Orlando furioso (1928)/Canto 45

Canto quarantesimoquinto

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Canto 44 Canto 46
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CANTO QUARANTESIMOQUINTO


1
     Quanto piú su l’instabil ruota vedi
di Fortuna ire in alto il miser uomo,
tanto piú tosto hai da vedergli i piedi
ove ora ha il capo, e far cadendo il tomo.
Di questo esempio è Policráte, e il re di
Lidia, e Dionigi, et altri ch’io non nomo,
che ruinati son da la suprema
gloria in un dí ne la miseria estrema.

2
     Cosí all’incontro, quanto piú depresso,
quanto è piú l'uom di questa ruota al fondo,
tanto a quel punto piú si trova appresso,
c’ha da salir, se de’ girarsi in tondo.
Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo,
che l'altro giorno ha dato legge al mondo.
Servio e Mario e Ventidio l’hanno mostro
al tempo antico, e il re Luigi al nostro:

3
     il re Luigi, suocero del figlio
del duca mio; che rotto a Santo Albino,
e giunto al suo nimico ne l’artiglio,
a restar senza capo fu vicino.
Scórse di questo anco maggior periglio,
non molto inanzi, il gran Matia Corvino.
Poi l’un, de’ Franchi, passato quel punto,
l’altro al regno degli Ungari fu assunto.

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4
     Si vede per gli essempii di che piene
sono l’antiche e le moderne istorie,
che ’l ben va dietro al male, e ’l male al bene,
e fin son l’un de l’altro e biasmi e glorie;
e che fidarsi a l’uom non si conviene
in suo tesor, suo regno e sue vittorie,
né disperarsi per Fortuna avversa,
che sempre la sua ruota in giro versa.

5
     Ruggier per la vittoria ch’avea avuto
di Leone e del padre imperatore,
in tanta confidenzia era venuto
di sua fortuna e di suo gran valore,
che senza compagnia, senz’altro aiuto,
di poter egli sol gli dava il core
fra cento a piè e a cavallo armate squadre
uccider di sua mano il figlio e il padre.

6
     Ma quella, che non vuol che si prometta
alcun di lei, gli mostrò in pochi giorni,
come tosto alzi e tosto al basso metta,
e tosto avversa e tosto amica torni.
Lo fe’ conoscer quivi da chi in fretta
a procacciargli andò disagi e scorni,
dal cavallier che ne la pugna fiera
di man fuggito a gran fatica gli era.

7
     Costui fece ad Ungiardo saper, come
quivi il guerrier ch’avea le genti rotte
di Costantino e per molt’anni dome,
stato era il giorno, e vi staria la notte;
e che Fortuna presa per le chiome,
senza che piú travagli o che piú lotte,
dará al suo re, se fa costui prigione;
ch’a’ Bulgari, lui preso, il giogo pone.

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8
     Ungiardo da la gente, che fuggita
de la battaglia, a lui s’era ridutta
(ch’a parte a parte v’arrivò infinita,
perch’al ponte passar non potea tutta),
sapea come la strage era seguita,
che la metá de’ Greci avea distrutta;
e come un cavallier solo era stato,
ch’un campo rotto, e l’altro avea salvato:

9
     e che sia da se stesso senza caccia
venuto a dar del capo ne la rete,
si maraviglia, e mostra che gli piaccia,
con viso e gesti e con parole liete.
Aspetta che Ruggier dormendo giaccia;
poi manda le sue gente chete chete,
e fa il buon cavallier, ch’alcun sospetto
di questo non avea, prender nel letto.

10
     Accusato Ruggier dal proprio scudo,
ne la cittá di Novengrado resta
prigion d’Ungiardo, il piú d’ogni altro crudo,
che fa di ciò maravigliosa festa.
E che può far Ruggier, poi che gli è nudo,
et è legato giá, quando si desta?
Ungiardo un suo corrier spaccia a staffetta
a dar la nuova a Costantino in fretta.

11
     Avea levato Costantin la notte
da le ripe di Sava ogni sua schiera;
e seco a Beleticche avea ridotte,
che cittá del cognato Androfilo era,
padre di quello a cui forate e rotte
(come se state fossino di cera)
al primo incontro l’arme avea il gagliardo
cavallier, or prigion del fiero Ungiardo.

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12
     Quivi fortificar facea le mura
l’imperatore, e riparar le porte;
che de’ Bulgari ben non s’assicura,
che con la guida d’un guerrier sí forte
non gli faccino peggio che paura,
e ’l resto ponghin di sua gente a morte.
Or che l’ode prigion, né quelli teme,
né se con lor sia il mondo tutto insieme.

13
     L’imperator nuota in un mar di latte,
né per letizia sa quel che si faccia.
— Ben son le genti bulgare disfatte, —
dice con lieta e con sicura faccia.
Come de la vittoria, chi combatte,
se troncasse al nimico ambe le braccia,
certo saria, cosí n’è certo, e gode
l’imperator, poi che’l guerrier preso ode.

14
     Non ha minor cagion di rallegrarsi
del patre il figlio; ch’oltre che si spera
di racquistar Belgrado, e soggiugarsi
ogni contrada che de’ Bulgari era;
disegna anco il guerriero amico farsi
con benefici, e seco averlo in schiera.
Né Rinaldo né Orlando a Carlo Magno
ha da invidiar, se gli è costui compagno.

15
     Da questa voglia è ben diversa quella
di Teodora, a chi ’l figliuolo uccise
Ruggier con l’asta che da la mammella
passò alle spalle, e un palmo fuor si mise.
A Costantin, del quale era sorella,
costei si gittò a’ piedi, e gli conquise
e intenerigli il cor d’alta pietade
col largo pianto che nel sen le cade.

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16
     — Io non mi leverò da questi piedi
(diss’ella), signor mio, se del fellone
ch’uccise il mio figliuol, non mi conciedi
di vendicare, or che l’abbián prigione.
Oltre che stato t’è nipote, vedi
quanto t’amò, vedi quant’opre buone
ha per te fatto, e vedi s’avrai torto
di non lo vendicar di chi l’ha morto.

17
     Vedi che per pietá del nostro duolo
ha Dio fatto levar da la campagna
questo crudele, e come augello, a volo
a dar ce l’ha condotto ne la ragna,
acciò in ripa di Stige il mio figliuolo
molto senza vendetta non rimagna.
Dammi costui, signore, e sii contento
ch’io disacerbi il mio col suo tormento. —

18
     Cosí ben piange, e cosí ben si duole,
e cosí bene et efficace parla;
né dai piedi levar mai se gli vuole,
ben che tre volte e quattro per levarla
usasse Costantino atti e parole;
ch’egli è forzato al fin di contentarla:
e cosí comandò che si facesse
colui condurre, e in man di lei si desse.

19
     E per non fare in ciò lunga dimora,
condotto hanno il guerrier del lïocorno,
e dato in mano alla crudel Teodora,
che non vi fu intervallo piú d’un giorno.
Il far che sia squartato vivo, e muora
publicamente con obbrobrio e scorno,
poca pena le pare, e studia e pensa
altra trovarne inusitata e immensa.

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20
     La femina crudel lo fece porre,
incatenato e mani e piedi e collo,
nel tenebroso fondo d’una torre,
ove mai non entrò raggio d’Apollo.
Fuor ch’un poco di pan muffato, tôrre
gli fé’ ogni cibo, e senza ancor lassollo
duo dí talora; e lo diè in guardia a tale,
ch’era di lei piú pronto a fargli male.

21
     Oh! se d’Amon la valorosa e bella
figlia, oh se la magnanima Marfisa
avesse avuto di Ruggier novella,
ch’in prigion tormentasse a questa guisa;
per liberarlo saria questa e quella
postasi al rischio di restarne uccisa;
né Bradamante avria, per dargli aiuto,
a Beatrice o Amon rispetto avuto.

22
     Re Carlo intanto avendo la promessa
a costei fatta in mente, che consorte
dar non le lascierá, che sia men d’essa
al paragon de l’arme ardito e forte;
questa sua voluntá con trombe espressa
non solamente fe’ ne la sua corte,
ma in ogni terra al suo imperio soggetta;
onde la fama andò pel mondo in fretta.

23
     Questa condizïon contiene il bando:
chi la figlia d’Amon per moglie vuole,
star con lei debba a paragon del brando
da l’apparire al tramontar del sole;
e fin a questo termine durando,
e non sia vinto, senz’altre parole
la donna da lui vinta esser s’intenda,
né possa ella negar che non lo prenda;

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24
     e che l’eletta ella de l’arme dona,
senza mirar chi sia di lor, che chiede.
E lo potea ben far, perch’era buona
con tutte l’arme, o sia a cavallo o a piede.
Amon, che contrastar con la Corona
non può né vuole, al fin sforzato cede;
e ritornare a corte si consiglia,
dopo molti discorsi, egli e la figlia.

25
     Ancor che sdegno e colera la madre
contra la figlia avea, pur per suo onore
vesti le fece far ricche e leggiadre
a varie foggie e di piú d’un colore.
Bradamante alla corte andò col padre;
e quando quivi non trovò il suo amore,
piú non le parve quella corte, quella
che le solea parer giá cosí bella.

26
     Come chi visto abbia, l’aprile o il maggio,
giardin di frondi e di bei fiori adorno,
e lo rivegga poi che ’l sol il raggio
all’austro inchina, e lascia breve il giorno,
lo trova deserto, orrido e selvaggio;
cosí pare alla donna al suo ritorno,
che da Ruggier la corte abandonata
quella non sia, ch’avea al partir lasciata.

26
     Domandar non ardisce che ne sia,
acciò di sé non dia maggior sospetto;
ma pon l’orecchia, e cerca tuttavia
che senza domandar le ne sia detto.
Si sa ch’egli è partito, ma che via
pres’abbia, non fa alcun vero concetto;
perché partendo ad altri non fe’ motto,
ch’allo scudier che seco avea condotto.

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28
     Oh come ella sospira! oh come teme,
sentendo che se n’è come fuggito!
Oh come sopra ogni timor le preme,
che per porla in oblio se ne sia gito!
che vistosi Amon contra, et ogni speme
perduta mai piú d’esserle marito,
si sia fatto da lei lontano, forse
cosí sperando dal suo amor disciorse:

29
     e che fatt’abbia ancor qualche disegno,
per piú tosto levarsela dal core,
d’andar cercando d’uno in altro regno
donna per cui si scordi il primo amore,
come si dice che si suol d’un legno
talor chiodo con chiodo cacciar fuore.
Nuovo pensier ch’a questo poi succede,
le dipinge Ruggier pieno di fede;

30
     e lei, che dato orecchie abbia, riprende,
a tanta iniqua suspizione e stolta.
E cosí l’un pensier Ruggier difende,
l’altro l’accusa: et ella amenduo ascolta,
e quando a questo e quando a quel s’apprende,
né risoluta a questo o a quel si volta.
Pur all’opinïon piú tosto corre,
che piú le giova, e la contraria aborre.

31
     E talor anco che le torna a mente
quel che piú volte il suo Ruggier le ha detto,
come di grave error, si duole e pente,
ch’avuto n’abbia gelosia e sospetto;
e come fosse al suo Ruggier presente,
chiamasi in colpa, e se ne batte il petto.
— Ho fatto error (dice ella), e me n’aveggio;
ma chi n’è causa, è causa ancor di peggio.

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32
     Amor n’è causa, che nel cor m’ha impresso
la forma tua cosí leggiadra e bella;
e posto ci ha l’ardir, l’ingegno appresso,
e la virtú di che ciascun favella;
ch’impossibil mi par, ch’ove concesso
ne sia il veder, ch’ogni donna e donzella
non ne sia accesa, e che non usi ogni arte
di sciorti dal mio amore e al suo legarte.

33
     Deh avesse Amor cosí nei pensier miei
il tuo pensier, come ci ha il viso sculto!
Io son ben certa che lo troverei
palese tal, qual io lo stimo occulto;
e che sí fuor di gelosia sarei,
ch’ad or ad or non mi farebbe insulto;
e dove a pena or è da me respinta,
rimarria morta, non che rotta e vinta.

34
     Son simile all’avar c’ha il cor sí intento
al suo tesoro, e sí ve l’ha sepolto,
che non ne può lontan viver contento,
né non sempre temer che gli sia tolto.
Ruggiero, or può, ch’io non ti veggo e sento,
in me, piú de la speme, il timor molto,
il qual ben che bugiardo e vano io creda,
non posso far di non mi dargli in preda.

35
     Ma non apparirá il lume sí tosto
agli occhi miei del tuo viso giocondo,
contra ogni mia credenza a me nascosto,
non so in qual parte, o Ruggier mio, del mondo,
come il falso timor sará deposto
da la vera speranza e messo al fondo.
Deh torna a me, Ruggier, torna, e conforta
la speme che ’l timor quasi m’ha morta!

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36
     Come al partir del sol si fa maggiore
l’ombra, onde nasce poi vana paura;
e come all’apparir del suo splendore
vien meno l’ombra, e ’l timido assicura:
cosí senza Ruggier sento timore;
se Ruggier veggo, in me timor non dura.
Deh torna a me, Ruggier, deh torna prima
che ’l timor la speranza in tutto opprima!

37
     Come la notte ogni fiammella è viva,
e riman spenta subito ch’aggiorna;
cosí, quando il mio sol di sé mi priva,
mi leva incontra il rio timor le corna:
ma non sí tosto all’orizzonte arriva,
che ’l timor fugge, e la speranza torna.
Deh torna a me, deh torna, o caro lume,
e scaccia il rio timor che mi consume!

38
     Se ’l sol si scosta, e lascia i giorni brevi,
quanto di bello avea la terra asconde;
fremono i venti, e portan ghiacci e nievi;
non canta augel, né fior si vede o fronde:
cosí, qualora avvien che da me levi,
o mio bel sol, le tue luci gioconde,
mille timori, e tutti iniqui, fanno
un aspro verno in me piú volte l’anno.

39
     Deh torna a me, mio sol, torna, e rimena
la desïata dolce primavera!
Sgombra i ghiacci e le nievi, e rasserena
la mente mia sí nubilosa e nera. —
Qual Progne si lamenta o Filomena
ch’a cercar esca ai figliolini ita era,
e trova il nido vòto; o qual si lagna
turture c’ha perduto la compagna:

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40
     tal Bradamante si dolea, che tolto
le fosse stato il suo Ruggier temea,
di lacrime bagnando spesso il volto,
ma piú celatamente che potea.
Oh quanto, quanto si dorria piú molto,
s’ella sapesse quel che non sapea,
che con pena e con strazio il suo consorte
era in prigion, dannato a crudel morte!

41
     La crudeltá ch’usa l’iniqua vecchia
contra il buon cavallier che preso tiene,
e che di dargli morte s’apparecchia
con nuovi strazii e non usate pene,
la superna Bontá fa ch’all’orecchia
del cortese figliuol di Cesar viene;
e che gli mette in cor, come l’aiute,
e non lasci perir tanta virtute.

42
     Il cortese Leon che Ruggiero ama
(non che sappi però che Ruggier sia),
mosso da quel valor ch’unico chiama,
e che gli par che soprumano sia,
molto fra sé discorre, ordisce e trama,
e di salvarlo al fin trova la via,
in guisa che da lui la zia crudele
offesa non si tenga e si querele.

43
     Parlò in secreto a chi tenea la chiave
de la prigione; e che volea, gli disse,
vedere il cavallier pria che sí grave
sentenzia, contra lui data, seguisse.
Giunta la notte, un suo fedel seco have
audace e forte, et atto a zuffe e a risse;
e fa che ’l castellan, senz’altrui dire
ch’egli fosse Leon, gli viene aprire.

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44
     Il castellan, senza ch’alcun de’ sui
seco abbia, occultamente Leon mena
col compagno alla torre ove ha colui
che si serba all’estrema d’ogni pena.
Giunti lá dentro, gettano amendui
al castellan che volge lor la schena
per aprir lo sportello, al collo un laccio,
e subito gli dan l’ultimo spaccio.

45
     Apron la cataratta, onde sospeso
al canape, ivi a tal bisogno posto,
Leon si cala, e in mano ha un torchio acceso,
lá dove era Ruggier dal sol nascosto.
Tutto legato, e s’una grata steso
lo trova, all’acqua un palmo e men discosto.
L’avria in un mese e in termine piú corto,
per sé, senz’altro aiuto, il luogo morto.

46
     Leon Ruggier con gran pietade abbraccia,
e dice: — Cavallier, la tua virtute
indissolubilmente a te m’allaccia
di voluntaria eterna servitute;
e vuol che piú il tuo ben, che ’l mio, mi piaccia,
né curi per la tua la mia salute,
e che la tua amicizia al padre e a quanti
parenti io m’abbia al mondo, io metta inanti.

47
     Io son Leone, acciò tu intenda, figlio
di Costantin, che vengo a darti aiuto,
come vedi, in persona, con periglio
(se mai dal padre mio sará saputo)
d’esser cacciato, o con turbato ciglio
perpetuamente esser da lui veduto;
che per la gente la qual rotta e morta
da te gli fu a Belgrado, odio ti porta. —

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48
     E seguitò, piú cose altre dicendo
da farlo ritornar da morte a vita;
e lo vien tuttavolta disciogliendo.
Ruggier gli dice: — Io v’ho grazia infinita;
e questa vita ch’or mi date, intendo
che sempremai vi sia restituita,
che la vogliate rïavere, et ogni
volta che per voi spenderla bisogni. —

49
     Ruggier fu tratto di quel loco oscuro,
e in vece sua morto il guardian rimase;
né conosciuto egli né gli altri furo.
Leon menò Ruggiero alle sue case,
ove a star seco tacito e sicuro
per quattro o per sei dí gli persuase;
che rïaver l’arme e ’l destrier gagliardo
gli faria intanto, che gli tolse Ungiardo.

50
     Ruggier fuggito, il suo guardian strozzato
si trova il giorno, e aperta la prigione.
Chi quel, chi questo pensa che sia stato;
ne parla ognun, né però alcun s’appone.
Ben di tutti gli altri uomini pensato
piú tosto si saria, che di Leone;
che pare a molti ch’avria causa avuto
di farne strazio, e non di dargli aiuto.

51
     Rimati di tanta cortesia Ruggiero
confuso sí, sí pien di maraviglia,
e tramutato sí da quel pensiero
che quivi tratto l’avea tante miglia,
che mettendo il secondo col primiero,
né a questo quel, né questo a quel simiglia.
Il primo tutto era odio, ira e veneno;
di pietade è il secondo e d’amor pieno.

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52
     Molto la notte e molto il giorno pensa,
d’altro non cura et altro non disia,
che da l’obligazion che gli avea immensa,
sciorsi con pari e maggior cortesia.
Gli par, se tutta sua vita dispensa
in lui servire, o breve o lunga sia,
e se s’espone a mille morti certe,
non gli può tanto far, che piú non merte.

53
     Venuta quivi intanto era la nuova
del bando ch’avea fatto il re di Francia,
che chi vuol Bradamante, abbia a far prova
con lei di forza, con spada e con lancia.
Questo udir a Leon sí poco giova,
che se gli vede impallidir la guancia;
perché, come uom che le sue forze ha note,
sa ch’a lei pare in arme esser non puote.

54
     Fra sé discorre, e vede che supplire
può con l’ingegno, ove il vigor sia manco,
facendo con sue insegne comparire
questo guerrier di cui non sa il nome anco;
che di possanza iudica e d’ardire
poter star contra a qualsivoglia Franco:
e crede ben, s’a lui ne dá l’impresa,
che ne fia vinta Bradamante e presa.

55
     Ma due cose ha da far: l’una, disporre
il cavallier, che questa impresa accetti;
l’altra, nel campo in vece sua lui porre
in modo che non sia chi ne sospetti.
A sé lo chiama, e ’l caso gli discorre,
e pregal poi con efficaci detti,
ch’egli sia quel ch’a questa pugna vegna
col nome altrui, sotto mentita insegna.

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56
     L’eloquenzia del Greco assai potea;
ma piú de l’eloquenzia potea molto
l’obligo grande che Ruggier gli avea,
da mai non ne dovere essere isciolto:
sí che quantunque duro gli parea,
e non possibil quasi; pur con volto,
piú che con cor giocondo, gli rispose
ch’era per far per lui tutte le cose.

57
     Ben che da fier dolor, tosto che questa
parola ha detta, il cor ferir si senta,
che giorno e notte e sempre lo molesta,
sempre l’affligge e sempre lo tormenta,
e vegga la sua morte manifesta;
pur non è mai per dir che se ne penta;
che prima ch’a Leon non ubbidire,
mille volte, non ch’una, è per morire.

58
     Ben certo è di morir; perché, se lascia
la donna, ha da lasciar la vita ancora:
o che l’accorerá il duolo e l’ambascia;
o se ’l duolo e l’ambascia non l’accora,
con le man proprie squarcierá la fascia
che cinge l’alma, e ne la trarrá fuora;
ch’ogni altra cosa piú facil gli fia,
che poter lei veder, che sua non sia.

59
     Gli è di morir disposto; ma che sorte
di morte voglia far, non sa dir anco.
Pensa talor di fingersi men forte,
e porger nudo alla donzella il fianco;
che non fu mai la piú beata morte,
che se per man di lei venisse manco.
Poi vede, se per lui resta che moglie
sia di Leon, che l’obligo non scioglie:

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60
     perché ha promesso contra Bradamante
entrare in campo a singular battaglia;
non simulare, e farne sol sembiante,
sí che Leon di lui poco si vaglia.
Dunque stará nel detto suo constante;
e ben che or questo or quel pensier l’assaglia,
tutti li scaccia, e solo a questo cede,
il qual l’esorta a non mancar di fede.

61
     Avea giá fatto apparecchiar Leone,
con licenzia del patre Costantino,
arme e cavalli, e un numer di persone
qual gli convenne, e entrato era in camino;
e seco avea Ruggiero, a cui le buone
arme avea fatto rendere e Frontino:
e tanto un giorno e un altro e un altro andaro,
ch’in Francia et a Parigi si trovaro.

62
     Non volse entrar Leon ne la cittate,
e i padiglioni alla campagna tese;
e fe’ il medesmo dí per imbasciate,
che di sua giunta il re di Francia intese.
L’ebbe il re caro; e gli fu piú fïate,
donando e visitandolo, cortese.
De la venuta sua la cagion disse
Leone, e lo pregò che l’espedisse:

63
     ch’entrar facesse in campo la donzella
che marito non vuol di lei men forte;
quando venuto era per fare o ch’ella
moglier gli fosse, o che gli desse morte.
Carlo tolse l’assunto, e fece quella
comparir l’altro di fuor de le porte,
ne lo steccato che la notte sotto
all’alte mura fu fatto di botto.

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64
     La notte ch’andò inanzi al terminato
giorno de la battaglia, Ruggiero ebbe
simile a quella che suole il dannato
aver, che la matina morir debbe.
Eletto avea combatter tutto armato,
perch’esser conosciuto non vorrebbe;
né lancia né destriero adoprar volse,
né, fuor che ’l brando, arme d’offesa tolse.

65
     Lancia non tolse; non perché temesse
di quella d’or, che fu de l’Argalia,
e poi d’Astolfo a cui costei successe,
che far gli arcion votar sempre solia:
perché nessun, ch’ella tal forza avesse,
o fosse fatta per negromanzia,
avea saputo, eccetto quel re solo
che far la fece e la donò al figliuolo.

66
     Anzi Astolfo e la donna, che portata
l’aveano poi, credean che non l’incanto,
ma la propria possanza fosse stata,
che dato loro in giostra avesse il vanto;
e che con ogni altra asta ch’incontrata
fosse da lor, farebbono altretanto.
La cagion sola, che Ruggier non giostra,
è per non far del suo Frontino mostra:

67
     che lo potria la donna facilmente
conoscer, se da lei fosse veduto;
però che cavalcato, e lungamente
in Montalban l’avea seco tenuto.
Ruggier che solo studia e solo ha mente
come da lei non sia riconosciuto,
né vuol Frontin, né vuol cos’altra avere,
che di far di sé indizio abbia potere.

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68
     A questa impresa un’altra spada volle;
che ben sapea che contra a Balisarda
saria ogn’osbergo, come pasta, molle;
ch’alcuna tempra quel furor non tarda:
e tutto ’l taglio anco a quest’altra tolle
con un martello, e la fa men gagliarda.
Con quest’arme Ruggiero al primo lampo
ch’apparve all’orizzonte, entrò nel campo.

69
     E per parer Leon, le sopraveste
che dianzi ebbe Leon, s’ha messe indosso;
e l’aquila de l’or con le due teste
porta dipinta ne lo scudo rosso.
E facilmente si potean far queste
finzion; ch’era ugualmente grande e grosso
l’un come l’altro. Appresentossi l’uno;
l’altro non si lasciò veder d’alcuno.

70
     Era la voluntá de la donzella
da quest’altra diversa di gran lunga;
che, se Ruggier su la spada martella
per rintuzzarla, che non tagli o punga,
la sua la donna aguzza, e brama ch’ella
entri nel ferro, e sempre al vivo giunga,
anzi ogni colpo sí ben tagli e fore,
che vada sempre a ritrovargli il core.

71
     Qual su le mosse il barbaro si vede,
che ’l cenno del partir fugoso attende,
né qua né lá poter fermare il piede,
gonfiar le nare, e che l’orecchie tende;
tal l’animosa donna che non crede
che questo sia Ruggier con chi contende,
aspettando la tromba, par che fuoco
ne le vene abbia, e non ritrovi loco.

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72
     Qual talor, dopo il tuono, orrido vento
subito segue, che sozzopra volve
l’ondoso mare, e leva in un momento
da terra fin al ciel l’oscura polve;
fuggon le fiere, e col pastor l’armento;
l’aria in grandine e in pioggia si risolve:
udito il segno la donzella, tale
stringe la spada, e ’l suo Ruggiero assale.

73
     Ma non piú quercia antica, o grosso muro
di ben fondata torre a borea cede,
né piú all’irato mar lo scoglio duro,
che d’ogni intorno il dí e la notte il fiede;
che sotto l’arme il buon Ruggier sicuro,
che giá al troiano Ettòr Vulcano diede,
ceda all’odio e al furor che lo tempesta
or ne’ fianchi, or nel petto, or ne la testa.

74
     Quando di taglio la donzella, quando
mena di punta; e tutta intenta mira
ove cacciar tra ferro e ferro il brando,
sí che si sfoghi e disacerbi l’ira.
Or da un lato, or da un altro il va tentando;
quando di qua, quando di lá s’aggira:
e si rode e si duol che non le avegna
mai fatta alcuna cosa che disegna.

75
     Come chi assedia una cittá che forte
sia di buon fianchi e di muraglia grossa,
spesso l’assalta, or vuol batter le porte,
or l’alte torri, or atturar la fossa;
e pone indarno le sue genti a morte,
né via sa ritrovar ch’entrar vi possa:
cosí molto s’affanna e si travaglia,
né può la donna aprir piastra né maglia.

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76
     Quando allo scudo e quando al buono elmetto,
quando all’osbergo fa gittar scintille
con colpi ch’alle braccia, al capo, al petto
mena dritti e riversi, e mille e mille,
e spessi piú, che sul sonante tetto
la grandine far soglia de le ville.
Ruggier sta su l’avviso, e si difende
con gran destrezza, e lei mai non offende.

77
     Or si ferma, or volteggia, or si ritira,
e con la man spesso accompagna il piede.
Porge or lo scudo, et or la spada gira
ove girar la man nimica vede.
O lei non fere, o se la fere, mira
ferirla in parte ove men nuocer crede.
La donna, prima che quel dí s’inchine,
brama di dare alla battaglia fine.

78
     Si ricordò del bando, e si ravvide
del suo periglio, se non era presta;
che se in un dí non prende o non uccide
il suo domandator, presa ella resta.
Era giá presso ai termini d’Alcide
per attuffar nel mar Febo la testa,
quando ella cominciò di sua possanza
a difidarsi, e perder la speranza.

79
     Quanto mancò piú la speranza, crebbe
tanto piú l’ira, e radoppiò le botte;
che pur quell’arme rompere vorrebbe,
ch’in tutto un dí non avea ancora rotte:
come colui ch’al lavorio che debbe,
sia stato lento, e giá vegga esser notte,
s’affretta indarno, si travaglia e stanca,
fin che la forza a un tempo e il dí gli manca.

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80
     O misera donzella, se costui
tu conoscessi, a cui dar morte brami,
se lo sapessi esser Ruggier, da cui
de la tua vita pendono li stami;
so ben ch’uccider te, prima che lui,
vorresti; che di te so che piú l’ami:
e quando lui Ruggiero esser saprai,
di questi colpi ancor, so, ti dorrai.

81
     Carlo e molt’altri seco, che Leone
esser costui credeansi, e non Ruggiero,
veduto come in arme, al paragone
di Bradamante, forte era e leggiero;
e, senza offender lei, con che ragione
difender si sapea; mutan pensiero,
e dicon: — Ben convengono amendui;
ch’egli è di lei ben degno, ella di lui. —

82
     Poi che Febo nel mar tutt’è nascoso,
Carlo, fatta partir quella battaglia,
giudica che la donna per suo sposo
prenda Leon, né ricusar lo vaglia.
Ruggier, senza pigliar quivi riposo,
senz’elmo trarsi o alleggierirsi maglia,
sopra un picciol ronzin torna in gran fretta
ai padiglioni ove Leon l’aspetta.

83
     Gittò Leone al cavallier le braccia
due volte e piú fraternamente al collo;
e poi, trattogli l’elmo da la faccia,
di qua e di lá con grande amor baciollo.
— Vo’ (disse) che di me sempre tu faccia
come ti par; che mai trovar satollo
non mi potrai, che me e lo stato mio
spender tu possa ad ogni tuo disio.

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84
     Né veggo ricompensa che mai questa
obligazion ch’io t’ho, possi disciorre;
e non, s’ancora io mi levi di testa
la mia corona, e a te la venghi a porre. —
Ruggier, di cui la mente ange e molesta
alto dolore, e che la vita aborre,
poco risponde, e l’insegne gli rende,
che n’avea aute, e ’l suo liocorno prende.

85
     E stanco dimostrandosi e svogliato,
piú tosto che poté, da lui levosse;
et al suo alloggiamento ritornato,
poi che fu mezzanotte, tutto armosse;
e sellato il destrier, senza commiato,
e senza che d’alcun sentito fosse,
sopra vi salse, e si drizzò al camino
che piú piacer gli parve al suo Frontino.

86
     Frontino or per via dritta or per via torta,
quando per selve e quando per campagna
il suo signor tutta la notte porta,
che non cessa un momento che non piagna:
chiama la morte, e in quella si conforta,
che l’ostinata doglia sola fragna;
né vede, altro che morte, chi finire
possa l’insopportabil suo martíre.

87
     — Di chi mi debbo, ohimè! (dicea) dolere,
che cosí m’abbia a un punto ogni ben tolto?
Deh, s’io non vo’ l’ingiuria sostenere
senza vendetta, incontra a cui mi volto?
Fuor che me stesso, altri non so vedere,
che m’abbia offeso et in miseria volto.
Io m’ho dunque di me contra a me stesso
da vendicar, c’ho tutto il mal commesso.

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88
     Pur, quando io avessi fatto solamente
a me l’ingiuria, a me forse potrei
donar perdon, se ben difficilmente;
anzi vo’ dir che far non lo vorrei:
or quanto, poi che Bradamante sente
meco l’ingiuria ugual, men lo farei?
Quando bene a me ancora io perdonassi,
lei non convien ch’invendicata lassi.

89
     Per vendicar lei dunque debbo e voglio
ogni modo morir, né ciò mi pesa;
ch’altra cosa non so ch’al mio cordoglio,
fuor che la morte, far possa difesa.
Ma sol, ch’allora io non mori’, mi doglio,
che fatto ancora io non le aveva offesa.
Oh me felice, s’io moriva allora
ch’era prigion de la crudel Teodora!

90
     Se ben m’avesse ucciso, tormentato
prima ad arbitrio di sua crudeltade,
da Bradamante almeno avrei sperato
di ritrovare al mio caso pietade.
Ma quando ella saprá ch’avrò piú amato
Leon di lei, e di mia volontade
io me ne sia, perch’egli l’abbia, privo;
avrá ragion d’odiarmi e morto e vivo. —

91
     Questo dicendo e molte altre parole
che sospiri accompagnano e singulti,
si trova all’apparir del nuovo sole
fra scuri boschi, in luoghi strani e inculti;
e perché è disperato, e morir vuole,
e, piú che può, che ’l suo morir s’occulti,
questo luogo gli par molto nascosto,
et atto a far quant’ha di sé disposto.

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92
     Entra nel folto bosco, ove piú spesse
l’ombrose frasche e piú intricate vede;
ma Frontin prima al tutto sciolto messe
da sé lontano, e libertá gli diede.
— O mio Frontin (gli disse), s’a me stesse
di dare a’ merti tuoi degna mercede,
avresti a quel destrier da invidiar poco,
che volò al cielo, e fra le stelle ha loco.

93
     Cillaro, so, non fu, non fu Arïone
di te miglior, né meritò piú lode;
né alcun altro destrier di cui menzione
fatta da’ Greci o da’ Latini s’ode.
Se ti fur par ne l’altre parti buone,
di questa so ch’alcun di lor non gode,
di potersi vantar ch’avuto mai
abbia il pregio e l’onor che tu avuto hai;

94
     poi ch’alla piú che mai sia stata o sia
donna gentile e valorosa e bella
sí caro stato sei, che ti nutria,
e di sua man ti ponea freno e sella.
Caro eri alla mia donna: ah perché mia
la dirò piú, se mia non è piú quella?
s’io l’ho donata ad altri? Ohimè! che cesso
di volger questa spada ora in me stesso? —

95
     Se Ruggier qui s’affligge e si tormenta,
e le fere e gli augelli a pietá muove
(ch’altri non è che questi gridi senta
né vegga il pianto che nel sen gli piove),
non dovete pensar che piú contenta
Bradamante in Parigi si ritrove,
poi che scusa non ha che la difenda,
o piú l’indugi, che Leon non prenda.

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96
     Ella, prima ch’avere altro consorte
che ’l suo Ruggier, vuol far ciò che può farsi;
mancar del detto suo; Carlo e la corte,
i parenti e gli amici inimicarsi:
e quando altro non possa, al fin la morte
o col veneno o con la spada darsi;
che le par meglio assai non esser viva,
che, vivendo, restar di Ruggier priva.

97
     — Deh, Ruggier mio (dicea), dove sei gito?
Puote esser che tu sia tanto discosto,
che tu non abbi questo bando udito,
a nessun altro, fuor ch’a te, nascosto?
Se tu ’l sapesse, io so che comparito
nessun altro saria di te piú tosto.
Misera me! ch’altro pensar mi deggio,
se non quel che pensar si possa peggio?

98
     Come è, Ruggier, possibil che tu solo
non abbi quel che tutto il mondo ha inteso?
Se inteso l’hai, né sei venuto a volo,
come esser può che non sii morto o preso?
Ma chi sapesse il ver, questo figliuolo
di Costantin t’avrá alcun laccio teso;
il traditor t’avrá chiusa la via,
acciò prima di lui tu qui non sia.

99
     Da Carlo impetrai grazia, ch’a nessuno
men di me forte avessi ad esser data,
con credenza che tu fossi quell’uno
a cui star contra io non potessi armata.
Fuor che te solo, io non stimava alcuno:
ma de l’audacia mia m’ha Dio pagata;
poi che costui che mai piú non fe’ impresa
d’onore in vita sua, cosí m’ha presa.

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100
     Se però presa son per non avere
uccider lui né prenderlo potuto;
il che non mi par giusto; né al parere
mai son per star, ch’in questo ha Carlo avuto.
So ch’inconstante io mi farò tenere,
se da quel c’ho giá detto ora mi muto;
ma né la prima son né la sezzaia,
la qual paruta sia inconstante, e paia.

101
     Basti che nel servar fede al mio amante,
d’ogni scoglio piú salda mi ritrovi,
e passi in questo di gran lunga quante
mai furo ai tempi antichi, o sieno ai nuovi.
Che nel resto mi dichino incostante,
non curo, pur che l’incostanzia giovi:
pur ch’io non sia di costui tôrre astretta,
volubil piú che foglia anco sia detta. —

102
     Queste parole et altre, ch’interrotte
da sospiri e da pianti erano spesso,
seguí dicendo tutta quella notte
ch’all’infelice giorno venne appresso.
Ma poi che dentro alle cimerie grotte
con l’ombre sue Notturno fu rimesso,
il ciel, ch’eternamente avea voluto
farla di Ruggier moglie, le diè aiuto.

103
     Fe’ la mattina la donzella altiera
Marfisa inanzi a Carlo comparire,
dicendo ch’al fratel suo Ruggier era
fatto gran torto, e nol volea patire,
che gli fosse levata la mogliera,
né pure una parola gliene dire:
e contra chi si vuol di provar toglie,
che Bradamante di Ruggiero è moglie.

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104
     E inanzi agli altri, a lei provar lo vuole,
quando pur di negarlo fosse ardita,
ch’in sua presenzia ella ha quelle parole
dette a Ruggier, che fa chi si marita;
e con la cerimonia che si suole,
giá sí tra lor la cosa è stabilita,
che piú di sé non possono disporre,
né l’un l’altro lasciar, per altri tôrre.

105
     Marfisa, o ’l vero o ’l falso che dicesse,
pur lo dicea, ben credo con pensiero,
perché Leon piú tosto interrompesse
a dritto e a torto, che per dire il vero,
e che di volontade lo facesse
di Bradamante, che a riaver Ruggiero
et escluder Leon, né la piú onesta
né la piú breve via vedea di questa.

106
     Turbato il re di questa cosa molto,
Bradamante chiamar fa immantinente;
e quanto di provar Marfisa ha tolto,
le fa sapere, et ecci Amon presente.
Tien Bradamante chino a terra il volto,
e confusa non niega né consente,
in guisa che comprender di leggiero
si può che Marfisa abbia detto il vero.

107
     Piace a Rinaldo, e piace a quel d’Anglante
tal cosa udir, ch’esser potrá cagione
che ’l parentado non andrá piú inante,
che giá conchiuso aver credea Leone;
e pur Ruggier la bella Bradamante
mal grado avrá de l’ostinato Amone;
e potran senza lite, e senza trarla
di man per forza al padre, a Ruggier darla.

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108
     Che se tra lor queste parole stanno,
la cosa è ferma, e non andrá per terra.
Cosí atterrán quel che promesso gli hanno,
piú onestamente e senza nuova guerra.
— Questo è (diceva Amon), questo è un inganno
contra me ordito: ma ’l pensier vostro erra;
ch’ancor che fosse ver quanto voi finto
tra voi v’avete, io non son però vinto.

109
     Che prosuposto (che né ancor confesso,
né vo’ credere ancor) ch’abbia costei
scioccamente a Ruggier cosí promesso,
come voi dite, e Ruggiero abbia a lei;
quando e dove fu questo? che piú espresso,
piú chiaro e piano intenderlo vorrei.
Stato so che non è, se non è stato
prima che Ruggier fosse battezzato.

110
     Ma se gli è stato inanzi che cristiano
fosse Ruggier, non vo’ che me ne caglia;
ch’essendo ella fedele, egli pagano,
non crederò che ’l matrimonio vaglia.
Non si debbe per questo essere invano
posto al risco Leon de la battaglia;
né il nostro imperator credo vogli anco
venir del detto suo per questo manco.

111
     Quel ch’or mi dite, era da dirmi quando
era intera la cosa, né ancor fatto
a prieghi di costei Carlo avea il bando
che qui Leone alla battaglia ha tratto. —
Cosí contra Rinaldo e contra Orlando
Amon dicea, per rompere il contratto
fra quei duo amanti; e Carlo stava a udire,
né per l’un né per l’altro volea dire.

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112
     Come si senton, s’austro o borea spira,
per l’alte selve murmurar le fronde;
o come soglion, s’Eolo s’adira
contra Nettunno, al lito fremer l’onde:
cosí un rumor che corre e che s’aggira,
e che per tutta Francia si difonde,
di questo dá da dire e da udir tanto,
ch’ogni altra cosa è muta in ogni canto.

113
     Chi parla per Ruggier, chi per Leone;
ma la piú parte è con Ruggiero in lega:
son dieci e piú per un che n’abbia Amone.
L’imperator né qua né lá si piega;
ma la causa rimette alla ragione,
et al suo parlamento la delega.
Or vien Marfisa, poi ch’è diferito
lo sponsalizio, e pon nuovo partito;

114
     e dice: — Con ciò sia ch’esser non possa
d’altri costei, fin che ’l fratel mio vive;
se Leon la vuol pur, suo ardire e possa
adopri sí, che lui di vita prive:
e chi manda di lor l’altro alla fossa,
senza rivale al suo contento arrive. —
Tosto Carlo a Leon fa intender questo,
come anco intender gli avea fatto il resto.

115
     Leon che, quando seco il cavalliero
del lïocorno sia, si tien sicuro
di riportar vittoria di Ruggiero,
né gli abbia alcun assunto a parer duro;
non sappiendo che l’abbia il dolor fiero
tratto nel bosco solitario e oscuro,
ma che, per tornar tosto, uno o due miglia
sia andato a spasso, il mal partito piglia.

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116
     Ben se ne pente in breve; che colui
del qual piú del dover si promettea,
non comparve quel dí, né gli altri dui
che lo seguîr, né nuova se n’avea;
e tor questa battaglia senza lui
contra Ruggier, sicur non gli parea:
mandò, per schivar dunque danno e scorno,
per trovar il guerrier dal lïocorno.

117
     Per cittadi mandò, ville e castella,
d’appresso e da lontan, per ritrovarlo;
né contento di questo, montò in sella
egli in persona, e si pose a cercarlo.
Ma non n’avrebbe avuto giá novella,
né l’avria avuta uomo di quei di Carlo,
se non era Melissa che fe’ quanto
mi serbo a farvi udir ne l’altro canto.