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364 CAPITOLO XVIII. stile bello. > ' In questo giudizio sui Canti c'entra forse un po' di dispetto : a parte ciò, possiam dire che il Colletta non era la persona meglio adatta a sentire il pregio della poesia leopardiana. Se il malumore di lui è spiegabile, sarebbe ingiusto fare al Leopardi una colpa del non avere potuto lavorare né per sé né per l'amico. Se poi, come si è pure sospettato, il Colletta si ebbe a male che il poeta non dedicasse a lui solo i Canti, il torto in ciò sarebbe stato tutto suo. Con la lettera che abbiamo in parte riferita il Col- letta vuol lasciar credere al Leopardi che il sussidio fu dato da lui solo, o da lui nella massima parte; ciò che non era vero, e contradiceva alla lettera con la quale egli aveva offerto per la prima volta il bene- fizio e fattolo accettabile. Il Leopardi non sapeva chi erano gli amici che lo avevano sovvenuto, ma il fatto ch'essi erano rappresentati dal Colletta non lo auto- rizzava ad attestare a lui solo la sua gratitudine. Egli non ignorava che alcuni di essi, come il Poorio, che fu certo del numero, e lo stesso Colletta, non erano toscani ; ma con le parole Amici suoi di Toscana volle comprendere tutti; tutti quelli che gli avevano dato modo di venire a Firenze, che dimoravano allora in Toscana, che si riunivano con lui dal Vicusseux. La dedica fu dunque quale doveva essere; e a me piace credere che il Colletta non solo non ne rimanesse scontento, ma dovesse approvarla. A gloria di lui ri- maneva il fatto, notissimo a tutti, che il sussidio era stato opera sua. Io non credo che Giacomo sperasse che il sussidio, finito l'anno, si sarebbe rinnovato. Sa- peva di non aver potuto pul)blicare nessun lavoro; e perciò mancavano lo condizioni di una possibile rinnovazione. Che Giacomo poi omettesse per j)ropo8Ìto delibe- rato di màndaro in dono un esemplare dei ('unti al ' Vudi Utttr* di alno Capponi oc, voi. I, pag. 881, 882.