La Fortuna/Ritorno
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RITORNO
Suor Maria Angelica, al secolo signorina Adelaide Castori, gettata la veste alle ortiche dopo dieci anni di vita monacale, ritornava in famiglia.
Una fanciullesca passione sfortunata l'aveva spinta diciottenne in monastero, ma benchè si fosse pentita non appena sanata la ferita amorosa, aveva lasciato passare dieci anni senza avere il coraggio di confessare la sua disperazione, rimettendo ogni giorno al domani la parola che le avrebbe dato la libertà, ed ogni giorno sentendo scemare la sua forza contro una resistenza fatta d'inerzia, di dolcezza, di silenzio.
Come osare? come scagliare la pietra nello stagno immoto?
Subito dopo il noviziato era stata traslocata in Francia e non aveva più riveduto la famiglia da cui riceveva regolarmente brevi lettere che esaltavano i conforti della vita claustrale e si raccomandavano alle sue preghiere.
Una volta le avevano anche scritto che sua madre era passata a seconde nozze, e che suo fratello Antonio si faceva prete. Le due sorelle, Dorotea e Alice, non si erano sposate: non sapeva altro.
D'improvviso, allo spirare del decimo anno, le era giunta la notizia della morte di sua madre, e, nell'infuriar del dolore, aveva scritto al fratello prete una lettera in cui si riassumevano tutte le sue torture, un disperato appello di liberazione. Egli aveva risposto poche righe tranquillizzanti di cui Adelaide aveva afferrato un solo senso, una sola parola, incredibile, insperata, ma pur vera: veniva a prenderla! la liberavano!
Non era un sogno?
Spogliatala della veste e delle bende le avevano fatto indossare un abituccio di lana nera, e in gran silenzio, in gran mistero, l'avevano mandata ad aspettare il fratello in un piccolo convento a poche miglia dal suo paese natio.
Ella lo aveva aspettato colà, segregata dalle altre suore, vigilata dalla zoppa monaca infermiera che le rivolgeva sospettosamente le parole necessarie.
Un giorno, sull'imbrunire, le avevano fatto scendere le scale, avevano aperta cautamente la porta piccola che non mandava cigolii, e l'avevano messa sulla strada. Sulla strada deserta e semioscura, presso alla siepe che esalava un acuto profumo di madresilva, ella aveva intravisto una carrozzella, e una cavallina storna.... e una lunga figura in veste talare muoverle incontro e porgerle una mano fredda e umidiccia.
— Antonio....
Poi il richiudersi lento e discreto della porticina senza voce, il tintinnar dei bubboli, una frustata feroce, e addio! addio!
La famiglia di Adelaide godeva di una certa agiatezza. Il padre di lei, un piccolo negoziante di ferramenta morto quand'ella era ancora bambina, aveva lasciato una bottega ben avviata che avevano potuto cedere a patti vantaggiosi, e la casa, una bella casa comoda, in una delle vecchie contrade del paese.
Il padrigno poi, calato dal Tirolo coi suoi grossi chiodi e il suo cappello verde, possedeva pascoli e mandre e greggi lassù fra i boschi e le solitudini alpine.
Adelaide nei lunghi ozi claustrali aveva spesso ed ostilmente pensato allo sconosciuto, all'intruso, e se lo era raffigurato in mille modi diversi, sospettando in esso istintivamente un nemico.
Si vide invece davanti un povero essere che non poteva ispirare altro che disgusto o pietà: obeso e floscio, con smorti occhi a fior di testa, paralizzato nelle gambe e nella lingua, immobile in una carrozzella.
Egli aveva troppo amato in gioventù il buon vino e le belle ragazze, e la paralisi lo aveva colpito da due anni, inesorabilmente.
Con lui un'altra persona nuova era entrata nella casa: Zia Zelinda, che non s'era mai separata da suo fratello ed era scesa dal Tirolo il giorno stesso delle nozze di lui colla vedova Castori.
— Troverai la sorella del padrigno; — aveva detto Don Antonio poco prima di giungere in paese.
E Adelaide arrivando se l'era vista comparire innanzi per la prima, con una candela in mano di cui tentava riparare la fiamma dal vento, gobba e vestita di verde, con occhi che ridevano e pungevano.
Si erano baciate, poi la gobba aveva fatto lume ad Adelaide su per la scala voltandosi ogni tanto a guardarla con mal celata curiosità.
In cima alla scala, due lunghe ombre aspetanti e mute, le s'orelle, si erano avanzate tenendosi per mano. E all'improvviso sotto agli sguardi delle tre donne Adelaide si era accorta che lo scialletto le era scivolato giù dalla testa piccola e rasa come quella d'un adolescente malaticcio ed aveva violentemente arrossito.
La mamma mancava. Tutto il resto nella casa era immutato. I dieci anni trascorsi avevano lasciato allo stesso posto i mobili, gli oggetti, ed anche le persone.
Sulla solita finestra, fra un vaso d'erba rosa ed uno di garofani, la gabbia gialla con due canarini; sulla mensola dorata i due mazzi di fiori di perle; vicino alla stufa il parafuoco fatto di figurine ritagliate, e sulla credenza il servizio da rosoli filettato iu oro e il pappagallo imbalsamato.
Ogni mattina, come dieci anni innanzi, Alice si aggirava nel piccolo giardino fiorito di amorini e di bocche di leone chinandosi a raddrizzare uno stelo, a staccare una foglia secca, colle mosse un po' esitanti delle persone miopi.
E ogni mattina Dorotea traversava la sala col suo passo senza rumore, facendosi appena annunciare dal cre-cre delle sottane inamidate, per andare a rimetter olio nella lampada votiva.
Nella chiara cucina risplendente di rami e di peltri, la vecchia Laura brontolava e tabaccava attizzando il fuoco, e la gazza saltava dalla tavola alla credenza.
Don Antonio era quasi sempre assente, alla Canonica o all'Ospitale.
Adelaide riebbe la sua piccola camera a tramontana.
Ella si guardò intorno, ed ogni cosa le disse:
— Sei tu? ci riconosci? ti ricordi? — Ed ogni voce le scese in cuore con un sapore di lagrime e di felicità.
Una mattina ella uscì di buon'ora dalla sua stanza ed entrò in cucina. Era febbraio, aveva nevicato tutta la notte, ed i rami ed i peltri risplendevano più tersi, il fuoco brillava più vivo. Laura stava manipolando la pasta per le tagliatelle. Ad ogni tratto sospirava, brontolava e si riposava. Adelaide che aveva seguito con attenta ammirazione i movimenti della vecchia donna senza che questa mai alzasse gli occhi su di lei, in una delle soste più lunghe si fece coraggio e chiese:
— Laura, volete che vi aiuti? Ho osservato quello che voi fate, e forse potrei farlo anch'io.
La vecchia la guardò finalmente, e non rispose. Poi, accatastata dispettosamente la pasta in un grosso mucchio, la coperse con un tovagliolo ed uscì a gran passi sbatacchiando l'uscio.
Adelaide si raccolse presso la finestra e si mise a seguire il volo dei canarini nella gabbiuzza. Il maschio spiccava il volo sempre da destra a sinistra, la femmina, che aveva una zampetta segnata col filo rosso, sempre da sinistra a destra.
Ecco lo stridere della carrozzella del padrigno che Dorotea trascinava al solito posto. Ecco Zia Zelinda che si accoccolava nella poltrona e si metteva a sferruzzare. Senza occhiali, ella faceva dei merletti meravigliosi di finezza, a disegni strani, di sua fantasia; e pur lavorando guardava qua e là, e i suoi occhi curiosi e beffardi si fissavano e rifissavano su Adelaide. Dorotea e Alice andavano e venivano per la casa intente alle loro cure. Ecco il fabbriciere che capitava ogni mattina a prendere il caffè dalla Zia Zelinda. Laura lo introduceva nel tinelletto e richiudeva l'uscio comunicante con la cucina. Ma arrivava fin là la voce nasale della gobba e il ridere compiacente del fabbriciere e l'aroma del caffè. I canarini spiccavano sempre il volo l'uno da destra a sinistra, l'altra da sinistra a destra. L'ora del desinare raccoglieva tutti intorno alla tavola, nel tinelletto. Don Antonio tornava, recitava il «Benedicite», raccontava la sua giornata. Poi usciva nuovamente e le donne si ritiravano nelle loro stanze. Il padrigno dormiva. Il cancello del giardinetto era chiuso a chiave. Nessuno disturbava Adelaide. Nel pomeriggio ella sentiva dei passi discreti traversare la sala e allora balzava all'uscio e dalla fessura spiava l'arrivo e la partenza dei visitatori.
Oramai aveva imparato a conoscerli tutti anche senza vederli: li distingueva dal passo, dal particolare suono della voce o del riso.
— Questo che trascina i piedi è Don Giocondo.
— Questa che ha le scarpe che scricchiolano così forte è la maestra Gabetti.
— Questa risatina in gola è della moglie del farmacista.
La sera, Dorotea e Alice uscivano insieme; andavano a giocare a tombola dal fabbriciere che abitava in fondo alla piazza.
Benchè avessero, l'una, più di quarant'anni, e l'altra trentanove, vestivano ancora perfettamente eguali, come due educande. L'una e l'altra portava una mantellina di seta nera, l'una e l'altra portava le scarpe di brunello, l'una e l'altra portava una borsetta di seta viola.
Dorotea, lunga, magra, con capelli neri ondulati e lucidi, occhietti rotondi e labbra sottili, era stata la bellezza e l'orgoglio della casa e ne rimaneva tuttora l'oracolo. Quando parlava ella non alzava mai la voce, ma stringeva le labbra con compunzione scuotendo i ricciolini come piccoli campanelli. Era figlia di Maria, ispettrice dell'Asilo di San Giuseppe, presidente della confraternita di San Rocco: le signore del paese la consultavano nelle più importanti contingenze della vita e la sua sentenza era inappellabile in fatto di moda. Le parole: «corretto, dignitoso, decoroso», tornavano spesso e volontieri sulle labbra di questa irreprensibile donzella che camminava, dormiva, pensava, e pregava Domineddio con sussiego e decoro.
Alice anch'ella era alta e magra, ma un po' curva, con una gran massa di capelli rossi, il viso lentigginoso e smorti occhi miopi. Camminando, ella si teneva un po' indietro da Dorotea quasi volesse anche materialmente dimostrare la sua deferenza alla sorella maggiore; quando Dorotea parlava Alice taceva o approvava.
Lungo la sera Adelaide rimaneva colla Zia Zelinda e coll'infermo ad aspettar che rientrassero: tutti e tre sotto la borbottante lampada dal paralume verde.
Quasi sempre Zia Zelinda intesseva lungamente l'elogio della bellezza di Dorotea e della bontà d'Alice, e il padrigno si addormentava colle mani gonfie abbandonate sulle coscie. In una di quelle serate Adelaide ebbe il coraggio di parlar di sua madre. Da tanto tempo la domanda le bruciava le labbra e la ricacciava ogni sera a forza, non osando.
— Ditemi, zia.... la povera mamma, prima di morire.... si è ricordata di me? mi ha nominata?...
La gobba alzò gli occhi dal lavoro e li confisse in faccia ad Adelaide.
— Ella non ti ricordava mai! — disse; e, riabbassata la testa, si rimise a sferruzzare.
Adelaide restò molti giorni sotto il mortale abbattimento di quella risposta. Ma era cattiveria, perfidia della zia! Non era possibile! Non poteva creder questo della sua dolce mamma!
Intanto accadde un fatto imprevisto.
Un bel giorno (erano tutti nel tinelletto, stavano per mettersi a tavola, Don Antonio recitava il «Benedicite», la minestra fumava nella zuppiera) la vecchia Laura socchiudendo l'uscio annunciò che c'erano giù i parenti da Castel luzzo: potevano salire per un salutino? Don Antonio uscì in sala esclamando gaiamente:
— Entrate! Entrate!
Adelaide era rimasta immobile, timida presso alla tavola, non sapendo se eclissarsi o restare: in quell'attimo di confusione nessuno badava a lei.
Si trattava di parenti di campagna, benestanti che scendevano in paese due o tre volte all'anno. La signora era prima cugina del padre di Adelaide, vedova, con un'unica figliuola di diciannov'anni, biondina, bellina, smorfiosetta, col nasetto all'in su e troppa cipria sul viso.
Costei era da circa un anno fidanzata ad uno studente di farmacia ed ora venivano ad annunciare la data delle nozze e a presentare lo sposo.
Vi furono baci, abbracci, carezze; alla biondina gli occhi scintillavano vedendosi fatta segno all'ammirazione generale.
Il fidanzato, un giovanottino smilzo con scarpe giallo arancio, seguitava a inchinarsi con dei: — si figuri! — alle congratulazioni che gli piovevano addosso da ogni parte.
Finalmente, quando il cicaleccio ebbe posa, sedettero tutti.
Solo allora le visitatrici parvero accorgersi di Adelaide, curva sul piatto, ad occhi bassi e sfuggenti. La signora sussurrò qualche cosa all'orecchio di Dorotea, questa sospirò, strinse le labbra, scosse i ricciolini.
Poi la conversazione riprese, animatamente.
— Dunque i due colombi sposano in fine d'aprile; abbiamo la casa quasi pronta ed il corredo, ma quanto da fare, cari miei!
Parlava la madre, senza posa, dimenandosi sull'orlo del divano, e i due fidanzati, seduti molto vicini, si guardavano. A un tratto la biondina lasciò cadere il fazzoletto, si chinarono entrambi insieme a raccoglierlo, e nel cercarlo si sfiorarono furtivamente la mano con uno sguardo lungo. Adelaide, seduta dirimpetto a loro, vide, e diventò di fiamma.
Da quel momento, a lei che non prendeva parte alla conversazione, non isfuggì più nessun movimento di quei due.
— Che ora è?... — domandava la biondina al fidanzato, pianissimo, piegandosi verso di lui come per confidargli un segreto.
L'altro traeva l'orologio; ella stendeva la mano e lo prendeva; si chinavano entrambi a guardar l'ora, poi la ragazza riabbassava la testa, giocherellava coi fiocchi dell'ombrellino, e il giovane seguiva i moti delle sue mani con occhi imbambolati e lucidi.
Ad un tratto la biondina disse forte:
— Noi ci sposiamo il ventotto aprile, e voi dovete venir tutti alle nostre nozze.... tutti!....anche Adelaide!
Vi fu un momento di silenzio.
Dorotea strinse le labbra, Zia Zelinda si affaccendò di più intorno all'infermo, Alice arrossì e guardò Dorotea.
Don Antonio disse, colla sua voce buona:
— E perchè no?
— Bisogna che ce lo promettiate! bisogna che ce lo promettiate! — strillarono madre e figlia.
— Sì, sì, vogliamo promessa solenne! — ribadiva il fidanzato. — Tutti, anche Adelaide!
Insomma dovettero promettere. Sarebbero andati tutti, anche Adelaide.
L'anno di lutto era compiuto in febbraio, avevano dunque più di un mese per combinare la spedizione. Vi fu un congedo rumoroso e affettuoso.
La biondina che pareva presa da una gran smania d'essere gentile, baciò ed abbracciò anche Adelaide, lo sposo la salutò con un inchino profondo, la signora le ripetè più volte:
— Arrivederci dunque senz'altro.
Partite le visite, il desinare finì in fretta e in silenzio.
Quella sera Adelaide domandò il permesso di coricarsi prima del ritorno delle sorelle.
Desiderava ardentemente di essere sola, fuori degli occhi cattivi della Zia Zelinda, fuori dalla vista pietosa e disgustosa dell'infermo. Voleva esser sola colla sua gioia, col nuovo pensiero che l'occupava tutta, che la riscaldava, che le illuminava l'anima.
— Tra un mese, tra un mese!
Le pareva che quell'avvenimento avesse per lei un significato, un'importanza vitale, segnasse una tappa nella sua via dolorosa, che da quell'invito cui Don Antonio aveva accondisceso, le venisse una specie di riabilitazione morale, una riammissione tra gli esseri umani.
Tutta immersa in quella inaspettata gioia, non s'era avvista del silenzio gelido che le si era fatto d'intorno dopo la partenza delle parenti, non aveva indovinato l'acre ostilità delle sorelle. Ripeteva a sè stessa, coll'ingenuo abbandono d'una bambina:
— Antonio ha promesso! Antonio ha promesso!
Quando scoccarono le dieci all'orologio della sala, cominciò lentamente a spogliarsi, seduta sul letto, alla luce verdastra del lumicino ad olio, indugiando distratta fra un bottone e l'altro per inseguire la dolcezza del suo pensiero.
— ...Come era stata gentile la buona cugina! e la figliuola, com'era affabile ed espansiva!... e che bei capelli aveva! e che vestito elegante! Doveva essere ben contento quel fidanzato!...
Improvvisamente Adelaide rivide i due chinarsi, sfiorarsi la mano, guardarsi a lungo.
Si sentì di nuovo arrossire fino alla radice dei capelli; appoggiò la testa sul cuscino, rimase immobile, ad occhi semichiusi, mezzo svestita com'era, tentando languidamente di scacciare l'imagine voluttuosa che giganteggiava nel silenzio della cameretta, nel deserto della sua anima. Alfine ripigliò a spogliarsi rapidamente, quasi infuriando contro sè stessa, spense il lume, si cacciò sotto le coltri.
E le preghiere?
Ella le aveva dimenticate.... Cominciò a mormorarle macchinalmente interrompendosi ad ogni istante.
— Ave Maria....
Ah! la cattiva imagine la turbava fin nel profondo!
— Gratia plena.... E le sorelle? erano ritornate? che avrebbero detto non vedendola?
Adelaide sguisciò dal letto al buio, scivolò fino all'uscio, stette in ascolto: silenzio.
L'orologio a pendolo della sala faceva tic tac.
Allora, con un movimento così rapido di cui ella stessa non ebbe quasi coscienza, riaccese il lumicino, staccò dalla parete un piccolo specchio torbido, sedette in mezzo al letto e si guardò.
....Com'era, lei?... era bella?... brutta?... era giovane?... era una donna?... e che voleva dire per lei essere una donna?...
Molti anni fa, — ah! lo aveva quasi dimenticato! — anch'ella era stata giovane e graziosa, aveva avuto una figurina snella e flessibile, due grandi occhi scuri e labbra di corallo....
Ma ora? ora?... Era suo quel lungo collo giallastro e vizzo, sue quelle spalle magre, quegli occhi quasi sempre abbassati o sfuggenti, cerchiati di pallide vene azzurrognole, quel seno piatto e senza forma?
— Brutta! vecchia! ridicola!
Il torbido piccolo specchio vide riflettersi nella sua luce un viso stravolto e pallido rigato di lagrime mute.
Eppure.... eppure.....gli occhi non sarebbero stati brutti, se l'espressione ne fosse stata un po' più gaia, se i capelli fossero stati accomodati con maggior cura, il viso non sarebbe apparso tanto magro.... il collo si poteva nascondere con una cravatta di nastro o di merletto.... ....C'era in fondo alla sala un vecchio cassone, uno di quei vecchi cassoni rozzamente scolpiti che un tempo servivano alle spose per custodire il corredo; là dentro Adelaide aveva visto spesso Dorotea riporre vecchi nastri, avanzi di stoffe, anticaglie sdruscite e fuori d'uso.
Se avesse potuto farsi una cravatta con uno di quegli stracci sdrusciti! Ma non avrebbe mai osato chiederlo a Dorotea, affrontare il disprezzo di quelle labbra sottili....
Dunque, dunque, Dio mio, come fare? Le sorelle si ordinavano per la circostanza due magnifici vestiti di merinos grigio: doveva ella comparire alle nozze di sua cugina vestita come una serva?
Quel pensiero la ossessionava, non le dava tregua, le intorbidava la gioia del prossimo avvenimento.
Una notte infine non resse più. Mentre tutto taceva e tutto dormiva, traversò a piedi nudi la sala, trattenendo il respiro, col cuore che le batteva a gran colpi....
Sollevò il pesante coperchio del cassone.... un cigolìo s'intese.... poi tutto fu ancora silenzio.
Adelaide afferrò il primo cencio di seta che le capitò sotto mano, riattraversò palpitando la sala; finalmente fu in salvo.
Era uno sbieco di seta celeste, sbiadito, e qua e là bucherellato dall'uso; a lei pareva di possedere un tesoro.
— Dunque, Adelaide, non sei pronta? Noi partiamo.
Adelaide trasalì e raccolse precipitosamente lo scialle sul petto a nascondere la cravatta celeste che stava appuntando davanti allo specchio.
— Non so capire come si possa perdere tanto tempo a far toilette, — borbottò la zia incamminandosi verso la scala. — Non si direbbe certo che tu abbia passato dieci anni nella semplicità e nella preghiera, figlia mia.
Adelaide diede un ultimo ansioso sguardo allo specchio ed uscì dietro alla zia senza rispondere.
Tre ore dopo sedevano tutti in casa della sposa, lungo la tavola infiorata fatta in forma di ferro di cavallo, dove i mazzi contornati d'erba Luigia, e le fruttiere cariche di mele e d'uva malaga, e le torte a foggia di cuore e di stella, si alternavano.
Grandi piatti d'allesso e d'arrosto erano passati, grandi piatti di frittura agro-dolce; e la maestra Gabetti aveva confidato in segreto ai suoi vicini di mensa che all'ultimo sarebbe comparso un monumentale croccante da cui sarebbe volato fuori un uccellino.
— Non c'è che dire: la signora Elisabetta sa fare le cose per bene! Tutti chiacchieravano, tutti bevevano il frizzante vino biondo delle colline, tutti erano allegri e contenti.
— Nozze di buon augurio!
A un tratto un silenzio solenne si fece: il Sindaco, cavaliere Pietro Barrai, si alzava per parlare.
— Io brindo, — disse egli alzando il bicchiere, — io brindo alla prosperità della bellissima sposa.... e dell'egregio sposo.... che.... che saprà renderla.... come non dubito.... felice! E brindo anche alla madre della sposa, all'ottima signora Elisabetta, che riceve finalmente.... il meritato guiderdone.... alle sue cure materne.... e che con tanta cordialità ci raccolse a questo eletto simposio! E brindo.... brindo.... a tutti i convenuti.... che fanno degna corona alla coppia gentile. O sposi! amatevi! E siate felici!!
— Bravo!... Bene!... Evviva gli sposi! Evviva!... Evviva tutti!...
Il Sindaco sedette, trasse un profondo respiro, si asciugò il sudore della fronte e distese il tovagliolo sull'ampio ventre scintillante di catene d'oro.
— Ora tocca al signor Giacomino, ora tocca al signor Giacomino! L'ha in tasca, il brindisi! Fuori! fuori! Parli! parli!...
Questo signor Giacomino era il segretario comunale, il letterato di Castelluzzo, scrittore di ammirate epigrafi e di sonetti per nozze e lauree, e sedeva a destra di Dorotea Castori, alla cui sinistra era il parroco di Castelluzzo, rosso e rubizzo con bei capelli candidi. L'uno perchè covava il brindisi, l'altro perchè mangiava per quattro, non avevano ancora rivolte parola alla loro dama mortificata e impettita. Finalmente il Parroco si ricordò.
— Desidera un po' di dolce, signorina? Questa torta è squisita. Signor Giacomino, vuol passare il dolce alla signorina? Signor Giacominoooo!...
L'interpellato si scosse come da un letargo, e presentò il vassoio a Dorotea col più cerimonioso dei «pardon».
Il volto di lei si rischiarò.
— Oh grazie! mille grazie! non s'incomodi!
Ma il sorriso mellifluo che le era spuntato sulle labbra gelò ad un tratto, parve pietrificarsi in una smorfia di sorpresa e di rabbia. La forchetta che infilava un pezzo di torta tremò così che la crema cadde a larghe chiazze sulla gonna di merinos grigio. Attraverso alle teste dei convitati, al capo opposto della stretta e lunga tavola fiorita, ella aveva scorto d'improvviso sua sorella Adelaide e la cravatta celeste: la cravatta celeste fiammeggiante di mille fiamme diaboliche.
— Ah! sfacciata! sfacciata!
Il buon parroco di Castelluzzo e il signor Giacomino attribuendo alla crema rovesciata il turbamento della zitella, le erano d'attorno coi tovaglioli inzuppati d'acqua.
— Non importa, non importa, non è nulla! — riescì a dire Dorotea, livida di rabbia; e si rimise a sedere rientrando tosto nel contegno dignitoso che una donzella par sua sapeva conservare anche nelle più gravi vicende della vita.
Adelaide, all'altro capo della tavola, non s'era accorta di nulla.
Senza conoscer quasi nessuno, aveva passato il tempo della colazione mangiando pochissimo, ammirando tutto e tutti, divertita e sorpresa ad un tempo come ad un cinematografo vivente. Quel chiasso, quell'allegria, quel movimento, l'inebriavano e la stordivano come un vino troppo forte. Ma quello che la colpiva maggiormente era l'eleganza e la varietà delle tollettes femminili.
Il suo occhio, avvezzo alle quasi incorporee imagini monacali e alle figure piatte di Dorotea e d'Alice, si soffermava rapito sulla triplice salva di volants che ornava la mantellina della sindachessa e sul cappello a due scompartimenti della sorella dello sposo.
Quasi di fronte a lei la signora Cleofe Marchesetti sfoggiava sulla toque un grappolo d'uva così ben imitato che pareva vero, e la signora Dorina Dorini, unica rappresentante della nobiltà castelluzzese, un gigantesco fisciù di merletto a stelle.
Alcune ragazze, con un vitino inverosimile e molti ricciolini schierati sulla fronte, sorridevano colla bocca stretta.
Differiva da tutte quelle eleganti Ermelinda Barrai, la figliola del Sindaco, più semplice, più spontanea, con un nastro di velluto nero nei capelli biondissimi.
Anche il suo fidanzato, il dottore di Ripamonte, era bello, simpatico, con occhi vivi e intelligenti. Fra lui, la fanciulla, il vecchio medico di Castelluzzo e due studenti di legge formavano un gaio gruppo a parte dove si chiacchierava e si rideva molto. Adelaide, inconsciamente attratta dalla vivacità di quel gruppo, divorava cogli occhi la bella ragazza dall'aria semplice e felice.
— E Micheluccio? come mai manca Micheluccio? — uscì a dire uno degli studenti di legge.
— È malato?
— No, ha dovuto recarsi in città ier mattina ed aveva promesso di tornare in tempo per la colazione....
— Si nota, però, l'assenza di quel bel tipo!
— Eccolo!!
— Lupus in fabula!
— Micheluccio!!
— Michelaccio!!
— Ritardatario, non ti vergogni?
Il nuovo venuto si fermò un momento sulla soglia, perplesso sotto la valanga di chiamate. Era un impiegato del catasto, tornato al natio Castelluzzo dopo sei mesi di soggiorno a Napoli. Alto, molto bruno, grassotto, con baffetti arricciati; e in tutto l'abbigliamento l'ingenua e goffa ricercatezza del Don Giovanni di villaggio. Nel sorriso mostrava una compatta chiostra di denti candidi.
— Non ci sarà un posticino per me? — chiese con un forte accento meridionale, arrestandosi dietro la sedia del dottore di Castelluzzo, dopo aver fatto grandi saluti e scuse agli sposi e alla signora Elisabetta.
— Non te lo meriti! — rispose quegli.
Lo studente di legge lo afferrò per la manica, lo costrinse a chinarsi e gli brontolò ridendo qualche cosa all'orecchio.
Micheluccio rispose forte:
— Va bene!
E, presa una seggiola, la piantò vicina a quella di Adelaide, fece un profondo inchino, e sedette.
— Dunque, signorina, ella ama molto la musica? Suona?... Canta, forse?
— ....In passato.... sì....quand'ero giovane.... suonavo il piano.... e cantavo un po'....
— Come?! Quand'era giovane? Ma le rose della giovinezza sono tuttora fiorenti sulle sue gote! Per un'anima poetica la musica è la cosa più divina che si possa sognare!... Ah, si capisce subito che lei deve avere un'anima poetica!... Io l'ho capito subito al primo vederla.... Ed ora? non suona più? ha tralasciato definitivamente?
— ....Non so.... Credo!... Sì!... Definitivamente!... Non ho più pianoforte!... — Adelaide rispondeva con un filo di voce, cogli occhi ostinatamente fissi su di un filo più greggio della tovaglia, e si faceva pallida e rossa.
— Come mai non ha più pianoforte? Ma una volta l'aveva?
— ....Sì....ma fui.... rimasi... lontana da casa. diversi anni.... e....nel frattempo l'lhanno venduto.... — Oh, che peccato! Ella sarebbe riuscita meravigliosamente, colla passione che ha! Le sarebbe stato un passatempo! Non può pregare Don Antonio, che è così buono, a noleggiargliene un altro?
— ....Non ho coraggio.
— Povera signorina!
Adelaide sentì fino in fondo all'anima quel compianto, il primo che le fosse rivolto, dolce come un'inaspettata carezza.
Alzò i grandi occhi cerchiati in faccia a Micheluccio ed incontrò quelli di lui, lucidi e neri, che la fissavano intensamente.
— No....- diss'ella con voce tremante, — non oserei chiedere altri sacrifizi a mio fratello.... che è stato anche troppo buono con me!... Lei la sa, non è vero, la mia storia?...
— Sì, signorina, so, so tutto! Ed è anche per questo che mi interesso immensamente — immen-sa-men-te! — a lei! Sapevo la sua storia, e un presentimento mi diceva che un giorno l'avrei conosciuta, avvicinata....
— Davvero?...
— Perchè non vuol credermi?...
E gli occhi oblunghi, socchiusi, di Micheluccio, si piantarono nuovamente su lei avvolgendola in un cerchio di fuoco. Adelaide sentiva quegli occhi, più che non li vedesse; era un calore, una luce, una felicità e un malessere insieme, che la turbavano troppo....
(Sotto alla tavola un piede cauto cercava il suo piede?...)
— Il suo destino deve mutare, signorina; ne ho la certezza! Non mi crede neppure questa volta? Perchè? Vediamo le linee della sua mano.... Io so leggere nel destino! Non vuol darmi la sua manina?
— ....
— Che bella manina!
— ....
— Cuore appassionato, ardente, fedele! Felice l'uomo che riescirà a possederlo!! — e Micheluccio sospirò profondamente arricciandosi i lucidi baffetti.
....Ah! chi più ricordava, chi più vedeva Dorotea, Zelinda, Alice? Esistevano esse ancora? esisteva un tinello colla lampada velata di verde, un padrigno mugolante nella carrozzella? esisteva la vita di ieri? e la vita di domani?... Chi più ricordava? chi temeva più nulla?...
— Tenterò in tutti i modi di rivederla, signorina Adelaide: ne ho bisogno! Se non isbaglio, deve presto esserci una gran fiera al suo paese, non è vero?
— Sì....la fiera di Sant'Anna del Monte, in fine di luglio....
— Signor Micheluccio! — chiamò Ermelinda Barrai. — Cattivo soggetto, venga qua, senta.
Micheluccio si alzò per ubbidire alla fanciulla, e si alzò in quel momento anche Giacomino con un foglietto in mano. Tutti tacquero.
— Serbò l'egregio giovane Un puro ardente affetto Per la sua sposa in petto Per la sua sposa in cor. — Santi Dei! — gemette il dottore di Castelluzzo cacciandosi le mani nei capelli.
— Giammai non sarà il fato A un puro amore avverso! L'allieterà beato Di dolci frutti ognor!
Un subisso d'applausi coronava la fine del brindisi e tutti si alzavano rumorosamente e passavano nella stanza attigua dove troneggiava un ïmmenso pianoforte a coda.
Verso le quattro un landau a due cavalli venne a prendere gli sposi per condurli alla stazione più prossima, e gli ospiti si congedarono rinnovando gli auguri e le congratulazioni alla signora Elisabetta piangente e sorridente.
Adelaide risalì in carrozza a fianco di Don Antonio per rifare lentamente la ripida strada.
....Vedeva ella per la prima volta le primule bianche e gialle occhieggiar tra le siepi? sentiva ella per la prima volta il mormorio dolce e vivo della fresca acqua tra i sassi?
....Primavera, primavera, eterno sospiro, eterna illusione, eterno inganno!
Nella sua cameretta, in piedi davanti allo specchio, ella staccava lentamente la cravatta celeste e si sorrideva.
Gli occhi le brillavano, aveva le guancie rosse e infiammate; in tutto il volto una espressione di così intensa gioia che la trasfigurava. No, non era un sogno! La giornata che finiva valeva per lei una vita. Nella stanza del piano Ermelinda Barrai l'aveva pregata di cantare, e accompagnata da lei, ella aveva accondisceso. Colla sua voce un po' tremula negli acuti ma dolcissima nelle medie e nelle basse, aveva cantato una vecchia romanza che le ricordava altri tempi, e tutti l'avevano applaudita, e avevano consigliato Don Antonio a riprenderle il pianoforte.
E Micheluccio, stringendole la mano, guardandola lungamente, — Ella canta come un angelo! — le aveva detto, e quella stretta ardente, appassionata, ella la sentiva ancora; la sua mano ne bruciava, e ne fremeva tutto il suo essere.
La porta si spalancò ad un tratto senza rumore, ed apparve Dorotea, livida nel vestito di merinos grigio, col cappello a sghimbescio, e il respiro affannoso.
— Ah! tu rubi dunque? — diss'ella con voce sibilante e rotta, puntando l'indice minacioso verso la cravatta celeste. — Tu rubi? Tu sei ladra? Non ti basta averci coperti di vergogna colle tue pazzie? Non ti basta che tutti ridano di noi per colpa tua? Non sei contenta di aver fatto morire nostra madre di crepacuore?
— Non è vero! — urlò Adelaide, sobbalzando come se fosse stata morsa da una vipera. — Questo, non è vero! — Sì, ella è morta per te, per te! per i dispiaceri che le hai dati, per la paura e la vergogna che tu tornassi! E tu rubi anche, per giunta! tu rubi ai tuoi parenti.... per rinfronzolirti.... brutta, vecchia e ridicola come sei.... nella speranza di attirare gli nomini!! Pazza! pazza! civetta! svergognata! ladra! ladra!!....E noi dovremo tollerare tutto da te? dovremo ancora tacere??... No! — gridò Dorotea rivolgendosi alla Zia Zelinda e ad Alice che avevano assistito mute e allibite alla scena. — No, non taceremo! Antonio stasera saprà tutto!
E uscì dalla stanza tirandosi dietro l'uscio che sbatacchiò con veemenza.
Adelaide rimase sola, in piedi davanti allo specchio, nell'atteggiamento in cui la sorella l'aveva colta: colla cravatta in mano, senza lagrime: impietrita.
Il rimbombo della porta parve rimbombar sul suo cuore.
— Io ho fatto morire la mamma di crepacuore? Ah Dio mio, non è vero! questo non è vero! questo nonè vero! ditemi che non è vero!
Le lagrime e i singhiozzi proruppero con tale violenza che il povero petto scarno pareva dovesse spezzarsi; ella si gettò traverso il letto, affondò il capo fra i cuscini, nascondendosi come una bestia ferita a morte.
Quando risollevò la testa, una luce scialba entrava dalla finestra aperta, faceva quasi freddo, ma il cielo era tutto rosa, di quel dolce rosa violaceo che tinge per un momento i cieli dopo il tramonto. In sala si sentiva un calpestio di passi rapidi e leggeri.
Adelaide riconobbe la voce della signora Beatrice, la moglie del farmacista; sentì bisbigliare il suo nome e quello di Dorotea.
— Povera Dorotea!
— Speriamo che domani stia meglio.
— Speriamo! Ma con questi continui dispiaceri!...
Passò Laura, trascinando le gambe, carica d'una brocca d'acqua calda e di pannolini per fare i bagni a Dorotea che s'era messa a letto coll'emicrania.
Adelaide tendeva l'orecchio ai rumori, immobile nell'ombra che avanzava. Le ultime lagrime le colavano lentamente lungo le guance, tra le ciocche irte e incomposte di capelli; ella ne sentiva il sapore amaro e salso e non aveva la forza d'asciugarsi il volto.
Le pareva che le avessero disseccato l'animadalle sorgenti.... che le avessero sradicato fin dalle midolla ogni forza di vita.... una stanchezza fisica profonda la prendeva, uno stupore quasi ignaro di quanto era successo.
Era vero? quanto tempo era passato?... ed ora? che avrebbe fatto? e domani? e Antonio?...
A un tratto una gran luce le attraversò l'anima.
— Egli, egli, verrà!
E l'indomani Antonio, sedendo a tavola dopo recitato il «Benedicite», le fece il solito sorriso tranquillo e bonario, e la vita riprese per tutti la sua immutabile fisionomia.
— Verrà?...
Ogni mattina e ogni sera Adelaide ripeteva a sè stessa questa domanda, con un'inquietudine sempre più viva, mano a mano che il tempo passava. E le giornate sfilavano infatti, uniformemente grigie, ancora più solitarie ora che le sorelle e la Zia tacitamente le avevano dimostrato il desiderio di vederla il meno possibile.
Senza un lavoro, senza un libro, ella stava nella sua cameretta a tramontana colle mani in grembo, oppure lungamente a guardarsi e riguardarsi nello specchio che rifletteva un viso sempre più pallido, ed occhi che in quel pallore sembravano sempre più ansiosi e più cupi. Pregare? Ah no! ella non poteva pregare più! Dieci anni di costrizione avevano fatto di lei quasi una ribelle... era giunta al punto da non poter più sentire la campanella del vicino oratorio senza sussultare di contrarietà e di paura....
Zia Zelinda l'accompagnava ogni mattina alla messa dell'alba; andavano e venivano senza scambiare una parola, ma ella passava il tempo della messa, col viso tra le mani, spiando fra le dita se dietro una colonna, o nella penombra d'un'arcata vedesse luccicare gli occhi e scintillare i denti di Micheluccio. — Verrà?... Verrà??...
Ma i giorni passavano, ed egli non veniva.
Era il maggio; un maggio caldo, pieno di rose, una precoce estate. Nelle lunghe notti tiepide una pioggerella fine cadeva crepitando sulle foglie, e dagli orti saliva l'odore della terra bagnata, e il profumo della madresilva, e la snervante mollezza della primavera. Adelaide non dormiva....
Come tutto era bello, voluttuoso, dolce!
Spesso, quando la casa era immersa nel sonno, ella scendeva scalza dal letto, coi capelli sciolti, le braccia ignude; si gettava sul da vanzale della finestra, protendeva avidamente la testa fra i cespugli di madresilva, ne afferrava qualcuno colle labbra, ne mordeva qualche fiore.... e lungamente aspettava.... sospirava.... piangeva....
Al di là del muro dell'orto, una voce maschia cantava:
Sti silenzi, sta virdura, Sti muntagni, sti vallati L'ha criati la natura Pe' li cori 'nnamorati.
— Lui?....
Ma il viandante si allontanava cantando, e l'eco dei suoi passi svaniva nella notte plenilunare.
In una delle sue veglie alla finestra Adelaide sentì una notte salire dal giardino un lamentìo fioco che pareva quasi d'un piccolo essere umano dolorante.
Tese l'orecchio.... Il lamento si ripeteva più distinto, più supplice.... Scese cautamente le scale, scavalcò il muricciolo dell'orto, guardò fra i cespugli di sempreverdi.
Oh! non era che la gattina, la piccola gattina grigia che durante il giorno faceva le fusa nella cesta da lavoro!... Era diventata mamma per la prima volta e giaceva nel più fitto di un cespuglio coi nati, due neri e due bianchi, cogli occhi chiusi e il pelo arruffato.
— Ah, sei tu, Mommina, sei tu? — disse Adelaide intenerita all'inaspettato spettacolo. — Hai fame? hai sete? Aspetta, poverina; ora vengo colle provviste.
E tornò infatti dopo qualche minuto con una ciotola d'acqua e alcuni pezzi di pane. La gattina bevve avidamente, ma poi guardò Adelaide con diffidenza e miagolando coperse i nati col suo corpo come per difenderli.
Ben presto però Adelaide e Mommina divennero amiche. La gattina aveva trasportato i piccoli ad uno ad uno, prendendoli delicatamente per la pelle del collo, nello stanzone della legna, e Adelaide passava colà gran parte delle sue giornate, accoccolata vicino alle bestiole, accarezzando i piccoli dal pelo irto e dai grandi occhi verdi. E le pareva di non esser più così sola, parlava ai suoi amici come se fossero in grado di comprenderla.
— Mommina, — diceva, — come mi cambierei volontieri con te! Tu hai i tuoi piccoli, la tua ciotola di latte, e non pensi ad altro! Tu sei mamma: io non sarò mai mamma!... Tu sei felice, non è vero? Io non ho nulla, nulla!... La gattina seguiva ansiosa i movimenti del più audace dei suoi nati che tentava i primi passi fuor del giaciglio e gli altri la fissavano coi scintillanti occhi verdi.
— Io non ho nulla, — nulla!... — gattina mia! Sono sola! Nessuno mi vuol bene, nessuno! E tu, almeno tu, mi vuoi bene?
Un giorno parve ad Adelaide d'intravedere nello spiraglio dell'uscio gli occhi beffardi della Zia Zelinda; non ne era ben certa, ma l'indomani, al suo scendere nello stanzone, madre e piccini erano scomparsi.
Adelaide risalì le scale in un baleno, stringendo fra le mani la ciotola dell'acqua che s'infranse in mille pezzi sull'ultimo gradino.
In sala s'imbattè in Don Antonio che stava per uscire per la consueta messa.
— Antonio! — diss'ella con voce soffocata e rauca. — Antonio, sentimi; devo parlarti!
L'agitazione e il pallore del suo volto erano tali, che il prete comprese che non avrebbe potuto sottrarsi.
— Vieni, — diss'egli additando l'uscio del suo studio, dove nella penombra biancheggiava un gran Crocefisso d'avorio.
— No! — gridò ella come una pazza. — No!! Che mi sentano tutte! Voglio che mi sentano!... Io non posso più vivere in questo modo, Antonio!... Voi mi avete aperto la prigione, mi avete ripreso in casa, mi avete fatta una carità, è vero! Ma ora!!!... non mi fate impazzire, non mi fate morire di mille morti!!...
— Ma che cosa ti hanno fatto, Adelaide? — Senti, Antonio, non ridere di me.... Io avevo una gattina.... Sai?... la gattina grigia che aveva fatto quattro gattini.... Io portavo loro da mangiare e da bere ogni mattina.... passavo delle ore a guardarli, ad accarezzarli.... non facevo male a nessuno!... Non ridere di me, Antonio!... pensa che io sono tanto infelice e sola che quella distrazione mi bastava! Pensa che bisogna pure a questo mondo avere qualcheduno.... qualche cosa... a cui attaccarsi.... per non morire!... Ebbene! appena la Zia Zelinda si è accorta di questo mio svago, ha fatto sparire gattina e piccoli.... Ah, mio Dio, mio Dio! che ho mai fatto per meritare tanta perfidia! Tu non sai la mai vita, Antonio, non sai! Tu, sei buono! Ma esse! Esse, mi odiano tutte, e tu non vedi nulla, e tu non vedi nulla!...
E Adelaide afferrò le mani di suo fratello, gli si gettò ai piedi singhiozzando, in un impeto d'esaltazione selvaggia.
Egli la rialzò con forza, la costrinse a seguirlo nel suo studio, chiuse la porta a chiave e si fermò sotto il gran Crocefisso.
Era pallidissimo; aveva anch'egli i grandi occhi di Adelaide che l'agitazione rendeva più ansiosi e più cupi: come si rassomigliavano!
— Calmati, Adelaide; — disse il prete con voce volontariamente ferma, — tu hai voluto tornare a casa e ti ho accontentata. Sei qui... Ti lagni d'aver trovato un'accoglienza fredda? Ma pensa che sei rimasta assente dieci anni, e le tue sorelle si erano abituate a non considerarti più della famiglia.... — Ma io mi accontenterei di far loro da serva, mi accontenterei di aiutar Laura in cucina! Ma io mi faccio piccola piccola, umile umile, cerco di occupare il minor posto possibile, di nascondermi, di scomparire.... E non basta! E non basta!... Che cosa mi hanno fatto, mi domandi? Nulla! Ma è il gelo che sento vicino a me, l'indifferenza che mi respinge, il silenzio che mi si fa intorno.... Ah, tu non sai, Antonio, tu non puoi sapere!
— Senti, Adelaide: forse la colpa è mia. Dovevo prevenirti, aprirti gli occhi, prima di riprenderti con noi. È una verità amara e dolorosa, ma è verità: quando uno si è scelto una via.... come la nostra.... deve seguire quella, capisci?... Ad ogni costo. Meglio pagare con tutta la vita la leggerezza d'un giorno che tornare indietro per divenire mille volte più infelici, più miseri, più spostati di prima.... La nostra, strada, la mia e la tua, Adelaide, non hanno ritorno! Credi tu di essere la sola a soffrire, la sola a rimpiangere?... — Ma Don Antonio s'interruppe vivamente, scrutò il volto di sua sorella col terrore ch'ella avesse indovinato il non espresso pensiero. — Senti, Adelaide; calmati: sii buona. Cerca di farti compatire e di compatire. Le tue sorelle hanno un ottimo cuore. Prega; prega con devozione e con fede...
— Non ho più fede, non ho più fede, Antonio! Non sento che rancore e dolore! Ti giurc che qualche volta penso di non esser più degna di comunicarmi.... temo di essere dannata... temo.... — No! no! no! — oppose impetuosamente il prete tremando di intravedere nell'animo della sorella una ferita troppo profonda, un incolmabile abisso. — No! Non esagerare, Adelaide! Bisogna un po' imporsi la devozione, la fede; molto dipende anche dalla volontà! Tu ti sei un po' disgustata dalla preghiera, ma vedrai che il tuo cuore vi ricorrerà spontaneamente se cercherai di essere più buona....
Tutta l'esaltazione di Adelaide era caduta alle parole affettuose del fratello. Ora gli stava davanti umile e timida.
— Hai ragione, Antonio.... Cercherò di essere più buona.... Ma non potresti tu aiutarmi, sollevarmi dalla mia miseria, darmi un'occupazione, un lavoro? Esse non mi permettono di far nulla.... passo le mie giornate in un ozio che mi esaurisce.... Perchè non mi permetteresti di guadagnarmi da vivere? Conosco abbastanza bene la musica per dar lezioni.... se tu permettessi....
Antonio allargò le braccia e scosse la testa in segno di diniego.
— Impossibile, Adelaide, impossibile!
— Perchè?
— Perchè....perchè direbbero che vogliamo farti lavorare per sottrarci al peso del tuo mantenimento....
Egli non volle dire: — Perchè non mi fido di te, perchè non voglio lasciarti andar sola di casa in casa, esposta agli scherzi e ai tentativi degli sfaccendati.
— E un uomo come te si preoccupa di quello che dice il mondo? — Insomma, Adelaide, non insistere, ti prego: non posso!
— Ti supplico, ti scongiuro, permettimi di dar lezioni, permettimi di lavorare!
— È tardi; — rispose il prete avviandosi verso l'uscio; — dovrei già essere alla chiesa. Sii ragionevole....
— Non mi lascerai senza prima avermi promesso! — gemette ella. — Sii buono, Antonio; in nome di nostra madre, abbi pietà!... Non lasciarmi così!
Gli sbarrò il passo livida, senza lagrime, tremando in tutto il corpo.
— Promettimi, promettimi!
Si era gettata ai suoi piedi, gli abbracciava i ginocchi, le sue mani brancolando avevano afferrata la tonaca.
Il prete fece una mossa brusca per liberarsi.
— Promettimi! — insistette ancora Adelaide aggrappandosi a lui sempre più forte. E all'improvviso le mani di lei lo lasciarono, ed ella cadde riversa, il corpo teso come un arco, la bava alla bocca, e gli occhi stralunati di cui non si vedeva che il bianco. L'accesso durò pochi istanti.
Don Antonio sentì che non bisognava chiamare nessuno. La donna si placava a poco a poco: i denti si disserravano; i fremiti si facevano più radi; lente lagrime cominciavano a rigarle il volto.
Ella si rizzò a sedere; con occhio attonito e torbido si guardò intorno. Il fratello piegato su di lei le asciugava il pianto. — Perdonami....- e con passo barcollante, come ubbriaca, ella raggiunse la porta, uscì, e lo lasciò solo sotto il Crocefisso.
Le notti dopo, Adelaide, non potendo dormire, era discesa ancora nell' orto, scalza e a capo nudo, strisciando fra i cespugli e guardandosi sospettosa d'intorno per tema d'esser scoperta dalle sorelle.
S'era seduta sul muricciolo basso che divideva l'orto dalla strada, fra i vilucchi di madresilva e di convolvoli: nell'ombra.
Quante ore passavano così?
La solita voce, al di là del muro, nella strada ripida, cantava:
Sti silenzi, sta virdura, Sti muntagni, sti vallati L'ha criati la natura Pe' li cori 'nnamorati....
e nel silenzio notturno la bella voce maschia assumeva un tono più dolce.
Un passo risonava, lento e tranquillo.
Una notte il viandante rallentò il cammino, proprio sotto ad Adelaide, e sfregò sul muro un zolfanello per accendersi la pipa.
Adelaide guardò, sporgendo impetuosamente il capo.
L'uomo alzò gli occhi e vedendo biancheggiar qualche cosa fra il verde si arrestò. I due si fissarono.
L'uomo aveva un largo cappello di feltro scuro; la pipa accesa gli scintillava fra le labbra.
Adelaide si ritrasse fra i cespugli rabbrividendo nella sua nudità, l'uomo riprese a camminare, lentissimamente, voltandosi ad ogni passo. Quando fu alla cantonata, risostò.
Pareva incerto se continuare la strada o tor nare indietro; infine, non vedendo più nulla, ripigliò la canzone e si allontanò.
....La notte dopo, alla stessa ora, ella era an cora là....e lo sconosciuto passava senza can tare.... e ripassava lento.... e si fermava ad accendere la pipa.... e i due si fissavano....
L'uomo sorrideva ad Adelaide, ed ella attaccava su di lui i suoi strani occhi d'allucinata.
Chi era? che voleva?
Nella sua mente malata, sconvolta, turbata dalle insonnie, le imagini si confondevano, torbidamente: era Micheluccio? era un altro? era l'uomo per cui bambina aveva pianto tanto e fatto getto della libertà?...
Tutti l'avevano fatta soffrire, e costui le sorrideva....
Un venticello caldo, passava, lieve come una carezza, sui cespugli.... l'aria era solcata di profumi.... Quelle notti lunghe, molli, palpitanti di stelle, come la lasciavano stanca, come le facevano male!....
....Come fu che una volta l'uomo scavalcò il muricciolo basso.... le sussurrò all'orecchio parole di fuoco.... la strinse brutalmente fra le braccia.... la portò di peso nell'ombra più fitta... senza ch'ella movesse un grido.... senza un gesto di difesa.... travolta dall'istinto selvaggio che pareggia gli umani alle fiere?
Per quante notti lo aspettò ella senza che colui mai più ritornasse?
Zia Zelinda annunciò alle nipoti, con gesti di meraviglia e d'orrore, che Adelaide non voleva più assistere alla messa quotidiana, e che aveva voltato il ritratto della sua povera mamma, che stava sopra il suo letto, colla faccia verso il muro, per non vederlo.
Era la fiera di Sant'Anna del Monte.
La chiesa era tutta piena di palme e di ceri, e nelle strade e nelle case ferveva un'insolita vita.
Si ripristinava in quell'anno con gran pompa la processione solenne che da cinque anni era stata sospesa.
Dodici ragazze del paese, scelte fra le più virtuose, tutte vestite di bianco, dovevano portare su e giù per la borgata la Santa dal manto di damasco violetto, seguite da dodici bimbi in cámice azzurro colle ali di carta dorata e una coroncina di gigli in testa: dietro a questi i cantori, poi le figlie di Maria, le madri cristiane, le Confraternite di San Rocco e di Santa Marta.
Prometteva d'essere una processione magnifica, di cui si avrebbe parlato per un gran pezzo.
Intanto le piccole bizze, le invidiuzze, i pettegolezzi, infierivano.
Nella canonica era un andirivieni continuo di malcontenti.
— Perchè avevano scelte due sorelle, Rosa e Giovanna?
— Perchè avevano fatto angioletto il bimbo della merciaia che era un po' zoppo, anzichè quello del portalettere, un cherubino di bellezza?
— Come mai Concetta Carbone, di cui c'era stato molto a ridire tempo addietro, era stata messa fra le verginelle a portare la Santa, accanto alle più onorate ragazze del paese?
— Ingiustizie! Parzialità!!
A tutte queste recriminazioni Don Giocondo, l'arciprete, opponeva una calma evangelica.
Ma nella sua vecchia mente, non priva d'arguzia, un dubbio balenava, inespresso: — E questo si chiama onorar Dio? Vanitas vanitatum!!
Tutte le case del paese erano addobbate a festa. Era uno sventolio gaio di drappi gialli, rossi, fiorati, che si gonfiavano al vento.
Zia Zelinda aveva tratto da una vecchia cassapanca certi sbiaditi arazzi — ch'erano belli veramente — e che tutti passando guardavano con deferenza come ad una gloria paesana.
— Poche famiglie di città potrebbero esporre arazzi come quelli di casa Castori! — aveva sentenziato Dorotea sedendosi a tavola, ed aveva detto: Casa Castori, coll'istesso tono con cui avrebbe potuto dire: Casa Hohenzollern.
— Sarà una giornata memorabile!
— Il tempo è splendido! quanta gente!
— Alle Tre Spade non c'è più un posto libero...
— Avete visto il Sindaco Barrai colla moglie e la figliola?
— Sì?... c'è anche il segretario comunale, e Micheluccio Mastella colla sua fidanzata.
Le tre donne guardarono di sfuggita Adelaide che non chinò gli occhi nè arrossì.
Che le importava ormai? che cosa le importava di nulla, di nulla al mondo?
Era indifferente a tutto e a tutti.... Era ridotta l'ombra di sè stessa, tutta occhi e bocca, uno spettro....
Seppure Micheluccio fosse venuto, e le avesse detto: — Eccomi, sono qui, sono venuto per te, per liberarti, per condurti via! — ella non avrebbe più avuto la forza di sorridere, nè di fare un passo.
Troppo tardi! troppo tardi!
Dopo colazione le sorelle, la zia, la vecchia Laura, uscirono agghindate cogli abiti delle feste. Don Antonio era già assente dal mattino, ospite di Don Giocondo alla canonica.
Adelaide rimase sola in casa a custodire l'infermo. Era una giornata caldissima. Nella penombra afosa del tinelletto le mosche ronzavano incessantemente posandosi sulle mani gonfie e gialle del paralitico che impossente a scacciarle esprimeva il suo tedio con un mugolio lamentevole.
Adelaide pazientemente scacciava le importune con un ramoscello frondoso, ma esse tornavano senza tregua a posarsi sulle mani e sul volto del vecchio.
Così passò un'ora. Infine l'infermo si addormentò. Adelaide rimase immobile, rannicchiata nella gran poltrona della Zia Zelinda, e lo guardò.
Dalla bocca sdentata un rivoletto di bava scendeva a intridere la cravatta e le mani, la testa ciondolava miseramente da un lato come una cosa morta....
Ella e lui.... l'una di fronte all'altro.... Non erano essi due destini che si rassomigliavano? Non ancora morti, ma così poco, così miseramente viventi?
Era vita quella?... Valeva la pena di viverla?....
Dalle finestre aperte salivano a ondate i canti religiosi, flutti d'incenso.... La processione passava davanti a casa Castori.... Ecco la maestra Gabetti vestita di verde pisello, e la moglie del farmacista gocciolante di sudore.... Ecco Ermelinda Barrai bionda bionda sotto il velo... e Micheluccio Mastella con un cero in mano... Tutti alzavano gli occhi a guardare gli arazzi....
Adelaide si mosse e traversò lentamente la sala. Entrò nello studio di Don Antonio, s'inginocchiò sotto il gran Crocefisso d'avorio che nella penombra pareva quasi livido.
Sentiva dentro di sè una gran pace. Le speranze, i terrori, i rancori, si acquetavano come se qualche cosa su di lei fosse passato, di più grave e più forte.
Dopo qualche minuto riattraversò la sala, si accertò in punta dei piedi che il padrigno dormisse: dormiva sempre.
Allora, sempre lentamente, senza affrettarsi, passò in cucina, riempì un gran braciere di carbone, pazientemente lo accese, soffiando, e facendo volar qua e là le faville. Quando il carbone fu acceso, portò il braciere nella sua stanza e vi si rinchiuse.
Trasse dall'armadio la cravatta celeste, accuratamente avvolta nella carta velina; la spiegò, la cinse, ne rifece il nodo due volte con grande attenzione, si ravviò i capelli, si guardò nello specchio, rivolse a sè il ritratto di sua madre.... si stese sul letto....
— ....Che pace! che pace! non più soffrire! non più pensare!... dormire finalmente!...
La stanzetta si popolò di ombre.
— ....O mamma, guardami almeno morire!
Ma per una crudele ironia, erano proprio gli esseri che ella aveva voluto fuggire quelli che tornavano intorno al suo letto e si curvavano pietosamente su di lei nell'ultima ora della sua vita.
....Ecco Suor Paolina con così chiari occhi tranquilli, e Suor Maria olivastra e irrequieta, e Suor Agnese dalla voce tanto dolce, e la Superiora armata di lunghe forbici da fiori....
....Ecco il corridoio lungo lungo, bianco bianco, silenzioso; e la lampada votiva, e ïl giardinetto dai fiori pallidi e le siepi di bosso.... Quiete.... simmetria.... immobilità....
....E tutto svanisce! tutto svanisce!...
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dorotea, Alice, Zelinda e Laura, rientrarono tardi dopo il tramonto.
Tutte e quattro erano stanche, accaldate, e avevano fame.
Alice portava infilato sul braccio un lungo rosario di ciambelle.
L'infermo, spaventato dalla solitudine, guaiva dispettosamente.
— Dove sarà andata quell'altra? — chiese Dorotea con asprezza slacciando i nastri della mantellina.
Zia Zelinda traversò la sala in punta dei piedi, arrivò all'uscio della stanza d'Adelaide, vigilò coll'orecchio, infine girò la maniglia cautamente, annunciandosi con un colpo di tosse.
L'uscio resistette.
— Adelaide! che fai?... ti sei chiusa di dentro? Adelaide!
Sopragiunse Alice.
— Adelaide! Dormi?
— Adelaide!...
— Adelaide!...
Le due donne si dettero a urtare e a spingere l'uscio. — Ma Adelaide?!!... rispondi!
— Si può essere più ridicoli di così?... Adelaide! Adelaide!...
Ad una nuova violenta spinta il debole uscio cedette.
— Adelaide! Adelaide?!!!... Ah!... Dorotea! Laura! Antonio!... Aiuto!! Aiuto!!...
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La casa si riempì di grida.
FINE.