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276 | ATTO TERZO |
anche, che qualche volta gli vengano delle tenerezze per il suo figliuolo. E per questo fo bene a non fidarmi, fo bene a sollecitare la sua disposizione. È vero che il testamento lo potrebbe disfare, ma sino che vivo io, sarà difficile. Non gli lascierò campo di farlo. Eccolo; convien divertirlo.
SCENA II.
Ottavio e detta.
Ottavio. Che mi comanda la signora Beatrice?
Beatrice. Venite qui, il mio caro consorte. Che cosa mai avete, che passeggiate così da voi solo?
Ottavio. Ho un flato che mi tormenta. Il moto mi fa bene.
Beatrice. Via, avete passeggiato abbastanza: sedete.
Ottavio. Sì signora; me lo dite voi, lo farò volentieri.
Beatrice. Eh!1 io penso sempre alla vostra salute, al vostro comodo, al vostro piacere.
Ottavio. Che siate benedetta! L’ora si va avanzando. Può essere che il notaio non venga altrimenti.
Beatrice. Oh, non istate ora a pensare al notaio. Se verrà, verrà; se non verrà, buon viaggio. Se non si farà stassera, si farà un’altra volta: non ci sono queste premure.
Ottavio. È vero, così diceva anch’io.
Beatrice. Che cosa volete questa sera da cena?
Ottavio. Un poco di zuppa; e se vi pare, due polpettine.
Beatrice. Vi ho preparato una buona cosa.
Ottavio. Davvero!
Beatrice. Fatta colle mie mani.
Ottavio. Eh via!
Beatrice. Una torta d’erbe col latte.
Ottavio. Oh buona! L’avete fatta voi?
Beatrice. Io.
Ottavio. Oh, sarà pur buona!
- ↑ Così l’ediz. Zatta; Pap., Pasq. ecc. hanno: ed.