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284 ATTO TERZO


sono stanca di farlo; voglio maritarmi, signor padrone, voglio goder il mondo, voglio stare allegra, non voglio pensar a’ guai. Voglio far come fate voi. Allegramente, allegramente.

Ottavio. Voi mi dite delle gran cose di questo mio figliuolo.

Corallina. Oh bella! Procuro divertirvi, e voi badate a rattristarvi. Io non ne ho colpa. Parliamo di cose allegre.

Ottavio. Non so che cosa sia questa smania che mi sento di dentro. Le vostre parole mi hanno rattristato.

Corallina. Eh signor padrone, non sono state le mie parole, che vi hanno sconcertato.

Ottavio. Ma che dunque?

Corallina. La vostra coscienza.

Ottavio. Che male ho fatto io? In che ho mancato?

Corallina. Vi par poco eh, aver rovinato un figlio per secondare l’avarizia della matrigna? Non sapete che l’innocenza oppressa del povero signor Florindo grida vendetta al cielo contro lei, contro voi? Se egli si getterà per disperazione alla vita trista, chi sarà causa del suo precipizio? Chi sarà colpevole de’ suoi vizi? Chi meriterà la pena delle sue colpe? Voi, signor padrone, voi. E dopo essere vissuto per tanti anni uomo onorato, uomo savio e dabbene, per causa di vostra moglie morirete pieno di rimorsi, pieno di rossore e di pentimento. Ma non voglio più affliggervi; parliamo di cose allegre.

Ottavio. Eh! ora non cerco allegria. Cara Corallina, sento una spina al cuore. Son vecchio, son vicino alla morte. Oimè! Tremo. Illuminatemi per carità.

Corallina. Conoscete voi la signora Beatrice?

Ottavio. La conosco.

Corallina. Quanto vale, che non la conoscete?

Ottavio. È mia moglie, la conosco.

Corallina. Quant’è che è vostra moglie?

Ottavio. Non lo sai? Un anno.

Corallina. A conoscere una donna non bastano dieci anni. Voi non la conoscete.

Ottavio. Ma perchè?