La Donna e i suoi rapporti sociali/La donna e l'opinione
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LA DONNA E L’OPINIONE
«Anima che per biasmo si dibassa
O per lode s’innalza è debil canna
Cui move a scherzo il venticel che passa»
Molti e molti parlarono della donna, i quali anche pretesero parlarne seriamente, ma io non istinto che il difficile problema ch’ella presenta, all’uomo, alla famiglia, alla Società, svolto sì dottamente e finamente da tanti, in epoche diverse, e svariate località, abbia tutti interi raccolti i dati onde completi ne risultino i criteri; oserei anzi asserire, che niun scrittore forse trovossi, panni, fin qui che, se uomo, sapesse appieno dimenticar le passioni, se donna, gl’interessi, onde sarei per dire desiderabile cosa nell’ardua tesi un criterio neutro affatto che, non punto interessato ad esagerare i vizii o i pregi del sesso femminile, nè a coprirli, ce ne desse la pittura imparziale e con essa i dati e gli estremi ove basare un solido raziocinio, a derivarne poi analoghe ed assennate le istituzioni che debbono moderarne le condizioni e gl’interessi. Dissi vizii o pregi, se pur tali possono esattamente chiamarsi le attribuzioni, o meglio, i naturali elementi, costituenti in un complesso logico, ed omogeneo, una natura ordinata ad un dato scopo, elementi tutti concomitanti e necessari i a far della donna un essere essenzialmente distinto dall’uomo, ed in pari tempo destinato a vivergli a fianco sempre utile e necessario, a somministrargli i proprii mezzi arricchendolo così d’un’altra potenza senza sommarsi con lui, identificarsi nelle sue viste e ne’ suoi interessi per modo da essergli un'alter ego senza cessare d’esser da lui distintissimo a perpetuare quella simpatica attrazione, che distingue i rapporti dell’uomo colla donna e li fa così soavi sopra ogni altro vincolo sociale, e che sparirebbero in una completa fusione.
G. G. Rousseau considerò la donna in natura; Balzac ne disse dal punto di vista degli interessi virili; La Bruyére l’assoggettò a fina analisi senza che da questa si curasse poi derivarne riforma alcuna in lei od attorno a lei; Mad. Neker non la vide che dal punto di vista di istituzioni locali, facenti spesso a pugni colla vera natura degli esseri e delle cose. Nessuno, fra tanti, studiò di proposito l’influenza delle istituzioni sul suo carattere e sulle sue condizioni (1).
Tutti i poeti, dai grandi ai piccoli, dagli immortali ai pria morti che nati, la cantarono in ogni tono, e in ogni metro, vedendola ora colle traveggole del delirio amoroso, ora coi lividi occhiali dell’orgoglio e dell’odio per affetti incorrisposti od incompresi. Tutte le filosofie, tutti i sistemi se ne occuparono e tutti i legislatori. E chi pretese esser ella la pura e semplice femmina dell’uomo, e non dover egli perciò conservarla che nei soli interessi della generazione, deplorando di non poter precorrere il tempo del suo sviluppo e non disfarsene dappoi. Altri considerando invece che la donna non è atta alla generazione che in una fasi relativamente avvanzata della sua vita, e vedendola sopravvivere tanto tempo al disimpegno delle materne cure ne derivarono, non fosse con quelle la sua missione esaurita, e pensarono potesse nelle cose del mondo portare la sua influenza, ed intervenire siccome essere intelligente e volitivo, potente, di mezzi proprii. Di qui la gelosa insistenza di tutte le leggi sovente ad impedirete sempre a sfavorire implicitamente sì, ma non meno potentemente, il sapere ed i mezzi del sapere alla donna.
Molti scrittori capirono il programma di convenienza del sesso virile, raccolsero al volo la segreta parola, e maestri dalle cattedre, oratori dai pergami, giudici dal tribunale dell’opinione, ganimedi dagli eleganti e voluttuosi gabinetti, padri con affettuosi sermoni, predicarono quotidianamente alla donna non convenirle la scienza.
Tu non sei capace di lunghi e severi studii, le disse lo scienziato, e le dimostrava, come due e due fanno quattro, che la conformazione del suo cervello, la delicatezza de’ suoi tessuti, la debolezza della sua fibra, la moltiplicità de’ suoi bisogni, la dimostrano irrecusabilmente non nata alla scienza; ed ella si volse alla Teologia. Non ti è lecito, rispose questa, sta contro te l’opinione della sacra serie dei più illustri padri della Chiesa, cominciando da S. Paolo fino al sacrosanto Concilio Tridentino. D’altronde, qual bisogno hai tu di sapere? Credi ciò ch’io ti dico, e basta; la debolezza della tua mente non s’attenti di fissar lo sguardo nelle sacre cose; astienti anzi del tutto anche dalle profane et non plus sapere quam oportet. Ed ella si volse all’opinione. Questa, simile alla liquida massa dell’Oceano, ora spinge i suoi flutti come adamantini proiettili sino al Cielo, ora li preme fino all’abisso; fluttuante sempre, è determinata dai più, ed è sempre indipendente da ogni pressione che non sia numero. Le sue risposte sono categoriche; ella non si crede in dovere di motivare, non si dà pena di far analisi, di stabilir confronti, non si cura di premesse, non pensa a conseguenze, ed ella rispose alla donna, non voglio, non mi piace. Ed ella si volse a chi l’amava, ed egli le rispose: Cornei Tu dunque disconosci tanto i vezzi di che ti fornì natura da voler andar in cerca d’altri meno attraenti; lascia ad una bocca meno piccola della tua la difficile articolazione di barbari paroloni, e non voler annuvolare il liscio marmo della tua fronte colle rughe dei calcoli, nè voler perdere il tuo celeste sorriso fra le gravi meditazioni, nè impallidir le rose del viso fra le veglie prolungate. Natura t’informò con tale studio, e di tal predilezione ti amò, che fece in te pregio l’ignoranza, e tu tutto sai, nulla sapendo. Era quasi convinta, pur s’attentò a scartabellar qualche volume della paterna biblioteca; ed ecco radunarsi a grave consiglio la famiglia ed il suo capo decidere che, consultata la religione, il costume e l’opinione, che esser debbono e sono, con ragione o senza, i tre padroni assoluti sotto i quali la donna, stupida od intelligente, volente o non volente, deve piegare la testa; tutti ad unanimità decisero che la donna, se povera all’ago, se ricca all’ozio, passi la vita, ed altro scopo alla sua esistenza non cerchi oltre quello della femmina; che se poi s’annoiasse, libero a lei di sbadigliare a tutto suo agio. Esclusa dal sapere, la donna, rimaneva esclusa eziandio dal potere; ed eccola ridotta a passività assoluta, cosa e non essere, di maggiore o minor valore relativo, di nessun valore intrinseco, orba d’ogni coscienza di sè, ch’è la prima ragione d’ogni forza.
Sostituitosi, collo stabilimento del cristianesimo, il regno della intelligenza a quello della forza bruta, la donna divenne strumento tuttora vitale e poderoso alla politica sacerdotale.
I religiosi terrori, certi affetti artificiali, specie di aberrazioni, di sovreccitazioni nervose, ibride creazioni del misticismo, furono allora poste in opera dai ministri di religione per averla piedi e mani legate, cieco e docile strumento ad ogni esorbitanza. E, per mezzo suo. Stati e famiglie poste a soqquadro, fatalmente compromessi e scalzati dalle radici rimangono nella storia a documento imperituro del quanto siano funeste la ignoranza e la morale passività nella donna.
E sgraziatamente eravamo al punto in cui questa ignoranza e passività, non più un puro fatto era, ma era sistema. L’uomo avea riescito a convincerla non esserle lecito formare il minimo criterio, nè possibile formarne alcuno assennato, in base a che, avea ella abbandonato ogni studio siccome a lei improba quanto vana fatica; e questa estrema risultanza dello egoismo d’un sesso e dell’ignoranza dell’altro, diveniva alfine la pubblica opinione, assicurando al primo un tranquillo dominio.
Ma ecco ai nostri tempi sorgere col programma di tutte le possibili libertà anche alla donna un’êra novella, ed in mezzo ad assennate e serie riforme affacciarsi le umoristiche esorbitanze inseparabili da ogni epoca di transizione; e tornar in campo, sublime per idealismo siccome venerata per vetustà di concetto, la repubblica platoniana. Ed ecco che, mentre l’orientalismo proclama la donna puro stromento di piacere, il cattolicismo la vuole serva rispettata, la cavalleria scopo delle imprese e premio dei tornei, la teologia, come il vasaio colla sua creta, ne fa vasi d’onore o d’obbrobrio (2), la poesia il bersaglio a tutte le sue esagerazioni, il nostro secolo un’addizione al sesso virile; che fa la donna? La donna, siccome un attore che si orna per la scena, deve chiedersi ogni giorno qual commedia si rappresenti e davanti a qual pubblico, per sapere qual più le s’addica di tutti i costumi di che si vorrebbe coperta. Nessuna lusinga per lei d’uscirne coll’unanime aggradimento. Condannata ad esser relativa ai tempi, ai costumi, ai luoghi, agli individui, curva sotto il ponderoso fardello dei pregiudizii sociali, portando sola, la pena della licenza e degli errori dell’altro sesso, è, e sarà, finché non si desti alla coscienza di sé, il paria fra gli esseri viventi.
Ma ecco il tempo di domandarci la ragione di sì svariati giudizii sulla donna, mentre i rapporti, che la accostano all’uomo, sono semplici, sono costanti. Il senno e la buona fede, che alcuni scrittori usarono scrivendo di lei, pare avrebbero dovuto condurli a conclusioni più assennate e meno ingenerose. Ciò accusa una viziatura di sistema forse più che non passione di dominio o gelosia di proprietà: ed il secolo, che aspira al conquisto d’ogni ragionevole libertà, non troverà esorbitante che la donna cerchi e studii il modo per dove iniziare la propria.
Secondo me, la ragione per cui le condizioni della donna non poterono fin qui migliorare si è perchè ella non fu fin qui considerata dagli uomini, nè si considera ella stessa, se non in base e dal punto di vista di costumi e di istituzioni ben lungi dall’essere logiche e filosofiche, i quali formano poi una viziata opinione, sotto la cui prepotenza la donna, non so se più infelice o demoralizzata, è ben d’uopo curvi la testa. Ogni autore le mena quindi addosso colpi da orbo, niuno toccando la vera piaga, niuno scoprendo l’origine vera del male, e niuno raggiungendo necessariamente di tanti scritti, ai quali fu ed è scopo ed argomento, un concreto miglioramento delle condizioni del suo sesso.
Ai tempi che volgono, parmi debbano alquanto modificarsi le esorbitanti opinioni, che in tutti i secoli e da tutti gli autori portaronsi sulla donna. Finché questa, dalle masse e dagli individui, e dalle leggi e dalla teologia, era considerata siccome cosa di relativo valore, ed ella, oppressa, epperciò ignorante, accreditava colla passività del suo spirito siffatto giudizio, quelle opinioni, per quanto ingenerose, potevano tollerarsi, siccome un divoto uditorio, costretto al silenzio per riverenza del tempio, sente chiamarsi empio, peccatore e scellerato dal sacro oratore, senza punto protestare o scomporsi a tanta contumelia. Ma, la Dio grazie, ciò che esiste, alla perfine si fa sentire; e l’azione persistente del cristianesimo abborrente da ogni oppressione, e i poderosi conati della filosofia pella diffusione della sapienza, evocando alla coscienza di sé ogni essere intelligente, chiamarono la donna al sentimento dei proprii mezzi e dei proprii diritti; ed il pubblico criterio, compiendo ogni giorno una nuova evoluzione, ammette in oggi ciò che ieri niegava, e troverà domani logico ed equo, ciò che oggi gli apparve esorbitante. Tale è la legge fatale del progresso, legge che non mai tanto apparve come a dì nostri per la portentosa facilità delle comunicazioni, ed il generale sviluppo della vigente generazione sensibile, operosa e concitata.
Questo fatto luminoso e costante ci dà il diritto di sperare, che la legislazione, che ancora non s’è accordata colla coscienza universale e, rispettivamente alla donna, si risente ancora di quel selvaggio vae victis che insanguinava gli antichi codici, non tarderà a porsi meglio d’accordo collo spirito dei tempi e colle esigenze della giustizia.
Dietro questo fatto gigante ed innegabile, imbevuta dalle idee del mio tempo, io non posso venir d’accordo con madama Neker che, nel suo trattato d’Educazione, vuole la donna assolutamente passiva, e peggio con Già Giacomo Rousseau, che la vuole affatto relativa; chè e l’uno e l’altro di questi sistemi esprimono implicitamente la formola, che esplicitamente proclamano i codici degli Stati Unionisti, che tuttora conservano la schiavitù, cioè «la legge si propone l’interesse del padrone, non tenendo conto alcuno del benessere dello schiavo.» Massima che ogni spirito filosofico ripugna, ogni coscienza rivolta ed a tempi illuminati più non si conviene. Che se egli è vero che «le leggi tolgono spesso la origine, e sempre la modalità e le pavenze dalla pubblica opinione, la quale anzi generalmente le pronostica: e che, per essere buone, debbono corrispondere al grado intellettivo e morale raggiunto da un popolo, e consonare col politico. reggimento, ormeggiando il bene ed il male, le virtù ed i vizii, in una parola, i bisogni del popolo» (3) non tarderemo certo a conseguire una sensibilissima riforma e miglioramento nella nostra legislazione per quanto spetta la donna, che, schiava ancora in faccia a quella e colpita di nullità, è nella pubblica coscienza salita a somma importanza; importanza che non le è già dalla cavalleresca cortesia dell’uomo, nè dal suo passeggiero capriccio impartita, come in altri tempi, ma da lei conquistata col suo intellettuale sviluppo, col suo benefico intervento nelle cose sociali, coll’ardente ed attivo interesse alle patrie vicende, e poderosamente reclamata dalla voce della giustizia che va ogni dì sostituendosi su maggior terreno alla bruta forza.
Ora, tenuto calcolo di tutto ciò, l’autrice va seco stessa interrogandosi se in faccia alla maggior importanza della donna, ai nuovi destini che l’attendono, alla più lata istruzione che le si imparte, sia tuttora logica, possibile e conveniente l’educazione che i due, sopracitati autori vorrebbero darle (e con essi dal più al meno tutti quelli che di lei scrissero e s’occuparono) educazione che, riassunta in poche parole, tende ad annichilarne la ragione, spogliarla d’ogni forza volitiva, deprimerne le più innocenti passioni, attutirne il sentimento colla sferza di mille doveri, che non son tali per lei che per l’altrui gusto ed interesse, incatenarne la intelligenza, circoscriverne e falsarne il criterio coll’autorità del pregiudizio, ristringerne nel più angusto spazio possibile ogni esterna manifestazione, ridurla in una parola al sicut cadaver, famoso trovato del Gesuitismo.
D’altronde l’opera della educazione per sè stessa faticosissima, improba e penosa diviene allo educatore ed allo educato, quand’ella si prefigga di lottare per così dire, corpo a corpo colla natura, combatterla palmo a palmo, volerla attiva là dov’è passiva, volerla ottusa là dov’è aperta, volerle innestare dei sentimenti impossibili sugli innati: tutto ciò, dico, è come volere che il quadrupede divenga volatile, che il rettile si faccia pesce! Quando l’impresa non fosse assurda ed impossibile, noi non ne avremmo che un mondo ibrido e mostruoso.
È cômpito della educazione lo incivilimento della specie e non la sua trasformazione come non è intenzione dell’orticulture metamorfosare, verbigrazia, la fragola nella lampuna, ma sì bene modificando nell’una e nell’altra la nativa asprezza ed angolosità, ingentilirne il sapore, svilupparne le forme, onde al palato ed alla vista più gradito sia il frutto ed ammirevole.
Laonde l’educazione, a conseguire il suo scopo, deve conoscere la natura affidatale, investigarne l’intimo valore, il modo d’esistenza e di manifestazione, studiare la natura degli esseri e delle cose che nell’attualità e nel futuro, hanno ed avranno con lei dei rapporti, e questa legge dei rapporti che è la sintesi del viver sociale, vuol’essere non tanto determinata da una serie di atti esterni più o meno convenienti a chi li produce, e gradevoli a chi li vede (il che ridurebbe la educazione a pulire e lisciare la superficie nostra onde non essere ad altrui inamabili, con immane fatica dello spirito che deve alla materia assiduamente imporre atti, dalli interni sensi discordanti, ed a penosa continua menzogna dannarla), ma questa legge, sulla quale s’incardina e s’imperna la scienza della vita, deve lo spirito dello educato informare così, che gli divenga come la pietra del paragone a trovare in ogni più intricato caso il miglior partito, a giudicar sanamente degli uomini e delle cose trovando le convenienze loro, a portare in ogni suo procedimento quella franca ed amabile lealtà che risulta dalla concordia dell’atto e della parola, di questa e di quella colla niente e col cuore.
Ora, se questi principii furono sempre più o meno applicati dall’educazione impartitosi all’uomo, non fu del pari trattata la donna, per la quale ogni rapporto sociale veniva caricato, o moderato, non secondo norma di ragione, ma di pregiudizio e negatole per soprappiù veniva ogni sentimento di sè, siccome relativa affatto ch’ella era ai criterii, ai gusti, alli interessi di chi le stava con qualche diritto d’attorno.
Ma in mezzo al secolo che si è prefisso a generoso cômpito la caduta d’ogni despotismo e l’associazione di tutte le forze morali, materiali, intellettive alla costruzione del sociale edificio, mi è ben lecito ed anzi doveroso il pensare altrimenti, e l’invocare una seria modificazione di un sistema riconosciuto ingiusto, divenuto impossibile.
Fiduciosa nel sentimento di giustizia sì poderosamente sviluppatosi nel nostro secolo, profondamente credente nei destini dell’umanità, nella saviezza dei legislatori, nel progresso dello spirito umano, che niuna diga od argine riesci ad arrestare nel rapido e fatale suo corso, abbiano essi nome pregiudizio, interessi, od oscurantismo, noi aspettiamo nella perfetta calma della convinzione quell’avvenire, che non è lontano, nel quale le riforme invocate passeranno dallo stato di aspirazione nel dominio dei fatti. Frattanto nostro cômpito per ora si è, cercare per la donna un modo d’educaziohe che sia in miglior accordo dei suoi destini e della pubblica stima, che la provveda d’una miglior norma di criterio che quella non sia dell’opinione, che dandole la coscienza di sè e l’appreziazione de’ suoi mezzi, la risollevi ai propri occhi e la spinga a cercar oltre le corporali attrattative la fama e la gloria, che ridonandola al sentimento del suo intrinseco valore, non la faccia eccedere nello accarezzare l’altrui gusto a spese della propria dignità e convenienza, che ponendo alla sua portata le arti ed il sapere, la tolga al vergognoso sciupinio che ora fa del suo tempo; che se questo sciopero è conseguente all’attuale sua educazione, come essendo di niun valore il tempo di chi nulla può produrre di serio, non lo sarebbe già quando convinta fosse d’aversi non diritto soltanto, ma eziandio dovere, di sviluppare ed applicare quelle facoltà che natura le impartiva, non a scialo di ricchezza produttiva, ma a fine provvidenziale diretta.
Ed in vero, a chi credesse tuttora, che la donna altro fine all’esistenza sua cercar non debba, oltre quella della femmina, la natura eloquentemente risponde mostrandogli in lei facoltà, che sotto ogni aspetto eccedono gli uffici materni, e che in lei sopravvivono all’età destinata a cotali uffici, e sempre più si dilatano e si fortificano, il che la prova vocata a progredire.
Che se talune educate al culto dell’opinione giusta od erronea ch’ella sia, si ritraggono dalle gravi occupazioni, per tema che le grazie vi facciano naufragio, o perchè tanto scredito si raccolse sulla, coltura femminile, o per un falso giudizio invalso sulla pochezza della femminile capacità, ripeterò qui ciò che su tale argomento scrive La Bruyère ne’ suoi Caratteri «Pour quoi, dice’egli, s’en prendre aux hommes si les femmes ne sont pas savantes? par quelles lois, par quels edits, par quels rescrits leur a-t on défendu d’ouvrir les yeux et de lire, et de retenir ce qu’ elles ont lû et d’en rendre compte dans leurs conversa«tions et dans leus ouvrages? Ne se sont elles pas au contraire établies dans cet usage de ne rien savoir, ou par la faiblesse de leur compléxion, ou par le soin de leur beautè, ou par une certame légereté qui les empêche de suivre une longue étude, ou par les distractions que donnent les details d’un domestique, ou par un éloignement naturel des choses pénibles et sérieues, ou par une curiosité toute differente de celle qui contente l’esprit, ou par un tout’autre gout que celui d’éxercer leur mémoire? Mais a quelque cause que les hommes puissent devoir cette ignorarne des femmes, ils sont heureux, que les femmes qui les dominent d’ailleurs par tant d’entroits aient sur eux cet avantage de moins.»
Chi non vedesse qui, che tutte le cause alle quali La Bruyère suppone doversi l’ignoranza della donna e la sua frivolezza, a non altro attribuir si debbono che all’educazione che le si dà, ad un falso criterio che le si forma, legga quest’altre che le seguono, nelle quali l’Autore, dopo avere asserito non essere la Donna saccente che un oggetto curioso, ma affatto fuori d’uso, distinguendo dal pedantismo la vera sapienza soggiunge: «Si la Science et la sagesse se trouvent unies en un même sujét, je ne m’informe plus du sexe, j’admire: et si vous me dites, qu’ une femme sage ne songe guère à devenir savante, ou qu’une femme savante n’est guère sage, vous avez dejà oublié ce qui vous venez de lire, que les femmes ne sont detoumées des Sciences que par de certains défauts. Concluez donc vous mème, que moins elles auraient de ces défauts, plus elles seraient sages, et qu'ainsi une femme sage rien serait que plus propre à devenir sanante, ou qu'une femme savante, n’etant telle, que pance qu’elle a reussi a vaincre beaucoup de défauts nen est que plus sage».
Ora, questi concetti nati sotto la penna d’un uomo che, avendo battuto inesorabilmente coll’arma severa ed acre del ridicolo i difetti femminili, non può certo sospettarsi di galanteria, ci dicono che la donna, che in diversi aspetti supera l’uomo, gli cede in questo, per mollezza di volontà, che per lo più non sa vincere, per una leggierezza di tendenze, che non sa domare, per una certa atonia dello spirito che la fa schifa d’ogni tensione. Ecco i capi d’accusa che La Bruyère porta contro la natura femminile; ma a torto io credo sulla sua natura, e piuttosto sul sistema d’educazione che le fu sempre applicato, per cui gli uomini che «sont heureux que les femmes qui les doc minent par tant d’endroits aient sur eux cet avantage de moins,» cambieranno, lo spero, con rassegnazione, questa felicità, con quella d’aversi nella donna, anche dal lato dello spirito, un aiuto convenevole, come si esprime la Genesi, e che possa supplire ed aggiungere alle esterne attrattive colle imperiture doti dell’anima e dell’intelligenza.
E che piuttosto che alla femminile natura, a vizio d’educazione debba attribuirsi la poca tendenza della donna ai gravi studi ed alle utili occupazioni, appare evidente e dal precoce sviluppo delle fanciulle, e dalla vivacità e finezza del loro spirito, e dalla loro pronta percezione, e dalla attenzione che da loro prestasi all’insegnamento. Un fatto costante, generale, da potersi da chiunque constatare come noi ne fummo testimonii in diverse scuole elementari, è la molta maggior capacità che rilevasi nelle fanciulle a preferenza dei ragazzi, e il maggior amore allo studio accoppiato a maggior facilità, d’apprendere coll’assoluta parità d’età e risultante sempre in qualunque numerica proporzione, sui fanciulli dell’altro sesso.
Questo fatto che ci viene ogni giorno confermato dalle testimonianze di diversi educatori, ci veniva eziandio constatato con qualche meraviglia da due ispettori generali degli studi dietro ispezione nei convitti degli adulti d’ambo i sessi. A chè dunque dovrebbe attribuirsi e che altro accagionare della atrofia di quelle felici facoltà dello spirito femminile, di quella improvisa paralisi della sua intelligenza, di quei puerili e frivoli gusti che lo guadagnano in quell’età appunto in cui dovrebbe spogliarli avendoli avuti, e come mai i piaceri dell’intelligenza gli divengono indifferenti allora appunto che il suo completo sviluppo, la maturità del criterio, la maggior estensione delle cognizioni, dovrebbero rendervelo più che mai suscettibile e desideroso? Chè altro, dico, dovrassi accagionarne se non è un viziato sistema di educazione, il quale, anzi che trar partito della fecondità del terreno, si affatica a soffocarvi in germi i semi, s’ammazza ad atrofizzarvi i naturali frutti per sopra innestarvi delle artificiali escrescenze?
Infatti, dopo avere eccitata la fanciulla allo studio ed incoraggiatevela con ogni fatta d’argomenti, dopo averle dimostrato l’utile sommo, la suprema necessità del sapere, dopo averle parlato di morale e di principii, nell’età in cui l’acerbità del criterio non è per anco in grado di tutto apprezzare il valore di cotali predicati, allorché poi i misteri della vita cominciano ad apparirle men tenebrosi, quando l’adulto senno si fa capace della logica di quelle dottrine, quando i sintomi forieri dello svegliarsi delle passioni vengono a darle la chiave di quegli arcani parlari ed ella ne intravvede l’applicazione, ecco cambiarlesi dinnanzi la scena. La sapienza, sente dirlesi, non è per la donna; oltreché le è perfettamente superflua, la rende inamabile, e la spoglia della semplicità che è il supremo de’ suoi pregi; la morale, le si predica, certo è buona cosa, anzi necessaria, ma la donna ha la norma della sua morale nella pubblica opinione. I criterii assoluti non sono pel suo cervello, è troppo debole per affidarglisi, e dietro il giudizio altrui ella deve solo condursi; per cui eccone le conseguenze. Per la donna brillante la morale diventa la moda, per la divota il giudizio del confessore e d’ogni uomo che porti tonaca, per la buona moglie ogni fantasia del marito, per la fanciulla gli usi locali; e così facendo la donna, non fa che la logica applicazione delle apprese dottrine.
Non vi stupisca più il vederla sì spesso errare ne’ suoi giudizii, non vi meravigli l’indefessa assiduità colla quale attende ai gravi studii della toilette, non vi sorprenda l’eccessiva sua tendenza
«D’investigar di ciaschedun le oscure
Galanti storiette e le avventure».
Il desiderio di sapere, la necessità di trovare ai suoi parlari un argomento, le ha fatto far questa cattiva scelta; non dite più che lo spirito femminile diffetta di solidità ed è insufficiente a massiccio ed esatto raziocinio. — La donna, così essendo, è perfettamente logica; e se alcunché mi meraviglia è ch’ella non sia assai peggiore, vedendola assai generalmente conservare, in mezzo a tanta viziatura di principii, l’intima bontà del cuore.
Forse da taluno si dirà, che l’opinione non deve assolutamente superarsi; chè indizio di sommo orgoglio o di perduta verecondia è lo anteporre il giudizio nostro individuale al collettivo criterio delle masse, e lo affrontar saldi ed imperterriti il biasimo di tutti: e fortificati dalla venerata autorità del filosofo ginevrino mi direte, che, vivendo sempre per la sociale organizzazione dipendente da altrui, ed essendo la riputazione il supremo bene, della donna, e dipendendo questa sovente, più che dalla realtà delle cose, dalle apparenze loro, ne consegue che dessa, più che tutt’altri, debba dell’opinione esser timida e serva, ed essere, non già speciosamente, ma rigorosamente vero che, per la donna, felicità, importanza e valore dalla stima, che altrui ne fa, tutta dipende. — Grave è l’obbiezione, ma mi lusingo poter, così in base al fatto che al raziocinio, farvi equivalente risposta.
Importa assai notomizzare alquanto questa pubblica opinione, che s’impone con tanta forza, che non da altri che dal suo beneplacito cava la ragione dell’autorità sua; analizzare la natura di questo supremo arbitrato, che tanto gravita sugli atti umani, e per la donna poi è ragione di nullità e di sventure.
V’hanno opinioni generali a tutta l’umanità che tolgono l’origine, e la parvenza, dai bisogni, dalle tendenze, dai sentimenti innati all’umana natura; appartengono a questa categoria, a mo’ d’esempio, tutte le religiose credenze scaturite dal sentimento della divinità, comune a tutti i popoli, a tutte le razze.
V’hanno opinioni speciali determinate da un dato concorso di circostanze, in un dato tempo, in una data località; e sotto queste opinioni fluttuanti, per così dire, e precarie soggiacquero delle nozioni scientifiche e filosofiche, che sono per noi e pel nostro tempo fuor d’ogni-discusso. — Così là virtù ed il vizio, la pietà e la ferocia, la verità e lo errore si diedero lo scambio nelle opinioni degli uomini siffattamente, da stimarsi sommamente pii i sacrifici d’umane vittime, sommamente logici ed equi la servitù ed il dispotismo, virtuoso lo sterminio, vile il perdono, codarda la misericordia, nobile e gentil costume l’ozio e l’ignoranza, negromanzia e diabolico mistero la scienza, ignobile l’industria, il lavoro plebeo; e via scendendo fino a dì nostri, non è raro vedere nell’opinione dei più, darsi lo scambio l’ignoranza e l’ingenuità, lo spirito di rivolta colla giusta opposizione, la pusillanimità colla moderazione, il cicalio coll’eloquenza, gli esterni atti del culto colla pietà, la ostinazione colla fermezza, l’ingenita selvatichezza colla verecondia, la brutalità col valore, la depravazione dello spirito coll’emancipazione della mente, la corruzione dei costumi colla giovanil leggerezza, col rispetto l’adulazione, colla condiscendenza la servilità, il pregiudizio colla verità.
E questa erroneità di giudizii è un fatto così generale e costante, che non sarebbe soverchio il dire, che questa massa fluttante e discorde degli umani cervelli, in una cosa soltanto s’uniforma ed armonizza, nel colpire cioè assai di rado il vero aspetto e l’intimo valor d’una cosa. — E non è che dopo qualche secolo, dopo i combattuti conati di sublimi intelligenze, dopo sopite le lunghe e furiose fazioni che scindono l’umana società a proposito d’ogni discusso che riesce una verità a divenir testo all’opinione dei più, ad uniformare i giudizii delle masse.
A questi anarchici procedimenti del pensiero, che sono ineluttabili, primo perchè l’umana intelligenza percorrendo un cammino ascendentale deve necessariamente essere imperfetta e pregiudicata finché giunta non sia ad afferrare l’ultima parola di ciascun problema: secondo pel fatto dell’individualismo per cui v’ha chi precorre di molto tempo le masse, e chi con loro cammina e chi dopo tutti giunge a lento passo, come trascinato da forza maggiore e non però persuaso. — In seno poi a tutte le umane società, per quanto nei primordii fondamentali sopra un assoluto piede d’uguaglianza, riposa in germi qualche elemento, che ben presto emerge, si isola, si eleva e poi signoreggia con forze morali o materiali, ed impone e modifica i procedimenti dell’opinione. Ma chiarifichiamoci con dei fatti.
L’astuzia. — I Bramini, nell’India, col loro severo aspetto ed il mistero venerando di cui seppero circondarsi, riescirono a far occupare il secondo posto alla tribù dei guerrieri, alla cui testa era il Re.
Nel discorso di Cristo sul monte, in San Matteo, leggiamo la lunga serie d’ipocrisie, coll’aiuto delle quali i Farisei della Mosaica Sinagoga avevano riescito ad ottenere sul popolo un supremo arbitrato in ogni cosa, ed a farlo agire, pensare e giudicare dietro gli interessi loro.
L’esempio. — La mania teologica di Costantino il grande, divenne contagiosa alla corte, da questa si propagò alla nobiltà, dalla nobiltà alla borghesia, dalla borghesia all’esercito, dagli uomini s’appiccò alle donne, ed in men che noi dico, tutto l’impero fu maniaco, delirante, frenetico per la teologia, e dissensioni e controversie, ed immensi volumi, e guerre interminabili, e strazii quotidiani e discordie intestine ne scaturirono, ed empio ed eretico si considerava colui che di sì strano morbo non fosse infetto, e l’opinione esigeva imperativamente che si parteggiasse. (4) Le passioni. — I costumi della Grecia antica, che imponevano alla donna onesta la reclusione del gineceo, diedero ragione alla somma importanza che acquistarono in quel paese le cortigiane, laonde l’arte le immortalò nelle opere sue, la poesia le cantò, i filosofi tennero presso di esse le loro scuole, e la pubblica opinione aveva levato dalle loro fronti il marchio della vergogna. (5)
La forza — Roma imperiale, vedendo il nascente cristianesimo proscritto dagli editti imperatorii, e perseguito con tanta severità in tutte le provincie del vastissimo impero, vedendo i cristiani dati esca al fuoco, pasto alle fiere, bersaglio ai dardi degli arcieri affricani, finì col convincersi esser eglino gente infesta allo Stato ed all’umanità; e divenne universale l’opinione che essi fossero sola cagione delle calamità dello impero; onde fu necessario che la penna eloquente di Tertulliano s’incaricasse di ribadir quelle accuse ed assurde le dimostrasse.
Più tardi i tribunali della sacra inquisizione, che siedenti presso che tutte le città del mondo cristiano, investiti di una potenza esecutiva assoluta, spaventavano le genti col quotidiano spettacolo dei più feroci castighi aggiuntisi al terrore di mali futuri ed eterni, di leggieri persuasero ai popoli cristiani dell’Evo Medio, che anche la più giusta e moderata ed urgente* riforma invocata da pii ed onesti personaggi fosse esecranda eresia, onde videsi sovente, deplorevole spettacolo, il popolo stesso imprecare più volte a quelle vittime e recar sollecito l’esca ai loro roghi.
Gl'interessi. — Talleyrand, conversando con Napoleone il grande della scienza mesmerica, che allora cominciava a convergere a sè l’attenzione dei dotti e dei curiosi, ed interrogatolo se fosse o meno d’avviso di incoraggiarla, ne ottenne questa risposta: «No, non facciamo del Mesmerismo una scienza legale; a noi giova ch’ella resti dubbia, combattuta, ed anche ridicola. Pensate chè diverrebbe la politica dei gabinetti.»
L’ignoranza. — Sono così molteplici, ed incontraci a tante migliaia nella storia, le erronee opinioni accreditate, e tenacemente custodite per fatto d’ignoranza, che sarebbe più presto detto che tutta la storia dell’umana intelligenza è la prova di questo fatto.
Socrate, dannato alla cicuta siccome empio per l’unità divina; Galilei, tradotto davanti al Santo Ufficio per avere sostituito il giro della terra a quello del sole; Sarpi, processato egli pure siccome eretico per la forma speciale delle sue pianelle; Andrea Vesale, condannato siccome negromante per le sue prime sezioni anatomiche; la chimica creduta per lungo tempo arte magica e diabolica; la epilepsia creduta possessione ed invasione demoniaca, la lebbra considerata siccome castigo divino dagli Orientali; i pregiudizii del popolo dei nostri giorni che, associando il sopranaturalismo ai fenomeni i più semplici e naturali, fa perfin talora della morte ch’è pure un fatto cotidiano e costante6 un castigo di Dio; tutti questi erronei criterii come potrebbero altrimenti chiamarsi se non le naturali espressioni dell’ignoranza?
Roma chiudeva, (pel supplizio d’una Vestale), tre giorni il foro, il Senato, i pubblici mercati, sospendeva i giuochi, la guerra, tutti i pubblici interessi ed i privati, ed offriva notte e giorno vittime espiatorie, persuasa che la battaglia sarebbe perduta, i giuochi sgraziati, gl’interessi ruinati se prima non avesse placati gli Dei.
Avendo in Roma una donna difesa nel foro la propria causa, il Senato inviò a Delfo a consultare l’Oracolo per sentire quale sventura soprastasse alla città ed alla nazione per siffatta enormità.
Sendosi abolito in Francia, per decreto di Sinodi provinciali, i banchetti nelle chiese che si facevano in dati giorni dell’anno, la cui sconvenienza andava al punto da ingombrare con piatti e bottiglie perfin l’altare sul quale il sacerdote celebrava, mentre e popolo e clero bivaccava, si inebbriava e schiamazzava insieme, il popolo non mancò di gridare all’empietà e s’accorava seriamente che si volesse distruggere la religione7
Se all’ignoranza delle verità morali e speculative avvien che s’aggiunga la ignoranza della storia e degli usi e costumi di tutti i popoli (che maggior estensione suol dare alle idee, e maggior quantità di dati presenta all’esattezza del giudizio come per lo più nelle masse), allora l’opinione pubblica diviene non già organo d’intelligenza, ma misura d’ignoranza.
Basta la più leggiera tinta di storia per provarci quanto siano fluttuanti e precarie le opinioni, che non si fondano sui semplici e sovrani emanati della ragione; e siccome di assai poche verità assiomatiche trovasi 1* uomo in possesso, così veggiamo lo spirito d’un secolo e d’una generazione differire enormemente dalle antecedenti e dalle susseguenti, addottarsi e ripudiarsi i sistemi, modificarsi assiduamente usi, costumi, ed istituzioni ormeggiando lente, ma indefesse il progressivo sviluppo dei popoli, il quale, attraverso a queste molteplici e svariate gradazioni morali, per legge fatale di natura e di provvidenza, sempre sale verso il meglio.
Da tutto il fin qui detto emerge, che questo formidabile fantasma della opinione vuol essere guardato in faccia senza timore, e ben disquisito vuol essere, ed analizzato prima di accettarlo ed inchinarcegli siccome a supremo arbitrato. Esaminiamo se le forme solenni, che assume, siano per avventura il puntello di interessi parziali, la tonaca lunga ed affibbiata dell’ipocrisia, la legge caduca della forza, od il semplicissimo così facea mio padre, tanto potente sulle masse incolte che un bello spirito non chiamava senza ragione animai d’abitudine. Ben sovente ci accadrà di trovarci di fronte ad un colosso dal piè d’argilla; e le mie parole vi si appaleseranno ben vere, se riflettiate un istante ad un fatto gigante, che veggiamo svolgersi sotto late dimensioni nella nostra Italia in un solo quinquennio di libera vita.
Chi non è colpito dalle modificazioni di idee, di - opinioni, e perfin di credenze che vanno ogni dì operandosi nelle menti? Chi non meraviglia pensando che la Italiana Unità, che predicata da pochi Apostoli nel 1821, e creduta fino al 1859 una solenne utopia, in quell’anno stesso diveniva il nazionale programma e la coscienza universale?
Io distinguevo testé le opinioni fluttuanti e precarie, che trovano per pochi momenti la loro ragion d’essere negli interessi, nella ignoranza e nelle passioni, dai supremi e semplici emanati della ragione morale, epperò la sana educazione, che ci aggioga agli impermutabili precetti di quella autorità, può e deve farci timidi e riverenti del giudizio e delle opinioni altrui, quando quelle vengano manifestate da individui, la cui nota virtù ed intelligenza possono e debbono, con ogni logica, farceli autorevoli,’ attesoché alla saviezza dei criterii concorra in essi la calma delle passioni e la lucidezza della mente.
Amo laudari a laudato viro. In questa antica sentenza stanno conchiusi i ragionevoli ed equi confini della opinione autorevole. Autorità è questa dalla quale bene farà la donna di non mai ribellarsi, nè essere di quella stima indifferente, nè quel biasimo mai superare; poiché non libertà di spirito, o solidità di giudizio ciò mostrerebbe ma rivoltante spudore; che se per caso talora conducendosi dietro i pensamenti di persone lodevoli e lodate, od un consiglio loro seguendo errasse, e migliore dappoi avvertisse il proprio consiglio, cotali complici nello errore assai la giustificano e la assolvono.
Ma qui deve arrestarsi la condiscendenza all’opinione altrui; che s’ella si proponga di voler a tutti piacere e di tutti avere la stima e l’aggradimento, immorale affatto diverrà e corrotta senza però lo intento conseguire, sendo i caratteri ed i cervelli umani sì svariati di gusto e di giudizio che, quando cotale illusa vi fosse, ben potrei dirle:
- «Brami invan d’esentarti alle punture
- «Se fur d’Appelle infin l’opre immortali
- «D’un ciabattin soggette alla censura».
Che se a’ pii esercizii rivolgerai l’animo a pietà inchinevole, sarai tosto nello spirito del volgo ipocrita o bigotta; se agli studii addestrar vorrai lo innato ingegno sarai pedante; se alla tavoletta intenta le lunghe ore ogni cura adoprerai ad esser bella, sarai tosto leggiera e vanerella; se del moto o del passeggio bisognosa ed amante, di spirito ozioso e svagato avrai la fama; se società raccogli nelle tue interne sale e di frequente sarai nei teatri vista, mille, più o men veri, galanti aneddoti circoleran sul conto tuo; se, della prole amante e del consorte, trarrai oscura e laboriosa vita fra domestici affetti e doveri, non mancherà chi a difetto di spirito e d’attrattive la volontaria solitudine attribuisca. Se, bella essendo e corteggiata, sarai costretta per genio o per dovere a chi il cuore negare, a chi la mano, di superba’ o di fiera t’acquisterai rinomanza. Se natura avesti matrigna e di bellezza manchi e d’attrattive, per ciò solo d’imperdonabile delitto sei già rea, e la grazia sarà per te affettazione, la dignità pretesa, smodato sfarzo la decenza, ogni virtù ti scemerà di pregio, ed ogni neo salirà fino a deformità mostruosa.
Laonde, a premunire dalla ingiusta e dolorosa pressione di sì sventati e crudeli giudizii, la donna, che per la natia timidezza dell’animo già li soffre e li teme (e per la sua debolezza è ben già di soverchio esposta agli oltraggi) ben lunge dal curvarle vieppiù la testa sotto il giogo ingeneroso, che il filosofo ginevrino si affatica a premerle sul collo, io le fo coraggio e le ripeto:
- «Anima che per biasmo si dibassa
- «E per lode s’innalza è debil canna
- «Cui muove a scherzo il venticel che passa». Epperò informata alle imprescrittibili leggi della morale, non d’altri schiava che del principio che a guida togliesti del tuo operare, coll’occhio fiso al nobile fine che programma facesti della tua vita, l’occhio e l’orecchio chiudi alle migliaia che tutti importisi vorrebbero a legislatori e tiranni, e fa
- «Come il Villan che posto in mezzo
- «Al rumor delle stridule cicale
- «Senza curare il rauco strido loro
- «Segue tranquillamente il suo lavoro».
- ↑ Parecchi moderni scrittori, propugnatori della redenzione della donna, studiarono anche l’influenza delle istituzioni sul suo carattere, ma le loro idee non sono per anco volgarizzate.
- ↑ Mentre la donna riscuote nella cattolica canonizzazione l’onor degli altari, e nella persona della Vergine Maria è divinizzata (Deipara). St. Pier Damiani scrive esser le donne «Dulpamenta diaboli, virus mentium, aconita bibentium, gineceœ hostis antiqui, upupœ, ululæ, sanguisugæ, scorta, prostibula, volutabra porcorum pinguium, cubilia spirituum immundorum, nymphæ, sirenæ, lamiæ, dianæ, ecc., ecc.».
Altri Padri e Dottori, le cui dottrine sono accreditatissime nella Chiesa, non sono per la donna nè meno idrofobi, nè più galanti. - ↑ Discorso pronunciato dal cav. Luigi Montagoini in occasione dell’apertura della corte di Cassazione, l’anno 1863.
- ↑ Niuno ignora le fori ose fazioni che divisero la chiesa in quei secoli che numerosissime dapprima, si fusero poscia in due denominate bleu e verde. A questo proposito dice De Potter, nella sua Istoire du Christianisme et des Eglises Chretiénnes: «Il fut longtemps difficile de n’ètre ni néstorien ni eutechien.» Secondo questo scrittore le fazioni teologiche e le invasioni barbariche furono i solventi dell’impero Romano.
- ↑ Aspasia, Laide, Frine, Glicera sodo nomi celebri negli annali della Grecia, e videro prostrati ai loro piedi i Perieli, i Temistocli, gli Alessandri e perfino il severo Socrate ed il cinico Diogene. Le cortigiane erano sacre a Venere e participavano della riverenza e del colto prestato a quella divinità, e si credeva che le loro preci fossero presso di lei efficaci. Le cortigiane erano encomiate dagli scrittori in Atene. Aspasia era l’arbitra della pace e della guerra; e la statua di Frine si ergeva fra l’effigie di due re. Si innalzavano loro magnifiche tombe. Celebri sono i due monumenti che Arpalo fece alzare a Pitionice, sua cortigiana, l’uno in Babilonia e l’altro nell’Attica; onde così scrive Dicearco: «Chi va in Atene per la strada d’Eleusi, quando è presso la città tanto da poterne vedere i templi, trova sulla via un monumento di cui più bello non può vedersi, nè più grande, nè più magnifico. Egli crederà tosto esser questo il monumento di Milziade, di Pericle o di Cimone, cretto a spese pubbliche dalla città. Ma come sappia esser questo consacrato alla cortigiana Pitionice, qual opinione avrà egli degli Ateniesi?» (AMBROGIO LEVATI. Donne III.)
- ↑ La storia contemporanea ce ne ripete gli esempi. La Civiltà Cattolica chiamava castigo di Dio la morte di Monsignor Bignami; era la voce degli interessi; ma quando taluni del popolo lo ripeterono, allora era la voce della ignoranza.
- ↑ Nel XV secolo troviamo stabilite anche in Inghilterra le così dette Messe ghiottone, per cui la voracità e l’ubbriachezza si associarono alle cerimonie religiose. Oneste venivano celebrate io onore delta Vergine nel modo seguente: «All’alba del giorno, si univano nella chiesa gli abitanti duella parrocchia, carichi di cibi e bevande a ogni specie; finita appena la messa, cominciava il banchetto; il clero ed i laici vi si abbandonavano con pari ardore; la chiesa si trasformava in una taverna e diveniva teatro di contese, d’intemperanze e di ferite. Gli ecclesiastici egli abitanti delle diverse parrocchie si disputavano il vanto a chi avrebbe le più splendide messe ghiottone, o a chi consumerebbe maggior copia di cibi e liquori in onor della Vergine. Allorché i Sinodi Provinciali proscrissero questi scandali vergognosi, ebbero il dispiacere di sentirsi tacciare di voler distruggere la religione».
(Melchiorre Gioia. Galat.)
Kotzebue, nell’opera intitolata: La Confraternita del Corno, dice: «Gli abitanti di Strasbourg, uomini e donne, sì univano la notte dei 29 agosto nella cattedrale per celebrarvi la dedica di questa chiesa, non già con preghiere ma con feste e bagordi. Invece di inni si cantavano canzoni bacchiche. Preti e laici tutti passavano la notte a mangiare e bere; l’altar maggiore serviva di credenza ed appena vi restava posto bastante pel prete che diceva la messa, nel mentre che sui gradini si cantava e si danzava per non di più. Gli altri altari erano egualmente ingombri di bottiglie. Era necessario che ciascheduno bevesse; e quegli che sopito dai vapori del vino si addormentava in qualche angolo era svegliato con punture dì spille. I Domenicani che servivano la chiesa, trovando il loro conto in queste orgie, si guardavano bene dallo screditarle. Solamente pel 1480 un predicatore intrepido, chiamato Giovanni Geiler, vi si oppose sul pergamo; ma in onta ai suoi sforzi, questa festa popolare si conservò fino al 1549, in cui fu totalmente abolita da un Sinodo tenuto a Saverne».