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176 CAPITOLO IX. La buona zia cerca di consolare il nipote, lo con- forta ad aver pazienza ; e solo una volta gli fa ba- lenare la speranza di averlo con sé a Roma. < È molto tempo (gli scrive il 7 ottobre 1820) che io conoscevo la situazione vostra, e mi faceva molta compassione il vostro stato, talché, contro il mio sistema di non impicciarmi mai ne' fatti altrui, avevo fino da qualche mese pregato vostro padre a volervi far venire in Roma in mia casa per qualche tempo, lusingandomi che la dimora in questa città vi fosse di vantaggio. Esso mi ha fatto qualche riflessione, ma non mi ha negato questo favore ; e avrei sperato riuscirvi, se voi stesso col progetto che mi fate, non mi toglieste la lusinga di acconsentirvi. > Giacomo le aveva scritto della cattedra di Bologna e delle pratiche che aveva deliberato di fare per tentare di ottenerla, nelle quali desiderava forse di essere aiutato da lei, per mezzo di qualche letterato romano. Ma essa, cercando dissua- derlo, gli diceva: < L'andare a Bologna, coprirvi una cattedra, sarà forse facile l'ottenerlo; ma la vostra salute poi vi resisterà? Voi poco ci vedete, Bologna è un'aria pessima per gli occhi, e qual compenso se vi rovinate anche di peggio ? > ' Proseguiva mostran- dogli i vantaggi dell'andare a Roma piuttosto che a Bologna, e lo consigliava di parlarne col padre, al quale ella stessa tornava a scrivere, con la speranza eh' egli finalmente avrebbe accondisceso. Ferdinanda s' illudeva ; ma non s' illudeva Gia- como, il quale sapeva bene che < la fermezza straordi- naria del carattere di suo padre, coperta da una co- stantissima dissimulazione e apparenza di cedere, era tale da non lasciare la minima ombra di speranza. >' Intanto la brava donna si adoperava a trovare in Roma un impiego per il nipote. Saputo ch'era
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