La libertà (Mill)/Capitolo III

III. L'individualità come elemento di benessere

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John Stuart Mill - La libertà (1859)
Traduzione dall'inglese di Arnaldo Agnelli (1911)
III. L'individualità come elemento di benessere
Capitolo II Capitolo IV

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CAPITOLO TERZO




L’INDIVIDUALITÀ

COME ELEMENTO DI BENESSERE.

Abbiamo vedute le ragioni che rendono assolutamente necessaria agli uomini la libertà di formarsi delle opinioni e di esprimerle senza tacite riserve; abbiamo pure veduto che, se questa libertà non è riconosciuta o mantenuta a dispetto della proibizione, le conseguenze per l’intelligenza e la natura morale dell’uomo sono funeste: — ricerchiamo ora se le stesse ragioni non richiedano che gli uomini siano liberi di contenersi nella vita secondo le loro opinioni senza esserne impediti dai propri simili, finchè, s’intende, essi agiscono a loro rischio e pericolo. Questa ultima condizione è naturalmente indispensabile. Nessuno sostiene che le azioni debbano essere così libere come le opinioni; al contrario, le opinioni stesse perdono la loro immunità, quando le si esprimono in circostanze tali, che la loro espressione è un’instigazione positiva a qualche atto dannoso. L’idea che i mercanti di grano fanno morire di fame i poveri o che la proprietà privata è un furto, non deve essere perseguitata finchè si limita a circolare nella stampa; ma essa può incorrere in una giusta punizione se la si esprima oralmente, in mezzo ad un’assemblea di violenti, agglomerati davanti alla porta di un mercante di grano, o se la si diffonde sottoforma di avviso. Certe azioni, non importa di qual genere, che senza causa giustificabile danneggiano altrui, possono e, nei casi più importanti, devono assolutamente essere seguite dalla disapprovazione e, quando ve ne sia bisogno, dall’intervento attivo del genere umano. La libertà dell’individuo dev’esser limitata: egli non deve rendersi dannoso agli altri; ma s’egli non ferisce gli altri in ciò che li riguarda, e si contenta di agire secondo la sua inclinazione e il suo giudizio nelle cose che riguardano lui stesso solamente, le stesse ragioni le quali stabiliscono che l’opinione dev’esser libera provano pure che il mettere, a proprio [p. 58 modifica]repentaglio, in pratica le proprie opinioni deve essere perfettamente lecito.

La specie umana non è infallibile; le sue verità non sono, per la maggior parte, se non delle mezze verità; l’unanimità delle opinioni non è desiderabile, a meno ch’essa non risulti dal confronto più libero e completo delle opinioni contrarie; la diversità di opinioni non è un male ma un bene, finchè l’umanità non sarà molto più atta che oggi non sia a riconoscere tutti i lati diversi del vero: — ecco dei principi che si possono applicare così alle opinioni degli uomini come alla loro maniera d’agire. Poichè è utile, finchè il genere umano è imperfetto, che vi siano diverse opinioni, è buono nello stesso modo che si provino delle differenti maniere di vivere; è vantaggioso concedere un libero slancio ai diversi caratteri, impedendo tuttavia loro di essere gli uni agli altri dannosi; e ciascuno deve potere, quando lo giudichi conveniente, tentar la prova dei diversi generi di vita. Là dove la norma della condotta è dettata non dal carattere di ciascuno, ma dalle tradizioni o dai costumi degli altri, ivi manca completamente uno degli elementi principali del benessere umano e l’elemento più essenziale del progresso individuale e sociale.

Qui la più gran difficoltà non consiste nel valutare i mezzi che conducono ad uno scopo riconosciuto, ma nell’indifferenza della generalità a proposito dello scopo stesso.

Se si considerasse il libero sviluppo dell’individualità come uno dei principi essenziali del benessere, se lo si tenesse non in conto di un elemento che si coordina con tutto quanto vien designato dalle parole d’incivilimento, di istruzione, di educazione, di coltura, ma bensì in conto di una parte necessaria e d’una condizione perchè tutte queste cose si ottengano, non vi sarebbe pericolo che la libertà non fosse stimata al suo giusto valore; non si troverebbero delle difficoltà enormi a tracciare la linea di demarcazione tra essa e la sorveglianza sociale. Ma, pur troppo, alla spontaneità individuale si riconosce soltanto, ed a fatica, qualche poco di valore intrinseco.

Dappoichè la maggioranza è soddisfatta dei costumi attuali dell’umanità (i quali infatti sono opera sua) essa non può comprendere perchè questi costumi non debbano bastare a tutti quanti. Vi è anche di peggio: la spontaneità non entra nell’ideale della maggioranza dei riformatori morali e sociali; essi la considerano piuttosto con gelosia, come un ostacolo nojoso e forse insuperabile all’accettazione generale di quello che, secondo il giudizio di questi riformatori, sarebbe il miglior partito per l’umanità. Poche persone, fuori di Germania, comprendono il significato di quella dottrina sulla quale Guglielmo Humboldt, uomo così notevole e come erudito e come politico, ha scritto un [p. 59 modifica]trattato: la dottrina per cui «il fine dell’uomo, non quale lo suggeriscono vaghi e fugaci desideri, ma quale lo prescrivono gli eterni ed immutabili decreti della ragione, è lo sviluppo più vasto ed armonico di tutte le sue facoltà in un complesso sodo e completo e quindi lo scopo a cui deve tendere incessantemente ogni essere umano, e in particolare quelli che vogliono influire sui loro simili, è l’individualità nel potere e nello sviluppo.» A questo due cose sono necessarie: «La libertà e una varietà di condizioni». La loro unione produce il vigore individuale e la diversità multipla che si fondono nella originalità»1.

Tuttavia, per nuova e sorprendente che possa sembrare questa dottrina humboldtiana, che dà tanto valore all’individualità, la questione non è dopo tutto ci si pensi bene che una questione di più o di meno. Nessuno suppone che la perfezione della natura umana sia di copiarsi esattamente gli uni gli altri; nessuno afferma che il giudizio o il carattere particolare di un uomo non debba entrar per nulla nella sua maniera di vivere e di curare i suoi interessi. E d’altra parte sarebbe assurdo pretendere che gli uomini dovessero vivere come se nulla fosse stato al mondo prima della loro venuta, come se l’esperienza non avesse ancora in nessun caso mostrato che un certo modo di comportarsi è preferibile a un certo altro; nessuno contesta che si debba elevare ed istruire la gioventù in modo da farla approfittare dei risultati ottenuti dall’umana esperienza. Ma è privilegio e condizione propria di un essere umano arrivato alla piena maturanza delle sue facoltà il servirsi dell’esperienza e l’interpretarla a suo modo; tocca a lui scoprire che cosa vi sia, nell’esperienza accumulata, di applicabile alla sua condizione e al suo carattere. Le tradizioni e i costumi degli altri individui sono, fino a un certo segno, delle testimonianze di ciò che l’esperienza ha loro appreso, e questa testimonianza, questa presunzione deve essere accolta con rispetto dall’adulto che noi abbiamo supposto: ma, anzitutto, l’esperienza degli altri può essere troppo limitata, o essi possono averla interpretata male; l’avessero poi anche rettamente interpretata, la loro interpretazione può benissimo non esser conveniente ad un individuo in particolare.

I costumi sono fatti pei caratteri e per le condizioni usuali; e il suo carattere, la sua condizione posson bene non esser fra queste. E quand’anche i costumi fossero buoni in sè stessi, e potessero convenire a questo individuo, un uomo che si adatta al costume semplicemente perchè è il [p. 60 modifica]costume non mantiene nè sviluppa in sè alcuna di quelle qualità che sono l’attributo caratteristico di un essere umano. Le facoltà umane di percezione, di giudizio, di discernimento, di attività intellettuale ed anche di preferenza morale, si esercitano soltanto col fare una scelta; chi agisce sempre in modo da seguire il costume non fa scelta di sorta, e non impara a discernere o a desiderare il meglio. La forza intellettuale e la forza morale, precisamente come la forza muscolare, non fanno dei progressi se non in quanto sono esercitate; e non si esercitano le proprie facoltà facendo una cosa semplicemente perchè la fanno gli altri, più di quello che le si esercitino credendo una cosa unicamente perchè la credono gli altri. Se alcuno adotta un’opinione senza che i principi di questa opinione gli siano sembrati concludenti, la sua ragione non ne sarà punto rafforzata, ma piuttosto indebolita; e se esso commette un’azione i cui motivi determinanti non sono conformi alle sue opinioni o al suo carattere (sempre dove non si tratti di affetti nè di diritti altrui) esso riuscirà solamente a snervare il suo carattere e le sue opinioni, che dovrebbero essere attivi ed energici.

L’uomo il quale permette che il mondo, o almeno il suo mondo, scelga anche per suo conto personale il modo di vivere non ha da invidiare alle scimie se non la facoltà d’imitazione: l’uomo che sceglie egli stesso la sua maniera di vivere fa uso di tutte le sue facoltà. Egli deve usare l’osservazione per vedere, il ragionamento e il giudizio per prevedere, l’attività per raccogliere i materiali necessari alla decisione, il discernimento per decidere; e, quando abbia deciso, la fermezza e la padronanza di sè stesso per attenersi alla deliberazione presa; e quanto è maggiore la parte della sua condotta ch’egli governa secondo il suo giudizio e i suoi sentimenti, tanto più necessarie gli sono queste diverse qualità.

Egli può, all’occorrenza, esser guidato sul retto cammino e salvato da qualunque influenza dannosa senza nulla di tutto ciò: ma quale sarà il valore comparativo di lui come essere umano? Quello che è veramente importante non è solo ciò che gli uomini fanno, ma altresi ciò che sono. Fra le opere dell’uomo, cui la vita è legittimamente chiamata a perfezionare e ad abbellire, la più importante è senza dubbio l’uomo stesso. Supponendo che fosse possibile fabbricar delle case, far crescere del grano, dare delle battaglie, giudicare delle cause, ed anche erigere delle chiese e pronunciar delle preghiere, meccanicamente, per mezzo di automi di forma umana, si perderebbe molto ad accettare questi automi in cambio degli uomini e delle donne che popolano oggidì le parti più civili del globo, benchè essi siano, fuor d’ogni dubbio, degli esempi ben miseri di ciò che la natura [p. 61 modifica]può produrre e produrrà un giorno. La natura umana non è una macchina che si possa costruire secondo un modello per fare esattamente un’opera designata, ma bensì è un albero che vuol crescere e svilupparsi da tutti i lati seguendo la tendenza delle forze intime che fanno di lui qualcosa di vivente.

Si riconoscerà senza dubbio che e desiderabile per gli uomini ch’essi coltivino la loro intelligenza, e che val meglio seguire coscientemente il costume od anche, all’occasione, coscientemente staccarsene, che non conformarvisi ciecamente e macchinalmente. Si ammette fino ad un certo punto che la nostra intelligenza ci deve appartenere; ma non si ammette altrettanto facilmente che deve accadere lo stesso dei nostri impulsi e dei nostri desideri; si considera quasi come una pericolosa insidia l’avere degli impulsi energici tuttavia i desideri e gl’impulsi fanno parte altrettanto integrante di un essere umano nella sua perfezione, quanto le credenze e le astinenze. Forti eccitamenti non sono pericolosi se non quando non sono equilibrati; quando cioè un complesso di vedute e di tendenze si è energicamente sviluppato mentre altre vedute ed altre tendenze, che dovrebbero farsi sentire a lato delle prime, restano deboli ed inattive. E gli uomini non agiscono già male perchè i loro desideri sono ardenti, ma perchè sono deboli le loro coscienze: anzi non vi è una relazione naturale tra eccitamenti energici e debole coscienza: la relazione naturale è in senso opposto. Dire che i desideri e i sentimenti di una persona sono più vivi e numerosi di quelli d’un’altra è dire semplicemente che la dose di materia bruta della natura umana è, in quella persona, più abbondante; per conseguenza, essa è capace forse di far più male, ma senza dubbio di far più bene. Insomma, gli impulsi potenti rappresentano, sott’altro nome, dell’energia; ecco tutto. L’energia può essere mal impiegata: ma una natura energica può far bene maggiore di una natura indolente ed apatica. Quelli che hanno maggior quantità di sentimenti naturali sono anche quelli in cui i sentimenti, per così dire, artificiali si possono meglio sviluppare. L’ardente sensibilità che rende gl’impulsi personali vivi e potenti è pure la sorgente da cui derivano l’amore più appassionato della virtù, la più rigorosa padronanza di sè; è coltivando questa sensibilità che la società fa il suo dovere e tutela i suoi interessi; non rifiutando la stoffa con cui si fanno gli eroi, giacché essa non è capace di crearli. Si dice di una persona ch’essa ha del carattere, quando i suoi desideri e i suoi impulsi appartengono in tutto a lei sola e sono l’espressione della sua propria natura, così come l’ha sviluppata e modificata la coltura sua propria; un essere che non ha, per proprio conto, desideri nè impulsi, non possiede più carattere di [p. 62 modifica]una macchina a vapore. Se un uomo ha degl’impulsi non solo suoi propri, ma forti e posti sotto il controllo di una potente volontà, esso ha un carattere energico. Chiunque pensi che non si debba incoraggiare la manifestazione e lo sviluppo dell’individualità nei desideri e negl’impulsi, deve sostenere altresì che la società non ha bisogno di nature forti, che essa non trae vantaggio alcuno dal racchiudere un gran numero di uomini di carattere, e che infine non è desiderabile di vedere la media degli uomini possedere molta energia.

Nelle società nascenti, queste forze sono forse senza proporzione col potere che la società possiede di disciplinarle e di sorvegliarle: vi fu un tempo in cui l’elemento di spontaneità e d’individualità dominava in modo eccessivo, e in cui il principio sociale doveva con esso sostenere delle fiere battaglie.

La difficoltà allora era condurre degli uomini potenti di corpo o di spirito a subire delle regole che pretendevano controllare i loro impulsi. Per vincere questa difficoltà, la legge e la disciplina (per esempio, i papi in lotta cogl’imperatori) proclamarono il loro potere su tutto quanto l’uomo, rivendicando il diritto di sorvegliarne tutta íntera la vita, allo scopo di poterne sorvegliare il carattere, per frenare il quale la società non sapeva trovare altro mezzo. Ma la società oggi ha piena ragione dell’individualità, e il pericolo che minaccia la natura umana non è più l’eccesso, bensi il difetto di impulsi e di gusti personali. Le cose sono ben mutate dal tempo in cui le passioni degli uomini potenti per la loro condizione o per le loro qualità personali erano in uno stato di abituale ribellione contro le leggi e le ordinanze, e dovevano essere rigorosamente vincolate, affinchè tutto quanto li circondava potesse godere di una certa sicurezza; nell’epoca nostra, ogni uomo, dal più elevato al più basso sulla scala sociale, vive sotto lo sguardo di una censura ostile e temuta. Non soltanto per quel che riguarda gli altri, ma anche per quel che tocca loro stessi esclusivamente, l’individuo o la famiglia non si domandano già: «Che cosa preferisco io? Che cosa si attaglierebbe all’indole mia e alle mie attitudini? Che cosa darebbe buon giuoco e le massime probabilità di svolgersi alle nostre più elevate facoltà?» — ma si domandano bensi: «Che cosa conviene alla mia condizione, e che cosa fanno di solito le persone del mio stato e della mia fortuna, o (peggio ancora) che cosa fanno di solito le persone d’uno stato sociale e d’una fortuna al di sopra della mia?» Io non pretendo dire ch’essi preferiscano ciò che il costume prescrive a ciò che loro piace: non vien neppur loro in mente ch’essi possano aver un capriccio per qualcosa che il costume non permetta. Così anche lo spirito è curvato [p. 63 modifica]sotto il giogo; anche in quello che gli uomini fanno per loro svago, la uniformità è il loro primo pensiero; essi amano in massa, non fanno scelte se non in generale; evitano come un delitto qualunque singolarità di gusto, quantunque, a forza di non seguire la loro natura, essi non abbiano ormai più natura; le loro capacità umane sono inaridite e ridotte a nulla; essi divengono incapaci di provare alcun desiderio vivo, alcun piacere naturale; e non hanno, in generale, nè opinioni ne sentimenti da essi elaborati, ad essi appartenenti. E tutto questo può dunque esser ritenuto una sana condizione delle cose umane?

Sì, seguendo la teoria calvinista. Secondo questa teoria, la colpa capitale dell’uomo è di avere una volontà indipendente; tutto il bene di cui l’umanità è capace è compreso nell’obbedienza. Voi non avete una scelta da fare; dovete agire così e non altrimenti; e tutto quanto non è dovere è peccato. Dappoichè la natura umana è completamente corrotta, non vi è redenzione per alcuno, finch’esso non abbia ucciso in sè la natura umana. Per chi sostiene una simile teoria, non è un male l’annullare tutte le facoltà, le capacità, le sensibilità umane; l’uomo non ha bisogno d’altra capacità fuorché quella di abbandonarsi alla volontà di Dio, e s’egli si serve delle sue facoltà altrimenti che per eseguire in un modo più efficace i decreti di questa supposta volontà sarebbe meglio per lui che non le possedesse. Ecco la teoria del calvinismo; molte persone che non si considerano come calviniste la professano sotto un’altra forma più moderata; il temperamento consiste nel dare una interpretazione meno ascetica alla volontà supposta dell’Altissimo. Si afferma ch’egli vuole che gli uomini soddisfacciano a qualcuno dei loro gusti; non già, certamente, nel modo ch’essi preferirebbero, ma in una maniera obbediente, che è quanto dire nella maniera prescritta dall’autorità, la qual maniera è necessariamente la stessa per tutti.

Sotto una tal forma insidiosa, vi è ora una forte tendenza verso questa angusta teoria della vita e verso questo tipo, ch’essa predica, di carattere umano ristretto ed inflessibile.

Senza dubbio alcuno, molte persone credono sinceramente che gli uomini così torturati e ridotti alla statura di nani, siano quali il loro creatore li ha voluti; proprio come molta gente ha creduto che gli alberi siano molto più belli tagliati a palla o in forme di animali che lasciati nel loro stato naturale. Ma, se fa parte della religione il credere che l’uomo sia stato creato da un essere buono, è in armonia con questa tendenza pensare che questo essere abbia dato le facoltà umane perch’esse siano coltivate e sviluppate, e non perchè le si sradichino o le si distruggano. È ragionevole d’imaginare ch’egli goda, tutte le volte che le sue creature [p. 64 modifica]fanno un passo verso l’ideale di cui esse portano in sè la concezione, tutte le volte ch’esse aumentano una delle loro facoltà di comprensione, di azione o di godimento. Ecco un tipo di perfezione umana ben diverso dal tipo calvinista: qui si suppone che l’umanità non riceva la sua natura per farne tantosto sacrificio. La liberazione di sè stesso dei pagani è uno degli elementi del merito umano, così come l’oblio di sè stesso dei cristiani2; vi è un ideale greco di sviluppo di sè stesso, a cui si accompagna, senza soppiantarlo, l’ideale platonico e cristiano d’impero su sè stesso. Può sembrar preferibile essere Giovanni Knox ad Alcibiade; ma vale ancora meglio essere Pericle, che l’uno o l’altro; e un Pericle, s’esistesse oggidì, non sarebbe privo di qualcuna delle buone qualità che appartenevano a Giovanni Knox.

Non è già indirizzando all’uniformità tutto ciò che in essi c’è d’individuale, ma coltivandolo e sviluppandolo nei limiti imposti dai diritti e dagli interessi altrui che gli esseri umani divengono un bello e nobile oggetto di ammirazione; e, come l’opera si foggia secondo il carattere di quelli che la compiono, così, per lo stesso processo, la vita umana diviene essa pure ricca e svariata. Essa produce e conserva con maggiore abbondanza i pensieri elevati, i sentimenti che inalzano; rafforza il legame che congiunge gli individui alla razza, dando alla razza stessa maggior valore. In ragione dello sviluppo della sua individualità, ogni persona assume maggior pregio agli occhi suoi propri, e per conseguenza è capace di assumerne uno maggiore agli occhi degli altri: vi è una più grande pienezza di vita in tutta la sua esistenza; e quando c’è maggior vita nell’unità, c’è maggior vita anche nella massa, che è fatta di unità.

Non si può trascurare la costrizione necessaria per impedire agli esemplari più energici della natura umana di invadere il campo dei diritti degli altri; ma a questo c’è un ampio compenso, anche dal punto di vista dello sviluppo umano. I mezzi di sviluppo che l’individuo perde, se gli s’impedisce di soddisfare alle sue tendenze in modo agli altri dannoso, non si otterrebbero che a spese degli altri uomini; ed egli stesso vi trova un compenso, perche la coazione imposta al suo egoismo facilita lo sviluppo più elevato della parte sociale della sua natura.

L’essere sottomessi pel bene degli altri alle strette norme della giustizia sviluppa i sentimenti e le facoltà che pel bene degli altri si esercitano; ma l’essere costretti nelle cose che non toccano punto il bene degli altri, pel loro semplice dispiacere, non isviluppa altro di buono se non la forza di [p. 65 modifica]carattere che si può, forse, spiegare resistendo alla costrizione. Se ci si sottomette, questa costrizione indebolisce ed appesantisce tutta la nostra natura. Per dar buon giuoco alla natura di ciascuno bisogna che diverse persone possano seguire un diverso tenor di vita; i secoli che hanno avuto in maggior quantità questa larghezza sono quelli che più si raccomandano all’attenzione dei posteri; il dispotismo stesso non produce i suoi peggiori effetti finchè la individualità resiste sotto questo regime, e tutto ciò che distrugge la individualità è dispotismo, qualunque sia il nome che gli si possa dare, pretenda esso poi d’imporre la volontà di Dio o i comandi degli uomini.

Avendo detto che individualità è sinonimo di sviluppo, e che solamente la coltura dell’individualità produce o può produrre degli esseri umani bene sviluppati, io potrei qui chiudere l’argomento. In favore d’una data condizione delle cose umane che cosa si potrebbe dire meglio di questo: che essa conduce gli uomini il più vicino possibile al loro tipo ideale? E di un ostacolo al bene che cosa si potrebbe dire di peggio, se non ch’esso impedisce un tale progresso? Tuttavia, senza dubbio alcuno, queste considerazioni non basteranno a convincere quelli che hanno maggior bisogno di essere convinti.

Ed è necessario inoltre di provare che questi esseri umani sviluppati sono utili agli esseri non sviluppati; è necessario di mostrare a quelli che non desiderano la libertà e che non se ne vorrebbero servire, che, se permettono ad altri di farne uso senza ostacolo, possono esserne in qualche modo apprezzabile ricompensati.

E prima di tutto, non potrebbero essi imparar qualche cosa da questi individui lasciati liberi? Nessuno vorrà negare che l’originalità sia un elemento prezioso nelle cose umane: vi è sempre bisogno di gente, non soltanto per iscoprire verità nuove, non soltanto per indicare il momento in cui quello che fu in altri tempi una verità cessa di esserlo; ma anche per farsi iniziatori di nuove pratiche, per dar l’esempio d’una condotta più illuminata, di maggior buon gusto e di maggior buon senso nelle cose umane. Questo non può esser negato da chiunque non creda che il mondo abbia raggiunto la perfezione in tutte le sue abitudini e in tutti i suoi costumi.

È vero che un tal servigio non può esser reso da tutti quanti senza distinzione: non vi sono che poche persone, in confronto di tutto il genere umano, le esperienze delle quali, se generalmente adottate, segnerebbero un progresso sul costume stabilito. Ma queste poche persone sono il sale della terra; senza di esse la vita umana diverrebbe un mare stagnante; e non soltanto introducono un bene ignoto, ma conservano alla vita quello che essa già possedeva. [p. 66 modifica]

Se anche non ci fosse nulla di nuovo da fare, forse che la intelligenza umana cesserebbe di essere necessaria? Sarebbe questa una ragione perchè coloro che seguono una antica tradizione dimentichino perchè la seguano, agiscano come bruti e non come esseri umani? Le migliori credenze e le pratiche migliori hanno una eccessiva tendenza a degenerare in qualcosa di macchinale; ed a meno che non vi sia una serie di persone la cui originalità infaticabile conservi la vita in queste credenze e in queste pratiche, un automatismo così morto non resisterebbe punto all’urto più leggiero di qualcosa di realmente vivente; non vi sarebbe ragione allora perchè la civiltà non isparisse, come nell’impero d’Oriente. In verità gli uomini d’ingegno sono e saranno sempre, probabilmente, una impercettibile minoranza; ma per averne, bisogna conservare il suolo sul quale possono fiorire. E l’ingegno non respira liberamente che in un’atmosfera di libertà; gli uomini d’ingegno sono ex vi termini più individuali degli altri, meno capaci, per conseguenza, di modellarsi, senza una dannosa compressione, in alcuno di quegli stampi poco numerosi che la società prepara per risparmiare a’ suoi membri la fatica di formarsi un carattere.

Se per timidità gli uomini d’ingegno consentono a sopportare uno di questi modelli e a permettere che non si espanda quella parte di loro stessi che non si può dilatare sotto una tale pressione, la società non potrà approfittare del loro ingegno; ma se essi sono dotati di una gran forza di carattere e spezzano i loro legami, divengono il punto di mira della società; non essendo riuscita a ridurli alle proporzioni comuni, essa li segna a dito come bizzarri, stravaganti ecc. Press’a poco come se ci si lagnasse di non vedere il Niagara scorrere con la stessa calma di un canale olandese.

Se io insisto con questa enfasi sulla importanza dell’ingegno e sulla necessità di lasciare ch’esso liberamente si sviluppi, come pensiero e come pratica, è perchè, se nessuno nega in teoria la cosa, il mondo in realtà vi è del tutto indifferente. Gli uomini considerano l’ingegno come una bella cosa, se esso rende un individuo capace di scrivere un poema inspirato o di dipingere un bel quadro: ma dell’ingegno nel vero senso della parola, cioè dell’originalità nel pensiero e nelle azioni, sebbene ognuno in teoria ammetta che sia una cosa degna di ammirazione — quasi tutti in fondo del cuore trovano che si potrebbe benissimo fare a meno. Pur troppo questo è un sentimento ben naturale perchè deva suscitar maraviglia. L’originalità è una cosa di cui gli spiriti non originali non possono sentire la utilità; essi non possono scorgere quello che l’originalita saprebbe far per loro: e come lo potrebbero? Se lo [p. 67 modifica]potessero, non si tratterebbe più di originalità. Il primo servigio che la originalità deve rendere a tali spiriti, è di aprir loro gli occhi; è fatto questo, e fattolo bene, essi pure avran qualche speranza di diventare originali. Frattanto, questi poveri di spirito si ricordino che nulla ancora fu fatto senza che qualcuno abbia cominciato, che tutto quanto esiste di bene è frutto dell’originalità; e siano modesti abbastanza per credere ch’essa ha qualcosa ancora da fare, e per convincersi che, quanto meno sentono il bisogno di originalità, tanto più essa è loro necessaria.

La verità è che, per grandi che siano gli omaggi onde si pretenda onorare, o si onori anche, la superiorità intellettuale, vera o supposta, la tendenza generale delle cose nel mondo è di fare della mediocrità la potenza dominante.

Nella storia antica, nel medio evo, e, in un grado minore, durante il lungo passaggio dalla feudalità ai tempi moderni, l’individuo era per sè stesso una potenza, e, s’egli aveva o un ingegno straordinario o una condizione sociale elevata, la potenza era considerevole. Oggi, gl’individui sono perduti nella folla. In politica, è quasi banale il dire che oggi il mondo è governato dalla pubblica opinione; il solo potere che merita davvero nome di potere è quello delle masse o quello dei governi, che si fanno strumenti delle tendenze e degl’istinti delle masse. Questo è così vero per le relazioni morali e sociali della vita privata come per le pubbliche convenzioni. Quello che si chiama opinione pubblica non è sempre l’opinione delle stesse specie di pubblico: in America, il pubblico è tutta la popolazione bianca, in Inghilterra, semplicemente la classe media; ma si tratta sempre di una massa, vale a dire di una mediocrità collettiva.

E — novità ancora più grande — oggi la massa non si forma un’opinione sull’autorità dei dignitari della Chiesa o dello Stato, di qualche capo ostensibile o di qualche libro; la sua opinione è fatta da uomini press’a poco della sua levatura, che, per mezzo dei giornali, si rivolgono ad essa o parlano in suo nome sulla questione del momento.

Io non lamento tutto questo, non affermo che nulla di meglio sia compatibile, come regola generale, coll’umile stato attuale dello spirito umano. Ma questo però non toglie che il governo della mediocrità sia un governo mediocre: mai il governo d’una democrazia o d’un’aristocrazia numerosa è giunto ad elevarsi al di sopra della mediocrità, sia pei suoi atti politici, sia per le opinioni, le qualità, il genere di spirito pubblico a cui esso dà vita, tranne là dove la folla sovrana (come ha fatto sempre nelle sue epoche migliori) si è lasciata guidare dai consigli e dall’influenza d’una minoranza o di un uomo più colto e più riccamente dotato. L’iniziativa di tutte le cose saggie e nobili dee venir [p. 68 modifica]dagl’individui, e prima di tutto, in generale, da qualche individuo isolato.

L’onore e la gloria della media degli uomini è di poter seguire questa iniziativa, d’aver il senso di ciò che è saggio e nobile, e di farvisi guidare ad occhi aperti.

Io non incoraggio con queste parole quella specie di culto dell’eroe, che applaudisce un uomo di genio potente perchè esso s’impadronisce colla forza del governo del mondo, e gl’impone, buono o malgrado suo, i propri voleri. Tutto ciò che un tal uomo può pretendere, è la libertà d’indicare il cammino; quanto al potere di costringere gli altri a seguirlo, non solo esso è incompatibile colla libertà e lo sviluppo del resto dell’umanità, ma corrompe lo stesso uomo di genio. Sembra tuttavia che, quando le opinioni delle masse composte di uomini ordinari, son divenute o divengono dappertutto il poter dominante, contrappeso e correttivo della foro tendenza sarebbe l’individualità sempre più spiccata de’ più eminenti pensatori.

Sopratutto in tali contingenze gl’individui eccezionali dovrebbero essere incoraggiati ad agir diversamente dalla massa, in vece d’esserne impediti. In altri tempi, non c’era vantaggio in questo, a meno che essi non avessero agito non solo diversamente, ma meglio; oggi, il semplice esempio della non uniformità, il semplice rifiuto di mettersi in ginocchio davanti al costume è per sè stesso un fatto benefico.

Appunto perchè la tirannia dell’opinione è tale, ch’essa fa dell’eccentricità un delitto, è desiderabile, per ispezzare questa tirannia, che gli uomini siano eccentrici. L’eccentricità e la forza di carattere camminano sempre di pari passo e la somma di eccentricità che una società contiene è generalmente in ragione diretta della somma d’ingegno, di vigore intellettuale e di coraggio morale ch’essa racchiude. Ciò che davvero ci addita il principal pericolo dell’età nostra è il vedere così pochi uomini osare d’essere eccentrici.

Io ho detto che è importante di dare il più libero sfogo a quello che non è nell’uso, affinchè si possa a tempo opportuno vedere che cosa meriti di passarvi; ma la indipendenza d’azione e lo sdegno del costume non meritano d’essere incoraggiati soltanto come quelli che presentano la probabilità di creare dei modi d’agire migliori e dei costumi più meritevoli d’esser da tutti adottati; non sono più soltanto le persone di una superiorità intellettuale ben evidente che abbiano un giusto diritto a condurre la vita che loro aggrada.

Non v’è ragione perchè tutte le esistenze umane siano costruite su di un unico modello, o su di un piccolo numero di modelli: se una persona possiede una sufficiente quantità di senso comune è d’esperienza, il suo proprio. [p. 69 modifica]modo di condurre l’esistenza è il migliore; non perchè sia il migliore in sè, ma perchè è il suo proprio. Gli esseri umani non sono dei montoni: e gli stessi montoni non si somigliano tutti così da non potersi distinguere l’uno dall’altro; un uomo non può avere un abito o un pajo di scarpe che gli stiano bene se non le fa fare apposta o se non le sceglie tra tutte quelle di un magazzino. E dunque più facile di fornirgli una vita che un abito, o la conformazione fisica e morale degli esseri umani è più uniforme di quella dei loro piedi? Se questo fosse soltanto perchè gli uomini non hanno tutti lo stesso gusto, già non occorrerebbe assolutamente di tentare di modellarli tutti ad una stessa maniera; ma, oltre a questo, le diverse persone vogliono differenti condizioni pel loro sviluppo intellettuale, e non possono mantenersi sane nella stessa atmosfera morale più di quello che tutte le varietà di piante possano fiorire sotto lo stesso clima. Le stesse cose che ajutano una persona a coltivare la sua natura superiore sono di ostacolo per un’altra.

La stessa maniera di vivere è per l’uno un salutare eccitamento che conserva nelle migliori condizioni le sue facoltà di godimento e d’azione, mentre per l’altro è un carico spaventevole che sospende o distrugge la vita interiore. Vi sono tali differenze fra gli uomini, nella loro maniera di godere, di soffrire, di soggiacere all’opera delle diverse influenze fisiche e morali, che se non vi è una simile diversità nella loro maniera di vivere, essi non sapranno nè ottenere tutta la loro parte di bene, nè giungere all’altezza intellettuale, morale ed estetica di cui la loro natura è capace. Perchè dunque la tolleranza, se si tratta di sentimento pubblico, si estenderebbe solamente ai gusti e alle maniere di vivere che si fanno accettare dalla moltitudine dei partigiani di esse? In nessun luogo (salvo nelle istituzioni monastiche) si nega la diversità di gusto: una persona può, senza esser biasimata, amare o non amare il sigaro, la musica, gli esercizi del corpo, gli scacchi, le carte o lo studio, perchè i partigiani e i nemici di tutte queste cose son troppo numerosi per esser ridotti al silenzio; ma l’uomo e, anche più, la donna che può essere accusata di fare ciò che nessuno fa o di non fare ciò che fanno tutti, è oggetto di un biasimo pari a quello in cui incorrerebbe per aver commesso qualche grave delitto morale.

Bisogna possedere un titolo o qualche altra ragione che ci elevi nell’opinione dei concittadini al livello della gente d’importanza, perchè ci si possa permettere un po’ il lusso di fare quel che ci garba, senza nuocere alla nostra riputazione. Permettere un poco — ho detto, e lo ripeto; perchè chiunque si permettesse largamente questo lusso correrebbe il rischio di qualcosa di peggio che discorsi maldicenti; [p. 70 modifica]sarebbe in pericolo di esser sottoposto ad una commissione de lunatico e di vedersi togliere la proprietà a profitto della sua famiglia3.

V’è un tratto caratteristico nelle attuali tendenze della pubblica opinione, che è proprio fatto per renderla intollerante contro qualunque spiccata dimostrazione d’individualità. In generale gli uomini non soltanto mancano di intelligenza, ma anche hanne delle inclinazioni temperate; non hanno gusti nè desideri abbastanza vivi per esser condotti a far qualcosa di straordinario, e, per conseguenza, non comprendono punto chi ha tutt’altre doti: lo classificano fra quegli esseri stravaganti e disordinati cui sono avvezzi a disprezzare. Oltre questo fatto, che è generale, noi dobbiamo tener conto che oggidì si è manifestato un potente progresso morale; e si sa che cosa se ne può attendere. Questo movimento si è manifestato a’ dì nostri: si è fatto molto per accrescere la regolarità di condotta e sconsigliare gli eccessi, e v’è dappertutto uno spirito filantropico che trova la sua più gradita applicazione nel miglioramento dei nostri simili, in fatto di morale e di prudenza. Per effetto di queste tendenze, il pubblico è più disposto che in altri tempi a prescrivere delle regole generali di [p. 71 modifica]condotta ed a studiarsi di ricondurre tutti al tipo normale. E questo tipo, lo si confessi o no sinceramente, è di nulla desiderare con vivacità. Il suo ideale di carattere è di non averne alcuno bene spiccato; qualunque parte saliente della natura umana, che tenda a rendere una persona esteriormente diversa dalla comune degli uomini, si deve mutilare colla compressione, come il piede di un chinese.

E lo stesso qui, che per qualunque ideale il quale escluda la metà di ciò che è desiderabile; il tipo attualmente dominante non produce che una imitazione inferiore dell’altra metà. In luogo di una grande energia guidata da una ragione vigorosa e di sentimenti potenti potentemente guidati da una coscienziosa volontà, non si ottengono che una scarsa energia e dei sentimenti deboli, che per conseguenza possono conformarsi alla regola, almeno nell’apparenza, senza richiedere un grande sforzo nè di volontà nè di ragione. Già i caratteri energici su larga scala van diventando puramente leggendari. Oggi, nel nostro paese, l’energia non trova modo di applicarsi se non negli affari; l’energia che vi si spende può ancora essere ritenuta considerevole; e il poco che ne sopravanza è impiegato a cercar di soddisfare qualche passione, che può essere una passione utile, magari filantropica: ma che si restringe ad una cosa sola, e, in generale, poco importante. La grandezza d’Inghilterra è oggi tutta collettiva: piccoli individualmente, noi sembriamo capaci di qualcosa di grande solo per la nostra abitudine dell’associazione; e di questo i nostri filantropi morali e religiosi sono perfettamente soddisfatti.

Ma uomini di un’altra tempra hanno fatto l’Inghilterra ciò che essa è stata; uomini d’altra tempra saranno necessari per impedirne la decadenza.

Il dispotismo del costume è dappertutto l’ostacolo perpetuo al progresso umano, perchè esso combatte una lotta incessante contro quella disposizione a tendere a qualcosa di meglio del costume, che si chiama, secondo i casi, spirito di libertà o spirito di progresso e di miglioramento. Lo spirito di progresso non è sempre spirito di libertà, perchè può volersi imporre a gente che non se ne cura; e lo spirito di libertà, quando resiste a simili sforzi, può allearsi, per un dato luogo o per un dato tempo, cogli avversari del progresso; ma l’unica sorgente infallibile e perenne del progresso è la libertà, perchè solo per suo mezzo si possono avere tanti centri indipendenti di progresso quanti sono gl’individui.

Tuttavia il principio progressivo, sia sotto la forma dell’amore di libertà, sia sotto quella dell’amor di miglioramento, è nemico dell’impero del costume; perchè esso implica per lo meno la liberazione da questo giogo e la lotta [p. 72 modifica]tra queste due forze forma il principale interesse della storia dell’umanità. La più gran parte del mondo, nel preciso senso della frase, non ha storia, perchè ivi è assoluto il dispotismo del costume. E il caso di tutto l’Oriente: là il costume regna sovrano ed arbitro su tutte le cose; giustizia e diritto significano conformarsi ad esso; nessuno, salvo qualche tiranno ubbriacato dal potere, pensa a resistervi: — e noi vediamo gli effetti di tutto questo. Queste nazioni debbono, in altri tempi, aver avuto dell’originalità; esse non sono uscite dalla terra popolose, colte in letteratura, e profondamente versate in certe arti della vita; sotto tutti questi rapporti debbono a sè stesse la loro esistenza ed erano un tempo le più grandi e potenti nazioni del mondo. Che cosa sono esse ora? sono suddite o dipendenti di tribù i cui antenati erravano nella foresta, mentre i loro avevano dei magnifici palazzi e degli splendidi templi; ma su questi barbari il costume divideva il suo impero con la libertà e col progresso. Un popolo, a quel che sembra, può essere, durante un certo lasso di tempo, progressivo e poi fermarsi e quando? Quando cessa di possedere l’Individualità. Se un simile cambiamento dovesse accadere anche nelle nazioni d’Europa, non sarebbe precisamente cogli stessi caratteri. Il dispotismo del costume, che minaccia queste nazioni, non è precisamente l’immobilità; esso condanna la singolarità, ma non pone ostacolo al mutamento purchè tutto muti nello stesso tempo. Noi abbiamo abbandonati i costumi immobili da cui i nostri avi non si allontanavano: bisogna bene ancora vestirsi come tutti gli altri: ma la moda può mutare una o due volte per anno. Con questo, noi facciamo in modo di cambiare per amor del mutamento, non per alcun concetto di estetica o di comodità; perchè lo stesso concetto di estetica o di comodità non verrebbe in testa a tutti nello stesso punto è non sarebbe, ad un altro punto, abbandonato da tutti. Noi siamo progressivi così come siamo mutevoli: facciamo continuamente delle nuove invenzioni in meccanica e le conserviamo finchè non le si possano sostituire con invenzioni migliori; siamo pronti a migliorare in fatto di politica, di educazione, di costumi, sebbene in quell’ultimo caso la nostra idea di miglioramento consista sopratutto nel rendere gli altri, o colle buone o colle brusche, buoni come siamo noi.

Non ci opponiamo al progresso; anzi, ci lusinghiamo di essere la gente più progressiva che mai si sia vista. Contro l’individualità noi combattiamo; e crederemmo d’aver compiuta un’opera meravigliosa, se ci fossimo resi tutti gli uni agli altri identici, dimenticando che la dissomiglianza tra due persone è la prima cosa che attira l’attenzione, sia per l’imperfezione d’uno di questi tipi e per la [p. 73 modifica]superiorità dell’altro, sia per la possibilità di produrre qualcosa di meglio di ciascuno dei due, combinandone i pregi.

Un esempio ed un avvertimento ci è qui fornito dalla China — una nazione molto ingegnosa e, sotto certi rispetti, dotata di molta saggezza, grazie alla rara fortuna d’aver di buon’ora ottenuto un complesso soddisfacentissimo di costumi: opera, fino a un certo segno, d’uomini che gli Europei piú illuminati debbono riconoscere, salvo qualche riserva, per saggi e filosofi.

Questi costumi sono pure notevoli come quelli che assai bene si prestano per imprimere il più profondamente possibile i loro migliori precetti in tutti gli spiriti della collettività, e come quelli che attribuiscono i posti d’onore e di potere a coloro che di essi sono meglio penetrati. Senza dubbio il popolo che così agisce deve avere scoperto il segreto dell’umana perfettibilità e marciare sovranamente in testa al progresso universale. Ebbene, no. I Chinesi son divenuti stazionari; essi da migliaja d’anni sono quali noi ora li vediamo e, se sono destinati a qualche miglioramento, questo verrà loro da fuori. Essi sono riusciti in modo da superare ogni aspettazione all’opera di cui tanto faticosamente si occupano i filantropi inglesi: — rendere tutto il mondo uniforme, far sì che ciascuno governi i suoi pensieri e la sua condotta colle stesse massime e colle stesse regole — con quali frutti, lo vediamo! Il regime della pubblica opinione è, sotto una forma inorganica, quello che sono i sistemi chinesi d’educazione e di politica sotto una forma organizzata: e, a meno che l’individualità (minacciata da questo giogo) non sappia vittoriosamente rivendicare i suoi diritti, l’Europa, nonostante i suoi nobili precedenti storici e il cristianesimo che professa, tenderà a diventare un’altra China.

E, fino ad oggi, che cosa ha salvato l’Europa da questa sorte? Che cosa ha fatto delle nazioni europee una parte progressiva e non stazionaria dell’umanità? Non è la loro perfezione superiore che, quando esiste, è un effetto e non una causa, ma le loro notevoli differenze di carattere e di coltura. In Europa, gl’individui, le classi, le nazioni sono state estremamente dissimili: esse si sono tracciata una grande varietà di strade, ciascuna delle quali conduceva a qualcosa di preciso; e sebbene a ciascun epoca quelli che seguivano le diverse vie siano stati intolleranti gli uni verso gli altri, e ciascuno abbia considerato una cosa eccellente poter obbligare tutti gli altri a seguire il proprio cammino, nondimeno i reciproci sforzi per impedire il loro sviluppo hanno avuto ben di rado un successo duraturo e, ciascuno alla sua volta, tutti hanno dovuto risentire il vantaggio dagli altri apportato. Secondo me, l’Europa deve soltanto a questa pluralità di vie il suo vario e progressivo [p. 74 modifica]sviluppo; ma già essa comincia a possedere questo vantaggio in un grado molto meno considerevole, essa cammina direttamente verso l’ideale chinese di rendere tutto il mondo uniforme. Il Tocqueville, nel suo ultimo ed importante lavoro, osserva quanto i Francesi d’oggi si rassomiglino più di quelli della stessa ultima generazione: la stessa osservazione, a molto maggior ragione, si potrebbe fare sugl’Inglesi.

In un passo già citato, Guglielmo di Humboldt indicò due cose come condizioni necessarie dello sviluppo umano perchè esse sono necessarie per rendere gli uomini diversi gli uni dagli altri: la libertà e la varietà di condizione; la seconda si va ogni giorno perdendo in Inghilterra. Le contingenze che circondano le diverse classi e i diversi individui, e che plasmano il loro carattere, si vengono ogni di più rassomigliando.

In altri tempi, le diverse classi, i diversi ceti, i diversi mestieri e le professioni diverse vivevano — si poteva dire — in mondi differenti; oggi, in modo assoluto, vivono tutti nello stesso mondo. Oggi, relativamente parlando, leggono tutti le stesse cose, ascoltano le stesse cose, vedono le stesse cose, vanno negli stessi luoghi; hanno le loro speranze e i loro timori diretti verso gli stessi obbiettivi, gli stessi diritti, le stesse libertà, e i medesimi mezzi per rivendicarle. Per grandi che siano le differenze di condizione sopravvissute, non sono nulla a confronto di quelle che sono scomparse. E l’assimilazione procede continuamente: tutti i mutamenti politici la facilitano; poichè tendono tutti ad elevare le classi inferiori e ad abbassar le elevate; ogni estensione dell’educazione la facilita, perché l’educazione riunisce gli uomini sotto influenze comuni e dà a tutti adito di arrivare al fondo generale dei fatti e dei sentimenti universali; ogni progresso nei mezzi di comunicazione la facilita, mettendo a contatto personale gli abitanti di luoghi lontani, e promovendo una rapida successione di mutamenti di residenza di città in città; ogni accrescimento di commerci e d’industrie facilita ancora quest’assimilazione estendendo la fortuna e ponendo alla portata di tutti i più grandi oggetti di ambizione, cosicchè il desiderio di elevarsi non appartiene più ad una sola classe, ma a tutte. Ma una influenza più potente di tutte queste per apportare una generale somiglianza fra gli uomini è lo stabilirsi completo, in questo o in altri paesi, dell’influenza dell’opinione pubblica nello stato. Poiché le numerose preminenze sociali, che permettevano alle persone trincerate dietro di esse di sprezzare l’opinione pubblica, si vengono grado grado livellando, poichè la stessa idea di resistere alla volontà del pubblico, quando si sa con certezza ch’esso ha una volontà, vien sempre più scomparendo dallo spirito degli uomini [p. 75 modifica]politici pratici, cessa di esservi alcun sostegno sociale per la non conformità. Non vi è più nella società un potere indipendente, che, opposto all’influenza della maggioranza, sia interessato a prendere sotto la sua protezione delle opinioni e delle tendenze contrarie a quelle del pubblico.

La riunione di tutte queste cause forma una così gran massa d’influenze ostili all’Individualità, che non si può ormai intravvedere come essa sarà capace di difendere il suo terreno. Essa vi troverà una difficoltà sempre crescente, a meno che la parte intelligente del pubblico non impari a valutare questo elemento, a tener per necessarie le differenze, quand’anche esse non siano in meglio, quand’anche, nell’opinione di qualcuno, esse siano in peggio. Se i diritti della individualità devono mai essere rivendicati, è venuto il momento di farlo, finchè molte cose ancora mancano per completare l’assimilazione imposta: — è soltanto sui principi che ci si può, con buon esito, difendere contro l’usurpazione. La generale pretesa di rendere gli altri simili a noi cresce quanto più è soddisfatta; se si attende, per resisterle, che la vita sia ridotta quasi ad un tipo unico, tutto ciò che da questo tipo si stacca sarà allora considerato come cosa empia, immorale ed anche mostruosa e contro natura; e la specie umana diverrà ben presto incapace di comprendere la varietà, quando ne avrà da qualche tempo perduto lo spettacolo.



fine del capitolo terzo.

Note

  1. Della sfera e dei doveri del Governo, di Guglielmo Humboldt.
  2. Saggio di Sterling
  3. Vi è qualcosa di doloroso e di spregevole nel genere di testimonianza sulla quale si può ai dì nostri dichiarare giudiziariamente un uomo incapace di condurre i suoi affari e, dopo la sua morte, tener per non avvenuta la disposizione ch’egli ha fatto dei suoi beni, se vi si trova di che pagare le spese del processo, che son prelevate sui beni stessi. Si fruga in tutti i minuti particolari della sua vita quotidiana; e quello che i più poveri fra i poveri di spirito vi scoprono, colle loro facoltà percettive e descrittive, che non sia assolutamente comune, è portato avanti al giurì come una prova di follia, e sovente con buon esito. I giurati sono appena meno ignoranti dei testimoni, mentre i giudici, nulla sapendo della natura e della vita umana — cosa che si nota con sorpresa ogni giorno presso l’uomo di legge inglese — contribuiscono spesso ad indurli in errore. Questi processi valgono dei volumi, come indizio del sentimento e dell’opinione volgare sulla libertà umana. Lungi dall’attribuire alcun valore all’individualità, lungi dal rispettare i diritti di ogni individuo ad agire nelle cose indifferenti come il suo giudizio e le sue tendenze lo guidano, giudici e giurati non riescono neppure a concepire che una persona sana di mente possa desiderare una tale libertà. In altri tempi, quando si proponeva di bruciare degli atei, caritatevoli persone suggerivano volentieri che sarebbe stato meglio di metterle in un manicomio. Nulla vi sarebbe da meravigliarsi se lo stesso si facesse oggi; e se quelli che lo facessero si congratulassero secostessi di avere adottato tna maniera così umana e cristiana di trattare questi sfortunati in luogo di perseguitarli per causa religiosa, non senza, nel medesimo tempo, provare una segreta soddisfazione per aver loro procurato una sorte corrispondente ai loro meriti.