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pagnia, veniva insieme con i suoi due gemelli, sempre ansiosi di frugare, di interrogare, di sapere, e si sedeva tranquillamente in un angolo, passando le ore a guardarmi armeggiare tra i cannocchiali e il telescopio, mentre da uno spicchio aperto nella cupola pioveva su noi la fredda luce delle stelle. Ma i ragazzi non stavano tranquilli; eh no! Negli ultimi tempi specialmente si erano intestati a voler costruire modelli di aeroplani che non volavano mai.
Avrei dovuto dar loro le precise cognizioni per questo genere di lavori: ma, purtroppo, tutte le volte che cominciavo i miei insegnamenti, l’orologio mi ricordava i miei doveri di studioso e di osservatore: e lasciavo sul meglio quei figliuoli per salire al telescopio e cominciar le ricerche su una macchiolina sperduta nella superficie di Marte, sul movimento di una cometa, su la colorazione di un gruppo stellare, su l’aspetto variabile dell’anello di Saturno....
Allora, quei monelli, abbandonati a se stessi, correvano nell’officina a far raccolta di filo di rame, di legno, di rotelle, di cartoni, e ricominciavano, a modo loro, la costruzione dell’apparecchio «più veloce e più sicuro del mondo».
Mentre pensavo di lasciare la Terra per la Luna, pensavo anche al modo di lasciare mia