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IL SUSSIDIO FIORENTINO EC. 363 stento la vita con la mia fiiniiglia, e misuro per ogni spesa (pur quella delle medicine) il poco più o meno. > La lettera finisce così: < Possa l'Italia pregiar l'opere vostre quanto esse meritano, ed arricchirvi. Il quale mio voto suppone l'altro ch'io fo caldissimo di ve- dervi ristabilito in salute ed occupato a pubblicare i lavori che avete nello scrigno, gli altri che avete in mente. >' Qualcuno ha sentito in queste parole un po' d' ironia : le apparenze dell' ironia ci sono, ma a me ripugna credere che l'animo del Colletta, buono, per quanto impetuoso e irritabile, fosse capace di una malignità così raffinata: né le piccole cagioni del suo risentimento verso il Leopardi spiegherebbero l'atroce oftesa. È fuori di dubbio che dopo qualche tempo dall'ar- rivo di Giacomo in Firenze le relazioni fra i due amici si erano andate raffreddando. Il Leopardi non aveva potuto comporre nessuno dei tanti lavori dei quali aveva parlato nelle sue lettere da Recanati al Colletta ; non aveva potuto (ciò che al Colletta importava molto più) dargli l'aiuto ch'egli aspettava da lui nella cor- rezione della storia. Di ciò lo storico napoletano si la- gna con amare parole nelle lettere al Capponi.* Né meno amaramente si lagna che, pubblicatosi dal Piatti il volume dei Canti, il Leopardi omettesse di mandarlo a lui e al Capponi. < Credo, gli scrive, che dei suoi amici tu ed io siamo rimasti soli a non avere il suo libro; né più glie ne parlo; né m'importa. Ho riletto parecchi dei componimenti antichi, alcuni dei nuovi; e ti dico all'orecchio che niente mi è piaciuto. La medesima eterna, ormai non sopportabile, melan- conia; gli stessi argomenti; nessuna idea, nessun con- cetto nuovo: tristezza affettata, e qualche secentismo:

  • Americo De Gennaro Ferrigni, Leopardi e Collelta, episodio

di storia letteraria, narrato su nuovi documenti; Napoli, 1888, pag. 24.

  • Vedi Ledere di Gino Capponi ce, voi. I, pag. 333.