Storia di Torino (vol 2)/Libro III/Capo IV

Libro III - Capo IV

../Capo III ../Capo V IncludiIntestazione 1 novembre 2023 75% Da definire

Libro III - Capo III Libro III - Capo V
[p. 357 modifica]

Capo Quarto


Cattedrale di San Giovanni. — Omicidio d’un duca di Torino commesso entro alla medesima. — Le tre chiese antiche del duomo. — Campanile, da chi costrutto. — Ricostruzione della cattedrale dal 1492 al 1498, fatta dal cardinale Domenico Della Rovere.— Quistione sull’architetto; opinioni del professore Carlo Promis e del cavaliere Luigi Canina. — Descrizione della chiesa. — Dove fosse anticamente conservato il Santissimo Sudario. — Monumenti sepolcrali.— Sepolcri de’ principi, degli arcivescovi, dei canonici, dell’antica parrocchia di corte. — Musica. — Predicatori del duomo. — Morte del padre Prever sul pulpito di San Giovanni.


I templi, di forma tondeggiante, dedicati al precursor S. Giovanni, servivano per lo più di battistero, ed erano per l’ordinario separati dal duomo, in cui si compievano i divini uffizii. Del che molti esempli possono ancora vedersi in Italia.

A Torino invece come a Monza la chiesa di San Giovanni era la vera cattedrale; ad essa era o fu più tardi aggiunta la chiesa del Salvatore, da cui verso il mille s’intitolavano i canonici Torinesi; e in altrepoca le si aggiunse altresì una terza chiesa, [p. 358 modifica]similmente attigua alle due prime, dedicata a Santa Maria. Ma dalla chiesa cattedrale di San Giovanni ov’era il battistero s’avea l’ingresso principale.

Che tal fosse la disposizione de’ luoghi fin dal tempo de’ Longobardi, lo dimostra ad evidenza l’uccisione seguita entro le sacre soglie di Garibaldo duca di Torino nel giorno di Pasqua dell’anno 662. Garibaldo, uom disleale, micidiale egli stesso del re Godeberto suo signore, fu aspettato a vendetta da un Torinese, famiglio del tradito Godeberto, in sul limitare del duomo. S’aggrappò cotest’uomo con una mano alle colonne del battistero, celò coll’altra il ferro sotto al largo manto che portava all’uso longobardo, e quando il duca venne a passare per recarsi in duomo, gli menò tale un colpo che l’uccise; e fu ucciso egli stesso immediatamente dai seguaci di Garibaldo.

La chiesa cattedrale doveva estendersi fino al sito occupato adesso da quella parte del palazzo del re che trovasi al nord della chiesa, dove, e precisamente sotto al portone a ponente, fu trovato in agosto del 1843, il sepolcro d’Ursicino vescovo di Torino del sesto secolo.

Sul cadere del secolo xiii v’erano tre chiese: quella del Salvatore, quella di San Giovanni e quella di Santa Maria.1 In una di queste chiese si fondò più tardi la cappella di Sant’Ippolito. Tutte e quattro furono parrocchie. Ma San Salvatore fu, credo, la [p. 359 modifica]prima che cessò d’esserlo. Sant’Ippolito noi fu lungamente. Nel 1443 le parrocchie di Sant’Ippolito e di San Giovanni avendo pochissimi parrocchiani, furono soppresse e riunite alla parrocchia di Santa Maria de Dompno.2

La chiesa di San Giovanni, stala verosimilmente più volte prima distrutta e riedificata, ricostruivasi di nuovo nel 1395.3 Verso al 1462 il vescovo Ludovico di Romagnano insieme col capitolo allogavano a maestro Amedeo Albini, pittore d’Avigliana, una gran tavola da porsi all’altar maggiore, e questi la finiva sollecitamente, ed in gennaio del 1463 ricevea ducati d’oro 300 a conto di 400 che importava tutta l’opera.

Giovanni di Compeys, succeduto nella cattedra Torinese al Romagnano, costrusse il vasto e sodo campanile della cattedrale, sul quale ancor si veggono a breve altezza le insegne gentilizie del Prelato scolpite in marmo. Sul cader del secolo il cardinale di San Clemente ne continuò la fabbrica. In ottobre del 1720 il re Vittorio Amedeo ii, desiderando di finir quella torre secondo i disegni del Juvara, fe’ dar cominciamento ai lavori. Dovea la sommila adornarsi di colonne, di balaustri e d’altri fregi di pietra di Chianoc, e finire in una vaga piramide coperta di piombo, surmontata da una palla di rame colla croce, ed accompagnata da quattro minori piramidi o candelieri sorgenti dagli angoli del [p. 360 modifica]campanile. S’era anzi già dato l’appalto di siflalii lavori nel 1722. Masi bell’opera rimase, come tanle altre, imperfetta.4

La fabbrica quale ora si vede fu sostituita alle tre chiese che prima esistevano dal cardinal Domenico della Rovere, vescovo di Torino, e cardinale del titolo di S. Clemente, il quale patteggiò a questo fine con mastro Amedeo de Francisco da Settignano, diocesi di Firenze, chiamato Meo del Caprino, per la costruzione della chiesa, sapienza e campanile.

Dal campanile in fuori, che pare sia stato solamente levato a maggior altezza, lutto l’antico fu distrutto, e il nuovo e grazioso duomo edificato in sei anni, dal 1492 al 1498.5 La perfetta armonia delle parti, sulle quali piacevolmente l’occhio trascorre e riposa, la bellezza della facciata, degli stipiti delle porte squisitamente intagliati, quella dei fianchi e della cupola, la fanno tenere in pregio dai pochi veri conoscitori dell’arte; e assai meglio dovea comparire il nostro duomo, quando tutta era dispiccata dal retrostante edilìzio, l’abside a cui si girava attorno, e che veniva illuminata da due finestre oblunghe; quando, nell’interno, la visuale non era traviata dalla soprastante cappella della Sindone, e allato all’altar maggiore, invece de’ marmorei scaloni di stile diverso, vedeansi due cappelle della forma e proporzione delle altre.

Chi sia stato l’architetto di questo nostro più [p. 361 modifica]bello e più antico tempio, non appare finora per prova diretta, e dissentono in questo punto fra loro due illustri archeologi ed architetti, della cui amicizia singolarmente mi onoro. Chiaro parve al professore Carlo Promis che sia opera del celebre Baccio Pontelli, fiorentino, architetto di Sisto iv, traendone indizio dall’essersi adottata nel contratto con Meo del Caprino la misura della canna romana, dalla probabilità che il cardinale di San Clemente, il quale slava a Roma ed era in gran favore di Sisto iv suo omonimo, si sia servito dell’architetto del papa, e dal vedersi la facciata, la cupola, i fianchi, le sagome, le proporzioni affatto somiglianti a quelle usate da Baccio Pontelli nelle chiese da lui condotte in Roma, e nelle provincie contermine, le quali hanno tutte quei pregi di timida purezza e di grazia schiva e dilicata, che s’ammirano nella nostra cattedrale, e che vi ammiravano gli scrittori del cinquecento, i quali aveano più di noi il sentimento del vero bello, dicendo fra gli altri il Merula con lode certamente esagerata, ma che pur raffrenata entro giusti termini prova ancor molto: tempio ornatur Sancti Joannis Baptistae adeo ex simetria (sic) christiana deducto ut unum vix et alterum simile in tota Italia reperies6

Il cav. Luigi Canina in una opera, come tutte le altre sue, dotta ed elegante, sull’architettura de’ templi cristiani, combatte questa opinione, a me per [p. 362 modifica]isbaglio attribuendola, ed osserva che Meo del Caprino potè essere egli stesso autor del disegno ed appaltatore dell’opera secondo lo stile di quell’età; che potè aver lavorato a Roma, e là conchiuso il contratto, onde non è maraviglia che abbia fatto uso della canna romana; che il Pontelli era assente da Roma, ed occupato in lavori dell’arte sua in Urbino quando il duomo Torinese fu cominciato; che gli scrittori hanno registrato tutte le opere di questo architetto, e non avrebbero dimenticato il duomo di Torino, se Baccio ne fosse autore; che infine migliori del nostro San Giovanni sono i templi che Baccio architettò; poichè, se nella nostra cattedrale si scopre in generale una buona disposizione e convenienza di parti, non si può tuttavia lodare quell’aggruppamento di mezze colonne senza proporzioni proprie del genere a cui appartengono.

A me non s’appartiene in fatto d’arte levarmi giudice fra que’ due dottissimi uomini, onde basti Taverne qui accennate le opposte sentenze, soggiungendo che nell’opera medesima il cavaliere Canina ha proposto il disegno d’una nuova cattedrale torinese, la quale per maestà, bellezza e magnificenza, sarebbe degna d’ogni più gran capitale.

Mi credo nondimeno obbligato a chiarire alquanto la questione, esponendo quanto appare dalla convenzione con cui fu allogata l’opera del duomo a Meo del Caprino, ossia Bartolomeo de Francisco da Settignano. [p. 363 modifica]

La convenzione si compone di due parti: una latina, ed è ristromenlo stipulato a Torino con cui fu concesso l’appalto della fabbrica della chiesa di Torino al detto Meo da Ludovico della Rovere, protonolaio apostolico, prevosto d’essa chiesa e da altri procuratori del cardinale di San Clemente. Questo istromento ha la data del 15 novembre 1492, indizione x, e si riferisce ai capitoli uniti all’istromento che sono in lingua italiana, senza data, e segnati dal cardinale di San Clemente così:

Ita est D. Card. S. Clementis manu propria.

Similmente l’intestazione de’ capitoli dice:

Li capituli infra lo Reverendissimo card, de Sancto Clemente et Maistro Mheo.


Questo non prova altro se non che il cardinale trattò a Roma e intese con Meo del Caprino le basi del contratto, e che poi lasciò che l’atto formale di deliberamento si stipulasse dal nipote e da altri suoi procuratori a Torino.

Un altro capitolo confermando in questa parte l’opinione del cav. Canina, prova che Meo fu a Roma, poichè parla de ducati cento che hebe a Roma. Ma il tenore di questo e d’altri capitoli dimostra, a parer [p. 364 modifica]mio, che se Meo ebbe l’appallo del lavoro non ne fu però architetto.

Diffatto risulta che quando ebbe l’allogazione dell’opera, la fabbrica era già cominciala, prometlendo tutti li denarii se sono spesi circha detta fabbrica excepto quelli degli scarpellini tenerli per receputi.

Appare da un altro capitolo che non era ancora determinato se la chiesa si reggerebbe per colonne o per pilastri: item promette murare tutti li conii anderanno in dieta chiesa et rizave colonne tutte a sue spese o vero far pilastri diligentemente lavorati dummodo se misure vodo per pieno, et non computarlo piuchè per muro come di sopra e detto intendendo dove solamente andavano le colone o vero pilastri dele doe nave, ecc.

Da questa maniera d’esprimersi cotanto indeterminata mi sembra provarsi ad evidenza che Meo del Caprino non ebbe nel duomo Torinese altra parte che l’opera di muratura, e che quando conchiuse il contratto non erano ancora ultimati, o definitivamente approvati tutti i disegni che certamente non ebbe Meo allora sott’occhio.

Del contratto fatto con gli scarpellini per li pilastri della chiesa e per la facciata non ho potuto trovare la menoma traccia. Avvi bensì ne’ protocolli dell’arcivescovado (xl. 113) una convenzione del 31 luglio 1498, con cui il Reverendo Eletto, cioè lo stesso Ludovico della Rovere, eletto l’anno prima [p. 365 modifica]a coadiutore del cardinale suo zio, e Luca Dulcio, a nome del cardinale di San Clemente allogarono a Bernardino de Antrino, e Bartolomeo de Charri, fiorentini, l’impresa di far di marmo la piazza e la scala innanzi alla chiesa; ed a Sandro di Giovanni altresì fiorentino quella di fare una pila per l’acqua santa simile all’altra che già esisteva; e due più piccole per le porte laterali. Ed è probabile congettura che Sandro fosse quel medesimo che intagliò con tanta purezza e leggiadria i fregi che adornano gli stipiti delle tre porte di quella vaga facciata, che riproduce con poca diversità il tipo di quella di Santa Maria Novella di Firenze; e che l’Antrino e il Charri fossero stati i provveditori delle pietre lavorate dei pilastri e della facciata.

Finalmente lo stesso giorno si diede a Francescano Gaverna di Casalmonferrato, legnaiuolo, l’incarico di far cinque porte di legno di rovere, coperle di legno di noce ed incorniciate, tre per la facciata, due per le porte di fianco che rispondevano alla croce delle navate della chiesa.7

Ma di ciò basti. Tempo è di descriver la chiesa.

Abbondano di buone pitture non meno che di marmi le molte cappelle di questa chiesa.

Distinguesi, fra gli altri, il secondo altare a destra, di padronato de’ calzolai, dedicato ai Ss. Crispino e Crispiniano, dove la tavola a scompartimenti sopra [p. 366 modifica]l’altare ed i diciotlo quadretti graziosamente incastrati fra gli ornamenti delle pareti laterali, sono attribuiti ad uno de’ più celebri pennelli della scuola tedesca, Alberto Durer da Nurimberga. Il vescovo che si vede accanto ai santi titolari, è Sant’Orso, di cui si celebra la festa il primo giorno di febbraio.8

Nel terzo altare la Madonna con S. Gio. Battista, con S. Francesco di Sales, S. Michele Arcangelo e S. Filippo Neri, è di Bartolommeo Caravoglia, allievo del Guercino, ma molto più debole del maestro nel trattar l’ombre e i lumi, nel qual magistero il Guercino era sovrano.

L’altare di San Secondo che non ha cosa notabile, ma che è molto pulito e adorno, anticamente dedicato ai Santi Stefano e Catterina, era dapprima patronato dei conti di Pollenzo, poi passò alla Real Casa di Savoia. Nella crudele pestilenza del 1630, la citta di Torino si votò a S. Secondo, promettendo dedicargli una cappella. Cessato il morbo, ottenne di poter consecrare al Santo la cappella di Santa Catterina, e vi pose una iscrizione che rammentava il voto.

In altra cappella i Ss. Cosimo e Damiano, colla Vergine incoronata dalla SS.ma Trinità, furono dipinti da Gian Andrea Casella di Lugano, discepolo di Pier Berrettini detto Pier da Cortona, meno fecondo del maestro, ma ammanierato del pari.

Nell’altare del Crocifìsso in cui si conserva il SS. [p. 367 modifica]Sacramento, le scolture in legno sono del Borelli, le due statue di Sta Teresa e Sta Cristina, poste ai lati dell’altare, sono egregia opera di Pietro Legros; e vennero qui trasportate dalla chiesa di Santa Cristina in aprile del 1804.

Ai due lati di quest’altare, che non era nel sito preciso in cui ora si trova, vedevansi nel 1584 i depositi del cardinale di S. Clemente, Domenico della Rovere, vescovo di Torino e fondatore di questa chiesa, morto nel 1501 a Roma, donde dieci anni dopo fu trasferito a Torino, e di Giovanni Ludovico, suo nipote e coadiutore, poi vescovo di Torino, morto nel 1510.9 Questi sepolcri furono disfatti nelle varie mutazioni alle quali andò soggetta l’interna disposizione delle cappelle, e le casse vennero allogate entro al muro tra il coro invernale e la cappella; rinvenute qualche anno fa, quando si aprì ad uso de’ canonici la piccola porta a mezzodì, si trasferirono nelle tombe d’essi canonici in un sepolcro a foggia d’altare.

La tribuna reale che trovasi dall’altro lato della chiesa, di fronte a questa cappella, fu disegnala dall’architetto Francesco Martinez, e scolpita da Ignazio Perucca.

Nel coro, dietro l’altar maggiore, vedesi una gloria d’angioli che suonano di varii strumenti. E opera laudevole di Domenico Guidobono di Savona, fratello [p. 368 modifica]del prete Bartolomeo, che fu altresì pittore di grido. Fu dipinta nel 1709.

Un’altra gloria d’angioli dipinse Domenico nel duomo di Genova, con tanto studio e tanta felicità, che molto s’avvicina alla soavità di Guido Reni. Ma di rado il suo pennello ebbe tanta fortuna. Il padre di questi due pittori era pittor di maioliche al servigio della corte di Torino.

Ed è notabile quanto presto allignasse l’amor dell’arti negli animi de’ principi di Savoia. Amedeo v che visitò la Toscana e Roma ne’ primi anni del secolo xiv, condusse a’ suoi servigi Giorgio d’Aquila, fiorentino. Amedeo viii, in principio del secolo xv, Gregorio Boni, veneziano. Da Emmanuele Filiberto in qua vi fu un perpetuo studio d’aver buoni pittori, scultori ed architetti; e se talvolta vi fu error nella scelta; se tal altra volta, agli artisti ricercati con larghe proferte, non parve bello abbastanza, abbastanza inspiratore il sorriso del nostro cielo, molte altre fiate per altro riuscirono i principi di Savoia, ora ad ottimi, ora a lodevoli risultamenti.

Tornando per la navata della tribuna verso la porta, noterò che dove ora è il maestoso ingresso dello scalone del Santissimo Sudario, era anticamente la cappella de’ Ss. Stefano e Catterina, patronato dei conti di Pollenzo, dove gli Innocenti, vale [p. 369 modifica]a dire i cantori facevano celebrare una messa quotidiana. In questa cappella fu custodita assai tempo la Santissima Sindone. La tavola della cappella di San Luca è del celebre nostro nazionale cavaliere Ferdinando Cavalieri, e fu surrogata ad altra che prima esisteva del cavalier Delfino. È un dipinto di bontà notabile in tinte molto chiare, per compensare l’oscurità del sito in cui è collocato.

Questa cappella di patronato dei pittori e scultori, è anche titolo canonicale della collegiata della SS.ma Trinità, la cui origine risale al 1060, epoca nella quale Adelaide contessa di Torino, vedova d’Oddone di Savoia, deputò in perpetuo sei cappellani che pregassero per le anime de’ suoi trapassati, ed in particolare per quella di suo padre Olderico Manfredi, conte e marchese, seppellito appiè di quell’altare.

Ora questi Canonici, cresciuti di numero, decorati di mezzetta invece dell’almuzia che una volta portavano, ufficiano due chiese; parte di essi, vale a dire i preti teologi del Corpus Domini, servono la chiesa di questo nome; gli altri sono deputati ad officiare la R. chiesa di San Lorenzo. Ma nei giorni fenati della quaresima si radunano nella loro cappella del duomo a salmeggiare pel riposo delle anime de’ nostri principi.

In altra cappella la tavola della Risurrezione è del [p. 370 modifica]cavaliere Federigo Zuccaro. Prima del 1500 questa cappella intitolavasi a San Francesco.

La tavola dell’altare di Sant’Eligio fu dipinta dal già lodalo Caravoglia. Appartiene questa cappella all’università de’ panattieri, uno de’ quali, Matteo Mota, donò il tabernacolo nel 1665, l’altro, Martino Gianineto, fece l’altare di marmo nel 1680, come appare da due iscrizioni.10 La tavola di San Massimo è di mano del Casella, quella di Sant’Onorato del cavaliere Delfino.

L’ultimo altare di questa navata presso alla porta, dedicato a S. Giovanni, S. Maurizio, S. Turibio Beccuti, S. Secondo e varii altri santi, è molto negletto, ed il quadro che è sopra l’altare, è rotto in più luoghi; e dovrebbe tenersi in maggior conto, essendo dipinto da Guglielmo Caccia detto il Moncalvo; pittor nazionale di bella fama, e se non correttissimo nel disegno, abbondante nelle invenzioni e mirabile per la freschezza del colorire.

La statuetta del Santo Precursore nel battistero, è di mano del già lodato Stefano Maria Clemente.

A’ tempi della visita di monsignor Peruzzi vescovo di Sarcina, le cappelle della chiesa metropolitana erano più di venti, due delle quali nel sito ove ora s’aprono gli scaloni del Santissimo Sudario; ma nella massima parte, per incuria de’ patroni od ecclesiastici o laici, non solo disadorne, ma squallide e sfornite, con altari di legno, senza croce [p. 371 modifica]ne’ candelieri, e piene d’immondezze. Le finestre non aveano vetri, ma tela incerata, la quale vedevasi ancora in Torino fino ne’ palazzi de’ principi. Il coro de’ Canonici era angusto molto. Accanto alia chiesa verso il meriggio era il cimitero. Ma dopo quella visita apostolica, la chiesa fu ripulita, le cappelle adornate, gli altari costrutti di muratura, di pietre o di marmi, ridotti a minor numero, ma alzati allo splendor conveniente. Carlo Emmanuele i ornò l’altar maggiore, vi costrusse uno stupendo tabernacolo, ampliò il coro e vi fece attorno gradi marmorei; fe’ alzare un elegante oratorio di legno o tribuna, in cui egli e la sua famiglia assister potessero ai divini uffici.11

A quei tempi i Gesuiti insegnavano il catechismo ai ragazzi nel duomo e in San Dalmazzo; e il sacerdote che portava l’olio santo ad un infermo, andava in cotta e stola solennemente, preceduto dalla croce.

Le pareti di questo sagro tempio s’adornano di molte lapidi sepolcrali.

L’iscrizione più antica e preziosa è quella del vescovo Ursicino che morì nel 509.12 Poi si valica un intervallo di otto secoli, e si trova il sepolcro di Giovanna d’Orliè, dama de la Balme, morta a Pavia, trasferita a Torino e sepolta nella cattedrale extra magnani portam nel 1479. Fondò questa dama tre coristi nella cattedrale. Nel 1495, quando si rifece [p. 372 modifica]il duomo, il sepolcro di lei fu trasferito nel coro, donde nel 1657, dovendosi edificar la cappella del SS.mo Sudario, fu trasportata presso alla porta grande; ivi si vede la sua statua inginocchiata sopra ad un monumento adorno di statuine. Ma non v’è iscrizione.13

Rammenteremo dipoi come sotto la tribuna si vedeano, prima del 1778, due statue giacenti, l’una d’un vescovo, l’altra d’un togato. Erano opera di Antonio Cartone,14 scultore de’ primi anni del cinquecento, e raffiguravano, l’una Amedeo di Romagnano, vescovo di Mondovì e cancellier di Savoia, come scorgesi dall’iscrizione; l’altra, senza iscrizione, ma divisala collo stemma dei Romagnani, od Antonio di Romagnano suo padre, stato altresì cancelliere di Savoia, morto nel 1479, od Antonio di Romagnano suo fratello, eletto consigliere del duca Filippo ii nel 1496.

Nel 1778 le due statue furono trasferite ne’ sotterranei15 e poste nella cappella accanto alla porta per cui si va nel sepolcro de’ vescovi. Rimase sotto la tribuna la sola iscrizione metrica d’Amedeo.16

Amedeo fu prima canonico di San Giovanni, poi cancelliere, poi vescovo di Mondovì. Fu creato cancelliere nel 1495, e morì in marzo del 1509. Fu questo prelato gran protettore delle scienze, ed in particolare delle scienze mediche.17

Un altro illustre sepolcro è quello di Claudio di [p. 373 modifica]Seyssel, colla sua statua giacente nel coro invernale de’ Canonici ov’era la cappella di San Lazzaro da lui fondata.

Fu il Seyssel professore di leggi nell’università di Torino; passò quindi molti anni al servigio di Francia, e sostenne per Ludovico xii difficili ambasciate. Stette prima assai tempo in ufficio di maestro delle richieste, come la si chiamano; poi fu vescovo di Marsiglia; in ultimo, arcivescovo di Torino, e morì il 31 di maggio 1520.

Era profondo giurisconsulto e letterato, secondo quei tempi, discretamente dotto; scrisse un libro assai riputato De triplici statu viatoris. Voltò molli autori greci dalla versione latina in lingua francese. Alcune sue traduzioni sono stampate, molte inedite.18 Infine fondò il Monte di Pietà di Torino.

Di tre nunzi pontificii morti a Torino e sepolti nella metropolitana, fanno memoria le lapidi, e sono Francesco Bacod, vescovo di Ginevra, morto il 1° di luglio del 1568; Corrado Tartarini di Tiferno, vescovo di Forlì, morto nel 1602, e Giambatista Landò, morto nel 1648. — Di sei vescovi e arcivescovi, oltre al Seyssel già mentovato, e sono: Domenico della Rovere, cardinale di San Clemente, che rialzò il duomo dai fondamenti, e morì nel 1501; Gian Ludovico della Rovere, morto nel 1510; Michele Beggiamo, morlo nel 1689; Antonio Vibò, morto nel [p. 374 modifica]1713; Francesco Arborio di Gattinara, morto nel 1743; Colombano Chiaveroti, morto nel 1851.

D’un segretario degli arcivescovi, Jacopo Maurizio Passeroni, morto nel 1650, è detto con opportuna locuzione, che insegnò col suo esempio non meno a parlare che a tacere.

Degni di memoria sono ancora i sepolcri d’un illustre fiorentino, Antonio degli Adimari, morto nel 1528; di Cristoforo, marchese di Ceva, morto nel 1516, di Claudio Guichard, istoriografo e consiglier ducale, autore di varie opere, morto nel 1607: questi ha sul suo sepolcro quel distico famoso ripetuto su varii altri, e pieno d’inestimabil sapienza.


Soli fide Deo, vitae quod sufficit opta;
Sit Ubi cara salus, caetera crede nihil.

I due pilastroni laterali all’altar maggiore serbano memoria dell’arciprete Guglielmo Bardino, stato assai tempo vicario generale di monsignor Gianfrancesco Della Rovere, morto nel 1518, e dell’arcidiacono Andrea Provana, morto nel 1515. Nel pilastro che sta di fronte a quest’ultimo, un marmo ricorda la ricostruzione, e la consecrazione del duomo,19 e l’erezione della cattedra torinese a dignità arcivescovile nel 1515.

Due canonici del duomo, zio e nipote, chiamati [p. 375 modifica]ambedue Ignazio Carrocio, si meritarono un grande elogio, li primo, morto nel 1674, ricusò tre volte d’esser vescovo; infulis tertium recusatis glorioso. Ma ebbe invece la badia di San Mauro ed altri carichi di Stato.

Il secondo ricusò i vescovati di Saluzzo e di Vercelli; ma non ebbe badie ne uffici di Stato; e datosi tutto al servizio de’ poveri nello spedale di San Giovanni, ne alzò la cappella, ne accrebbe le entrate, servì di sua persona gli infermi;20 e però venula per lui l’ultim’ora, il 5 d’aprile del 1769 moriva fra le lagrime e le congratulazioni di tutti i buoni. Qui giacciono, soggiunge riscrizione, le sole spoglie, ma egli ancor veglia su noi.21

Due soli ancora rammenteremo, medici famosi: Pietro Bairo, al quale per la fede illibata e la singoiar perizia, i più gran principi affidarono la cura de’ loro corpi. Egli diligente circa i cari capi od i capi illustri che gli venian commessi, non dimenticava il proprio, e morì il 1° d’aprile 1558 nella gravissima età di novant’anni.

L’altro, Giovanni Argenterò, fu il ristoratore delle scienze mediche, ma non aveva il balsamo della vita di maestro Antonio di Faenza, sicchè campò soli cinquantanove anni e morì in maggio del 157 v 2.22 Ne’ sotterranei del duomo è il sepolcro di Sua Altezza Serenissima monsignor il principe Federigo Augusto della Torre e Taxis, nato a Brusselle il 5 [p. 376 modifica]dicembre 1736, morto a Torino il 12 settembre 1751, e quello del conte e maggior generale Nicolò Palfì, morto in guerra il dì 26 maggio del 1800, di anni trentasei.

I sepolcri degli arcivescovi sono costrutti a guisa d’altari.

I monumenti conservati sono pochissimi — di Francesco Arborio Gattinara, morto in ottobre del 1745; — di Francesco Lucerna Rorengo di Rorà, morto in marzo del 1778; era questi stato rettore dell’università di Torino, e poi vicario di corte, quando in giovane età fu eletto vescovo d’Ivrea. Essendo di bello e fresco sembiante, compariva forse più giovane ancora di quel che fosse; ammesso all’udienza di Benedetto xiv, il pontefice che amava motteggiare e pungere, ebbe a dire ad alcuni prelati che là si trovavano: Il Re di Sardegna ci manda studenti per farne vescovi. Ma l’esame provò ch’egli era maestro, e che ne sapea quanto i più provetti. Nel 1768 fu fatto arcivescovo di Torino. Dieci anni dopo morì d’anni 46, dopo d’aver consecrato centocinquanta chiese. — Del cardinale Vittorio Gaetano Maria Costa d’Arignano, dottissimo uomo, e tanto dotto, che gli invidiosi ed i maligni, che mai non mancano, paragonando le opere posteriori del Denina colle Rivoluzioni d’Italia, e scorgendole tanto inferiori, andavano susurrando che monsignor Costa e non Denina n’era stato l’autore. Questo porporato [p. 377 modifica]non essendo andato a Roma a prendere il eappello, non ebbe titolo eardinalizio. Morì in dieembre del 1796. — Del dotto, pio e beneficentissimo Giacinto Della Torre morto il 7 d’aprile 1814, il cui brevissimo e freddissimo epitafio dimostra che fu scritto in tempi di sospetto e di reazione; seppure non deriva da una modesta ultima volontà del defunto.— Di Colombano Chiaveroti, morto in agosto del 1851, di cui son chiare la dottrina, la pietà e la prudenza.

Tra i sepolcri degli arcivescovi v’ha sul muro una iscrizione che ricorda un altro arcivescovo di Torino, il cardinale Giovanni Battista Rovero, morto in ottobre del 1756, in età d’anni 83. Questo prelato è sepolto in Santa Teresa, di cui alzò la facciata; epperò qui sta scritto:


Maeroris non sepulchri argumentum.


Infine qui giacciono similmente le spoglie del cardinale Paolo Giuseppe Solaro, già vescovo d’Aosta, morto in settembre del 1824, e di Carlo Arnosio, arcivescovo di Sassari, stato assai tempo canonico e curato di questa chiesa metropolitana, morto in agosto del 1829; ed hanno sepolcro foggiato come quello degli arcivescovi.

Fra le tombe de’ canonici sono da distinguersi quelle di due vescovi stranieri, Ludovico Gerolamo di Suffren di St-Tropez, vescovo di Nevers, morto [p. 378 modifica]nella casa de’ Missionarii di questa città il 22 di giugno del 1766; e Giuseppe Maria Luca Falcombello d’Albareto, vescovo di Salat, nel Périgord, morto a Torino il 20 di maggio del 1800. Ricorderemo poscia il sepolcro del già lodato abate Giovanni Pietro Costa, al quale posero i colleghi un ampio e ben meritato elogio;23 e quelli de’ canonici prevosti Bonaventura Roffredo di Saorgio, morto il 16 d’aprile 1829, Giovanni Gaetano Ferraris di Genola, morto il 24 d’agosto 1845, ed Arrigo Ruffino di Gattiera, piissimo e modestissimo prelato, morto il 5 d’aprile 1837, il quale ultimo lasciò allo spedale di San Giovanni un pingue legato; gli altri due lo instituirono erede d’ogni loro sostanza.

Molti altri canonici che qui dormono il sonno del giusto, incanutiti tra il dir le Iodi di Dio, l’esercitare il ministero apostolico, il servire e l’arricchir lo spedale, trapassarono una vita non celebrata fragorosamente per le bocche degli uomini, ma tanto più meritoria al cospetto di Dio, che scrive sul libro adamantino tutto ciò che si fa a gloria sua, e palese ed occulto, e fin le parole più segrete e i più segreti pensieri.

In una cameretta che si trova al di là delle tombe dei vescovi, addobbata una volta di tela nera, e sopra un palco addossato al muro, e che girava per tre lati della stanza funebre, erano deposte le bare [p. 379 modifica]di molli principi di Savoia, Amedeo viii, Emmanuele Filiberto, Caterina d’Austria, moglie di Carlo Emmanuele i, che vi fu deposta alle ore nove di notte dell’ 8 novembre 1597, ma che non so se più tardi sia stata portata al santuario di Vico, ov’è il sepolcro del duca suo marito; Carlo Emmanuele ii, Francesca di Borbone e Maria Giovanna Battista di Nemours sue consortili principe Tommaso (sepolto il 23 di gennaio del 1656) e varii principi e principesse della stirpe di Savoia Carignano, e d’altri principi del sangue, e signori del sangue. De’ principi di Savoia Carignano, linea felicemente regnante, ricorderò il principe Giuseppe Emmanuel, figliuolo del principe Tommaso, morto pochi giorni prima del padre, e sepolto il 5 gennaio del 1656; il principe Maurizio, già cardinale, morto il 3 d’ottobre 1657; Emmanuele Filiberto di Savoia, conte di Drò, d’anni quattordici, morto il 18, sepolto il 19 di aprile 1676; Emmanuele Filiberto di Savoia, principe di Carignano, sordo e muto dalla nascita, e nondimeno perfettamente ammaestrato nelle lettere, e di belli e virtuosi costumi informalo, morto il 25, sepolto il 27 d’aprile 1709. Ora i due primi ed il quarto, col principe Tommaso, riposano nella cappella del Santissimo Sudario. Gli altri nella badia di San Michele della Chiusa.

Nel sepolcreto dell’antica parrocchia di corte sotto la tribuna sono segnati varii sepolcri; noteremo [p. 380 modifica]fra gli altri quelli di Crescentino Vaselli di Siena, archiatro di Carlo Emmanuele in, morto nel 1789; e d’Alfonso di Verduco conte di Torre Palma, ambasciadore di Spagna, morto nel 1767.

Ma d’altre memorie illustri c’informarono i libri de’ battezzati e de’ defunti della chiesa Metropolitana, che per l’usata cortesia del reverendissimo capitolo mi fu dato di consultare. Il più antico di questi libri risale fino al 1532, ma continua poi per serie interrotta. Quindi s’attinge che nel battesimo s’usavano d’ordinario quattro o cinque, e spesso anche nove o dieci padrini; ed una, e talora due e fino a quattro madrine. Nel 1533, il 5 d’ottobre, fu battezzato Carlo, figliuolo del signor Giovanni di Combafort. Non ebbe che due padrini ed una madrina. Ma questi erano Carlo in duca di Savoia, Ludovico di Châtillon sire di Musinens, e Caterina principessa di Savoia. Lo battezzò l’arciprete Giacomo Provana. Il 23 dello stesso mese al battesimo di Cesare, figliuolo del collaterale Scaglioni, fu compadre Pietro Bayro con otto altri; madrine Margarita Cara con tre altre.

S’attinge ancora che a que’ tempi la fede parca virtù si rara che non si commetteva ad un artefice un baston pastorale, od altro oggetto prezioso ad aggiustare, senza farsene spedir ricevuta in presenza di testimonii.

Fra i morti degni di special memoria ricorderò: [p. 381 modifica]

L’illustre capitanio Francesco Attobrandino nepote di N. S. papa Clemente viii, sepolto li 10 settembre 1593; Prospero di Lullin cavaliere dell’Annunziata, sepolto il 1° d’agosto del 1595; La signora Aurelia, moglie del sig. Giovanni Maria Antonazzone commediante di Padova, residente in Torino, sepolta il 15 agosto 1602, contemporanea della famosa Isabella Andreini, la quale era ad un tempo commediografa e commediante. La storia della commedia italiana è ancora da farsi, e chi pigliasse a studiar bene il gran numero di commedie pubblicate ne’ secoli xvi e xvii, e ad indagare la vita e i costumi de’ comici, troverebbe di che formare un libro curioso ed istruttivo.24 Ancora troviamo notizia di Giovanni Carraca, pittor fiammingo, sepolto il 19 marzo 1607; Gioseffo Longo, pittor veneziano, sepolto l’undici di gennaio 1611; Beatrice Langosco, marchesa di Pianezza, celebre amica d’Emmanuele Filiberto, moglie del conte Martinengo, depositata il 16 di gennaio 1612, in San Giovanni, essendosi legata la sepoltura a Bergamo; monsignor Giovanni Battista Ferreri, arcivescovo di Torino, sepolto il 15 luglio 1627; Boberto Lovoie, francese pittore, sepolto il 25 maggio 1630; e per tacer d’altri molti, il cavaliere Giovanni Miei, fiammingo, morto il 5 d’aprile 1664, dopo d’aver ingentilito di numerosi dipinti la regia villa della Veneria.25

La chiesa di San Giovanni e la cappella del SS.mo [p. 382 modifica]Sudario risuonano nelle maggiori solennità de’ soavi ad un tempo e maestosi concenti de’ musici della Cappella Regia. Tulta la citta accorre ad udire il mesto canto delle lamentazioni di Geremia nella Settimana Santa. Qui s’udiva il magico archetto di Pugnani e di Viotti, e qui eccellenti maestri spiegavano e spiegano la pompa di caste e sublimi armonie, degne del Dio vivente, non mai profanate ad accompagnare i trilli o le danze lascive delle Frinì teatrali.26

Ma dove lascio quel pergamo sul quale più forse che sopra ogni altro d’Italia la sagra eloquenza spande i rivi delle salutari sue dottrine, ora di serene letizie ammantandosi ad allettamento de’ cuori deboli ed erranti, ora tuonando fra le nubi procellose e i fulmini guizzanti della sospesa ira di Dio a spavento de’ cuori indurati, delle volontà ribelli?

Ella è questa cattedra una delle nostre glorie più pure. Nè vorrei che la fama di cui gode ingenerasse talvolta ne’ sagri oratori il pensiero che, per lenocinio di stile e per pompa di rettoriche vaghezze, debba segnalarsi chi vi ascende a bandir la divina parola.

La parola evangelica è tanto bella per se, che solo ad esporla con vocaboli appropriati, con ordine e semplicità, investe di sua grazia sovrumana lo stile, e lo fa non solo piacente, ma ciò che più monta, efficace; e tutta la bellezza che dalla stessa divina [p. 383 modifica]parola non scaturisce immediatamente, è orpello che non Tadorna ma la travisa.

Non condanno già l’arte necessaria in questa principalissima eloquenza, del pari e più che nell’altra; l’abuso riprovo degli ornamenti di falsa lega, e le interminabili descrizioni, e la nociva pompa di vocaboli tolti alle nomenclature de’ notomisti o de’ naturalisti; in breve condanno i lisci, il belletto e gli unguenti, di cui qualche rara volta un orator mal avvisato potrebbe lasciarsi tentare d’impiastricciare l’augusto sembiante dell’eterno vero.

Altre volte usavano accordarsi cinque o sci seminaristi, i quali ponendosi sotto al pulpito, scriveano ad un tempo, e per via d’abbreviature e di numeri, la predica, che poi giunti a casa ricopiavano, supplendo l’uno al difetto dell’altro; e così pigliavano interi quaresimali, che servivano loro di utilissima esercitazione.27 Non so se questo sistema continui.

Nel secolo xvii frequenti furono sul pulpito di San Giovanni i predicatori Teatini, tra cui molti Napolitani; Vincenzo Giliberti di Modena (1621), Girolamo Passerino di Firenze (1632), Agostino Bozzomo genovese (1643 e di nuovo 1661), Lorenzo Biffi di Bergamo (1646), Giambatista Giustiniani genovese (1648), Agostino Pepe napolitano (1650), Gaetano Spinola (1659), Placido Caraffa napolitano (1662), Carlo Palma napolitano (1664), Pietro Nobilione [p. 384 modifica]napolitano (1667); questo predicatore fu da Carlo Emmanuele ii invitalo al ballo di corte il martedì grasso di quell’anno nel teatro del palazzo vecchio, ed egli v’andò con altri cinque padri, per godere la vista di quel giocondo spettacolo, non ripugnando siffatto intervento alle usanze assai più libere di quella età mollo gaia.

Seguitano i predicatori Teatini con Francesco Caracciolo napolitano (1668), Filippo Seltaioli palermitano (1669), Giuseppe Arrigoni veneziano (1670), Francesco Belgioioso milanese (1672), Francesco Moles napolitano (1673), Carlo Danese napolitano (1676), Giuseppe Sfondrati cremonese (1677), Bernardino Nani veneziano (1678). Seguitano altri 24 fino al 1760.28

Ho voluto inserire questa notizia, affinchè si veda, come fra i celebri predicatori di quest’ordine, v’erano uomini appartenenti alle famiglie più illustri d’Italia; e s’attinga una delle cause per cui in tanto credilo erano vernili i regolari nel secolo xvii, e perchè tale opinione nel secolo seguente sia venuta a poco a poco sviandosi e mancando.

La ragione per cui i Teatini erano così frequentemente privilegiati del pulpito di San Giovanni, si può desumere dal Biglietto che indirizzava il 6 di settembre 1675 ai religiosi del convento di San Lorenzo la duchessa reggente Maria Giovanna Battista: «Reverendi nostri carissimi. Col presente viglietto [p. 385 modifica]vi confermiamo quei tre anni del pulpito di San Giovanni di questa metropolitana che vi sono stati accordati da fu S. A. R., mio signore e consorte, dopo i già conceduti in ultimo luogo, affinchè possiate dar compimento alla vostra Chiesa; com’è desiderio nostro per maggior gloria di Dio e salute del pubblico. E nostro Signore vi conservi ».

Il padre Caraffa per altro era già stato raccomandato per lettere date da Bologna, il 17 maggio 1652, dalla veneranda Infanta Maria di Savoia, che in diversi tempi propose pel medesimo ufficio Lorenzo Franci Agostiniano, Michel Angelo Silvano di Civitanova, dello stesso ordine, ed il padre abate D. Marcello Orafi da Verona, tutti predicatori d’alto grido.29

Nel secolo scorso e nel presente molti si segnalarono fra i segnalati a cui fu concesso di salir questo pulpito. Citerò fra gli altri l’abate Paparelli (1752), che poi fu vescovo di Cagli; il padre Valsecchi Domenicano, piemontese, illustre anche pe’ libri pubblicati; il padre Migliavacca Domenicano, milanese (1769-1773); il padre Porro, torinese, ministro degli Infermi (1774); l’abate Costaguti, poi vescovo di San Sepolcro in Toscana (17771782); il padre Campana Barnabita, torinese (1781); il padre Quadrumani Barnabita, milanese (1790-1795-1800); il padre Tonso Domenicano, le cui prediche sono stampate, che si gode onoratissimo l’ultima [p. 386 modifica]vecchiezza (1796-1815); il teologo collegiato Sineo, vero esempio de’ sagri oratori, della cui semplice eleganza, soda dottrina, efficace persuasione serban cara memoria e l’oratorio dell’Università, e la chiesa di Santa Pelagia; il padre Bollati, poi vescovo di Biella (1808-1818); il canonico Berta di Biandrate (1807-1814); Giacinto Pippi di Siena, che venne la seconda volta quand’era già vescovo di Montalcino (1812-1817); l’abate Deluca, vicentino (1820-1824-1832); il padre Pacifico Deani, minor osservante di Brescia, il cui quaresimale, come quello dell’abate Deluca, è fatto di pubblico diritto, e che fu da morte immatura sottratto ad ulteriori trionfi; monsignor Scarpa di Vicenza (1826-1830-1834-1838); Filippo Artico di Ceneda (1840), creato poi vescovo d’Asti.

Nel 1787 predicava in duomo l’abate Lavini; fra gli argomenti delle sue prediche uno ne trovo che dovrebbe più spesso esser tema de’ sermoni evangelici, poichè trattasi di vizio comune, di vizio detestabile. Il 12 marzo di quell’anno discorreva il Lavini de’ falsi zelanti, e dimostrava ch’essi rovinano la religione dai fondamenti, opponendosi alla carità:

1° Coi pensieri, giudicando il male dove non è;

2° Colle parole, pubblicando per male quel che non è;

3° Colle opere, pregiudicando colle azioni in [p. 387 modifica]sequela dei più stravolti già conceputi giudizi, e dei più maligni già pubblicati discorsi.30

Non so se allora o dopo si compose sul falso zelo, chiamato anche zelo persecutore, il seguente epitaffio che non penso sia stato mai pubblicato:


Qui sta sepolto un mostro orrendo e fiero
Che contro a Cristo alzò le man rapaci;
In volto umìl, quant’empio in suo pensiero,
Del vangel parve figlio, autor di paci;
Ma ristampò con labbro menzognero
Sul volto redentor di Giuda i baci;
Stolto, cieco, crudel nel suo furore
Uccideva il peccato e il peccatore.


Qui giace folgorato e qui le faci
Giaccion con lui de le discordie accese:
Cristo le larve gli strappò mendaci
E l’orrendo natio ceffo gli rese;
Mostrò i celati in seno aspi voraci
E nel vero suo nome il fe’ palese,
E sul sasso intagliò del suo dolore:

Zelo persecutore.


Due predicatori non poterono compier l’aringo di loro quaresimali fatiche, essendo inopinatamente usciti di vita. L’abate Trombaglio nel 1750, il padre Corvesi, Agostiniano, nel 1794.

Ma uomo di ben altra fama fu da morte improvvisa sorpreso su questo pulpito stesso nel mentre [p. 388 modifica]che predicava. Era il giorno 7 di febbraio del 1751. Compiuta la procession generale per l’aprimento dell’anno santo, ascese il pergamo il padre Giambattista Prever, dell’Oratorio, uomo veramente apostolico, pieno di zelo, e per tutta la città tenuto in concetto d’uomo santo.31 Pigliò per tema del suo discorso il versetto: Variis et miris modis vocat nos Deus. Finito l’esordio, ripetè il versetto e cadde morto. Fu così viva e così universale l’opinione che fosse santo che, stampatosene il ritratto, se ne spacciarono in brevissimo tempo parecchie migliaia. Esposto secondo l’uso il cadavere in chiesa, il popolo divoto corse a furia a tagliargli i capelli e l’abito; né a ciò contento, fece a pezzi il confessionale, e ne serbò i brani come reliquia.32


Note

  1. [p. 393 modifica]La vedova d’Andreone di Nicoloso testando nel 1438 eleggeva la sua sepoltura nel duomo, in membro quod dicitur S. Salvator. In documento del 1481 si legge: prope ostium per quod itur ab ecclesia Calhedrali (di San Giovanni) ad ecclesiam S. Salvatoris.
    In documenti del 1372 si chiamano le chiese di San Giovanni e di Santa Maria adiacenti a quella del Salvatore.
  2. [p. 393 modifica]Decreto del vescovo Ludovico di Romagnano in data del 25 d’ottobre 1443. Arch. della Metropolitana.
  3. [p. 393 modifica]Archivi arcivescovili, protoc. xx.
  4. [p. 393 modifica]Soleri, Diario. — Archivi camerali. Contratti. Registro 162, fol. 370 e seguenti.
  5. [p. 393 modifica]Ecco l’iscrizione sull’alto della facciata:

    IOANNI BAPTISTAE PRAECVRSORI
    DOMINICVS RVVERE TAVRINENSIS PRAESVL
    IN S. ROM. ECCLESIAE CARDIN. TITVLO SANCTI
    CLEMENTIS A SIXTO IIII PONTIF. MAXIMO
    ADLECTVS BASILICAM SITV VETVST
    ATEQVE LABENTEM A FVNDAMENTIS DEMOLITAM
    AVGVSTIORE ORNATV PIE
    RELIGIOSEQVE AD PATRIAE DECVS ET
    REIP. CHRISTIANAE HONESTAMENTVM
    ILLVSTRIBVS SAB. DVCIBVS
    IOANNE KAROLO AMEDEO ET BLANCA EIVS MATRE
    TVTRICEQVE REMPVBLICAM AEQVO IVRE ADMINISTRANTIBVS
    EREXIT ET PHILIBERTO II DVCE
    IBID. FLORENTISS. IVSTISSIMOQVE DEDICATAM ABSOLVIT
    ANNO SALVTIS MCCCCXCVIII

  6. [p. 394 modifica]MS. dell’Archivio di corte citato in memoria ms. sul Duomo torinese del prelodato professore Promis.
  7. [p. 394 modifica]Li capitali infra lo Rev.mo Cardin. de sancto Clemente et maestro mheo.
    Et primo lo Reverendissimo Card, de Sancto Clemente alloga a maestro mheo del Caprino da Settignano tuta la fabrica de la chiesa de Turino, cioè mura ledi incollati pianellati amatoriali et ogni qualunque cossa se hauera ad fare in dieta fabrica etiam de ferramenti: cum questo che tuta la ruina excepto li marmo ouero pietre grosse et ogni altra chossa debia essere et cedere in utilitate desso magistro mheo.
    · · · · · · · · · · ·

    ltem promette murare tuli li conii anderano in dieta chiesa et rizare colonne tutte a sue spese, o vero far pilastri diligentemente lavorati dummodo se misure vodo per pieno et non computarlo più che per muro come di sopra e detto intendendo doue solamente anderano le colone o vero pilastri delle doe naue et tuto el resto anderà vodo per pieno da le imposte in suso cioè de tutti li archi di pilastri de sotto et de sopra et tutte le cappelle et cappellete, et così de la Sapiencia.

    ... Et tutti li danarii se sono spesi circha dieta fabbrica excepto quelli de li scarpellini tenerli per receputi et ducati cento che hebe a Roma et tute altre opere di ogni condizione sian state fatte per insino in questo dì presente in della fabbrica et per securtà de’ mons. Rev. che maestro mheo resti sempre creditore de 300 ducati super dieta fabrica sino all’ultimo.

    Ita est D. Card. S. Clementis manu propria.

    Segue l’instromento latino che si riferisce a detti capitoli del 1492 indictione x, 15 novembre, con cui Ludovico della Rovere protonotario apostolico, prevosto della chiesa di Torino, ed altri procuratori del cardinaie di S. Clemente allogano detta opera magistro Amedeo de Francisco de Setignano diocesis Fiorentine.

    Poi 1498 3i luglio. Praesentibus ibidem magistro Amedeo de Francisco ac nobili Vieto de Pisiis. ibidem Reverendissimus dom. electus et dom. Lucas Dulcius nom. Reverendissimi dom. Card, convenerunt cum Bernardino de Antrino Fiorentino el Bartolomeo de Charri Fiorentino prout infra, videlìcet: quod ipsi Bernardinus et Bartholomeus promittunt facere astatum siue plateam ante ecclesiam Taurinensem a gradibus usque ad faciatam de lapidibus marmoris pretio ducatorum ducentum et quinquaginta auri largorum... Et ita promittunt facere per totum mensem februarii proxime venturum.

    ltem Sandrius de Iohanne Florentinus promittit facere unum pillastrum similem illi qui existit pro aqua benedicta et duas alias pillas [p. 395 modifica]muratas in muro ad portas collaterales ecclesiae in muro ad instar duorum nittiorum pro quolibet pilastro precio ducatorum viginti quatuor in auro largorum.

    Lo stesso giorno. Le medesime persone allogano a Franceschino Gaverna di Casale S. Evasio facere portas quinque videlicet magnam et alias duas contiguas in facie ecclesiae et duas collaterales in cruce de suo nemore ruris silicet et nucis — maiorem porlam pretio florenor lx et alias quattuor pretio florenor centum ita quodfaciat illas in labore cornisato et coperto toto nucis.

  8. [p. 395 modifica]Visita di monsignor Angelo Peruzzi, vescovo di Sarcina, nel 1584.
  9. [p. 395 modifica]Visita di monsignor Angelo Peruzzi già citata; da essa anzi risulta che monsignor Gerolamo Della Rovere, arcivescovo di Torino, aveva in animo di costrurre una cappella in onore di San Clemente e di trasferirvi quei sepolcri.
  10. [p. 395 modifica]Debbo queste ed altre notizie alla cortesia del signor teologo priore Antonio Bosio, erudito e diligente indagatore delle patrie antichità.
  11. [p. 395 modifica]Conto di messer Giacomo Alberti, tesoriere della fabbrica del nuovo palazzo, 1587.
  12. [p. 395 modifica]V. Storia di Torino, vol. i, pag. 90, 95, 96.
  13. [p. 395 modifica]La quale statua con sua nicchia si è tramutata dal detto choro alla gran porta del Duomo. — Conto del conte Gioannini Bruco.
  14. [p. 395 modifica]Nella base sotto ai pie delle statue si legge: Antonii Carlonis Opvs. Nè v’ha altra iscrizione. Solo vi è inciso lo stemma de’ Romagnani.
  15. [p. 395 modifica]Raccolta d’iscrizioni patrie. — Archivi di corte.
  16. [p. 395 modifica]

    M. D. O.
    OLIM ALLOBROGICI DVCIS SERENI
    CANCELLARIVS INSVPERQVE MONTIS
    REGALIS PLACIDVS PIVS BENIGNVS
    ANTISTES MISERIS SALVS LEVAMEN
    ROMAGNA GEMTVS DOMO VETVSTA
    HIC INGENS AMEDEVS ILLE CARPIT
    O LECTOR PLACIDAM SENEX QVIETEM
    ANTONIVS ROMAGNANVS PIENTISSIMVS
    EIDEM AMEDEO QVI VIXIT ANNOS LXXVUI
    ET OBIIT MDVIIU XVI KAL. APRILIS
    H. M. P.

  17. [p. 396 modifica]Malacarne, Opere di medici e cerusici che fiorirono negli Stati della Real Casa di Savoia, p. 2, 333. — Galli, Cariche del Piemonte, i, 164, 174.
  18. [p. 396 modifica]

    CLAVDIO SEYSSELLO LVDOVICI XII FRANCORVM
    REGIS A REQVESTIS MAGISTRO
    PRO EODEM AD OMNES FERE CHRISTIANOS PRINCIPES
    ORATORI ELOQVENTISSIMO LAVD. ADMINISTRATORI
    MASSILIENSIVM PRAESVLI
    TAVRIN. ARCHIEPISCOPO I. C. CONSVMMATISSIMO
    ATQVE HVIVS SACELLI FVNDATORI
    COLLEGIVM CANONICORVM PIENTISSIMO PATRI POSVIT
    OBIIT PRIDIE KAL. JVNII MDXX

  19. [p. 396 modifica]Fu consecrato nel 1505 da Baldassarre Bernetio, arcivescovo Laodicense.
  20. [p. 396 modifica]

    MAIORIS NOSOCOMII
    CVI PRAETER ERECTVM SACELLVM ET DONATOS REDDITVS
    QVOTIDIE MINISTRANS SE ETIAM TRADIDIT
    AMPLIFICATOR MAGNIFICVS CVRATOR ASSIDVVS

  21. [p. 396 modifica]

    HIC SOLIS IACENS EXVVIIS ET ADHVC VIGILANS

  22. [p. 396 modifica]Vedi l’Herbolato di Ludovico Ariosto.
  23. [p. 396 modifica]

    IOANNI PETRO COSTAE AB VXELLIO
    ECCLESIAE METROPOLIT. CANONICO THEOLOGO ET CANTORVM
    PRAEFECTO IN SACRVM THEOLOGORVM COLLEGIVM COOPTATO
    ET III PRAESID. ARCHIEPISCOPALIS SEMINARII RECTORI ET REPARATORI
    MVNIFICENTISSIMO REGINAE ANNAE AVRELIANENSIS
    TUM REGI CAROLO EMM. III
    A CONFESSIONIBVS
    DIVORVM VICTORIS ET CONSTANTII ABBATI COMMENDATARIO
    SINGVLARI IN DEVM PIETATE MIRA VITAE INNOCENTIA
    SACRORVM CVRA SVMMA IN EGENOS LIBERALITATE SPECTATISSIMO
    SODALES CANONICI OB ILLVSTRIA VIRTVTIS MERITA
    MONVM. POSVERVNT
    DECESSIT III KAL. DECEMBRIS A. MDCCLX ANNOS NATVS LXXXIX.

  24. [p. 397 modifica]Nel Conto del viaggio in Francia fatto dal cardinale Maurizio di Savoia nel 1619 pel matrimonio del principe di Piemonte, si rammentano alcuni giri di catena d’oro dati da lui: Alla Maturina buffona di S. M. — Alla commediante che rappresenta commedie avanti a S. M., ed una somma di 215 fiorini data a Monsieur Francois Votrelle, commediante.
  25. [p. 397 modifica]Il cavaliere Giovanni Miei avea fatto testamento a Roma il 26 settembre 1658, lasciando erede Agostino Fransoni, e dopo lui Giacomo Fransoni, che fu cardinale. Morendo poi a Torino, avea legalo verbalmente a S. A. R. ed al marchese di S. Germano i migliori suoi quadri, e detto anche di voler usare qualche liberalità allo spedale dell’ordine de’ Ss. Maurizio e Lazzaro, di cui portava l’abito e la croce. Ma il duca volle si eseguisse il testamento, e fece consegnare l’eredità ai Fransoni.— Archivio camerale.
  26. [p. 397 modifica]V’ha ne’ Libri parrochiali memoria di varii maestri di cappella, fra i quali citerò: Simeone Cocquard, di Picardia, morto di peste il 21 maggio 1599.— Il Reverendo Giovanni Battista Stefanin di Modena, di cui s’ha notizia dal Libro de’ forestieri admessi ad habitar in Torino dopo la contagione. Archivi di Corte. — Roggiero Trofeo, morto il 20 settembre 1614. — Nel 1765 era maestro di cappella l’abate Gasparini Bresciano, al quale poi soltentrò l’abate Ottani di Bologna. — Rammentasi ancora il M.to Ill.e e R.do sig. Vincenzo Piccini musico di S. A. R., morto il 12 settembre 1666.
    Addì 17 maggio 1782 alcuni cavalieri Torinesi fecero celebrare nella chiesa del Carmine con superbo apparato un funerale in suffragio dell’anima dell’abate Pietro Metastasio. Le cappelle erano riservate per le dame. La chiesa ed il coro per le persone distinte (molte, come sempre accade, non aveano altra distinzione che quell’invito). Vi fu doppia orchestra. Primo violino era Pugnani. Dopo questo gran padre delle armonie è da rammentar Marchesini famosissimo soprano, di que’ musici evirati che per buona sorte cominciano a difettare.
  27. [p. 397 modifica]'Diario del convento del Carmine.
  28. [p. 397 modifica]Memorie de Padri Teatini. MS. nell’Archivio di corte.
  29. [p. 397 modifica]Nell’Archivio di corte.
  30. [p. 397 modifica]Miscellanea presso il padre Ignazio da Montegrosso, vicecurato amabilissimo della Madonna degli Angioli.
  31. [p. 397 modifica]Diario del convento del Carmine.
  32. [p. 397 modifica]Ivi.