Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capo quarto | 383 |
parola non scaturisce immediatamente, è orpello che non Tadorna ma la travisa.
Non condanno già l’arte necessaria in questa principalissima eloquenza, del pari e più che nell’altra; l’abuso riprovo degli ornamenti di falsa lega, e le interminabili descrizioni, e la nociva pompa di vocaboli tolti alle nomenclature de’ notomisti o de’ naturalisti; in breve condanno i lisci, il belletto e gli unguenti, di cui qualche rara volta un orator mal avvisato potrebbe lasciarsi tentare d’impiastricciare l’augusto sembiante dell’eterno vero.
Altre volte usavano accordarsi cinque o sci seminaristi, i quali ponendosi sotto al pulpito, scriveano ad un tempo, e per via d’abbreviature e di numeri, la predica, che poi giunti a casa ricopiavano, supplendo l’uno al difetto dell’altro; e così pigliavano interi quaresimali, che servivano loro di utilissima esercitazione.27 Non so se questo sistema continui.
Nel secolo xvii frequenti furono sul pulpito di San Giovanni i predicatori Teatini, tra cui molti Napolitani; Vincenzo Giliberti di Modena (1621), Girolamo Passerino di Firenze (1632), Agostino Bozzomo genovese (1643 e di nuovo 1661), Lorenzo Biffi di Bergamo (1646), Giambatista Giustiniani genovese (1648), Agostino Pepe napolitano (1650), Gaetano Spinola (1659), Placido Caraffa napolitano (1662), Carlo Palma napolitano (1664), Pietro Nobilione