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Gli scafandri per vivere sulla Luna
Mentre James, ritornato in America, raccoglieva i fondi per la grande impresa, io e Max preparavamo i piani delle varie costruzioni meccaniche, studiando i particolari più minuziosi del viaggio. Dato che, anche accettando la mia teoria dell’atmosfera lunare mille volte più rarefatta di quella che i nostri arditi esploratori trovarono su le vette dell’Himalaja — dato, ripeto, che noi non avremmo potuto respirare sulla superficie della Luna, ci lambiccammo il cervello per fabbricare (almeno con i disegni e le cifre) un tipo di scafandro da palombaro, corazzato internamente con grosse piastre di alluminio, connesse e congegnate in modo da permetterei una discreta libertà di movimenti. Avremmo adoperato un condensatore di ossigeno per la nostra respirazione, una specie di serbatoio collocato sulle spalle. Questo voluminoso apparecchio, secondo i nostri calcoli, avrebbe superato il peso di un quintale e mezzo: ma il peso, essendo sulla Luna ridotto a un settimo di quello terrestre, come è noto, noi non dubitavamo affatto di poter sopportare, senza risentirne eccessiva fatica, il guscio metallico che doveva impedirci