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362 | libro terzo |
isbaglio attribuendola, ed osserva che Meo del Caprino potè essere egli stesso autor del disegno ed appaltatore dell’opera secondo lo stile di quell’età; che potè aver lavorato a Roma, e là conchiuso il contratto, onde non è maraviglia che abbia fatto uso della canna romana; che il Pontelli era assente da Roma, ed occupato in lavori dell’arte sua in Urbino quando il duomo Torinese fu cominciato; che gli scrittori hanno registrato tutte le opere di questo architetto, e non avrebbero dimenticato il duomo di Torino, se Baccio ne fosse autore; che infine migliori del nostro San Giovanni sono i templi che Baccio architettò; poichè, se nella nostra cattedrale si scopre in generale una buona disposizione e convenienza di parti, non si può tuttavia lodare quell’aggruppamento di mezze colonne senza proporzioni proprie del genere a cui appartengono.
A me non s’appartiene in fatto d’arte levarmi giudice fra que’ due dottissimi uomini, onde basti Taverne qui accennate le opposte sentenze, soggiungendo che nell’opera medesima il cavaliere Canina ha proposto il disegno d’una nuova cattedrale torinese, la quale per maestà, bellezza e magnificenza, sarebbe degna d’ogni più gran capitale.
Mi credo nondimeno obbligato a chiarire alquanto la questione, esponendo quanto appare dalla convenzione con cui fu allogata l’opera del duomo a Meo del Caprino, ossia Bartolomeo de Francisco da Settignano.