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in cámice azzurro colle ali di carta dorata e una coroncina di gigli in testa: dietro a questi i cantori, poi le figlie di Maria, le madri cristiane, le Confraternite di San Rocco e di Santa Marta.
Prometteva d'essere una processione magnifica, di cui si avrebbe parlato per un gran pezzo.
Intanto le piccole bizze, le invidiuzze, i pettegolezzi, infierivano.
Nella canonica era un andirivieni continuo di malcontenti.
— Perchè avevano scelte due sorelle, Rosa e Giovanna?
— Perchè avevano fatto angioletto il bimbo della merciaia che era un po' zoppo, anzichè quello del portalettere, un cherubino di bellezza?
— Come mai Concetta Carbone, di cui c'era stato molto a ridire tempo addietro, era stata messa fra le verginelle a portare la Santa, accanto alle più onorate ragazze del paese?
— Ingiustizie! Parzialità!!
A tutte queste recriminazioni Don Giocondo, l'arciprete, opponeva una calma evangelica.
Ma nella sua vecchia mente, non priva d'arguzia, un dubbio balenava, inespresso: — E questo si chiama onorar Dio? Vanitas vanitatum!!
Tutte le case del paese erano addobbate a festa. Era uno sventolio gaio di drappi gialli, rossi, fiorati, che si gonfiavano al vento.
Zia Zelinda aveva tratto da una vecchia cassapanca certi sbiaditi arazzi — ch'erano belli