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368 CAPITOLO XVIII. tadini, e che, per quanto il corpo di lui fosse disfatto, e la sfiducia avesse sostituita la baldanza patriotica, il cuore, quel nobile cuore che aveva palpitato nella Canzone aW Italia, era sempre lo stesso. Ed era destinato a nuove torture. Una volta il Leopardi, leggendo in Teofrasto de- finita la bellezza una tacita menzogna, oiwTiwaav àjiaxYjv, annotò : < Pur troppo bene ; perchè tutto quello che la bellezza promette e par che dimostri, virtù, candore di costumi, sensibilità, grandezza d'animo, è tutto falso. > ' Per quanto egli avesse fatto questa, e molte altre osservazioni, prima e poi, dello stesso genere, intorno alle donne ; per quanto male avesse pensato e scritto di loro, egli sapeva che < all'aspetto di una beltà che gli usi qualche piacevolezza, l'uomo è sempre più o meno soggetto a ricadere in tutte le stravagantissime illusioni dell'amore, ch'egli ha conosciuto e sperimen- tato impossibile, immaginario, vano. >' La dolorosa fine dell'amore per la Malvezzi non gli aveva inse- gnato nulla. Anche ora che, a trentadue anni, si sen- tiva, ed era, vecchio decrepito, anche ora doveva ri- cader vittima di quella funesta passione. Si avverava così quello che a diciannove anni aveva scritto nel diario: < Veggo bene che l'amore dev'essere cosa amarissima, e che io pur troppo (dico dell'amor te- nero e sentimentale) ne sarò sempre schiavo. >* L'infelice poeta era arrivato da appena tre mesi a Firenze quando, scrivendo alla Paolina, lo mandò questa singolare notizia: < Cosa incredibile! il mio abito turchino ridotto all'ultima moda, coi petti lun- iria fllotofla 90., voi. I, pag. 87U. i'i lir, pag. 389.
- In '|ii Im volumo A pag. 92.