo in cui [p. 371 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 371 la sua passione per la Targioni lo fece maggiormente delirare. Ciò che il Ranieri, il quale faceva allora vita comune col Leopardi, scrive delle condizioni di salute dell'amico suo in questo tempo è grandemente esagerato: Giacomo aveva, come dicemmo, passato discretamente l'inverno, e all'avvicinarsi della primavera s'era cominciato a sentire meglio. Durante la primavera e l'estate fu an- che d' umore abbastanza lieto, come appare dalle sue lettere. Faceva molte passeggiate e andava spesso in conversazione, tanto che gli amici si erano allonta- nati da lui, non trovandolo mai in casa. Così scriveva il 14 giugno alla Paolina, pregandola di mandargli una copia del suo ritratto, e dicendole che quella sera stessa doveva esseì-e preseìitato a madame la Princesse veuve de NapoUon Bonaparte le jeune, dama di molto spirito che avea posto sossopra mezza Firenze per in- durlo ad andare da lei.' Poi il 2 luglio le riscriveva, facendole un po' di ritratto della dama, ch'era stato a visitare per la terza volta, e la diceva une charmante personne, pas belle, mais douée de beaucoup iVesprit et de gout, et fort instritite.* Scriveva anche al padre, dandogli nuove sempre abbastanza buone della sua salute. < Il mio vitto, diceva, è tornato quasi a quel che era prima di andare a Roma. Mangio ad ore fisse; per lo più quattro volte il giorno. Mangio qualunque sorta di cose, fuori solamente lardi e brodi grassi. >' Che in quel tempo egli fosse migliorato, lo am- mette, nonostante le sue sperpetue, anche il Ranieri. < Il malato, egli scrive, andava in un certo modo al meglio ; e, coni' era sua natura, cominciava a presu- mere un poco troppo del fatto suo. Di che seguì che, mentre gli si leggevano apertamente, sulla fronte e sulla persona tutta, i segni più tristi di malvagissimi

  • Epistolario, voi. II, pag. 423.
  • Idem, pag. 428, 429. [p. 372 modifica]372 CAPITOLO XVIII.

umori, ed i messi inclementi di più o meno immatura morte, egli si spingesse a vani e inavvertiti soliloqui d'amore, che, non senza mio grande rammarico, ol- trepassavano di gran lunga i confini imposti alla di- gnità di un tanto uomo. Per congiunture, eh' è assai bello il tacere, io me ne trovavo spesso, e con mia grande angoscia, tra i più scabrosi anfratti. >' Lasciamo da parte i messi inclementi di morte e ciò che v' è d' involuto e di oscuro in tutto il discorso, specie circa i soliloqui d'amore. Della verità di questi vaneggiamenti amorosi non è da dubitare: tutti gli amori del poeta furono così; cioè sogni e allucinazioni, nei quali, o dormendo, o sveglio, in una specie di dormiveglia, egli vedeva la donna amata, e le parlava, e le diceva tutto quello che non avrebbe mai saputo dire in voce a una donna vera. E come questa volta l'amore era una specie di frenesia eh' egli non sapeva dominare, è naturale che quei soliloqui dovessero meravigliare e talvolta sgo- mentare l'amico. Si narrava una cinquantina d'anni fa in Firenze (e l'origine delle voci doveva, credo, risalire al Cap- poni) che la Targioni, andata una volta a trovare il Leopardi malato, gli lasciasse uno scialle; e ch'egli poi con codesto scialle solesse affazzonare un giovi- netto congiunto di lei che molto le somigliava e stesse contemplando a lungo (luelV immascherato e dicendogli ciò che non osava dire a lei stessa.' C'ò chi credo che il fatto sia vero, o almeno possibile; il Carducci, che lo riferì, lo reputa una favola indegna; ed io sono della sua opinione. Durante questo tempo del suo amore per la Targioni, il Leopardi frequentava assiduamente la casa dcHa marchesa Orintia Sacrati, che aveva allora ()'.) unni, • Sta* anni il aodallsh ùo., pAg. 12, 18.

  • Vedi Oarouooi, Op*r«, voi. X, pag. S60. [p. 373 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 373

ed era, secondo la descrizione fattane dal senatore G. B. Giorgini ad Alessandro D'Ancona, < una vecchia piccola e grassoccia, colla parrucca bionda, che filava perennemente la seta e non si alzava mai da sedere. > La Sacrati era stata da giovane una bella donna; aveva brillato in Roma, circondata e corteggiata da letterati, diplomatici e cardinali; apparteneva all'Ar- cadia, aveva scritto novelle, romanzi ed altro; era stata in carteggio con lo Strocchi e molti altri lette- rati; ed era liberale. Che cosa andava a fare da lei il Leopardi? < Si diceva, secondo il Giorgini, che la casa della vec- chietta fosse molto frequentata, i)erchè essa favoriva volentieri gl'incontri amorosi. > È probabile, anche per questa ragione, che una delle signore che la fre- quentavano fosse la Targioni ; e ciò spiegherebbe per- chè la frequentasse anche il Leopardi : ma non pare probabile, anzi neppure possibile, che il poeta, inna- morato della Targioni giovane e bella, fosse nel me- desimo tempo innamorato della Sacrati. Eppure Giu- lietta di Villeneuve, che intorno a questo tempo aveva conosciuto Giacomo in casa della cugina Carlotta Bo- naparte, scriveva al Giordani che l'amico suo andava assiduamente tutte le sere a fare la corte alla Sacrati, la quale si burlava di lui. Alessandro D'Ancona, che ha recentemente pub- blicato il pezzo della lettera della Villeneuve, dov'è questa curiosa notizia, dà del fatto la sola spiega- zione probabile: < che cioè il Leopardi, frequen- tando il salotto della Sacrati e mostrando a lei certa interessata premura, intendesse propiziarsela per- chè intercedesse per lui, ma l'esperta vecchia, ca- pita la ragione del suo ossequio, si ridesse della sua tattica.' >

  • Vedi lo scritto di A. D'Ancona « Esilio e carcerazione di

Pietro Giordani » nella Nuova Antologia (fase. 1° aprile 1905), pag. 436 e seg. [p. 374 modifica]374 CAPITOLO XVIII. Lo smodato amore del poeta per la Targioni, come non potè rimanere nascosto alla bella signora, così neppure ad alcuni amici di lui e di lei; e quelli che, come il Vieusseux, amavano veramente il Leopardi, dovettero esserne addolorati. Ma il Ranieri, amico anch' egli della signora, e, dicesi, amato da lei, avrebbe, secondo il Ridella, cer- cato di renderla pietosa a Giacomo, con la speranza forse che ciò potesse acquetare le smanie dell'inna- morato/ Se non che la pietà della signora avrebbe prodotto, come del resto era naturale, l' effetto oppo- sto. Io non credo che il Ranieri facesse quel cattivo servizio all'amico; credo piuttosto che, impensierito del misero stato di lui, sentisse il bisogno di strap- parlo, almeno per qualche tempo, a quell'amore che lo struggeva. Egli, per conto suo, era innamorato della Pelzet, ed aveva un gran desiderio di andarla a raggiungere a Roma, dove nell'autunno di quell'anno doveva recitare; ma gli doleva abbandonare l'amico, del quale s'era fatto oramai (cosa a tutti notoria e da tutti ammirata) il compagno inseparabile e l'in- fermiere. — Perchè non menarlo a Roma con sé, con la scusa di fargli passare l'inverno in un clima più dolce ? — La difficoltà era di indurre il Leopardi a lasciare Firenze; ma egli aveva oramai acquistato tale ascendente sopra di lui, che riuscì a persuaderlo. Le molte cose che il Ranieri scrive nel Sodalizio a proposito ài questa andata a Roma, dello condizioni di salute del Leopardi, del consìglio dei medici, ce, sono in gran parto favole. Sbaglia perfino il tempo della partenza, che fu ai primi, non sul declinare del- l'ottobre.» La risoluzione di partire fu improvvisa, tanto che gli amici stessi del Leopardi, che la seppero all' ultimo

  • V«di BntlétAf Una ntntura pontuma di Oiaeomo Ltopardi eo.,

pag. 254.

  • Vedi Sodalizio, p«g. 16, «d Kpittolarlo, voi. II, pag. 481. [p. 375 modifica]IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 375

momento, ne rimasero meravigliati, e vi facevano in- torno le più strane congetture. Il Leopardi non ebbe cuore di andare a salutare prima della partenza il Colletta, gravemente amma- lato, e prese congedo da lui con una lettera, che il Colletta gradì immensamente, come gradì la delicata at' tensione di non esporlo al dolore dell'addio. 11 Vieus- seux, che scrisse ciò in nome del Colletta al Leopardi, aggiungeva: vorrei potervi dire che l'amico sta meglio^ ma vi ingannerei;^ e un mese dopo gli mandò il tri- ste annunzio ch'era morto. Ma non anticipiamo.

  • ■ Da lettera inedita nelle carte napoletane.