Vita di Giacomo Leopardi/Capitolo IX
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I»i5 Capitolo IX. DISPERAZIONE E RASSEGNAZIONE. 1820-1821. Sommario: Pietro Brighenti. — Amicizia di lui col Giordani e col Leopardi, — Gravi sospetti ch'egli fosse una spia del go« verno austriaco. — Trattative del Leopardi col Brighenti per la stampa di tre nuove canzoni. — Opposizioni di Monaldo. — Irritazione di Giacomo. — Pubblicazione della canzone Ad Angelo Mai. — Sequestro di essa da parte della polizi» austriaca. — Dubbi che la polizia fosse stata messa suU'av. viso dal Brighenti. — Tristezze orribili di Giacomo. — Ten- tativi per uscire di Recanati. — La zia Ferdinanda Melchiorri. — Prega Monaldo di mandare Giacomo a Roma da lei. — Chiede un posto per lui nella Biblioteca Vaticana. — Gia- como cede alla fortuna e si rassegna. — Sua conversione di Eraclito in Democrito. — Disegni letterari. — Pensieri nello Zibaldone. — Scrittura sulle lingue. — Giacomo annunzia al Giordani le nozze della sorella Paolina. La visita del Giordani al Leopardi nel 1818 fu occasione a questo di entrare in relazione, che ben presto divenne intima, con l'avvocato Pietro Brighenti, il quale viveva allora stentatamente in Bologna, fa- cendo l'editore e il libraio. Il Giordani conosceva il Brighenti da un pezzo. Si erano conosciuti al tempo del dominio francese in Italia, sotto il quale e l'uno e l'altro erano entrati nella via degli impieghi pubblici; e la conoscenza era presto divenuta amicizia. La fortuna, che arrise da principio ad entrambi, si volse ben presto contraria al Giordani; il quale nell'ottobre del 1804, dopo nep- pure un anno eh' era stato nominato coadiutore alla biblioteca e professore d'eloquenza in Bologna, fu 166 CAPITOLO IX. tolto da quell'ufficio come incapace. Intanto il Bri- ghenti, dagli uffici di polizia, dove aveva cominciato la sua carriera, era passato alle viceprefetture, prima di Massa e Carrara, poi di Cesena. Si trovava nei primi del 1807 a Cesena, quando il Giordani, fatto inutilmente un giro per la media e bassa Italia, in cerca di una occupazione che gli desse da vivere, riparò presso di lui. In quali con- dizioni egli fosse, appare da queste parole che scri- veva l'il luglio al Marchese di Montrone: < Tu devi sapere ch'io non ho abiti, non denari, non ho nulla.... Oh Montrone mio.... io sarei morto, se non era Bri- ghenti. Se tu sapessi.... io ho vergogna a dirti tutto quello che ho sofferto. > * Naturale che la riconoscenza stringesse sempre più il Giordani al Brighenti. Pure la loro amicizia, dopo undici anni di affetto, per parte del Giordani vivo e purissimo, fu turbata, anzi rotta, per un fatto ed in circostanze che sono rimaste ignote. Probabil- mente ciò dovette avvenire avanti il 1816, nel quale anno comincia, nell' epistolario del Giordani, la cor- rispondenza di lui col Brighenti. Che la colpa fosse di questo non pare dubbio ; poiché una volta eh' egli rammaricandosi rammentò all'amico i tempi ne* gnidi poteva comandargli, il Giordani rispose: < sapete che io non vi lasciai; ma voi mi ripudiaste. >* E solamente per compassione delle misere condi- zioni in cui il Brighenti si trovò, perduto dopo la re- staurazione l'impiego, il Giordani consenti a ranno- dare con lui l'antica amicizia. Dalle lettere del Giordani o del Leopardi al Bri- ghenti, da quello di lui a loro, o dalle relazioni che egli ebbe con altri letterati ed uomini illustri del ' Optrt di l'Utro Giordani, pubblicato dii Antonio Quualli: Apponi] ico, png. 22((.
- Vedi KpIttolaHo di PMto (7/ordan/; voi. V, png. 77 in noia.
J DISPERAZIONE E KASSEGNAZIONE. 167 tempo suo, egli appare un uomo operoso, intelligente, cólto, buon padre di famiglia, amico affezionato e ser- vizievole, ammiratore degli uomini d'ingegno e vir- tuosi, un uomo insomma per ogni verso rispettabile, benché disgraziato. E nessuno, finché visse, lo sospettò capace di azioni disonorevoli. Onde, allorché nel 1851 il Marchese Gualterio nella sua Storia degli ultimi rivolgimenti i7aiiawt pubblicò una nota di corrispondenti ufficiosi del Governo austriaco, nella quale si leggeva fra gli altri il nome dell'avvo- cato Brighenti, la cosa parve così inverosimile, che lo stesso Gualterio, dubitando della veracità del do- cumento, rinvenuto fra le carte della polizia dopo i giorni dell'insurrezione lombarda, avvertì che biso- gnava andar cauti nel prestar fede ad esso, < perchè, diceva, non è impossibile che il vero corrispondente della polizia fosse ben altri da quello cui venivano dirette le lettere da Milano e da Vienna. > < Aggiunge- vasi, scrive il Piergili citando le parole del Gualterio, che i carteggi delle spie s'includevano talvolta nella corrispondenza di altre persone, le quali così li tra- smettevano cui erano inviati, senza però conoscerne il contenuto. E, per rispetto al Brighenti, tal cosa ap- pariva in tutto verosimile, poiché essendo egli libraio ed editore, non gli mancavano occasioni di spedire per ogni dove libri e stampe ; né si reputava impro- babile che alcuno avesse potuto abusare della sua buona fede, facendo per mezzo di lui pervenire le pro- prie lettere a qualche segreto agente della polizia au- striaca. La lista poi de' confidenti, che questa aveva lasciata negli archivi, non poteva essere fatta ad arte per spargere la diffidenza fra i liberali italiani? >' Quando poi nello stesso anno la stessa accusa al Brighenti fu ripetuta tìqW Archivio di Capolago, Ce-
- Vedi Piergili, Un confidente deWaìta polizia austriaca nel Ga-
binetto di Giampietro Viensseuu- ; Recanati, Simboli, 1888, pag. 17. 168 • CAPITOLO IX. sare Cantù ed Antonio Giissalli la giudicarono a di- rittura calunniosa. Dopo ciò passarono quasi quaranta anni, durante i quali di quella accusa non si parlò più: parve come dimenticata. La rinfrescò nel 1888 Giuseppe Piergili, facendo intorno ad essa nuove indagini, le quali lo indussero nella opinione che il Brighenti avesse realmente eser- citato il tristo mestiere fino dal tempo nel quale era in relazione col Giordani e col Leopardi. L'argomento più forte recato innanzi dal Piergili è questo. Negli anni che precederono di poco la rivoluzione del 1831 un tale Luigi Morandini mandava all'alta polizia di Milano relazioni segrete intorno ai liberali di Romagna e dei paesi vicini; e proprio nel 1828 ne mandava da Firenze intorno al liberalismo del Vieus- seux e degli uomini che frequentavano il suo ga- binetto, fra i quali sono nominati il Leopardi e il Giordani. Il sedicente Morandini, osserva il Piergili, appare dalle sue stesse relazioni uomo di qualche cultura; e il Brighenti, che sotto il governo napoleonico era stato negli uflici di polizia, da una lettera a Monaldo Leo- pardi e dalle sue lettere all'Albertazzi, pubblicate a Forlì in occasione di nozze, appare uomo di sentimenti tutt'altro che liberali, e disposto, anzi appassionato, per gli uffici polizieschi. Dunque, prosegue il Piergili, poiché nel 1828, quando furono inviate alla polizia di Milano lo relazioni del Morandini sul gabinetto Vieus- Heux, il Brighenti era a Firenze, e andava dal Vieus- seux, non v naturalo supporre che il sedicente Mo- randini fosse lui? ÌjO, supposizione può essere ragionevole; ma a soste- gno di essa manca la prova più convincente, che cioò le relazioni del sedicente Morandini siano di mano del lirighonti. Aggiungfasi che gli argomenti addotti d;il Piergili tt provaro la disposiziono del Brighenti a^,Mi uffici polizieschi non hanno gran valore; perchè il DISPERAZIONE E RASSEGNAZIONE. 169 Briglienti, scrivendo a Monaldo Leopardi per calmare le sue ire contro il liberalismo del figliuolo, è natu- rale cercasse di non urtarne le opinioni, e perchè le lettere del Brighenti all'Albertazzi sono, come è noto, una falsificazione letteraria. C'è di più. Il Morandini, parlando di sé in una delle relazioni, dice di non essere né letterato uì- uomo distinto. Se autore della relazione fosse stato il Bri- ghenti, perchè avrebbe fatto questa dichiarazione, che non poteva se non scemare autoritj\ a lui e alle cose che riferiva? Anche: in una lettera del Brighenti a Giacomo Leopardi del 6 giugno 1821 si leggono queste parole: < pur troppo non v'è rifugio per l'uomo dabbene.... Ldanto perfino gli spioni vanno in cocchio^ e sono la delizia dei circoli dei nostri patrizi. >' È pos- sibile che chi scriveva così fosse un uomo disposto, anzi appassionato, a fare la spia ? un uomo che aveva poco innanzi, come sospettano il Piergili e il Car- ducci, denunciato alla polizia austriaca la Canzone del Leopardi al Mai ? Di questa denuncia parleremo fra poco: intanto io non posso nascondere che per le cose accennate mi ripugna ammettere in un uomo tanta falsità e bas- sezza d'animo quanta ce ne voleva nel Brighenti per farsi in segreto il delatore de' suoi amiti. Le prime due Canzoni patriotiche del Leopardi non avevano trovato ostacolo nella Censura romana. Ma il poeta aveva in casa una Censura più ombrosa e più rigida nel padre suo, il quale alle lodi date dai Car- bonari alle Canzoni, si pelò (diceva Carlo Leopardi) per la paura; e aprì bene gli occhi, deliberato d'im- pedire altri simili reati poetici deF tìgliuol suo.
- Vedi PxEBOiLi, scritto citato, pag. 30, 31. 170 CAPITOLO IX.
Finita la canzone al Mai, Giacomo pensò di pub- blicarla insieme con le altre due Fer donna malata e Su lo stramo composte l' anno innanzi, e ne scrisse il 4 febbraio 1820 al Brighenti, pregandolo d' incari- carsi della stampa. Il Brighenti accettò, e rispose che lo stampatore, per ingrossare il volumetto, proponeva di aggiungerci le due prime canzoni : ciò piacque al poeta, il quale le mandò subito corrette. Il 7 aprile, non essendosi ancora conchìuso niente circa la stampa delle canzoni, e non avendo il Leo- pardi potuto raggranellare il denaro occorrente, ri- scrisse al Brighenti che oramai rinunciava alla pub- blicazione, salvo che lo stampatore non volesse farla per conto suo, nel qual caso egli acquisterebbe cin- quanta copie del libretto. Mentre aspettava, impaziente e irritato di queste piccole contrarietà, una lettera del Brighenti gli an- nunziò che suo padre si opponeva alla ristampa delle due prime canzoni e alla stampa di quella Su lo stra- zio. Pare che Monaldo rovistando le carte del figlio, come questi sospettava, avesse letto le lettere di lui al Brighenti. Inutile dire che per queste nuove contrarietà l'ir- ritazione di Giacomo crebbe a dismisura. Prese la penna, e rispose : < Quanto ai dubbi di mio padre, ri- spondo che io come farò sempre quello che mi pia- cerà, cosi voglio parere a tutti quello che sono ; e di non esser costretto a faro altrimenti, sono sicuro per lo stesso motivo a un di presso, per cui Catone era sicuro in litica della sua libertà. Ma io ho la fortuna di parere un cogliono a tutti quelli che mi tratt.iiio giornalmente, e credono ch'io del mondo e degli no- mini non conosca altro che il colore, e non sappia quello che fo, ma mi Insci condurre d;ill(' pcisonc clic essi dicono, senza capire dove mi m('ii;iiit'. !'• n m sti- mano di dovermi illuminare o sorvegliare. K (juanto q\V illuminueionr, li ringrazio cordialmente; (in.inlo DISPERAZIONE E RASSEGNAZIONE. 171 alla sorveglianza, posso accertare che cavano acqua col crivello. > ' Rispondendo pochi giorni dopo ad una nuova let- tera del Brighenti, torna sali' argomento con ama- rezza anche maggiore : < Ringrazio mio padre del per- messo che mi concede di stampare le mie canzoni. Ma le due di Roma non vuole che si ristampino. Dice benissimo. Ha voluto sapere da lei i titoli delle ine- dite. Ha fatto benissimo. Non vuole che si stampi la prima (quella Su lo strazio). Parimente benissimo; non già secondo me, ma è ben giusto che neyli scritti miei prevalga la sua opinione, perch'io sono e sarò sempre fanciullo, e incapace di regolarmi. > Per le due canzoni delle quali il padre permetteva la stampa, dice che < non occorre incomodare gli stampatori > ; e quanto a quella al Mai, eh' è una delle due permesse, soggiunge : < Il titolo della seconda inedita si è trovato fortunatamente innocentissimo. Si tratta di un Mon- signore. Ma mio padre non s'immagina che vi sia qualcuno che da tutti i soggetti sa trarre occasione di parlar di quello che più gl'importa e non sospetta punto che sotto quel titolo si nasconda una canzone piena di orribile fanatismo. > Risponde poi ad alcune obiezioni del Brighenti intorno alla canzone Su lo stra- zio, per la quale aveva ancora un debole ; e dopo altri sfoghi dolorosi finisce : < Il mio intelletto è stanco delle catene domestiche ed estranee. >* Al Brighenti dispiacque che gli fosse ritirata la commissione, e se ne dolse. Allora il Leopardi ri- solvè di stampare a sue spese la sola canzone al Mai ; e vi mise innanzi una lettera di dedica al conte Leo- nardo Trissino di Vicenza, che aveva conosciuto per mezzo del Giordani. Ai primi di luglio la canzone era stampata, e il 17 Giacomo pregava il Brighenti di mandarne un esem-
- Epistolario di Giacomo Leopardi, voi. I, pag. 264.
- Idem, pag. 268 e seg. 172 CAPITOLO IX.
piare al Trissino; il quale, saputo della dedica, se n'era mostrato confuso e meravigliato. Se non che, mentre aspettava il libretto, questo fu sequestrato dalla polizia austriaca, ed egli n' ebbe dei fastidi ; onde non è a meravigliare, se lì per lì, invece di ringraziamenti, mandò al Leopardi, per tutta risposta alla dedica, la notizia secca secca che la canzone era sfata severa- mente proibita per volontà espressa del principe viceré e comandatane la perquisizione.^ Chi aveva messo così per tempo sull'avviso la poli- zia austriaca? Dalle Carte segrete di essa pubblicate a Capolago nel 1851 risulta che la denunzia della can- zone fu fatta da un tale Brasil, aggiunto di polizia a Venezia, con rapporto dei 7 agosto 1820 al Kubech, direttore generale. < E per che altro, scrive il Car- ducci, il rapporto sul libretto poetico del Leopardi fu indirizzato al direttore della polizia di Venezia e non a quel di Milano, se non per questo che la canzone era intitolata al conte Trissino di Vicenza e il Bri- ghenti aveva avuto incarico dal Leopardi di mettersi in corrispondenza con quel signore di Vicenza ? Ah Brasil, Brasil ! Io temo forte di conoscere il tuo cor- rispondente e informatore! >' Anche il Piergili crede che l'informatore del Brasil fosse il Brighenti: ma questa opinione di lui e del Carducci è fondata, come si vede, sopra semplici indizi: i quali non mi paiono più concludenti degli altri fatti, dal Piergili stesso ad- dotti a dimostrare che il Brighenti fu veramente una spia dell'Austria. Per me hanno puro qualche valore i dubbi solle- vati dal (iualtcrio intorno alla sincoritil della nota di corrispondenti uJliciosi del governo austriaco da lui pubblicata, e l'opinione del Canti! o del (iussalli in proposito. Tuttavia, quand'anche restasse provato che
- KpMolarto di Oiaeomo Ltopardt, voi. I, png. 298 in nota.
' Carducci, Dtgli »jili'lll f. tlfUe f»vm« oc, pag. 210. DISPERAZIONE E RASSEGNAZIONE. 173 il nome del Brighenti in quella nota ci stava a do- vere, io inclinerei a credere ch'egli non si riducesse a tale avvilimento se non negli ultimi anni di sua vita, quando, perduta oramai ogni speranza di migliorare le sue condizioni, si ritrasse a nascondere la sua mi- seria in Forlì. Nella nota accanto al nome di ciascun corrispondente è scritto il luogo di sua residenza, che per il Brighenti è appunto Forlì. « Del sequestro della canzone il Leopardi non si af- flisse troppo, se non quanto gli dispiacque forse ch'ella non giungesse nelle mani del Trissino, col quale egli era allora in corrispondenza epistolare molto frequente ed amichevole. Ma le condizioni d'animo del poeta erano molto tristi, sì per la cattiva salute, sì per le altre cose che abhiamo dette. Le lettere dell'anno 1820 sono piene di orribili tristezze. Eccone un saggio. (Al Brighenti, 21 aprile): < È tempo di morire. È tempo di cedere alla fortuna; la più orrenda cosa che possa fare il giovane, ordinariamente pieno di belle speranze, ma il solo piacere che rimanga a chi dopo lunghi sforzi tìnalmente s'accorga d'esser nato colla sacra e indelebile maledizione del destino. > (Al Giordani, 24 aprile) : < Dov'è l'uomo più dispe- rato di me? Che piacere ho goduto in questo mondo? Che speranza mi rimane ? Che cosa è la virtù ? Non capisco più niente. > (Al medesimo, 9 giugno) : < Ora- mai credo che tutto sia falso in questo mondo, an- che la virtù, anche la facoltà sensitiva, anche l'amore. > (Al Brighenti, 14 agosto) : < La freddezza e l' egoi- smo d'oggidì, l'ambizione, l'interesse, la pertìdia, l'in- sensibilità delle donne, che io definisco un animale sema cuore, sono cose che mi spaventano. > (Al me- desimo, 28 agosto) : < La scelleraggine delle donne mi 174 CAPITOLO IX. spaventa, non già per me, ma perchè vedo la miseria del mondo. S'io divenissi ricco e potente, eh' è impos- sibile, perchè ho troppo pochi vizi, le donne senza fallo cercherebbero d'allacciarmi. Ma in questa mia condizione, disprezzato e schernito da tutti, non ho nessun merito per attirarmi le loro lusinghe. > (Al Giordani, 4 settembre) : < In questi giorni, quasi per vendicarmi del mondo, e quasi anche della virtù, ho immaginato e abbozzato certe prosette satiriche. > È singolare questo insistere sulla insensibilità e la scelleraggine delle donne e sull'essere disprezzato e schernito da tutti. Naturalmente esagerava. Due cose lo tormentavano con egual forza, jl bisogno d'amore e il desiderio di fama; e il pensiero che in Recanati né quel bisogno né quel desiderio non potevano es- sere sodisfatti lo faceva andar fuori di sé. Le relazioni sue col padre dopo la fuga impedita, e dopo la feroce inquisizione che questi esercitava sopra i suoi scritti, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, erano tutt' altro che cordiali. Non osando ribellarsi aper- tamente, si sfogava nelle lettere con gli amici, e in casa si rodeva dentro con la sua rabbia. Sentiva la sua impotenza e tuttavia non pensava che a liberarsi. Si raccomandava agli amici che gli trovassero un impiego qualsiasi, dicendo loro che a cose fatte suo padre cotisentirebbe, ma che non era sperabile s'in- ducesse a fare egli stesso qualche cosa per lui : era più facile smuovere una montagna.^ Il Giordani e il Bri- ghenti si davano attorno, quegli a Milano, questi a Uologna ; o forse con più fervore di loro la zia Fer- dinanda a Uoma, Il Giordani fece pratiche per otte- nergli una cattedra in Ijoml)ardia (paro nel liceo di Lodi), il Brighenti per la cattedra di eloquenza a Bologna; ma non conclusero niente. Nò fu più for- tunata la zia Ferdinanda. ' Vo<li ICpliitoìarlo di (J/aeomo Ltopardi, voi. I, png. 201. DISPERAZIONE E RASSEGNAZIONE. 175 Cotesta buona e brava donna, sorella di Monaldo, ma di natura molto diversa da lui, e diversissima dalla cognata, era andata sposa nel 1795 al mar- chese Pietro Melchiorri di Roma. Affezionatissima alla madre, al fratello e alla famiglia di lui, aveva mantenuto con essi affettuosa relazione. Delicata, anzi debole, di salute, poco felice nel matrimonio, dotata di una sensibilità eccessiva, incline alla malinconia, aveva molti punti di somiglianza con Giacomo; di- versa in questo da lui, che trovava un conforto alle sue afflizioni nella religione. Era andata nella seconda metà del 1819, l'anno tristissimo di Giacomo, a Re- canati nella casa paterna a rivedere la vecchia ma- dre ammalata, che l'anno appresso morì. La tristezza cupa e disperata del nipote dovè farle grande impressione: vide qual barriera di ghiaccio separava il figlio dai genitori ; conobbe la bontà, la grandezza e l' infelicità del giovane ; e si sentì attratta verso di lui dal desiderio di consolarlo e di aiutarlo. Non so se lino d'allora ella facesse qualche tentativo per rompere, almeno temporaneamente, la schiavitù domestica di Giacomo. Ella capì subito quello che non avevano capito e non volevano capire i genitori, che cioè era questione vitale fare uscire l' infelice giovane da Recanati ; e se non ne parlò subito al fratello, glie ne scrisse più tardi, tornata a Roma. Dice la contessa Teia ch'ella, spinta dalla sua tenerezza, oltrepassò forse i limiti di ima prudente intromissione fra lui e i ge- nitori, e parla delle scaramuccie intime provocate da tale intromissione.' Nelle lettere di lei a Giacomo, che vanno dal 27 novembre 1819 al 29 maggio 1822 (e sono i soli documenti che abbiamo delle relazioni della zia col nipote e la famiglia di lui) non e' è indizio di quella intromissione eccessiva. ' Vedi Contessa Tkia Leopardi, Note bioffrafìehe citate, pa- gina 60. 176 CAPITOLO IX. La buona zia cerca di consolare il nipote, lo con- forta ad aver pazienza ; e solo una volta gli fa ba- lenare la speranza di averlo con sé a Roma. < È molto tempo (gli scrive il 7 ottobre 1820) che io conoscevo la situazione vostra, e mi faceva molta compassione il vostro stato, talché, contro il mio sistema di non impicciarmi mai ne' fatti altrui, avevo fino da qualche mese pregato vostro padre a volervi far venire in Roma in mia casa per qualche tempo, lusingandomi che la dimora in questa città vi fosse di vantaggio. Esso mi ha fatto qualche riflessione, ma non mi ha negato questo favore ; e avrei sperato riuscirvi, se voi stesso col progetto che mi fate, non mi toglieste la lusinga di acconsentirvi. > Giacomo le aveva scritto della cattedra di Bologna e delle pratiche che aveva deliberato di fare per tentare di ottenerla, nelle quali desiderava forse di essere aiutato da lei, per mezzo di qualche letterato romano. Ma essa, cercando dissua- derlo, gli diceva: < L'andare a Bologna, coprirvi una cattedra, sarà forse facile l'ottenerlo; ma la vostra salute poi vi resisterà? Voi poco ci vedete, Bologna è un'aria pessima per gli occhi, e qual compenso se vi rovinate anche di peggio ? > ' Proseguiva mostran- dogli i vantaggi dell'andare a Roma piuttosto che a Bologna, e lo consigliava di parlarne col padre, al quale ella stessa tornava a scrivere, con la speranza eh' egli finalmente avrebbe accondisceso. Ferdinanda s' illudeva ; ma non s' illudeva Gia- como, il quale sapeva bene che < la fermezza straordi- naria del carattere di suo padre, coperta da una co- stantissima dissimulazione e apparenza di cedere, era tale da non lasciare la minima ombra di speranza. >' Intanto la brava donna si adoperava a trovare in Roma un impiego per il nipote. Saputo ch'era
- L«titr$ $erUt» a Olaeomn leopardi tini huoì parnutl, pngg. 14
• 16. ' Idotn, png. 16 in nota. DISPERAZIONE E RASSEGNAZIONE. 177 vacante la cattedra di letteratura latina nella Biblio- teca Vaticana, andò ella stessa dal Cardinale Con- salvi, Segretario di Stato, a chiederla per lui, rac- comandò caldamente la cosa al Mai, custode della Vaticana, e il 24 marzo 1821 ne scrisse a Giacomo, suggerendogli di rivolgersi anch'egli al Mai diretta- mente. Giacomo scrisse subito non solo al Mai, ma anche al Giordani, e al Perticari, la cui raccoman- dazione sperava potesse giovargli. Tutto inutile. Non passarono molti giorni, ed una lettera dell'abate Can- cellieri avvisò il Leopardi che il posto era stato dato ad un altro.' Così la povera Ferdinanda, a cui il suo affetto e le sue cure per il nipote avevan forse alienato l'animo del fratello e della cognata,* non potè aver la conso- lazione di veder sodisfatto il desiderio di lui. Gia- como, come vedremo, ottenne di andare a Roma sol- tanto nel novembre del 1822, quando essa era morta. « * Dopo la canzone al Mai, scritta, come sappiamo, nei primi del 1820, il Leopardi stette più di un anno senza tornare alla poesia. < La poesia, scriveva al Giordani il 20 novembre 1820, l'ho quasi dimenticata, perch' io vedo, ma non sento più nulla. > Non però che non lavorasse; anzi i due anni 1820 e 1821, il secondo in particolare, furono dei più operosi della sua vita. Con la stessa lettera del 20 novembre scri- veva all'amico: < Vengo leggendo e scrivacchiando stentatamente, e gli studi miei non cadono oramai sulle parole, ma sulle cose. > Sulla fine di quell'anno e nell'anno seguente stette discretamente bene della ' Vedi Epistolario, voi. I, pag. 330. Vedi Lettere scritte a Giacomo Leopardi dai suoi parenti, pag. 30. r f 1 Chiabimi, Leop, 12 178 CAPITOLO IX. salute. < Della mia salute, scriveva il 26 gennaio 1821 al Trissino, non ho cagione di lamentarmi più del- l'ordinario, anzi forse alquanto meno. > E poco avanti (i 5 del mese stesso) aveva scritto al Giordani : < Io sto competentemente bene del corpo. L'animo, dopo lunghissima e ferocissima resistenza, finalmente è sog- giogato e obbediente alla fortuna. Non vorrei vivere ; ma dovendo vivere, che giova ricalcitrare alla neces- sità? Costei non si può vincere se non colla morte. Io ti giuro che avrei già vinto da lungo tempo, se m'avessi potuto certificare che la morte fosse posta in arbitrio mio. Non avendo potuto, resta ch'io ceda. Né trovo oramai che altra virtù mi convenga, fuori della pazienza, alla quale io non era nato. > Una mutazione stava avvenendo, anzi era in gran parte avvenuta in lui. Alla disperazione era succe- duta la rassegnazione. Invece di aspettare consola- zione dagli amici, si provava egli a darne loro. Scri- vendo al Giordani, il quale in quel tempo era afflitto da una grave malattia di nervi, e perciò in preda ad una fiera malinconia, gli faceva animo coli' esem- pio suo: < Ma dimmi: non potresti tu di Eraclito convertirti in Democrito? La qual cosa va pure ac- cadendo a me, che la stimava impossibilissima. Vero ò che la disperazione si finge sorridente. Ma il riso in- torno agli uomini e allo mie stesse miserie, al quale io mi vengo accostumando, quantunque non derivi dalla speranza, non viene però dal dolore, ma piuttosto dalla noncuranza, ch'ò l'ultimo rifugio degl'infelici sog- giogati dalla necessità. > Cosi il 18 giugno. E pochi mesi appresso, il 26 ottobre : < Oh so ti potessi rive- dere! Dopo tre soli anni, appena mi riconosciMcsII. Non più giovane, non più renitente alla luiLiuia: escluso dalla speranza e dal timore, escluso da' me- nomi fuggitivi piaceri che tutti godono. > La mutazione, annunziatasi fino dal sottonilnc l^jo, quando scriveva che, quasi per vendicarsi del mondo, DISPERAZIONE E RASSEGNAZIONE. 179 e quasi anche della virtù, aveva immaginato e ahhozsato certe prosettc satiriche, ora prima della fine del 1821 era interamente compiuta. Il Giordani sentì quanto dolore era in quella mutazione ; e desideroso di libe- rare l'amico, nò vedendo per lui altra via d'uscire da Recanati, lo consigliò di farsi prete.' Era il con- siglio della disperazione, e Giacomo fece bene di non seguirlo. Dell' operosità intellettuale del Leopardi negli anni 1820 e '21 fa larga testimonianza lo Zihahìoue. Il 10 settembre del 1821, scusandosi al Brighenti d'avere tardato a rispondergli, scriveva : < Datene la colpa ai miei maledetti studi. Dico maledetti, perchè i pensieri che mi si affollano tutto giorno nella mente, in questa mia continua solitudine, e a' quali io voglio in ogni modo tener dietro con la penna, non mi la- sciano un'ora di bene. > La folla dei pensieri era tale, che quelli affidati allo Zibaldone nel solo anno 1821 occupano quasi due volumi e mezzo di esso (1127 pa- gine). Nò la operosità del Leopardi in questo tempo si limita ai pensieri dello Zibaldone. Probabilmente sono dell'anno 1821, o di poco anteriori, quei sei Disegni letterari, che il Cugnoni pubblicò nel se- condo volume delle Opere inedite.- Il primo è un Elo- gio Vita del generale Cosciusco, proposto come og- getto di premio dall'Accademia di Varsavia. L'autore si proponeva di trattarlo con intento sopra tutto patriotico; e perciò terminando il disegno diceva: « Questo argomento si poteva anche mutare nella Vita del generale Paoli, difensore della Corsica, che sa- rebbe un bel soggetto. > Il secondo è un < Romanzo istorico sul gusto della Ciropedia, contenente la sto- ria di qualche nazione prima grande, poi depressa, poi ritornata in grande stato per mezzi che si do-
- Vedi Epistolario, voi. Ili, pag. 189.
- Opera inedite di G. Leopardi, ec.; Halle, Niemeyer, 1878-
1880; voi. II, pag. 369 e seg. 180 CAPITOLO IX. Trebberò fingere simili a quelli, per li quali si può sperare o desiderare che l' Italia ricuperi il suo buon essere. > Il disegno terzo, Dialoghi satirici alla ma- niera di Luciano, ha qualche analogia con le Ope- rette morali. Questi Dialoghi dovevano essere piccole Commedie, a scene di Commedie, < le quali potrebbero servirmi, scriveva l'autore, per provar di dare al- l' Italia un saggio del suo vero linguaggio comico, che tuttavia bisogna assolutamente creare, e in qualche modo anche della satira, eh' è, secondo ch'io sento dire, nello stesso caso. > Al quarto dei disegni, che certo è il più importante, l'autore aveva già pensato fino dal 1819, se anche lo scrisse più tardi; poiché esso trovasi annunciato con le stesse parole in una lettera al Giordani del 12 febbraio di quell'anno. Il titolo è : Della conditone prescelte delle lettere italiane. Questo trattato, scriveva all'amico, « dovrebbe essere il fon- damento e la norma di qualunque cosa mi avvenisse poi di comporre; > e nel disegno lo annunziava così: < Dovrebb' essere un' opera magistrale, nazionale e ri- formatrice, dove si paragonasse la letteratura italiana presente con quella delle altre nazioni ; si mostrasse la necessità di libri filosofici elementari, metafisici ec, istruttivi, di educazione, per fanciulli ec, italiani e non tradotti, nò scritti alla straniera; si provasse il bisogno di render qui, come ò già totalmente al- trove, popolare la vera letteratura italiana, adattata cara alle donno e allo persone non letterato, la ne- cessità di libri italiani dilettevoli ed utili per tutta la Nazione, ec. > L'autore seguita in questo tuono ad esporre il suo disegno; a proposito del quale il Carducci osserva: < In tali sentenze parmi ci sia in sostanza tutta la riforma de' romantici dove fu civih; e in quel che ebbe di buono. > * Gli altri duo dise- gni homo: V, un Vocma di forma didascalica sulle selve
- Carducci, D*ffll npivill > d«lU fot-m* oe., pag. 54, 66. DISPERAZIONE E RASSEGNAZIONE. 181
e le foreste, nel quale l'autore dovrebbe principalmente servirsi della infinita materia poetica che le foreste e le selve somministrano, toccare le antiche ninfe, driadi, amadriadi, napee, ec; e VI, una serie di < Vite de' più eccellenti capitani e cittadini italiani a somiglianza di Cornelio Nepote e di Plutarco, destinate a ispirare l'amor patrio per mezzo dell'esempio de' maggiori, aiutato dall'eloquenza dello storico. > Come si vede, alcuni di questi disegni, quattro al- meno di essi, ma tre in particolar modo, il primo, il secondo e il sesto, hanno un intento altamente pa- triotico. Per ciò io li credo composti piuttosto prima che dopo il 1821. Alcuni dei pensieri dello Zibaldone dell'anno 1821 sono lunghe osservazioni e considerazioni sopra sva- riati argomenti di filosofia, di storia, di letteratura, d'estetica, di filologia: e sono naturalmente il risul- tato degli studi e delle meditazioni d' ogni giorno dell'autore; materiale prezioso ch'egli accumulava per opere da comporre quando la salute e le condi- zioni (lell'animo glie ne dessero agio. Dal marzo al- l'agosto una gran parte delle 500 e più pagine sono occupate da studi e osservazioni sulle lingue, intorno alle quali stava preparando un lavoro, di cui il 18 giu- gno dava un cenno al Giordani con queste parole: « Ho per le mani il disegno e la materia di una che vorrei chiamare operetta, ma questa materia mi cre- sce tuttogiorno in modo che sarò forzato a chiamarla opera. Come avrò finito di prepararla, se a Dio pia- cerà, metterò mano a fabbricarla, e credo che sarà presto. > Il Giordani, messo in curiosità, gli doman- dava: « Dimmi qual'è l'opera che ti occupa; >' e Giacomo, rispondendo il 13 luglio, gli dava queste spiegazioni: < La mia scrittura sarà delle lingue, e specialmente delle cinque che compongono la famiglia
- Ejpistolario, voi. Ili, pag. 185. 182 CAPITOLO IX. — DISPERAZIONE EC.
delle nostre lingue meridionali, greca, latina, italiana, francese e spagnuola. Molto s' è disputato e si disputa della lingua in Italia, massimamente oggidì. Ma i migliori, per quello ch'io ne penso, hanno ricordata e predicata la filosofia piuttosto che adoperatala. Ora questa materia domanda tanta profondità di concetti, quanta può capire nella mente umana, stante che la lingua e 1' uomo e le nazioni per poco non sono la stessa cosa. > E seguita, accennando uno degli scopi che si propone col suo lavoro, il quale è che gì' ita- liani che vogliono darsi allo scrivere diventino scrit- tori originali e non copisti. I materiali di questo la- voro rimasti nello Zibaldone formano l'ammirazione dei dotti, i quali in alcune osservazioni dell'autore veg- gono divinate alcune scoperte fatte poi dalla scienza. Con la lettera che parlava al Giordani del libro sulle lingue Giacomo gli annunziava il matrimonio della sorella Paolina con un tal Peroli, di Sant'An- gelo in Vado. La povera figliuola, pur d'uscire di casa, si era, per consiglio dei fratelli, adattata a quelle nozze con un uomo bruttissimo e di niuno spi- rito, ma di natura pieghevolissima e stimato ricco.' Monaldo aveva por ciò dato il suo assenso : ma quando più tardi seppe che la ricchezza non e' era, o non era quale si credeva, mandò all'aria il matrimonio. Gia- como aveva giit composto la Canzone per le nozze della sorella. Vedi KpMolario, voi. I, png. 400.
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