Vita di Giacomo Leopardi/Capitolo XIX
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376 Capitolo XIX. LA FINE DELL'ULTIMO AMORE. 1831-1833. Sommario: Giacomo va a Roma in compagnia del Ranieri. — Congetture degli amici suU' andata a Roma. — Scontentezza di Giacomo a Roma. — Una lettera del Gioberti. — Il par- rucchiere recanatese. — Giacomo si ammala. — Lettera del Leopardi alla Targioni. — Tristi pensieri perchè i denari stanno per finire. — Sussidi di Monaldo al figlio. — Ritorno a Firenze. — Nomina ad accademico della Crusca. — Pub- blicazione dei Dialoghetti di Monaldo. — Dichiarazione di Gia- como per i Dialoghetti. — Risposta al giornale \' Hesperns. — Ritorno in casa Targioni. — Pensieri dei due amici per il so- dalizio. — Il Ranieri ò richiamato dal padre a Napoli. — Progetto di un giornale settimanale. — Duo nuovi Dialoghi. — Giacomo chiedo al padre un assegno di dodici scudi al mese. — Il Ranieri va a Bologna, per indi muovere verso Roma e Napoli. — La Targioni va a Livorno ai bagni. — Giacomo assiduo in casa Targioni dopo il ritorno della si- gnora dai bagni. — Relazioni fra il Ranieri e la Polzot; sdegni del Leopardi e della Targioni contro di lei. — Il poeta apre gli occhi e si rialza. — Le poesie d'amore. — Arimane. Il 1' d'ottobre 1831 il Leopardi e il Ranieri par- tirono per Roma, dove arrivarono il 6, prendendo alloggio al terzo piano di una casa di via dello Car- rozze segnata del N" 63. In casa Leopardi si sospettò che l'andata diCìa- como a Roma avesse qualche motivo nascosto, l'cn- sando ai nuovi rigori politici fiorentini, poi quali l'anno innanzi era stato cacciato improvvisamente il Gior- dani, Monaldo probabilmente dubitò che anche a Giacomo fosse toccata la stessa sorto. Carlo scrisse LA FINE DELL' ULTIMO AMORE. 377 subito al fratello, pregandolo di dirgli la verità. Gia- como gli rispose : < Dispensami, ti prego, dal raccon- tarti un lungo romanzo, molto dolore e molte lagrime. Se un giorno ci rivedremo, forse avrò forza di nar- rarti ogni cosa. Per ora sappi che la mia dimora in Koma mi è come un esilio acerbissimo, e che al più presto possibile tornerò a Firenze, forse a marzo, forse a febbraio, forse ancor prima. >' Carlo e Paolina, alla quale il fratello comunicò la lettera, non capirono nulla, e si perdettero in vane con- getture; fra le altre quella che Giacomo fosse innamo- rato della Carlotta Bonaparte. Carlo, al quale le parole del fratello avevano acuita la curiosità, insistè per sapere qualche cosa, ma invano. Giacomo gli riscrisse il 31 dicembre: < Non ti sdegnare ch'io taccia ancora sulle cose che tu dimandavi coli' ultima tua. Troppo lungamente dovrei scrivere: del resto, sappi che il mio venire e lo stare a Roma è stato ed è per me un grandissimo sacrifizio, e non guadagno ma rovina delle mie finanze. >* Il Vieusseux, che forse conosceva la verità meglio d'ogni altro, aveva scritto scherzando al Giordani, che Giacomo era andato a Roma a farsi prelato, che presto sarebbe Papa e che gli aveva promesso il cardi- nalato.^ Il Giordani, pigliando lo scherzo sul serio, rispose tragicamente al Vieusseux : < Che smania d'im- pretarsi? Io non ci sarò quando egli sarà Papa: e mi giova morire prima d'essere obbligato a disprezzarlo. >* E scrisse lo stesso giorno al Leopardi : < È vero che ti fai prelato? Avvisami perch'io impari a chiamarti Monsignor Leopardi, e sappia fin quando potrò chia- marti Giacomino; che a mio gusto vale un po'me-
- Epistolario, voi. II, pag. 483.
' Idem, pag. 451. ' Lettera inedita nelle cai'te napoletane.
- ORijXyDO, Carteggi italiani inediti rari; Firenze, Bocca, 1892;
Prima Serie, pag. 11. 378 CAPITOLO XIX. glio. > ' Il Leopardi si ebbe a male che l'amico potesse pensare di lui quelle cose, e si affrettò a disingan- narlo. Non solo : ma seccato, e volendo tagliar corto alle sciocche congetture, il 27 ottobre scrisse al Vieus- seux : < Io ho detto costì prima di partire, a chiunque ha voluto saperlo, e dico qui a tutti, che tornerò a Firenze, passato il freddo; e così sarà, se non muoio prima. Questo amerei che ripeteste a chi parla di prelature o di cappelli, cose eh' io terrei per ingiurie, se fossero dette sul serio. Ma sul serio non possono esser dette se non per volontaria menzogna, conoscen- dosi benissimo la mia maniera di pensare, e sapen- dosi eh' io non ho mai tradito i miei pensieri e i miei principii colle mie azioni. > Il Leopardi, andato di mala voglia a Roma, ci si trovò subito male. Appena arrivato scriveva a Carlo: < Non è il minor dei dolori che provo in Roma, il vedermi quasi ripatriato ; tanta parte di canaglia re- canatese, ignota in tutto il resto del globo, si trova in questa città. >' Era scontento dell'alloggio; era sec- cato mortalmente d'essere riconosciuto e fermato per le strade, d' essere perseguitato dalle visite dei Reca- natesi, dell'immaginarsi le ciarle che avrebbero fatto sul conto suo. Ciò sopra tutto lo faceva andare fuori di sé. Fino dal settembre, sperando di potersi rimettere al lavoro, aveva stabilito di dare al Vieusseux degli articoli per V Antologia; o il Vieusseux aveva messo a sua disposiziono un foglio di stampa per ogni fa- scicolo, assegnandogli un compenso in ragione di L. 5 per pagina por gli articoli in carattere ordinario, o di L. 6 per quelli in carattere più minuto. Ma come non ebbe agio di far nulla nel settembre a Firenze, cosi nemmeno ora a Roma, perchè affogato di visite^
- LttUra tiMditA nollo cario nnpol«tane.
- EplHolaHo, Tol. II, png. 488. LA FINE DELL' ULTIMO AMORE. 379
di cerimonie e di noie d'ogni sorta, < le quali, scriveva al Vieusseux il 27 ottobre, in questa capitale della di- plomazia, bisogna anche rendere con ogni puntualità: cose che mi fanno disperare. > Partito, come dicemmo, improvvisamente da Fi- renze, senza aver tempo, e forse nemmeno voglia, di andare a salutare gli amici e i conoscenti, Giacomo dopo il suo arrivo a Roma dovè sentire forse il bi- sogno di scusarsi con qualcuna delle persone che più gli premevano; e, scrivendo alla Carlotta Bonaparte, le disse che se n' era andato senza dire addio a nes- suno; al che la contessa rispose: < Corame vous me rappelez (je ne sais pourquoi) que* vous n'avez dit adieu à personne, je suis bien aise, de vous donner un dimenti, et de vous apprendre que vous avez fait une exception en faveur de la M." Sacrati: n'est-ce pas vrai ? > ' Questa visita alla Sacrati, fatta forse per mandare una parola alla Fanny, o, se non altro, per parlare di lei, conferma, s'io non m'inganno, la sup- posizione che il poeta andasse dalla Sacrati per averla pietosa al suo amore. Essa invece se ne burlava, senza ch'egli se ne avvedesse. E la Giulietta Villeneuve e la Carlotta Bonaparte, che forse ignoravano l'amore di Giacomo per la Targioni, credevano, e natural- mente se ne meravigliavano, ch'egli facesse la corte alla vecchia perchè innamorato di lei. La Lenzoni, tornata nell' ottobre a Firenze da Pa- rigi, fu dolente di non trovarci il Leopardi, e gli scrisse il 14 esprimendogli il suo dispiacere ch'egli forse con- tasse stabilirsi a Roma. Lo pregava di andare a tro- vare lo scultore Tenerani, col quale desiderava che stringesse amicizia; gli diceva di aver veduto a Parma il Giordani, molto tristo, e sempre inquieto per la sua cacciata da Firenze, di avere a Milano parlato col Manzoni, il quale le aveva domandato notizie di lui, Dalle carte napoletane, in corso di stampa. 380 CAPITOLO XIX. e mostrato desiderio di leggere i suoi Canti, eh' essa diceva essere ricercati da molti a Milano e a Parigi.* Maggior piacere dovette arrecargli una lunga ed afiFettuosa lettera del Gioberti, del quale non aveva notizie da molto tempo. Gli parlava di sé, de' suoi studi, delle sue opinioni filosofiche, lo eccitava a scrivere le operette di filosofia delle quali gli aveva parlato quel giorno che fu con lui a Recanati; e pi- gliando occasione dal volumetto dei Canti, che aveva letto recentemente, entrava a parlare con lodi entu- siastiche de' suoi scritti in verso ed in prosa. < Voi, diceva, a quell'età in cui gli altri cominciano a stu- diare spontaneamente e ad esercitarsi nello scrivere, siete giunto alla perfezione, e avete dato tal saggio di prose e di poesie, che toglie anche ai migliori in- gegni la speranza di potere imitarvi. > E dei Canti di- ceva che tutti quelli che li avevano letti si trovavano d'accordo con lui nel giudicarli < i più bei versi li- rici che si siano scritti in Italia, dopo quelli del Pe- trarca. >'
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A proposito dell'odio del Leopardi pei suoi Roca- natesi, il Ranieri nel Sodalizio racconta un aneddoto, che ha tutto lo apparenze della verità. Una mattina il Ranieri fece di buon'ora venire un parrucchiere a tosargli i capelli. 11 piccolo quar- tiere abitato da lui e dal Loopardi si componeva di due camere divìse da un salottino. Sedutosi il Ranieri nel salotto, il parrucchiere nell' accìngersi al suo la- voro gli disse che ora di Recanati, e gli domandò: < — Com'è ch'ella ha con so il figliuolo del conto Mo- ' La letUra dolla L«nzoni trovaai inoditn nelle carte napo> leUno.
- Inedita nelle oarte napoletano. LA FINE DELL'ULTIMO AMORE. 381
naldo? — Non so che vogliate intendere, rispose il Ra- nieri. Vuol dire che siamo due amici che s'è preso un quartiere insieme. — > Il parrucchiere, non sapendo clie dalla camera accanto il Leopardi poteva sentire, riprese a parlare a voce abbastanza alta della famiglia Leopardi, dei mali umori fra padre e figlio, con molti particolari già noti al Ranieri; il quale cercò di fre- nare la loquacità del suo interlocutore, e finita la tosatura, lo congedò bruscamente. Appena uscito il parrucchiere, si affacciò il Leo- pardi all' uscio della camera sua. Il Ranieri si mera- vigliò che si fosse levato così presto; e Giacomo, entrato, gli disse: Ti ricordi le Ricordame? — Diavolo, rispose il Ranieri. Ne ho corrette e ricorrette, non ha guari, le bozze in Firenze, e le so a mente. — E ne recitò un certo brano. < Bene! soggiunse il Leopardi, sappi ch'io divento un forsennato, al solo sognare di andarne per le bocche di quella gente; sappi, che io inventai, in- vento ed inventerò tutte le favole, tutti i romanzi di questa terra, per salvarmi da questa orribile sciagura: e sappi che di questa libertà io fo un patto espresso dell'accettata profferta! > Allora, stringendogli la mano, ed imprimendo due forti baci su quelle scarne guance: < Leopardi ! gli rispose il Ranieri, purché io non ti perda mai, inventa tutte le favole e tutti i romanzi dell'età di mezzo. Che importa a me di Recanati? >* Verso la metà di novembre Giacomo ammalò di un reuma di petto, con febbre, che lo tenne in letto per una quindicina di giorni. Durante la breve ma- lattia ricevè dal Vieusseux la notizia della morte del Colletta avvenuta l'il novembre. Non potendo scrivere da sé, fece rispondere dal Ranieri ; ed è certo ch'egli n' ebbe vivo e sincero dolore: ma odiava le frasi, come tutti quelli che sentono fortemente; e più tardi quando, ' Sette anni di sodalizio ec, pag. 16 e 17. 382 CAPITOLO XIX. guarito, potè scrivere da sé al Vieusseux, si limitò a queste poche parole, in una lettera del 6 dicembre: < Oh povero il nostro Colletta ! anzi poveri noi, bea- tissimo lui! >' Dalle frequenti lettere al Vieusseux si vede che il pensiero del Leopardi era spesso rivolto a Firenze, agli amici. Quanto all'amore per la Targioni, la lontananza avrà forse contribuito a calmare le smanie del poeta; ma l'amore durava ancora; e come esso si nutriva so- pra tutto di pensieri e di immagini, è naturale ch'egli anche lontano pensasse spesso a lei, e ragionasse seco stesso di lei, specialmente nelle ore che l'amico, an- dando dietro alla Pelzet, lo avrà lasciato in casa solo. Nell'Epistolario sono due lettere del Leopardi alla Targioni. S' ei le ne scrisse altre non sappiamo : ma, se ne scrisse, si può, quasi con certezza, affermare che, come nelle due pubblicate non c'è una parola d'amore, così neppure nelle altre rimaste inedite. La prima delle due lettere fu scritta da Roma il 5 dicembre, pochi giorni dopo che il poeta ora gua- rito del reuma. Non ha da darle notizie né politiche nò letterarie, perchè abomina la politica, e sta in so- spetto di perdere la cognizione delle lettere dell' abbiccì, mediante il disuso del leggere e dello scrivere. Non pre- sumendo di beneficare, e non aspirando alla gloria, < non ho torto, dice, di passare la mia giornata disteso su un sofà, senza battere una palpebra. E trovo molto ragionevole l'usanza dei Turchi o degli altri Orientali, che si contentano di sedere sullo loro gambo tutto il giorno, e guardare stupidamente in viso questa ridi- cola esistenza. >^ Qui ad un tratto, quasi gli fosso comparsa dinanzi rimmaginc della amica, a sgridarlo e rii)rendcrlo, si interrompe: < Ma io ho torto di scrivere queste coso ' Kpltlolarh, voi. II, pag. 446. ' Idom, p»g. 448. LA FINE DELL'ULTIMO AMORE. 383 a voi, che siete bella, e privilegiata dalla natura a risplendere nella vita, e trionfare del destino umano. So che anche voi siete inclinata alla malinconia, come sono state sempre, e come saranno in eterno, tutte le anime gentili e d'ingegno. Ma con tutta sincerità, e non ostante la mia filosofia vera e disperata, io credo che a voi la malinconia non convenga ; cioè che quantunque naturale, non sia del tutto ragionevole. Almeno così vorrei che fosse. >' Le espressioni di tristezza e di sconforto con le quali comincia la lettera si spiegano facilmente con la condizione tutt'altro che lieta nella quale si tro- vava a Roma il Leopardi. Aveva consentito al Ra- nieri di allontanarsi da Firenze con la speranza di trovare un po' di calma ; e appena arrivato a Roma si trovò, come vedemmo, assediato dai suoi odiati Re- canatesi e si ammalò. Le persone ch'egli doveva vi- sitare per desiderio di suo padre non erano fatte dav- vero per rallegrarlo. Un monsignor Cupis gli fece mille amorevolezze, e lo pregò di tornare spesso da lui, promettendo che gli avrebbe fatto sentire, per- chè glie li rivedesse e limasse, un migliaio e mezzo tra sonetti, canzoni e capitoli di sua fattura. < Que- sta cosa, scriveva al padre, mi ha spaventato talmente, che non ho avuto il coraggio di ritornarci. >* E sog- giungeva che il guardare la lista delle visite che per istretta convenienza avrebbe dovuto fare, gli agghiac- ciava il sangue. Aggiungasi a ciò il caro dei viveri, specialmente degli alloggi, e l'avere questa volta tro- vata l'aria di Roma contrarissima al suo fisico, e nemica mortale del digerire ; e ce ne sarà più che ab- bastanza per rendersi ragione della sua scontentezza. A Firenze almeno vedeva di tratto in tratto la Tar- gioni ; e se la vista di lei lo esaltava e lo faceva dare in pazzie, almeno quella era vita. » Epistolario, voi. II, pag. 443. « Idem, pag. 446. 384 CAPITOLO XIX. Un altro pensiero lo rodeva : i pochi denari che gli avanzavano del peculio fiorentino stavano per finire ; ed egli naturalmente non poteva accettare di vivere in tutto a carico del Ranieri; dato anche che questi avesse voluto e potuto mantenerlo. Sperare altri guadagni, nella impossibilità di lavorare, che si faceva ogni giorno maggiore, era assolutamente vano. 11 24 dicembre, ri- spondendo ad una lettera del De Sinner di due mesi innanzi, gli diceva: < Io tornerò certamente a Firenze alla fine dell'inverno, per restarvi tanto quanto mi permetteranno i miei piccoli mezzi, già vicini ad esau- rirsi: mancati i quali, l'abborrito e inabitabile Reca- nati mi aspetta, se io non avrò il coraggio (che spero avere) di prendere il solo partito ragionevole e virile che mi rimane. > ' Si capisce da queste parole che, per quanto egli avesse già accettato la profierta del Ra- nieri, era risoluto di non eseguire definitivamente il patto del sodalizio, ove non potesse provvedere da sé, almeno in parte, alle spese del suo mantenimento. Nel dicembre Monaldo gli mandò un regalo di quaranta scudi, che gli giunsero molto opportuni ; ma ai primi di marzo, avvicinandosi il tempo di lasciare Roma, fu costretto con suo dispiacere a ricorrere alla famiglia. Scrisse il dì 8 marzo; e il 17, dovendo par- tire e non avendo ancora ricevuto risposta, riscrisse raccomandandosi, e dicendo che sarebbe arrivato a Firenze con tanto danaro quanto gli sarebbe bastato a vivere una settimana.' Arrivò a Firenze la sera del 22 in compagnia del- l'amico; e due giorni dopo una lettera del padre lo avvisava della spedizione da lui fattagli di sessanta scudi. Prima di partire aveva ricevuta dal Vieusseux la notizia della sua nomina a socio corrispondente dell'Accademia della Crusca, che gli aveva fatto molto piacere.
- EpMokwio, rol. II, png. 448. * Idem, pag. 408. LA FINE DELL' ULTIMO AMORE. 385
Alla comunicazione ufficiale della nomina rispose poi da Firenze con lettera del 27 marzo, diretta al Segretario dell' Accademia, nella quale è notevole questo periodo: < Nessun merito io conosco in me, che potesse in veruna parte farmi degno di questo premio, se non si volesse chiamar merito l' amore im- menso e indicibile eh' io porto a questa cara e beata e benedetta Toscana, patria d'ogni eleganza e d'ogni bel costume, e sede eterna di civiltà; la quale arden- temente desidero che mi sia conceduto di chiamare mia seconda patria, e dove piaccia al cielo che mi sia lecito di consumare il resto della mia vita, e di render l'ultimo respiro. >
- «
Nel dicembre del 1831 Monaldo pubblicò i famosi Dialoghetti, che a Roma ebbero un gran successo, e furono più o meno ricercati anche altrove. Non avendo il libro nome di autore, e sapendosi ch'era di un Leo- pardi, fu da alcuni, fra gli altri dal Duca di Modena, attribuito, forse malignamente, a Giacomo. A Roma, a Firenze, a Lucca, correva sotto il nome di lui. Dap- pertutto si parlava della sua, che altri chiamavano conversione, ed altri apostasia.' Inutile dire se egli ne fu irritato e sdegnato. Non c'era cosa di cui fosse ge- loso come le sue opinioni e i suoi priucipii ; non c'era cosa alla quale tenesse più che la integrità del suo carattere. Aspettò quattro mesi ; finalmente il 12 mag- gio 1832 mandò al Vieusseux questa dichiarazione, con preghiera di pubblicarla nell' Antologia, in modo che non potesse sfuggire all'occhio del lettore. < Mio carissimo Vieusseux, Dichiaro che non sono autore del libro, che alcuni mi attribuiscono, intitolato Dia- loghetti sulle materie corretiti nell'anno IdSl. Vi prego
- Vedi Epistolario, voi. II, pag. 480, 481.
CaiARiNT, Leop. 05 386 CAPITOLO XIX. a pubblicare nel vostro degno giornale deW Antologia questa dichiarazione. > Alcuni giorni dopo, il 28 maggio, scrisse al pa- dre, avvisandolo della dichiarazione da lui pubblicata nella Antologia e in altri giornali, e dicendogliene le ragioni; le quali erano due: 1' che gli pareva in- degno l'usurpare ciò ch'era dovuto ad altri ; 2' ch'egli non voleva passare per convertito. < Il mio onore, diceva la lettera, esigeva eh' io dichiarassi di non aver punto mutato opinioni, e questo è ciò ch'io ho inteso di fare ed ho fatto (per quanto oggi è possi- bile) in alcuni giornali. In altri non mi è stato per- messo. >* Col padre usava questo linguaggio rispettoso e mi- surato; ma pochi giorni innanzi, mandando a suo cu- gino Giuseppe Melchiorri una dichiarazione identica a quella della Antologia, da pubblicare nel Diario di Roma, gli aveva parlato a cuore aperto : < Io non ne posso più, propriamente non ne posso più. Non voglio più comparire con questa macchia sul viso, d'aver fatto quell'infame, infamissimo, scelleratissimo libro. >* In questo medesimo tempo ebbe occasione di fare un'altra dichiarazione, la quale attesta anche in modo più alto la rettitudine della sua mento e la fierezza del suo carattere. Quanto il suo corpo era più de-r bole e affranto, tanto il suo spirito sentiva il bisogno di mostrarsi più forte ed erotto. Il De Sinncr gli aveva mandato il 26 aprile da Parigi due numeri del giornale VUesperus di Stuttgard (9 e 10 aprile 1832), nei quali un signor Henschel, parlando delle opi- nioni filosofiche del Leopardi, le considerava come il resultato dello sue malattie. Giacomo, risponch^ndo il 24 maggio all'amico suo, abbandona a un tratto l.-i lingua italiana, e manda allo scrittore àéìVJIespcrKs
- JCpttiotarlo, voi. II, p«g. 4til. * Idsm, pag. d74. LA FINE DELL' ULTIMO AMORE. 387
questa risposta in francese. < Quels que soient mes malheurs, qu'on a jugé h propos d'étaler et que peut- étre on a un peu exagéré dans ce journal, j'ai eu assez de courage pour ne pas chercher à en dimi- nuer le poid ni par de frivoles espérances d'une pré- tendue felicitò future et inconnue, ni par une làche résignation. Mes sentinients envers la destinée ont été et sont toujours ceux que j'ai exprimés dans Bruto minore, ^'a été par suite de ce méme courage, qu'étant amene par mes recherches à une philosophie désespé- rante, je n'ai pas hésité à l'embrasser toute entière, tandis que de l'autre coté ce n'a été que par efifet de la làcheté des hommes, qui ont besoin d'étre per- suadés du mèrito de l'existence, que l'on a voulu considérer mes opinione philosophiques comme le résultat de mes souflfrances particulières, et que l'on s'obstilie à attribuer à mes circonstances matérielles ce qu'on ne doit qu'à raon entendement. Avant de mourir je vais protester contre cette invention de la faiblesse et de la vulgarité, et prier mes lecteurs de s'attacher à détruire mes observations plutòt que d'ac- cuser mes maladies. >' « « « Tornati a Firenze, il Leopardi e il Ranieri non doverono tardare a riprendere le loro visite in casa Targioni. Il Leopardi aveva sempre la scusa degli au- tografi, dei quali anche a Roma ne aveva ricevuti per la signora. Non c'è bisogno di dirlo, egli era sempre innamorato; ma forse l'amore in questo secondo pe- riodo, se fu più appassionato, non trascese alle esal- tazioni e ai vaneggiamenti del primo. Le visite alla Fanny, la quale, se non era già innamorata del Ra- nieri, lo vedeva certamente con molto piacere, non
- Epistolario, voi, II, pag. 478, 479. 388 CAPITOLO XIX.
distolsero i due amici da quello ch'era il loro più grave pensiero, di provvedere cioè al loro avvenire, di sapere dove avrebbero fissato la loro stabile dimora. Il Ranieri desiderava di poter seguitare a vivere libero e indipendente, fuori di casa ; ma, fino dal gen- naio del 1831 essendo stato concesso agli esuli il ri- torno, era stato richiamato a Napoli dal padre suo. (/hiese ed ottenne di rimaner fuori ancora per qual- che tempo : ad ogni modo era risoluto di non tornare senza avere la certezza che gli sarebbe permesso di riuscire. Di lì a poco il padre, revocando il permesso datogli, lo richiamò di nuovo ; e, per obbligarlo al ri- torno, gli sospese gli assegni. Restava però al Ra- nieri una credenziale fornitagli dalla madre per tutti i banchieri d'Europa, della quale egli aveva fino allora usato raramente. Il bisogno lo costrinse a farne uso più spesso, di che i suoi concepirono, dice egli, do- lorosi, ma non ingiusti sospetti.' Naturalmente le cose non potevano durare a lungo così ; ed il Ranieri si trovava costretto, per accomo- dare le cose sue, a tornare a Napoli. Se non ci aveva più la madre che lo adorava; e se il padre si mo- strava un po' duro con lui (egli non lo nomina mai), ci aveva pure dei parenti e degli amici, che gli vole- vano bene, e lo avrebbero aiutato e consigliato. Per- tanto si risolvo di andare, ma senza fretta; e pur facendo da infermiere all'amico, non dimenticava l'amore suo per la Pelzet. Giacomo intanto che, dopo l'ultima malattia di Roma, stava passabilmente, ma era sempre nella quasi impo88Ìbiliti\ di lavorare, volle pur fare un altro toii- tativo di guadagno; riprese il progetto, formato prinwi della sua partenza per Roma, di un giornale settima- nale, pel quale, prendendo a suo carico tutta la com- pilaziouc, avrebbe ricevuto dall'editore cinqnanta fran-
- V«di 8«H0 annt di lodalitio oc, png. 20. LA FINE DELL' ULTIMO AMORE. 389
cesconi il mese. Stese e sottoscrisse il manifesto : fu anche steso il contratto in carta bollata ; ma il Governo non approvò il manifesto, e così il progetto non potè avere esecuzione.' Benché egli fosse, come ho detto, nella quasi im- possibilitai di lavorare, scrisse probabilmente intorno a questo tempo due nuovi dialoghi, da aggiungere alle Operette morali; il Dialogo di un venditore d'al- manacchi e di un passeggere, che pare al De Sanctis uno dei più felicemente riusciti, e il Dialogo di Tri- stano e di un amico, col quale fa una nuova e più calda difesa delle sue dottrine filosofiche. Tristano, parlando con l'amico, finge di aver mu- tato opinione, di essersi persuaso, in seguito alle grandi scoperte del secolo decimonono, che non solo la vita non è infelice, ma è felicissima, che l'uomo è perfet- tibile all'infinito, che la specie umana va ogni giorno migliorando, che questo secolo è superiore a tutti i passati, e che, quanto al suo libro delle Operette mo- rali, il meglio che si possa fare è bruciarlo. Come appare dal tuono ironico, le parole di Tri- stano sono più che altro una satira delle idee profes- sate dagli uomini fra i quali allora il Leopardi viveva. L'amico di Tristano sono gli amici di Giacomo al gabinetto Vieusseux. Ma le parole di Tristano non sono sempre ironiche ; e se, quando ironiche, non sem- pre van dritte al segno, quando cessa l'ironia, fanno piangere. Questo dialogo prelude alla Palinodia, anzi è esso stesso una Palinodia in prosa delle Operette morali. Fallito il tentativo del giornale, fallite al tutto an- che le speranze di ritrarre qualche guadagno dai ma- noscritti confidati al De Sinner, e vicinissimi oramai ad esaurirsi gli ultimi suoi mezzi, non restava al poeta che il partito estremo di ricorrere alla famiglia, chie- ' Vedi Epistolario, voi. II, pag. 487. 390 CAPITOLO XIX. dendo un piccolo assegno fisso che gli permettesse di vivere fuori di casa. E il 3 luglio scrisse una lunga lettera al padre, esponendogli la sua dolorosa e dispe- rata condizione. Gli rammentava gli sforzi fatti per sette anni per mantenersi da sé : ma ora non aveva assolutamente più modo d'andare innanzi. < Se mai, scriveva, persona desiderò la morte così sinceramente e vivamente come la desidero io da gran tempo, cer- tamente nessuna in ciò mi fu superiore. Chiamo Iddio in testimonio della verità di queste mie parole. Egli sa quante ardentissime preghiere io gli abbia fatte (sino a far tridui e novene) per ottener questa grazia.... Ma non piacendo ancora a Dio d'esaudirmi, io tornerei costà a finire i miei giorni, se il vivere in Recanati, soprattutto nella mia attuale impossibilità di occu- parmi, non superasse le gigantesche forze ch'io ho di soffrire.... tornar costà senza la materiale certezza di avere il modo di riuscirne dopo uno o due mesi, questo è ciò sopra di cui il mio partito è preso, e spero ch'ella mi perdonerà se le mie forze e il mio coraggio non si estendono fino a tollerare una vita impossibile a tollerarsi. > Dopo ciò chiedeva un pic- colo assegnamento di dodici scudi il mese. < Con do- dici scudi, diceva, non si vive umanamente neppure in Firenze, che ò la città d'Italia dove il vivere è più economico. Ma io non cerco di vivere umanamente. Farò tali privazioni che, a calcolo fatto, dodici scudi mi basteranno. >' Probabilmente egli pensava che con dodici scudi al mese non sarebbe stato interamente a carico del Ranieri, in qualunque luogo avessero fis- sato la loro dimora; e ciò era per lui, nello attuali sue condizioni, il desidcratum. Il padre gli risposo dandogli facoltà di trarre una cambialina di 24 francesconi, por l'assegno dei due mesi dì agosto e settembre ; ma qualche tempo dopo > EpMotarto, voi. II, pag. 480, iOO. LA FINE DELL' ULTIMO AMORE. 391 gli riscrisse che bisognava, perchè l'assegno potesse durare, avere l'assenso della mamma, e lo consigliò di rivolgersi ad essa direttamente. Il povero poeta fra gli ultimi di settembre e i primi d'ottobre era dovuto stare dodici giorni in letto per alcune febbri cagio- nate da un altro reuma di petto, che lo lasciarono debolissimo ; onde non potè scrivere a sua madre se non il 17 novembre. La madre acconsentì, e Giacomo da questa parte si senti finalmente tranquillo.
- «
Nella seconda metà di luglio il Ranieri si era final- mente risoluto a partire per Napoli ; ma la prese assai larga. La mèta prima del suo viaggio era Bologna, dove anche questa volta si trovava la Pelzet. Appagate nella vista e nella compagnia di lei le ragioni del cuore, prese ai primi d'ottobre la diligenza che da Bologna, traversando le Romagne e le Marche, va a Roma, per indi recarsi a Napoli. Passando da Recanati, ove la diligenza si fermava per mutare i cavalli, ebbe de- siderio di vedere la casa dell'amico suo; se la fece indicare, e trovò sulla porta Monaldo, che usciva per andare in chiesa, e che gli fece cortese accoglienza invitandolo ad entrare e fermarsi ; ma egli ringraziò, scusandosi che la diligenza ripartiva subito. Da Roma scrisse a Giacomo l'incontro avuto, lodandosi della gentilezza di Monaldo.' Prima di partire da Firenze, il Ranieri era ri- masto d' accordo col Leopardi che, tornando da Na- poli, si sarebbe stabilito a Firenze con lui, o lo avrebbe menato a Napoli con sé. Giacomo, scrivendo il 21 di agosto al Giordani, gli diceva: < Non è im- possibile che fra pochi giorni io parta di qua per
- Vedi Epistolario, voi. II, pag. 503. 392 CAPITOLO XIX.
Napoli. Ma ti prego a tener questa cosa secreta, mas- sime se scrivi a Firenze. Pochissimo preme ad ognuno dei fatti miei, ma non tanto poco, che a me non piaccia meno di parteciparli agli altri. >* La lettera finiva : < Io penso sempre a te, e ti adoro come il maggiore spirito eh' io conosca, e come il più caro ch'io abbia. > Nello stesso mese di luglio era partita da Firenze anche la Targioni, recatasi a Livorno ai bagni con le bambine; e di là nell'agosto, prossima a tornare, aveva scritto al Leopardi per dargli le sue notizie. Una let- tera della Fanny era pel poeta una festa: l'idea ch'ella avesse avuto il pensiero di scrivergli, sia pure le cose più indifferenti, lo rendeva felice. Egli mandò subito la lettera al Ranieri, e rispondendo il 16 agosto alla Fanny le disse che il suo amico era sempre a Bolo- gna, e sempre occupato in quel suo amore che lo faceva per più lati infelice. < E pure, proseguiva, certamente l'amore e la morte sono le sole cose belle che ha il mondo e le sole solissime degne di essere desiderate. >* Il poeta faceva in questo tempo la solita vita; ve- deva qualche amico, e qualche straniero più o meno illustre di passaggio per Firenze; faceva qualche pas- seggiata, quando il tempo e la salute glie lo permet- tevano ; andava tutti i giovedì alle conversazioni del Vieusseux, e negli altri giorni a qualche altra con- versazione, dove si tratteneva fino a mezzanotte; e scriveva qualche lettera, ma raramente, a cagiono degli occhi. La lontananza del Ranieri, che pur troppo do- veva prolungarsi, lo addolorava assai. Tornata la Tar- gioni dai bagni, fu più assiduo in casa di lei. Essendo con lei, gli pareva di essere più vicino al Ranieri. Par- laTano spesso di lui, porchò tutt'o due avevano rispetto a lui un desiderio comune, quello di staccarlo dal-
- Nuota Antologia (taw. dal 1" iiprilu l'JOQ), pag. 43S.
• Kplttolarto, voi. II, pag. 4tf8, 490. LA FINE DELL' ULTIMO AMORE. 393 l'amore della Pelzet. La bella Fanny, sapendolo infelice in quell'amore, aspirava a farlo felice lei ; il Leopardi aveva paura che quell' amore potesse essere un impe- dimento al sodalizio. Fu detto, ma non è provato, che la Pelzet avesse scritto al Niccolini, che aveva inten- zione di abbandonare il marito per andare a convi- vere col Ranieri. Che in questa voce ci fosse qualche cosa di vero si potrebbe argomentare da alcune parole delle lettere del Leopardi al Ranieri del dicembre 1832 e del gennaio 1833, che ora vedremo. È certo che, mentre il Leopardi fino ad un certo tempo mantenne buone relazioni con la Pelzet,' più tardi, quando il Ranieri era a Napoli, fu fortemente adirato con lei. — Aveva veramente paura che vo- lesse mettere ad effetto la i^tinaccia di unirsi al Ra- nieri? — Da ciò che Giacomo scriveva all'amico ci sa- rebbe da dubitarne. < La Fanny ed io stiamo tremando per te, > gli scriveva il 18 dicembre 1832; e il 27: < Non ho visto la Pelzet, né credo che avrà core di lasciarsi vedere, cioè di venire a trovarmi ; > e final- mente r8 gennaio 1833: < Non mi dispiace che tu ri- vegga la Pelzet, perchè mi fido della tua virilità che non ti sia pericoloso il vedere quest' oggetto infausto, non mai degno di te, ed ora divenuto indegnissimo. >* Si capisce che qualche cosa di grave doveva essere intervenuto tra la Pelzet ed il Ranieri dopo l'ultima andata di lui a Bologna (e forse a ciò alludono le parole del Leopardi nella lettera alla Targioni del 16 agosto) ; e si capisce che probabilmente la Pelzet aveva intenzione di andare a trovare il Ranieri a Na- poli. Che cosa fosse intervenuto fra i due amanti è
- Fra le carte napoletane si trova una letterina della Pel-
zet al Leopardi, con la quale gli manda in dono un bicchiere, accompagnato da questi due versi: Piccolo è il dono a paragon dì voi: Tutto è però quel che donar poss'io.
- Mestica, Studi leopardiani, pag. 127, 128. 394 CAPITOLO XIX.
difficile indovinare, e poco importa; ciò che importa, ed è chiaro, è che l'amore del Ranieri per la Pelzet doveva avere ricevuto un forte colpo, e che al Leo- pardi e alla Targioni importava che del colpo non si rilevasse. La Targioni era, come poi il Leopardi la battezzò, un'Aspasia, non so se meno bella, certo meno dotta dell'antica, e più degna della corrotta società italiana dei tempi moderni. Fu una grande sciagura del poeta il lasciarsi prendere ai vezzi di lei. Egli si stimava beato di potere adorare in silenzio la Dea, con la speranza che di quando in quando gli cadesse da quell'angelico volto una parola, uno sguardo, un sorriso, poco curando che ad altri fossero riserbati favori più sostanziali. Che fra questi ci fosse l'amico suo pare non gli dispiacesse: ad ogni modo non gli dispiacque che la bella Fanny si adoperasse in tutti i modi per legare l'amico a sé e distoglierlo dalla commediante. Il 22 gennaio 1833 il Leopardi scrisse al Ranieri : < La Fanny, con la quale si parla sempre di te, mi raccomanda di salutarti tanto ; > e il 29 gennaio : < La Fanny è più che mai tua e ti saluta sempre. Ella ha preso a farmi di gran carezze perch'io la serva presso di te, al che sum paratus. > ' Si potrà anche comprendere che al poeta non di- spiacesse l'amore della Fanny per l'amico suo; ma ch'egli fosse disposto a servire la signora in questo amore, accettando in compenso de' suoi servigi le ca- rezzo di lei, questo, dico la verità, mi pare un po' troppo. So l'acciecamento nell'amore potò far dimenticare al Leopardi la dignità sua fino a tal punto, fu cosa vera- mente deplorevole. Poiché Giacomo nello lettere al Ra- nieri successivo a quella del 29 gennaio non parla più della Fanny, io amo credere cho egli, dopo lo scia-
- MsmoA, studi Uopuvdiani, pag. 128, VJfd. LA FINE DELL' ULTIMO AMORE. 395
gurate parole di quella lettera, aprisse gli occhi e ù rialzasse, gridando al suo misero cuore: Posa per sempre. Assai Palpitasti. Non vai cosa nessuna 1 moti tuoi, ne di sospiri è degna La terra. Amaro e noia La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. Si sa che l'amore durò due anni. Cominciato, come dissi, nei primi mesi del 1831, dovè finire nei primi del 1833. Il Ridella suppone che l'acciecamento amoroso del Leopardi finisse per opera del Ranieri ; il quale, per indurre l'amico a lasciare Firenze, gli confidò che la Fanny si burlava di lui. Ma la supposizione non ha fondamento, perchè il Leopardi, come s' è veduto, sa- peva di dovere probabilmente andare a Napoli, ed era disposto d'andarvi, fino dall'agosto 1832. Piuttosto, s'egli seppe che la Targioni lo canzonava, e perciò si staccò da lei, l'avrà saputo da altri. « * Se l'amore fu indegno, le poesie ch'esso ispirò sono nobilissime. < Il pensiero dominante e Amore e morte non sono per nulla, dice il Carducci, poesie erotiche, sono meditazioni perfette e sublimi. > ' Il pensiero dominante appartiene al primo periodo dell'amore, il periodo della esaltazione, e fu composto nel 1831, prima che il poeta andasse a Roma col Ra- nieri; Amore e morte fu composto dopo il ritorno da Roma fra la primavera e la fine del 1832, e rappre- senta il secondo periodo, il periodo della commozione profonda, nel quale il pensiero amoroso si associa al pensiero della morte e finisce coU'esserne soggiogato.
- Cabdccci, Degli spiriti e delle forme ec., pag. 112. 396 CAPITOLO XIX.
Il poeta scrisse una volta che quando aveva veduta in sogno la donna a lui cara, evitava per alcuni giorni d'incontrarsi con essa, ben sapendo che la realtà avrebbe distrutto l'incanto del sogno. Ora no; ora quanto più torna a rivedere la donna amata, tanto più cresce il diletto e il delirio del quale egli vive. Pare dunque ch'egli abbia trovata la donna che non si trova, ch'egli abbia trovata la incarnazione vera del suo ideale. Da questo inganno nasce l'esal- tazione, da questo inganno i pensieri che sono il prodotto di quella esaltazione. Nessun altro poeta, dopo il secolo XIV, al quale il Leopardi per questa parte si riattacca, scrisse mai, sotto l'impulso della passione, niente di più nobile ed alto. Nel Pensiero dominante il poeta della doglia mon- diale canta un bene che supera tutti i mali della vita ; pare diventato per un momento il cantore della feli- cità umana: ma anche qui trova modo di ricordare che il meglio di ciò che natura concesse agli uomini è la morte; eccettuato l'amore, Solo per cui talvolta, Non alla gente stolta, al cor non vile La vita della morte è più gentile. C*ò qui in origine il pensiero tanto accarezzato dal poeta nel secondo periodo dell'amore, che cioò il mondo ha due sole coso belle, amore e morte, il pensiero da cui rampollò la immagino della loro fratellanza. Amore e morte ò quasi la prosecuzione del Pensiero dominante. Quando l' esaltazione amorosa C giunta al sao più alto punto, che cosa avviene? Forse gli occhi Bpaiira AUor quoHto doHcrto : a so la terra Forse il mortalo inabitabil fatta Vede ornai Rcn/.a quella Nova, sola, itifinita Felicità che il suo ponsier figura: LA FINE DELL' ULTIMO AMORE. 397 Ma per cagiou di lei grave procella Presentendo in suo cor, brama quiete, Brama raccorsi in porto Dinanzi al fier disio, Che già, rugghiando, intorno intorno oscura. Ecco perchè Fratelli, a un tempo stesso. Amore e Morte Ingenerò la sorte. Ecco perchè Fin la negletta plebe, L'uom della villa, ignaro D'ogni virtìi che da saper deriva, Fin la donzella timidetta e schiva. Che già di morte al nome Sentì rizzar le chiome. Osa alla tomba, alle funeree bende Fermar lo sguardo di costanza pieno, Osa ferro e veleno Meditar lungamente, E nell'indotta mente La gentilezza del morir comprende. Entrato in quest'ordine d'idee e dopo aver dato alla morte le forme di bellissima fanciulla, ed averla adornata delle più gentili virtù, il poeta finisce col dimenticare la donna amata, e chiude il suo canto con una invocazione alla morte, dicendole che ogni sua speranza è in lei sola, e che aspetta serenamente il giorno nel quale possa addormentandosi piegare il volto sul seno verginale di lei. Un'altra poesia, di genere affatto diverso da queste due, derivò dall'amore per la Targioni, il Consalvo. Il posto che l'autore assegnò a questa poesia fra i suoi Canti fece credere per qualche tempo ad alcuni ch'essa fosse stata composta intorno al 1821 : ma ora, dopo quanto è stato scritto in proposito dai più au- torevoli critici leopardiani, nessuno dubita più che fac398 CAPITOLO XIX. eia parte anch'essa del ciclo di poesie riferentisi al- l'amore per la Targioni. Probabilmente fu scritta nel 1832 a Firenze, dopo il canto Amore e morte, col quale ha strettissima parentela. Il Consalvo è, direi quasi, Amore e morte in azione. Consalvo, malato d'amore, a ventidue anni e mezzo è giunto all'ultimo giorno di sua vita. Gli amici lo hanno abbandonato : Elvira, la donna ch'egli ama, ed alla quale non ha mai detto una parola d'amore, è presso di lui condotta da un sentimento di pietà a consolarlo ed assisterlo. Quando Elvira sta per par- tire, Consalvo sente che la morte si avvicina, e fatto ardito dalla morte, prende la donna per mano, la trat- tiene, le dice che quello è il suo ultimo addio, le la- scia intravedere l'amor suo, e le chiede un bacio: pria Di lasciarmi in eterno, Elvira, un bacio Non vorrai tu donarmi? un bacio solo In tutto il viver mio? La donna stette un istante pensierosa, poi appres- sando la bocca al volto del morente, Più baci e più, tutta benigna e in vista D'alta pietji, su le convulse labbra Del trepido, rapito amante impresse. Qui finisce il dramma, e dovrebbe, sembra, finire la poesia; la quale invece seguita per un'altra buona metà. Quel bacio pare che abbia richiamati gli spi- riti vitali del moribondo, il quale fa ora alla donna amata una calda e lirica esposizione dell'amor suo. Por l'effetto drammatico quella esposiziono può parere poco opportuna, ma come poesia ò forse la parte mi- gliore del Canto. La storia dell'amore per la Turgioni fu nel cuore del poeta ben altro e più terribile dramma di quello da lui descritto nel Cànaalvo. Morire nel bacio della LA FINE dell' ULTIMO AMOBE. 399 donna amata sarebbe stata per il Leopardi la suprema delle felicità ; ma la morte, che tante volte e in tante guise invocò nei due anni di quello sciagurato amore, fu sempre sorda alle sue preghiere: invece, d'un tratto, dalle altezze ideali, da quel paradiso di sogni, nel quale errava in balìa del suo dolce pensiero, si sentì preci- pitare nel fango della vita : ebbe come ribrezzo di st^, e ruppe in quell'angoscioso grido: Ornai disprezza Te, la natura, il brutto Poter che, ascoso, a comun danuo impera, E l'infinita vanità del tutto. Oramai il pessimismo leopardiano era giunto al- l'estremo limite. Chi governava l'universo non era più Dio, né la natura, né il fato; era una potenza malvagia, Ariraane. E ad Arimane volle ora sciogliere un canto, di cui non compose che l'abbozzo, il quale finisce con queste parole: < Concedimi ch'io non passi il settimo lustro. Io sono stato, vivendo, il tuo maggior predi- catore ec, l'apostolo della tua religione. Ricompen- sami. Non ti chiedo nessuno di quelli che il mondo chiama beni: ti chiedo quello che è creduto il mas- simo de' mali, la morte (non ti chiedo ricchezze ec, non amore, sola causa degna di vivere ec.). Non posso, non posso più della vita. >' Probabilmente questo abbozzo fu scritto dal Leo- pardi mentre aspettava il ritorno del Ranieri da Na- poli nel marzo o nell'aprile del 1833. Il 29 giugno di quell'anno egli finiva il suo settimo lustro. • Nelle carte napoletane ora in corso di stampa.