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IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 365 Colletta e al Capponi, non mi pare possibile. Se l'avesse fatto, sarebbe stata una colpa imperdonabile. Dovè essere una vera e propria dimenticanza: o forse il poeta stimò inutile quell'invio. Essendo il Colletta quegli che aveva trattato col libraio la stampa del volume, dovè credere ch'egli potesse averne diretta- mente dal libraio stesso le copie che desiderava per sé e per qualcuno degli altri amici ai quali era de- dicato. L'animo del Leopardi, checché si sia detto, fu e si mantenne sempre buono e gentile. Egli potè, ce- dendo ad una momentanea irritazione, fare qualche atto scrivere qualche parola ingiusta contro chi lo aveva profondamente e iniquamente offeso, come il Tommaseo; non potè mai essere sconoscente verso chi lo aveva una volta beneficato. E posto che avesse (ciò che io non credo) qualche ragione di sdegno col Colletta, perchè avrebbe fatto uno sgarbo al Capponi?
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Quando nella rivoluzione del 1831 i paesi delle Marche doverono nominare i loro deputati all'assem- blea nazionale da tenersi in Bologna, Recanati fece cadere i suoi voti unanimi sopra il nome di Giacomo Leopardi. Tra quei voti era (ciò che parrà strano, e non è) il voto di Monaldo, uno dei componenti il Comi- tato. Nessuno può credere che egli mandasse volentieri suo figlio a rappresentare la rivoluzione, quella rivo- luzione che aveva proclamato cessato di fatto e per sempre di diritto il dominio temporale del romano pon- tefice, quello, cioè, che il conte reazionario chiamava il suo dolcissimo governo. Il conte naturalmente desi- derava e sperava che la rivoluzione fosse subito do- mata; ma finché essa era trionfante e comandava, egli si sentiva in dovere di obbedire; come tutti coloro