Orlando furioso (1928)/Canto 44

Canto quarantesimoquarto

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Canto 43 Canto 45

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CANTO QUARANTESIMOQUARTO

1
     Spesso in poveri alberghi e in picciol tetti,
ne le calamitadi e nei disagi,
meglio s’aggiungon d’amicizia i petti,
che fra ricchezze invidïose et agi
de le piene d’insidie e di sospetti
corti regali e splendidi palagi,
ove la caritade è in tutto estinta,
né si vede amicizia, se non finta.

2
     Quindi avvien che tra principi e signori
patti e convenzïon sono sí frali.
Fan lega oggi re, papi e imperatori;
doman saran nimici capitali:
perché, qual l’apparenze esterïori,
non hanno i cor, non han gli animi tali;
che non mirando al torto piú ch’al dritto,
attendon solamente al lor profitto.

3
     Questi, quantunque d’amicizia poco
sieno capaci, perché non sta quella
ove per cose gravi, ove per giuoco
mai senza finzïon non si favella;
pur, se talor gli ha tratti in umil loco
insieme una fortuna acerba e fella,
in poco tempo vengono a notizia
(quel che in molto non fêr) de l’amicizia.

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4
     Il santo vecchiarel ne la sua stanza
giunger gli ospiti suoi con nodo forte
ad amor vero meglio ebbe possanza,
ch’altri non avria fatto in real corte.
Fu questo poi di tal perseveranza,
che non si sciolse mai fin alla morte.
Il vecchio li trovò tutti benigni,
candidi piú nel cor, che di fuor cigni.

5
     Trovolli tutti amabili e cortesi,
non de la iniquitá ch’io v’ho dipinta
di quei che mai non escono palesi,
ma sempre van con apparenza finta.
Di quanto s’eran per adietro offesi
ogni memoria fu tra loro estinta;
e se d’un ventre fossero e d’un seme,
non si potriano amar piú tutti insieme.

6
     Sopra gli altri il signor di Montalbano
accarezzava e riveria Ruggiero;
sí perché giá l’avea con l’arme in mano
provato quanto era animoso e fiero,
sí per trovarlo affabile et umano
piú che mai fosse al mondo cavalliero:
ma molto piú, che da diverse bande
si conoscea d’avergli obligo grande.

7
     Sapea che di gravissimo periglio
egli avea liberato Ricciardetto,
quando il re ispano gli fe’ dar di piglio
e con la figlia prendere nel letto;
e ch’avea tratto l’uno e l’altro figlio
del duca Buovo (com’io v’ho giá detto)
di man dei Saracini e dei malvagi
ch’eran col maganzese Bertolagi.

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8
     Questo debito a lui parea di sorte,
ch’ad amar lo stringeano e ad onorarlo;
e gli ne dolse e gli ne ’ncrebbe forte,
che prima non avea potuto farlo,
quando era l’un ne l’africana corte,
e l’altro agli servigi era di Carlo.
Or che fatto cristian quivi lo trova,
quel che non fece prima, or far gli giova.

9
     Proferte senza fine, onore e festa
fece a Ruggiero il paladin cortese.
Il prudente eremita, come questa
benivolenzia vide, adito prese.
Entrò dicendo: — A fare altro non resta
(e lo spero ottener senza contese),
che come l’amicizia è tra voi fatta,
tra voi sia ancora affinitá contratta;

10
     acciò che de le due progenie illustri
che non han par di nobiltade al mondo,
nasca un lignaggio che piú chiaro lustri,
che ’l chiaro sol, per quanto gira a tondo;
e come andran piú inanzi et anni e lustri,
sará piú bello, e durerá (secondo
che Dio m’inspira, acciò ch’a voi nol celi)
fin che terran l’usato corso i cieli. —

11
     E seguitando il suo parlar piú inante,
fa il santo vecchio sí, che persuade
che Rinaldo a Ruggier dia Bradamante,
ben che pregar né l’un né l’altro accade.
Loda Olivier col principe d’Anglante,
che far si debba questa affinitade;
il che speran ch’approvi Amone e Carlo,
e debba tutta Francia commendarlo.

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12
     Cosí dicean; ma non sapean ch’Amone,
con voluntá del figlio di Pipino,
n’avea dato in quei giorni intenzïone
all’imperator greco Costantino,
che gliele domandava per Leone
suo figlio e successor nel gran domino.
Se n’era, pel valor che n’avea inteso,
senza vederla, il giovinetto acceso.

13
     Risposto gli avea Amon, che da sé solo
non era per concludere altramente,
né pria che ne parlasse col figliuolo
Rinaldo, da la corte allora absente;
il qual credea che vi verrebbe a volo,
e che di grazia avria sí gran parente:
pur, per molto rispetto che gli avea,
risolver senza lui non si volea.

14
     Or Rinaldo lontan dal padre, quella
pratica imperïal tutta ignorando,
quivi a Ruggier promette la sorella
di suo parere, e di parer d’Orlando
e degli altri ch’avea seco alla cella,
ma sopra tutti l’eremita instando:
e crede veramente che piacere
debba ad Amon quel parentado avere.

15
     Quel dí e la notte, e del seguente giorno
steron gran parte col monaco saggio,
quasi oblïando al legno far ritorno,
ben che il vento spirasse al lor viaggio.
Ma i lor nocchieri, a cui tanto soggiorno
increscea omai, mandar piú d’un messaggio,
che sí li stimulâr de la partita,
ch’a forza li spiccâr da l’eremita.

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16
     Ruggier che stato era in esilio tanto,
né da lo scoglio avea mai mosso il piede,
tolse licenzia da quel mastro santo
ch’insegnata gli avea la vera fede.
La spada Orlando gli rimesse a canto,
l’arme d’Ettorre, e il buon Frontin gli diede;
sí per mostrar del suo amor segno espresso,
sí per saper che dianzi erano d’esso.

17
     E quantunque miglior ne l’incantata
spada ragione avesse il paladino,
che con pena e travaglio giá levata
l’avea dal formidabile giardino,
che non avea Ruggiero a cui donata
dal ladro fu, che gli diè ancor Frontino;
pur volentier gliele donò col resto
de l’arme, tosto che ne fu richiesto.

18
     Fur benedetti dal vecchio devoto,
e sul navilio al fin si ritornaro.
I remi all’acqua, e dier le vele al Noto;
e fu lor sí sereno il tempo e chiaro,
che non vi bisognò priego né voto,
fin che nel porto di Marsilia entraro.
Ma quivi stiano tanto, ch’io conduca
insieme Astolfo, il glorïoso duca.

19
     Poi che de la vittoria Astolfo intese,
che sanguinosa e poco lieta s’ebbe;
vedendo che sicura da l’offese
d’Africa oggimai Francia esser potrebbe,
pensò che ’l re de’ Nubi in suo paese
con l’esercito suo rimanderebbe
per la strada medesima che tenne
quando contra Biserta se ne venne.

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20
     L’armata che i pagan roppe ne l’onde,
giá rimandata avea il figliuol d’Ugiero;
di cui, nuovo miracolo, le sponde
(tosto che ne fu uscito il popul nero)
e le poppe e le prore mutò in fronde,
e ritornolle al suo stato primiero:
poi venne il vento, e come cosa lieve
levolle in aria, e fe’ sparire in breve.

21
     Chi a piedi e chi in arcion tutte partita
d’Africa fêr le nubïane schiere.
Ma prima Astolfo si chiamò infinita
grazia al Senapo et immortale avere;
che gli venne in persona a dare aita
con ogni sforzo et ogni suo potere.
Astolfo lor ne l’uterino claustro
a portar diede il fiero e turbido austro.

22
     Negli utri, dico, il vento diè lor chiuso,
ch’uscir di mezzodí suol con tal rabbia,
che muove a guisa d’onde, e leva in suso,
e ruota fin in ciel l’arrida sabbia;
acciò se lo portassero a lor uso,
che per camino a far danno non abbia;
e che poi, giunti ne la lor regione,
avessero a lassar fuor di prigione.

23
     Scrive Tarpino, come furo ai passi
de l’alto Atlante, che i cavalli loro
tutti in un tempo diventaron sassi;
sí che, come venir, se ne tornoro.
Ma tempo è omai ch’Astolfo in Francia passi;
e cosí, poi che del paese moro
ebbe provisto ai luoghi principali,
all’ippogrifo suo fe’ spiegar l’ali.

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24
     Volò in Sardigna in un batter di penne,
e di Sardigna andò nel lito còrso;
e quindi sopra il mar la strada tenne,
torcendo alquanto a man sinistra il morso.
Ne le maremme all’ultimo ritenne
de la ricca Provenza il leggier corso;
dove seguí de l’ippogrifo quanto
gli disse giá l’evangelista santo.

25
     Hagli commesso il santo evangelista,
che piú, giunto in Provenza, non lo sproni;
e ch’all’impeto fier piú non resista
con sella e fren, ma libertá gli doni.
Giá avea il piú basso ciel che sempre acquista
del perder nostro, al corno tolti i suoni;
che muto era restato, non che roco,
tosto ch’entrò ’l guerrier nel divin loco.

26
     Venne Astolfo a Marsilia, e venne a punto
il dí che v’era Orlando et Oliviero
e quel da Montalbano insieme giunto
col buon Sobrino e col meglior Ruggiero.
La memoria del sozio lor defunto
vietò che i paladini non potero
insieme cosí a punto rallegrarsi,
come in tanta vittoria dovea farsi.

27
     Carlo avea di Sicilia avuto avviso
dei duo re morti e di Sobrino preso,
e ch’era stato Brandimarte ucciso;
poi di Ruggiero avea non meno inteso:
e ne stava col cor lieto e col viso
d’aver gittato intolerabil peso,
che gli fu sopra gli omeri sí greve,
che stará un pezzo pria che si rileve.

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28
     Per onorar costor ch’eran sostegno
del santo Imperio e la maggior colonna,
Carlo mandò la nobiltá del regno
ad incontrarli fin sopra la Sonna.
Egli uscí poi col suo drappel piú degno
di re e di duci, e con la propria donna,
fuor de le mura, in compagnia di belle
e ben ornate e nobili donzelle.

29
     L’imperator con chiara e lieta fronte,
i paladini e gli amici e i parenti,
la nobiltá, la plebe fanno al conte
et agli altri d’amor segni evidenti:
gridar s’ode Mongrana e Chiaramonte.
Sí tosto non finîr gli abbracciamenti,
Rinaldo e Orlando insieme et Oliviero
al signor loro appresentâr Ruggiero;

30
     e gli narrar che di Ruggier di Risa
era figliuol, di virtú uguale al padre:
se sia animoso e forte, et a che guisa
sappia ferir, san dir le nostre squadre.
Con Bradamante in questo vien Marfisa,
le due compagne nobili e leggiadre:
ad abbracciar Ruggier vien la sorella;
con piú rispetto sta l’altra donzella.

31
     L’imperator Ruggier fa risalire,
ch’era per riverenzia sceso a piede,
e lo fa a par a par seco venire,
e di ciò ch’a onorarlo si richiede,
un punto sol non lassa preterire.
Ben sapea che tornato era alla fede;
che tosto che i guerrier furo all’asciutto,
certificato avean Carlo del tutto.

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32
     Con pompa trionfal, con festa grande
tornaro insieme dentro alla cittade,
che di frondi verdeggia e di ghirlande:
coperte a panni son tutte le strade:
nembo d’erbe e di fior d’alto si spande,
e sopra e intorno ai vincitori cade,
che da verroni e da finestre amene
donne e donzelle gittano a man piene.

33
     Al volgersi dei canti in varii lochi
trovano archi e trofei subito fatti,
che di Biserta le ruine e i fochi
mostran dipinti, et altri degni fatti;
altrove palchi con diversi giuochi
e spettacoli e mimmi e scenici atti:
et è per tutti i canti il titol vero
scritto: — Ai liberatori de l’Impero. —

34
     Fra il suon d’argute trombe e di canore
pifare e d’ogni musica armonia,
fra riso e plauso, iubilo e favore
del populo ch’a pena vi capia,
smontò al palazzo il magno imperatore,
ove piú giorni quella compagnia
con torniamenti, personaggi e farse,
danze e conviti attese a dilettarse.

35
     Rinaldo un giorno al padre fe’ sapere
che la sorella a Ruggier dar volea;
ch’in presenzia d’Orlando per mogliere,
e d’Olivier, promessa glie l’avea;
li quali erano seco d’un parere,
che parentado far non si potea
per nobiltá di sangue e per valore,
che fosse a questo par, non che migliore.

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36
     Ode Amone il figliuol con qualche sdegno,
che, senza conferirlo seco, gli osa
la figlia maritar, ch’esso ha disegno
che del figliuol di Costantin sia sposa,
non di Ruggier, il qual non ch’abbi regno,
ma non può al mondo dir: questa è mia cosa;
né sa che nobiltá poco si prezza,
e men virtú, se non v’è ancor ricchezza.

37
     Ma piú d’Amon la moglie Beatrice
biasma il figliuolo e chiamalo arrogante:
e in segreto e in palese contradice
che di Ruggier sia moglie Bradamante:
a tutta sua possanza imperatrice
ha disegnato farla di Levante.
Sta Rinaldo ostinato, che non vuole
che manchi un iota de le sue parole.

38
     La madre, ch’aver crede alle sue voglie
la magnanima figlia, la conforta
che dica che, piú tosto ch’esser moglie
d’un pover cavallier, vuole esser morta;
né mai piú per figliuola la raccoglie,
se questa ingiuria dal fratel sopporta:
nieghi pur con audacia, e tenga saldo;
che per sforzar non la sará Rinaldo.

39
     Sta Bradamante tacita, né al detto
de la madre s’arrisca a contradire;
che l’ha in tal riverenzia e in tal rispetto,
che non potria pensar non l’ubbidire.
Da l’altra parte terria gran difetto,
se quel che non vuol far, volesse dire.
Non vuol, perché non può; che ’l poco e ’l molto
poter di sé disporre Amor le ha tolto.

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40
     Né negar, né mostrarsene contenta
s’ardisce; e sol sospira, e non risponde:
poi quando è in luogo ch’altri non la senta,
versan lacrime gli occhi a guisa d’onde;
e parte del dolor che la tormenta,
sentir fa al petto et alle chiome bionde,
che l’un percuote, e l’altro straccia e frange;
e cosí parla, e cosí seco piange:

41
     — Ahimè! vorrò quel che non vuol chi deve
poter del voler mio piú che poss’io?
Il voler di mia madre avrò in sí lieve
stima, ch’io lo posponga al voler mio?
Deh! qual peccato puote esser sí grieve
a una donzella, qual biasmo sí rio,
come questo sará, se, non volendo
chi sempre ho da ubbidir, marito prendo?

42
     Avrá, misera me! dunque possanza
la materna pietá, ch’io t’abandoni,
o mio Ruggiero, e ch’a nuova speranza,
a desir nuovo, a nuovo amor mi doni?
O pur la riverenzia e l’osservanza
ch’ai buoni padri denno i figli buoni,
porrò da parte, e solo avrò rispetto
al mio bene, al mio gaudio, al mio diletto?

43
     So quanto, ahi lassa! debbo far, so quanto
di buona figlia al debito conviensi;
io ’l so: ma che mi val, se non può tanto
la ragion, che non possino piú i sensi?
s’Amor la caccia e la fa star da canto,
né lassa ch’io disponga, né ch’io pensi
di me dispor, se non quanto a lui piaccia,
e sol, quanto egli detti, io dica e faccia?

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44
     Figlia d’Amone e di Beatrice sono,
e son, misera me! serva d’Amore.
Dai genitori miei trovar perdono
spero e pietá, s’io caderò in errore:
ma s’io offenderò Amor, chi sará buono
a schivarmi con prieghi il suo furore,
che sol voglia una di mie scuse udire,
e non mi faccia subito morire?

45
     Ohimè! con lunga et ostinata prova
ho cercato Ruggier trarre alla fede;
et hollo tratto al fin: ma che mi giova,
se ’l mio ben fare in util d’altri cede?
Cosí, ma non per sé, l’ape rinuova
il mèle ogni anno, e mai non lo possiede.
Ma vo’ prima morir, che mai sia vero,
ch’io pigli altro marito, che Ruggiero.

46
     S’io non sarò al mio padre ubbidïente,
né alla mia madre, io sarò al mio fratello,
che molto e molto è piú di lor prudente,
né gli ha la troppa etá tolto il cervello.
E a questo che Rinaldo vuol, consente
Orlando ancora; e per me ho questo e quello:
li quali duo piú onora il mondo e teme,
che l’altra nostra gente tutta insieme.

47
     Se questi il fior, se questi ognuno stima
la gloria e lo splendor di Chiaramonte;
se sopra gli altri ognun gli alza e sublima
piú che non è del piede alta la fronte;
perché debbo voler che di me prima
Amon disponga, che Rinaldo e ’l conte?
Voler nol debbo, tanto men, che messa
in dubbio al Greco, e a Ruggier fui promessa. —

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48
     Se la donna s’affligge e si tormenta,
né di Ruggier la mente è piú quieta;
ch’ancor che di ciò nuova non si senta
per la cittá, pur non è a lui segreta.
Seco di sua fortuna si lamenta,
la qual fruir tanto suo ben gli vieta,
poi che ricchezze non gli ha date e regni,
di che è stata sí larga a mille indegni.

49
     Di tutti gli altri beni, o che concede
Natura al mondo, o proprio studio acquista,
aver tanta e tal parte egli si vede,
qual e quanta altri aver mai s’abbia vista:
ch’a sua bellezza ogni bellezza cede,
ch’a sua possanza è raro chi resista:
di magnanimitá, di splendor regio
a nessun, piú ch’a lui, si debbe il pregio.

50
     Ma il volgo, nel cui arbitrio son gli onori,
che, come pare a lui, li leva e dona
(né dal nome del volgo voglio fuori,
eccetto l’uom prudente, trar persona;
che né papi né re né imperatori
non ne tra’ scettro, mitra né corona;
ma la prudenzia, ma il giudizio buono,
grazie che dal ciel date a pochi sono);

51
     questo volgo (per dir quel ch’io vo’ dire)
ch’altro non riverisce che ricchezza,
né vede cosa al mondo, che piú ammire,
e senza, nulla cura e nulla apprezza,
sia quanto voglia la beltá, l’ardire,
la possanza del corpo, la destrezza,
la virtú, il senno, la bontá; e piú in questo
di ch’ora vi ragiono, che nel resto.

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52
     Dicea Ruggier: — Se pur è Amon disposto
che la figliuola imperatrice sia,
con Leon non concluda cosí tosto:
almen termine un anno anco mi dia;
ch’io spero intanto, che da me deposto
Leon col padre de l’imperio fia;
e poi che tolto avrò lor le corone,
genero indegno non sarò d’Amone.

53
     Ma se fa senza indugio, come ha detto,
suocero de la figlia Costantino;
s’alla promessa non avrá rispetto
di Rinaldo e d’Orlando suo cugino,
fattami inanzi al vecchio benedetto,
al marchese Uliviero, al re Sobrino,
che farò? vo’ patir sí grave torto?
o, prima che patirlo, esser pur morto?

54
     Deh che farò? farò dunque vendetta
contra il padre di lei di questo oltraggio?
Non miro ch’io non son per farlo in fretta,
o s’in tentarlo io mi sia stolto o saggio.
Ma voglio presupor ch’a morte io metta
l’iniquo vecchio e tutto il suo lignaggio:
questo non mi fará però contento;
anzi in tutto sará contra al mio intento.

55
     E fu sempre il mio intento, et è, che m’ami
la bella donna, e non che mi sia odiosa:
ma, quando Amone uccida, o facci o trami
cosa al fratello o agli altri suoi dannosa,
non le do iusta causa che mi chiami
nimico, e piú non voglia essermi sposa?
Che debbo dunque far? debbol patire?
Ah non, per Dio! piú tosto io vo’ morire.

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56
     Anzi non vo’ morir; ma vo’ che muoia
con piú ragion questo Leone Augusto,
venuto a disturbar tanta mia gioia:
io vo’ che muoia egli e ’l suo padre ingiusto.
Elena bella all’amator di Troia
non costò sí, né a tempo piú vetusto
Proserpina a Piritoo, come voglio
ch’al padre e al figlio costi il mio cordoglio.

57
     Può esser, vita mia, che non ti doglia
lasciare il tuo Ruggier per questo Greco?
Potrá tuo padre far che tu lo toglia,
ancor ch’avesse i tuoi fratelli seco?
Ma sto in timor, ch’abbi piú tosto voglia
d’esser d’accordo con Amon, che meco;
e che ti paia assai miglior partito
Cesare aver, ch’un privato uom marito.

58
     Sará possibil mai che nome regio,
titolo imperïal, grandezza e pompa,
di Bradamante mia l’animo egregio,
il gran valor, l’alta virtú corrompa?
sí ch’abbia da tenere in minor pregio
la data fede, e le promesse rompa?
né piú tosto d’Amon farsi nimica,
che quel che detto m’ha, sempre non dica? —

59
     Diceva queste et altre cose molte
ragionando fra sé Ruggiero; e spesso
le dicea in guisa ch’erano raccolte
da chi talor se gli trovava appresso:
sí che il tormento suo piú di due volte
era a colei per cui pativa, espresso,
a cui non dolea meno il sentir lui
cosí doler, che i proprii affanni sui.

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60
     Ma piú d’ogni altro duol che le sia detto,
che tormenti Ruggier, di questo ha doglia,
ch’intende che s’affligge per sospetto
ch’ella lui lasci, e che quel Greco voglia.
Onde, acciò si conforti, e che del petto
questa credenza e questo error si toglia,
per una di sue fide cameriere
gli fe’ queste parole un dí sapere:

61
     — Ruggier, qual sempre fui, tal esser voglio
fin alla morte, e piú, se piú si puote.
O siami Amor benigno o m’usi orgoglio,
o me Fortuna in alto o in basso ruote,
immobil son di vera fede scoglio
che d’ogn’intorno il vento e il mar percuote:
né giá mai per bonaccia né per verno
luogo mutai, né muterò in eterno.

62
     Scarpello si vedrá di piombo o lima
formare in varie imagini diamante,
prima che colpo di Fortuna, o prima
ch’ira d’Amor rompa il mio cor costante;
e si vedrá tornar verso la cima
de l’alpe il fiume turbido e sonante,
che per nuovi accidenti, o buoni o rei,
faccino altro vïaggio i pensier miei.

63
     A voi, Ruggier, tutto il dominio ho dato
di me, che forse è piú ch’altri non crede.
So ben ch’a nuovo principe giurato
non fu di questa mai la maggior fede.
So che né al mondo il piú sicuro stato
di questo, re né imperator possiede.
Non vi bisogna far fossa né torre,
per dubbio ch’altri a voi lo venga a tôrre.

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64
     Che, senza ch’assoldiate altra persona,
non verrá assalto a cui non si resista.
Non è ricchezza ad espugnarmi buona,
né sí vil prezzo un cor gentile acquista.
Né nobiltá, né altezza di corona,
ch’al sciocco volgo abbagliar suol la vista,
non beltá, ch’in lieve animo può assai,
vedrò, che piú di voi mi piaccia mai.

65
     Non avete a temer ch’in forma nuova
intagliare il mio cor mai piú si possa:
sí l’imagine vostra si ritrova
sculpita in lui, ch’esser non può rimossa.
Che ’l cor non ho di cera, è fatto prova;
che gli diè cento, non ch’una percossa,
Amor, prima che scaglia ne levasse,
quando all’imagin vostra lo ritrasse.

66
     Avorio e gemma et ogni pietra dura
che meglio da l’intaglio si difende,
romper si può; ma non ch’altra figura
prenda, che quella ch’una volta prende.
Non è il mio cor diverso alla natura
del marmo o d’altro ch’al ferro contende.
Prima esser può che tutto Amor lo spezze,
che lo possa sculpir d’altre bellezze. —

67
     Soggiunse a queste altre parole molte,
piene d’amor, di fede e di conforto,
da ritornarlo in vita mille volte,
se stato mille volte fosse morto.
Ma quando piú de la tempesta tolte
queste speranze esser credeano in porto,
da un nuovo turbo impetuoso e scuro
rispinte in mar, lungi dal lito, furo:

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68
     però che Bradamante, ch’eseguire
vorria molto piú ancor, che non ha detto,
rivocando nel cor l’usato ardire,
e lasciando ir da parte ogni rispetto,
s’appresenta un dí a Carlo, e dice: — Sire,
s’a vostra Maestade alcuno effetto
io feci mai, che le paresse buono,
contenta sia di non negarmi un dono.

69
     E prima che piú espresso io le lo chieggia,
su la real sua fede mi prometta
farmene grazia; e vorrò poi, che veggia
che sará iusta la domanda e retta. —
— Merta la tua virtú che dar ti deggia
ciò che domandi, o giovane diletta
(rispose Carlo); e giuro, se ben parte
chiedi del regno mio, di contentarte. —

70
     — Il don ch’io bramo da l’Altezza vostra,
è che non lasci mai marito darme
(disse la damigella), se non mostra
che piú di me sia valoroso in arme.
Con qualunche mi vuol, prima o con giostra
o con la spada in mano ho da provarme.
Il primo che mi vinca, mi guadagni:
chi vinto sia, con altra s’accompagni. —

71
     Disse l’imperator con viso lieto,
che la domanda era di lei ben degna;
e che stesse con l’animo quïeto,
che fará a punto quanto ella disegna.
Non è questo parlar fatto in segreto
sí, ch’a notizia altrui tosto non vegna;
e quel giorno medesimo alla vecchia
Beatrice e al vecchio Amon corre all’orecchia.

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72
     Li quali parimente arser di grande
sdegno contra alla figlia, e di grand’ira;
che vider ben con queste sue domande,
ch’ella a Ruggier piú ch’a Leone aspira:
e presti per vietar che non si mande
questo ad effetto, a ch’ella intende e mira,
la levaro con fraude de la corte,
e la menaron seco a Roccaforte.

73
     Quest’era una fortezza ch’ad Amone
donato Carlo avea pochi dí inante,
tra Pirpignano assisa e Carcassone,
in loco a ripa il mar, molto importante.
Quivi la ritenean come in prigione,
con pensier di mandarla un dí in Levante;
sí ch’ogni modo, voglia ella o non voglia,
lasci Ruggier da parte, e Leon toglia.

74
     La valorosa donna, che non meno
era modesta, ch’animosa e forte;
ancor che posto guardia non l’avieno,
e potea entrare e uscir fuor de le porte;
pur stava ubbidïente sotto il freno
del padre: ma patir prigione e morte,
ogni martíre e crudeltá piú tosto
che mai lasciar Ruggier, s’avea proposto.

75
     Rinaldo, che si vide la sorella
per astuzia d’Amon tolta di mano,
e che dispor non potrá piú di quella,
e ch’a Ruggier l’avrá promessa invano;
si duol del padre, e contra a lui favella,
posto il rispetto filïal lontano.
Ma poco cura Amon di tai parole,
e di sua figlia a modo suo far vuole.

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76
     Ruggier, che questo sente, et ha timore
di rimaner de la sua donna privo,
e che l’abbia o per forza o per amore
Leon, se resta lungamente vivo;
senza parlarne altrui si mette in core
di far che muoia, e sia d’Augusto, Divo;
e tor, se non l’inganna la sua speme,
al padre e a lui la vita e ’l regno insieme.

77
     L’arme che fur giá del troiano Ettorre,
e poi di Mandricardo, si riveste,
e fa la sella al buon Frontino porre,
e cimier muta, scudo e sopraveste.
A questa impresa non gli piacque tôrre
l’aquila bianca nel color celeste,
ma un candido liocorno, come giglio,
vuol ne lo scudo, e ’l campo abbia vermiglio.

78
     Sceglie de’ suoi scudieri il piú fedele,
e quel vuole e non altri in compagnia;
e gli fa commission, che non rivele
in alcun loco mai, che Ruggier sia.
Passa la Mosa e ’l Reno, e passa de le
contrade d’Ostericche, in Ungheria;
e lungo l’Istro per la destra riva
tanto cavalca, ch’a Belgrado arriva.

79
     Ove la Sava nel Danubio scende,
e verso il mar maggior con lui dá volta,
vede gran gente in padiglioni e tende
sotto l’insegne imperïal raccolta;
che Costantino ricovrare intende
quella cittá che i Bulgari gli han tolta.
Costantin v’è in persona, e ’l figliuol seco
con quanto può tutto l’imperio greco.

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80
     Dentro a Belgrado, e fuor per tutto il monte,
e giú fin dove il fiume il piè gli lava,
l’esercito dei Bulgari gli è a fronte;
e l’uno e l’altro a ber viene alla Sava.
Sul fiume il Greco per gittare il ponte,
il Bulgar per vietarlo armato stava,
quando Ruggier vi giunse; e zuffa grande
attaccata trovò fra le due bande.

81
     I Greci son quattro contr’uno, et hanno
navi coi ponti da gittar ne l’onda;
e di voler fiero sembiante fanno
passar per forza alla sinistra sponda.
Leone intanto, con occulto inganno
dal fiume discostandosi, circonda
molto paese, e poi vi torna, e getta
ne l’altra ripa i ponti, e passa in fretta:

82
     e con gran gente, chi in arcion, chi a piede
(che non n’avea di ventimila un manco),
cavalcò lungo la riviera, e diede
con fiero assalto agl’inimici al fianco.
L’imperator, tosto che ’l figlio vede
sul fiume comparirsi al lato manco,
ponte aggiungendo a ponte e nave a nave,
passa di lá con quanto esercito have.

83
     Il capo, il re de’ Bulgari Vatrano,
animoso e prudente e pro’ guerriero,
di qua e di lá s’affaticava invano
per riparare a un impeto sí fiero;
quando cingendol con robusta mano
Leon, gli fe’ cader sotto il destriero:
e poi che dar prigion mai non si volse,
con mille spade la vita gli tolse.

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84
     I Bulgari sin qui fatto avean testa;
ma quando il lor signor si vider tolto,
e crescer d’ogn’intorno la tempesta,
voltâr le spalle ove avean prima il volto.
Ruggier, che misto vien fra i Greci, e questa
sconfitta vede, senza pensar molto,
i Bulgari soccorrer si dispone,
perch’odia Costantino e piú Leone.

85
     Sprona Frontin che sembra al corso un vento,
e inanzi a tutti i corridori passa;
e tra la gente vien, che per spavento
al monte fugge, e la pianura lassa.
Molti ne ferma, e fa voltare il mento
contra i nimici, e poi la lancia abassa;
e con sí fier sembiante il destrier muove,
che fin nel ciel Marte ne teme e Giove.

86
     Dinanzi agli altri un cavalliero adocchia,
che riccamato nel vestir vermiglio
avea d’oro e di seta una pannocchia
con tutto il gambo, che parea di miglio;
nipote a Costantin per la sirocchia,
ma che non gli era men caro, che figlio:
gli spezza scudo e osbergo, come vetro,
e fa la lancia un palmo apparir dietro.

87
     Lascia quel morto, e Balisarda stringe
verso uno stuol che piú si vede appresso;
e contra a questo e contra a quel si spinge,
et a chi tronco et a chi il capo ha fesso:
a chi nel petto, a chi nel fianco tinge
il brando, e a chi l’ha ne la gola messo:
taglia busti, anche, braccia, mani e spalle;
e il sangue, come un rio, corre alla valle.

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88
     Non è, visti quei colpi, chi gli faccia
contrasto piú, cosí n’è ogniun smarrito:
sí che si cangia subito la faccia
de la battaglia; che tornando ardito,
il petto volge, e ai Greci dá la caccia
il Bulgaro che dianzi era fuggito:
in un momento ogni ordine disciolto
si vede, e ogni stendardo a fuggir volto.

89
     Leone Augusto s’un poggio eminente,
vedendo i suoi fuggir, s’era ridutto;
e sbigottito e mesto ponea mente
(perch’era in loco che scopriva il tutto)
al cavallier ch’uccidea tanta gente,
che per lui sol quel campo era distrutto:
e non può far, se ben n’è offeso tanto,
che non lo lodi e gli dia in arme il vanto.

90
     Ben comprende all’insegne e sopravesti,
all’arme luminose e ricche d’oro,
che quantunque il guerrier dia aiuto a questi
nimici suoi, non sia però di loro.
Stupido mira i soprumani gesti,
e talor pensa che dal sommo coro
sia per punire i Greci un agnol sceso,
che tante e tante volte hanno Dio offeso.

91
     E come uom d’alto e di sublime core,
ove l’avrian molt’altri in odio avuto,
egli s’innamorò del suo valore,
né veder fargli oltraggio avria voluto:
gli sarebbe per un de’ suoi che muore,
vederne morir sei manco spiaciuto,
e perder anco parte del suo regno,
che veder morto un cavallier sí degno.

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92
     Come bambin, se ben la cara madre
iraconda lo batte e da sé caccia,
non ha ricorso alla sorella o al padre,
ma a lei ritorna, e con dolcezza abbraccia;
cosí Leon, se ben le prime squadre
Ruggier gli uccide, e l’altre gli minaccia,
non lo può odiar, perch’all’amor piú tira
l’alto valor, che quella offesa all’ira.

93
     Ma se Leon Ruggiero ammira et ama,
mi par che duro cambio ne riporte;
che Ruggiero odia lui, né cosa brama
piú che di dargli di sua man la morte.
Molto con gli occhi il cerca, et alcun chiama,
che gliele mostri; ma la buona sorte
e la prudenzia de l’esperto Greco
non lasciò mai che s’affrontasse seco.

94
     Leone, acciò che la sua gente affatto
non fosse uccisa, fe’ sonar raccolta;
et all’imperatore un messo ratto
a pregarlo mandò, che desse volta
e ripassasse il fiume; e che buon patto
n’avrebbe, se la via non gli era tolta:
et esso con non molti che raccolse,
al ponte ond’era entrato, i passi volse.

95
     Molti in poter de’ Bulgari restaro
per tutto il monte, e sin al fiume uccisi;
e vi restavan tutti, se ’l riparo
non gli avesse del rio tosto divisi.
Molti cadêr dai ponti e s’affogaro;
e molti, senza mai volgere i visi,
quindi lontano iro a trovare il guado;
e molti fur prigion tratti in Belgrado.

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96
     Finita la battaglia di quel giorno,
ne la qual, poi che il lor signor fu estinto,
danno i Bulgari avriano avuto e scorno,
se per lor non avesse il guerrier vinto,
il buon guerrier che ’l candido liocorno
ne lo scudo vermiglio avea dipinto;
a lui si trasson tutti, da cui questa
vittoria conoscean, con gioia e festa.

97
     Uno il saluta, un altro se gl’inchina,
altri la mano, altri gli bacia il piede:
ognun, quanto piú può, se gli avvicina,
e beato si tien chi appresso il vede,
e piú chi ’l tocca; che toccar divina
e sopranatural cosa si crede.
Lo pregan tutti, e vanno al ciel le grida,
che sia lor re, lor capitan, lor guida.

98
     Ruggier rispose lor, che capitano
e re sará, quel che fia lor piú a grado;
ma né a baston né a scettro ha da por mano,
né per quel giorno entrar vuole in Belgrado:
che prima che si faccia piú lontano
Leon Augusto, e che ripassi il guado,
lo vuol seguir, né tôrsi da la traccia,
fin che nol giunga e che morir nol faccia;

99
     che mille miglia e piú, per questo solo
era venuto, e non per altro effetto.
Cosí senza indugiar lascia lo stuolo,
e si volge al camin che gli vien detto,
che verso il ponte fa Leone a volo,
forse per dubbio che gli sia intercetto.
Gli va dietro per l’orma in tanta fretta,
che ’l suo scudier non chiama e non aspetta.

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100
     Leone ha nel fuggir tanto vantaggio
(fuggir si può ben dir, piú che ritrarse),
che trova aperto e libero il passaggio;
poi rompe il ponte, e lascia le navi arse.
Non v’arriva Ruggier, ch’ascoso il raggio
era del sol, né sa dove alloggiarse.
Cavalca inanzi, che lucea la luna,
né mai trova castel né villa alcuna.

101
     Perché non sa dove si por, camina
tutta la notte, né d’arcion mai scende.
Ne lo spuntar del nuovo sol vicina
a man sinistra una cittá comprende;
ove di star tutto quel dí destina,
acciò l’ingiuria al suo Frontino emende,
a cui, senza posarlo o trargli briglia,
la notte fatto avea far tante miglia.

102
     Ungiardo era signor di quella terra,
suddito e caro a Costantino molto,
ove avea per cagion di quella guerra
da cavallo e da piè buon numer tolto.
Quivi ove altrui l’entrata non si serra,
entra Ruggiero, e v’è sí ben raccolto,
che non gli accade di passar piú avante
per aver miglior loco e piú abondante.

103
     Nel medesimo albergo in su la sera
un cavallier di Romania alloggiosse,
che si trovò ne la battaglia fiera,
quando Ruggier pei Bulgari si mosse,
et a pena di man fuggito gli era,
ma spaventato piú ch’altri mai fosse;
sí ch’ancor triema, e pargli ancora intorno
avere il cavallier dal liocorno.

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104
     Conosce, tosto che lo scudo vede,
che ’l cavailier che quella insegna porta,
è quel che la sconfitta ai Greci diede,
per le cui mani è tanta gente morta.
Corre al palazzo, et udïenzia chiede,
per dire a quel signor cosa ch’importa;
e subito intromesso, dice quanto
io mi riserbo a dir ne l’altro canto.