La serva amorosa/Nota storica

Nota storica

../Atto III IncludiIntestazione 3 maggio 2020 100% Da definire

Atto III
[p. 303 modifica]

NOTA STORICA

«9 aprile 1752, prima domenica dopo Pasqua, cominciarono le comedie di gran grido nel Teatro Formaglian e ne fecero 50, la maggior parte del Goldoni ». Così Dom. Maria Galeati nel Diario (Ricci, I teatri di Bologna ecc. Bol., 1888, p. 109). Di più nel suo — Ubaldo Zanetti, il noto speziale, tanto benemerito della cronaca bolognese (Modena a C. G., 1907, p. 324): «...alle comedie dell’avvocato Goldoni rappresentate dalla compagnia di Medebach, come quelle che corregono (sic) li costumi moderni, vi concorre molto popolo e il biglietto si paga soldi otto e il sedere 4 baiocchi e sono molto gradite» (Ricci, op. cit., p. 111 ). Il Formagliari, primo allora dei teatri pubblici bolognesi, sorgeva sull’area dov’è adesso la Cassa di Risparmio. Il Goldoni raggiunti colà i suoi comici nel maggio, a stagione inoltrata, aveva notato con viva sodisfazione che la città «colta in ogni genere di scienza e di belle arti» approvava il suo sistema, tollerava il suo stile e frequentava le sue commedie. (Le comm. del dott. C. G. Ediz. Bettinelli, 1 753, voi. III, p. 267). Fra molte altre eseguite in quella primavera vi fu certo anche la S. a., come la lettera di dedica esplicitamente afferma. Vanno corrette dunque le Memorie dove pospongono questa alla Moglie saggia (Parte II, cap. XIV; cfr. la Nota alla M. S. e A. Neri, Anedd. Gold., p. 78).

Com’era piaciuta a Bologna (v. Premessa), la S. a. nell’ottobre dello stesso anno piacque anche a Venezia. «Al nostro [teatro] di Sant’Angelo» — scriveva l’a. all’Arconati Visconti il 7 ottobre 1 752 — si diede principio con il Tutore, e la seconda sera si pose in scena la S. a., la quale si seguita tuttavia a rappresentarsi, e crescendo ogni sera il concorso, si può sperare non voglia stancar l’uditorio, tuttochè moltissima nobiltà sia in campagna, e il resto sia per andarvi» (Lett. di C. G. e di G. Medebach al co. G. A. - V., Mil, 1882, p. 26). Così il pubblico diè torto ai comici rimasti freddi alla lettura. Non per questo la commedia andò, nè va esente da biasimo di critici. Si doleva qualcuno di dover «aspettare fino alla sesta scena il personaggio che vi è più interessante », ma il raguseo Sciugliaga, caldo fautore del Goldoni, potè rispondere recando l’esempio del Tartufo, dove il protagonista indugia ben più a comparire (Censure miscellanee sopra la commedia, ecc. Ferrara, 1755, p. 61). Dall’accusa sommaria di antifemminismo che Luigi Carrer lancia contro il teatro del Goldoni, egli con palese ingiustizia non eccettua neppur questa S. a., nella cui amorevolezza avrebbe trovato molto che ridire, se avesse avuto agio di esaminarla (Saggi s. vita e opere di C. G. Ven., 1827 p. 150). L’avesse fatto, si sarebbe ricreduto senza dubbio. Ma il Carrer, nota opportunamente il Centelli (Le donne del G. Battaglia per l’arte 188?) esagera, come facilmente occorre a chi giudichi complessivamente d’un’opera immensamente vasta, immensamente varia, quale la goldoniana. Ammira assai il Jacobs la nobile figura della protagonista: se la commedia, non dice (Charaktere der vornehmsten Dichter aller Nationen, Leipzig, 1793, vol. 2,° p. 73). Il Platen, coscienzioso annotatore delle proprie letture, scrive che la S. a. «ha qualchecosa di speciale» (Die Tagebucher Stuttgart, 1900, voi. II, p. 640). Ben poco tenero n’è il Rabany, cui, tolto l’episodio molieresco, sembra un dramma sentimentale (op. cit. [p. 304 modifica] pp. 222, 346). «Commedia un po’ frivola e ben congegnata» la giudica il Galanti (op. cit. p. 223), ma dove mira il primo qualificativo? Altri avverte come la fine interpretazione bastasse a far «dimenticare tutto quello che la commedia ha di inverisimile e di farraginoso» (Guastalla, Antologia Goldon., Livorno, 1908, p. 61).

Pure in chi non inclini a malignità qualche dubbio potrà insinuarsi — tra i personaggi [a. I, sc. IX] e tra gli spettatori ammiranti — sull’indole de’ rapporti di Corallina con Florindo, ospite in casa sua. Farne una femmina tanto matura da togliere ogni base alla maldicenza il G. non volle per non scemar valore alla nobiltà del suo agire. Nè le attrici vi si sarebbero acconciate. La servetta, buona o maliziosa, gaia o sentimentale, per tradizione di ruolo doveva esser giovine. Così se il Beregan esagerò nel ritenere Pamela non donna, ma cosa divina, non ebbe però torto a scrivere: «Nell’amorosa serva ravviso una eroina» (Il Museo d’Apollo, in append. al vol. XIII delle Comm. d. dott. C. G. Torino, 1758, p. 17). In altre parole ripete lo stesso apprezzamento ai giorni nostri il Dejob, notando che in questo simpatico personaggio v’ha un po’ di chimera (Les femmes dans la com. franç, et ital. au XVIII siècle. Paris, 1899, p. 351). Dai quali appunti, mossi alla commedia già al suo primo apparire, si difende, s’è visto (Premessa), alla meglio l’a. stesso. Ma chi non sa che il Goldoni quando metteva la sua gente sul sentiero della virtù, si lasciava un po’ prender la mano dai suoi buoni propositi? In chiusa di commedia però anche Corallina torna creatura terrena e per isposare Brighella domanda, senza false modestie, a Ottavio una dote. Ridiviene così, almeno all’ultima scena, «la serva utilitaria e pensosa del suo avvenire» qual’è la servetta goldoniana, avverte il Costetti (Bozzetti drammatici, Bologna, 1887, p. 191). Luigi Falchi, preoccupato sempre della tesi nel teatro goldoniano, esalta il significato di questa «serva amorosa» che «non solo non ha un’anima servile, ma è così nobile che essa può raggiungere le cime più alte dell’umano disinteresse» (Intendimenti sociali di C. G., Roma, 1907, p. 67). Tutto bene. Non si scordi però che il G. imaginò questa serva per offerire una parte d’effetto alla Marliani, proprio come l’anno prima aveva cantato a gloria la virtù d’una signora (la Moglie saggia) per far figurare la Medebac.

Se concezione troppo ideale Corallina, crudo increscioso realismo è nel personaggio di Florindo «prototipo del buono a nulla settecentesco» (G. Piazza, Mariti e cavalieri serventi nelle commedie del G. Riv. teatr. it., 1906, nov., p. 120). Passa il segno però chi in questo giovine sano che senza pensare a fatiche di sorta si lascia mantenere da una povera serva, scorge un quadro esatto d’una realtà oggi ancora comune tra noi (J. Widmann, Jenseits des Gotthard, Frauenfeld, 1888, p. 170).

L’indagine storica addita, fonti parziali a questo lavoro, delle quali l’a. assai probabilmente si valse, il Malade imaginaire (Comm. scelte di C. G., pubbl. per cura di R. Nocchi, Fir., 1856, p. XVIII; Les grands écrivains d. I. France. Molière, vol. IX, pp. 239, 240; Rabany, op. cit. pp. 259, 346; Maddalena, La S. a. del G. Rivista dalmatica, Zara, 1900, genn., p. 159; Merz, C. G. in s. Stellung z. franz. Lustsp., Leipzig 1903, p. 26), lo scenario Il vecchio avaro overo li scritti di Basilio Locatelli, composto non più tardi del 1618 (R. Bonfanti, Uno scenario di B. L., Noto, 1901) e forse [p. 305 modifica] ancora La moglie in calzoni di J. A. Nelli, stampata nel 1731 (Maddalena, art. cit., pp. 162, 163). Certo lo stratagemma, onde si chiude la commedia, deriva dal Molière, anche se la finta morte serve solo a smascherare la malvagia consorte, non a mostrar l’affetto di Florindo per il genitore. Su questo prestito abilmente sorvola nell’autobiografia, scritta a Parigi e in francese, l’a., scrivendo: «Il s’agissoit de gagner la confiance d’Ottavio, et de détruire les calomnies et les artifices d’une femme méchante et chèrie. Coraline y réussit par son esprit» (Mém. 1. cit.), ma non dice quale fosse l’astuzia.

Anche a traverso le fonti letterarie la S. a. si rivela figlia legittima della commedia dell’arte (E. Pasqualina C. G Appunti critici. Assisi, 1909, p. 22). Se non proprio dello scenario locatelliano, d’altro, d’identico soggetto, si sarà valso il G., poichè, avverte giustamente il Bonfanti (art. cit., p. 9) «la materia della c. d. a. era patrimonio comune delle compagnie comiche». A conforto della sua ipotesi basti dello scenario riportare qualche brano: «Horatio [Florindo], di strada, sopra la crudeltà di Pantalone [Ottavio], suo padre, che l’odia per il male che Isabella [Beatrice], sua matregna, Zanni et Franceschina, servi, metteno contro di lui, acciò morendo Pantalone dell’infermità dell’Hidropesia, non gli lasci niente dopo la morte. Poi discorre dell’amore che porta a Olimpia [Rosaura] figlia del Franzese [Pantalone]... Franzese... intende come Horatio non habita più in casa di Pantalone, suo padre, et esser stato cacciato via. Franzese li proferisce la casa sua, magnare, bere et dormire... Franzese... discorrendo che dona volentieri Olimpia, sua figliola, per moglie a Horatio, ma non volergliela dare se prima Pantalone non si pacifica con Horatio, acciò dopo la morte li lassi la robba». Il qual ultimo passo è dal Bonfanti opportunamente riavvicinato a queste considerazioni del padre di Rosaura (a. II, sc. III): «Sto negozio de sto matrimonio no me despiaseria: se se podesse combinar... se fusse vero, che el tornasse in casa...» Ed ecco come lo scenario descrive la morte simulata: «Pantalone intende [dal Franzese] come Horatio gli è fedele, et Isabella Franceschina ecc. inimici suoi, et per volersene chiarire, finge il morto, colocandosi in terra...» Ma perchè lo stratagemma si figura, come già nel Malade, invenzione della serva, il Nostro aveva certo presente anche il capolavoro molieresco.

Originale a dispetto dell’imitazione, per ragioni che qui non è il luogo di chiarire, resta il Malade. E così goldoniana è l’impronta che dal genio dell’a. venne a questa S. a. Nella quale l’azione s’impernia tutta intorno a un personaggio, affatto nuovo negli atteggiamenti che gli compone e nella vita che gli inspira il Goldoni. In questa sua Corallina, pensosa solo degli interessi del padrone e della sua felicità, riabilita sè stessa la balia del teatro cinquecentesco, mezzana di illeciti amori: trasformazione dunque d’un tipo tradizionale, assai felicemente sviscerata da Olga Marchini-Capasso (G. e la comm. dell’a. Bergamo, 1907, pp. 43-47; cfr. anche M. Landau, Gesch. d. ital. Litt. im XVIII Jahrh., Berlin, 1899, p. 370).

Alla vitalità della S. a., mai interrotta, non ancora cessata, non occorre recar testemonianze. Ricordiamo invece i nomi d’interpreti e di compagnie che l’ebbero particolarmente cara. Dopo Maddalena Marlini, della quale il Goldoni parla con sì calda ammirazione non nel proemio soltanto (cfr. Mém. P. II, e. XIV; ediz. Paperini, voi. VIII, pp. 157, 158; vol. I, p. 143 di questa [p. 306 modifica] ediz.) cronisti e storiografi del nostro teatro rammentano Maddalena Gallina (L. Rasi, I comici ecc., vol. I, p. 976) e Rosa Romagnoli. Con la Romagnoli la commedia entrò nel repertorio della Reale Sarda (1830; cfr. Costetti, La Comp. R. S., p. 82; De Abate, Le ultime servette goldoniane. Nuova Antologia, 1907, 16 febbr., p. 677). La parte d’Ottavio, come altre goldoniane, rese mirabilmente il grande Vestri. Narra l’amoroso suo biografo F. Scifoni: «... l’imbecillità della vecchiezza, com’era da lui squisitamente dipinta nell’Ottavio della Serva amorosa! Buon Dio! che stupor negli sguardi, che pargoleggiar nel sorriso, nella voce e quasi anche nella favella!» (Biografia di Luigi Vestri, p. 263). In tempi a noi più vicini predilesse questa commedia e ne fu egregia interprete Virginia Marini, che entrata nella Compagnia Nazionale ebbe la fortuna di vedervisi secondata da attori quale Ermete Novelli (Pantalone) e Claudio Leigheb (Arlecchino). D’una recita seguita a Torino ( 1892?) Enrico Montecorboli riferiva: «M.me Marini a joué la S. a. avec un charme et une verve endiablée et y a obtenu un succès fou» (La nouvelle révue, 15 febbr. 1893, p. 838). Le parole del Montecorboli trovano conferma in queste di E. Lamma intorno a un’altra rappresentazione data a Bologna dalla stessa compagnia: «Il teatro pienissimo, era addiritura imponente. Ebbene: della commedia che non è poi la migliore del Goldoni, non andarono perdute nè le più lievi sfumature nè le festività del dialogo e dell’intreccio; quel pubblico, uscì dal teatro convinto d’aver assistito ad una commedia ancor viva, benchè avesse più di un secolo di vita; lieto di essersi divertito; tutti videro nella S. a. una commedia seriamente pensata, forse più d’uno tornò a casa migliore» (Il resto del Carlino, 14 febbr. 1907). In aperto contrasto con tanto elogio stanno gli sfoghi d’un critico stravagante che in un suo articolo in data 15 aprile 1883 sopra una recita al Filodrammatico di Trieste, in quest’esumazione vedeva solo «una volgare e biasimevole fonte di lucro e di risorsa». E il curioso articolo si chiude raccomandando a chi di ragione di tenere sì alto il rispetto ai nostri classici, ma di non eseguirne le opere per non crear delusioni (Rio de Riva. Ars.! Roma, Sommaruga, 1884, pp. 99, 102, 103)! Anche la risurrezione delle tre maschere suscitò allora vive discussioni (cfr. Nuova Antologia, 1884, 1 marzo, p. 143) e a provarne l’opportunità il Giacosa e il Ferrari dettarono prologhi, il primo in martelliani (Teatro in versi, vol. VI. Torino, 1888 pp. 79-87) l’altro in ottave ( Un prologo inedito di P. F. Rivista dalmatica. 1900, maggio, pagine 342-344).

Nella parte di Corallina emerse anche Elettra Brunini, mentre il marito suo, Guglielmo Privato interpretava «con molta proprietà la maschera di Pantalone » (L’Indipendente. Trieste, 1900, 10 febbr.) e innanzi la commedia non mancava mai di recitare il secondo de’ prologhi or ricordati. Tra le attrici odierne che seppero e sanno levar effetti nuovi dalla vecchia favola vanno rammentate Teresa Franchini e Dora Baldanello. Pur nell’antipatica parte di Beatrice potè meritarsi gran lode Ermenegilda Zucchini Majone (Illustrazione veneta e adriatica. 1907, 9 febbr.).

Rappresentata nel maggio del 1759 alla Comédie française, questa S. a. non ebbe fortuna. Ma la vera sua sfortuna in Francia fu di capitare nelle mani di tale che la ridusse in versi, tolse e aggiunse a suo arbitrio; e dopo il fiasco della ribalta fece appello anche ai lettori e la pubblicò per ben due volte, (Oeuvres [p. 307 modifica] de M*** Londres 1761; Théâtre d’un inconnu. A Paris, 1765). Secondo il Barbier e il Querard quest’inconnu fu Charles Sablier (1693-1786). Al rifacimento segue nelle due stampe una traduzione letterale del lavoro, perchè si potesse farsi un concetto esatto del rifacimento (Dedica). Ma, già dopo la recita, salvo per l’apprezzamento benevolo del Fréron (Année littéraire, 1761, vol. II, p. 97 segg.), la critica non l’aveva lasciato in forse sul merito del lavoro compiuto (Journal encyclopédique, 1759, luglio, p. 135 e segg.) nè sulla sua opportunità. Coglie anzi occasione la Correspondance del Grimm (Ediz. Tourneux, vol. IV, p. 113 [1 giugno 1759]) a sconsigliare dall’imitazione di commedie italiane ch’altro non sono che «un canevas sur lequel on brode différents scènes de farce». Una traduzione spagnola, pure in versi, possiede il Museo Britannico (sub 1342, f. 1, [9]). Se ne conoscono ancora tre portoghesi, delle quali una sola sicuramente a stampa (A serva amorosa, Lisboa, 1771). D’un’altra non offre che il titolo (Criada agradecida e a madrasta endiabrada) il Braga (Hist. do theatro portuguez. A baixa comedia e a opera. Seculo XVIII. Porto, 1871, p. 395). La terza si conseva ms. (Catal. dos manuscriptos da Bibliotheca publica Eborense. Lisb., 1868, 2 vol. p. 139, n. 5). In Germania tre anni innanzi a quella del Saal (1767, vol. VI) si stampò una traduzione anonima (The gutherzige Kammermagd Wien, 1764), che, come il frontespizio avverte, fu anche eseguita al Teatro di Vienna. Si ristampò due anni dopo.

Intorno a Francesco Albergati (1728-1804, n. e m. a Bologna) oltre alla bella monografia di E. Masi (La vita i tempi gli amici di F. A. commediografo del sec. XVIII. Bologna, 1888), si leggano le curiose pagine che gli dedica Antonio Longo nelle sue Memorie (Venezia, 1820) e un articolo anche bibliograficamente notevole dell’Album di Roma (1 maggio 1841, pagine 67-69). Fu l’Albergati commediografo, attore, e per l’impegno onde offeriva la sua protezione, cercava gli omaggi di grandi e piccini come per i copiosi suoi carteggi, sembrò quasi un piccolo Voltaire bolognese. Scrittore teatrale l’arte sua «può dirsi resti tutta dentro la cerchia goldoniana» (Mazzoni, L’ottocento. Milano, p. 1 46). Ma più che alla modesta opera d’imitatore egli deve la vitalità del suo nome alle sue relazioni epistolari col Voltaire, come la simpatia che l’accompagna alla buona e sincera amicizia onde l’onorò Carlo Goldoni. A questa restano testimonianza, preziosa oltre ogni altra, circa quaranta lettere del Veneziano a lui (dal 26 luglio 1760 al 9 ottobre 1788), che formano così circa la quinta parte dello scarso Epistolario. I rapporti loro datano con ogni probabilità dalla primavera del 1752 (Masi, op. cit. p. 117). Emanazione diretta di tali rapporti possono dirsi quelli tra il Goldoni e il Voltaire. Questi il 24 settembre 1760 scriveva al primo: «La vostra amicizia mi onora, mi incanta. Ne sono obbligato al sig. Senator Albergati» (Masi, op. cit., p. 131). Oltre la dedica della S. a. il Goldoni gl’intitolò tutto il X volume dell’ediz. Pitteri contenente: Il cavaliere di spirito, L’apatista, La donna bizzarra e L’osteria della posta, lavori scritti per il suo teatro, ai quali si può aggiungere L’avaro, composto sì per altri filodrammatici bolognesi, ma sempre per far piacere all’Albergati (Cfr. Ediz. Pasquali, voi. IV, p. 238; ed. Pitteri, voi. X, p. 5). E questi dedicò al suo grande amico l’Ifigenia di Racine da lui tradotta (Scelta di alcune eccellenti tragedie francesi tradotte in verso sciolto italiano. Liegi [Modena], 1764, vol. 2.), ma con tale sfoggio di retorica [p. 308 modifica] che il dedicatario ne fu seccato (Vedi lett. del G. del 3 ott. 1763. Racc. Masi, p. 226). Anche L’amor finto e l’amor vero doveva esser intitolato al Goldoni; però la lettera di dedica restò, salvo errore, manoscritta, e si conserva nell’Archivio, di Stato modenese, donde per noi volle trarne copia il benemerito Spinelli. È dettata in francese, nè lascia poco a desiderare dal lato della forma. Vi si parla prima dell’invidiabile posizione fattasi dal G. in Francia, atta a destar l’invidia e la rabbia de’suoi avversari: poi l’a. della commedia chiede che cosa ne pensi il dedicatario: «Dans vos momens de loisir moins doux certainment que ceux de votre brillant emploi, donnez un regard d’ami au petit amas de scènes que je vous envoie, et notez-en les défauts. Est-ce une Comédie? Est-ce une petite Piece? Est-ce une (sic) insipide Galimathias? Je n’en scaurai rien definir. Il est sur que je vous ai étudié; mais il est sûr que je ne vous ai pas appris. Ce serait trop que d’aspirer au titre de de votre digne éscolier». Che cosa fosse in verità la sua prima commedia glielo disse la severa e lucida critica del Goldoni (Lett. 8 ott. 1765; Race. Masi, p. 286 sgg.), che tolse all’Albergati la voglia di dedicargliela, se non quella di stamparla.

Doti non ordinarie di diplomatico dovette possedere quest’Alb. s’egli, amico al Goldoni, potè mantener buoni rapporti pur col Baretti (Masi, op. cit., p. 156 e segg.) e col Gozzi. Con questi bensì il pericolo d’aperta rottura vi fu quando il senator bolognese, dedicatagli la sua favola teatrale Il sofà, in una breve prefazione a questo infelice componimento disapprovò apertamente il genere, del quale s’era fatto imitatore. Gli rispose per le rime e arguto il conte veneziano, ma questa sua risposta serbò a postumi editori (F. Galanti. Uno scritto inedito di C. Gozzi. Atti d. R. Ist. Ven. Tomo LXVI [1906-07] pagine 169 segg.), limitandosi a narrare al pubblico, lui vivo, con sensi amari sì, ma con insolita urbanità, il voltafaccia dell’Alb. (nell’ultimo volume delle sue Opere edite ed inedite (Venezia, 1802, voi. XIV, pp. 78-80).

Anton Maria Borga, del quale piacque al Nostro pubblicare in appendice alla Premessa una lettera e alcuni versi, nacque in Rasa delle Centovalli (territorio di Locarno) nel 1722 e morì nel 1768. Fu uno de’ mille poeti arcadi del Settecento e menò vita assai agitata. Son note le feroci polemiche letterarie corse tra lui e il Baretti, nelle quali Aristarco trasmodò al solito, nè potè provare le gravi accuse scagliate dalla sua penna (A. G. Spinelli. Di A. M. B. Bollett. stor. d. Svizz. ital. Bellinzona, Anno X. 1888, n. 1-2 [Articolo non continuato]; L. Piccioni, Studi e ricerche intorno a Gius. Baretti ecc., Livorno, 1899, pp. 284-286; G. B. Marchesi, Romanzieri e romanzi italiani del 700, Bergamo, 1903, p. 107). Da p. XLIX a p. LIV d’un suo poemetto [Amore schernito] per la professione di Antonia Milesi (Venezia, Fenzo, 1761) si legge un capitolo del Goldoni (V. Giornale d. erud. e d. cur., 1883, 1 dic., p. 53), ristampato poi nel sec. vol. dei Comp. div. (pp. 53 segg.). Quanto scrive il Borga nella sua lettera (Premessa), lo prova conoscitore bene imperfetto, di che del resto sembra convenire egli stesso, del teatro goldoniano. Non aveva letto dunque il Borga la Bancarotta, l’Uomo prudente, il Padre di famiglia e questa Serva amorosa, dove si trova proprio la matrigna da lui pensata, pessima moglie e pessima madre ai figlioli non suoi? Solo nel Poeta fanatico il Nostro fece grazia al personaggio della malvagità tradizionale. Ma [p. 309 modifica] bene osserva il Neri che il G. «meglio avveduto del Borga, non fece protagonista della commedia, quella che la è moralmente, ma che avendo un carattere disonesto e malvagio, non doveva spiccare sopra gli altri; mentre riceve risalto dal contrasto della protagonista comica» (Aneddoti ecc., p. 81).

Per i versi citati da Lelio (Atto 2° sc. 4*) avverte R. Guastalla (Antol. cit., p. 51) che si leggono, non accoppiati così e non proprio identici, nella canzone petrarchesca «Mai non vo più cantar com’io soleva» (versi 17 e 21). Fedelmente riprodotto è il secondo, mentre dell’altro (Petr.: E ela di là dal rio passato è il merlo) è reso solo il concetto. Ma si tratta d’un proverbio e di un detto proverbiale. Forse il Goldoni li sentì o li trovò citati altrove.

E. M.


Questa commedia fu stampata la prima volta nel t. I dell’ed. Paperini di Firenze, sulla metà del 1753; e fu l’anno stesso ristampata a Bologna (Corciolani, IV) e a Pesaro (Gavelli, I), e nel ’56 a Torino (Fantino e Olzati, II). Corretta ricomparve nel t. III dell’ed. Pasquali di Venezia, nel 1762. Uscì ancora a Venezia (Savioli, XII, ’71 e Zatta, cl. 2. a, XI, ’91), a Torino (Guibert e Orgeas, III, ’72) a Lucca (Bonsignori, III, ’88), a Livorno (Masi, VIII, ’89) e altrove nel Settecento. - La presente ristampa ebbe a modello l’edizione del Pasquali, curata dall’autore, ma reca in nota a piè di pagina le varianti delle edizioni precedenti. Le note segnate con lettera alfabetica appartengono al commediografo.