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capitolo terzo. | 69 |
rità dell’altro, sia per la possibilità di produrre qualcosa di meglio di ciascuno dei due, combinandone i pregi.
Un esempio ed un avvertimento ci è qui fornito dalla China — una nazione molto ingegnosa e, sotto certi rispetti, dotata di molta saggezza, grazie alla rara fortuna d’aver di buon’ora ottenuto un complesso soddisfacentissimo di costumi: opera, fino a un certo segno, d’uomini che gli Europei piú illuminati debbono riconoscere, salvo qualche riserva, per saggi e filosofi.
Questi costumi sono pure notevoli come quelli che assai bene si prestano per imprimere il più profondamente possibile i loro migliori precetti in tutti gli spiriti della collettività, e come quelli che attribuiscono i posti d’onore e di potere a coloro che di essi sono meglio penetrati. Senza dubbio il popolo che così agisce deve avere scoperto il segreto dell’umana perfettibilità e marciare sovranamente in testa al progresso universale. Ebbene, no. I Chinesi son divenuti stazionari; essi da migliaja d’anni sono quali noi ora li vediamo e, se sono destinati a qualche miglioramento, questo verrà loro da fuori. Essi sono riusciti in modo da superare ogni aspettazione all’opera di cui tanto faticosamente si occupano i filantropi inglesi: — rendere tutto il mondo uniforme, far sì che ciascuno governi i suoi pensieri e la sua condotta colle stesse massime e colle stesse regole — con quali frutti, lo vediamo! Il regime della pubblica opinione è, sotto una forma inorganica, quello che sono i sistemi chinesi d’educazione e di politica sotto una forma organizzata: e, a meno che l’individualità (minacciata da questo giogo) non sappia vittoriosamente rivendicare i suoi diritti, l’Europa, nonostante i suoi nobili precedenti storici e il cristianesimo che professa, tenderà a diventare un’altra China.
E, fino ad oggi, che cosa ha salvato l’Europa da questa sorte? Che cosa ha fatto delle nazioni europee una parte progressiva e non stazionaria dell’umanità? Non è la loro perfezione superiore che, quando esiste, è un effetto e non una causa, ma le loro notevoli differenze di carattere e di coltura. In Europa, gl’individui, le classi, le nazioni sono state estremamente dissimili: esse si sono tracciata una grande varietà di strade, ciascuna delle quali conduceva a qualcosa di preciso; e sebbene a ciascun epoca quelli che seguivano le diverse vie siano stati intolleranti gli uni verso gli altri, e ciascuno abbia considerato una cosa eccellente poter obbligare tutti gli altri a seguire il proprio cammino, nondimeno i reciproci sforzi per impedire il loro sviluppo hanno avuto ben di rado un successo duraturo e, ciascuno alla sua volta, tutti hanno dovuto risentire il vantaggio dagli altri apportato. Secondo me, l’Europa deve soltanto a questa pluralità di vie il suo vario e progressivo