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esterna manifestazione, ridurla in una parola al sicut cadaver, famoso trovato del Gesuitismo.
D’altronde l’opera della educazione per sè stessa faticosissima, improba e penosa diviene allo educatore ed allo educato, quand’ella si prefigga di lottare per così dire, corpo a corpo colla natura, combatterla palmo a palmo, volerla attiva là dov’è passiva, volerla ottusa là dov’è aperta, volerle innestare dei sentimenti impossibili sugli innati: tutto ciò, dico, è come volere che il quadrupede divenga volatile, che il rettile si faccia pesce! Quando l’impresa non fosse assurda ed impossibile, noi non ne avremmo che un mondo ibrido e mostruoso.
È cômpito della educazione lo incivilimento della specie e non la sua trasformazione come non è intenzione dell’orticulture metamorfosare, verbigrazia, la fragola nella lampuna, ma sì bene modificando nell’una e nell’altra la nativa asprezza ed angolosità, ingentilirne il sapore, svilupparne le forme, onde al palato ed alla vista più gradito sia il frutto ed ammirevole.
Laonde l’educazione, a conseguire il suo scopo, deve conoscere la natura affidatale, investigarne l’intimo valore, il modo d’esistenza e di manifestazione, studiare la natura degli esseri e delle cose che nell’attualità e nel futuro, hanno ed avranno con lei dei rapporti, e questa legge dei rapporti che è la sintesi del viver sociale, vuol’essere non tanto determinata da una serie di atti esterni più o meno convenienti a chi li produce, e gradevoli a chi li vede (il che ridurebbe la educazione a pulire e lisciare la superficie nostra onde non essere ad altrui inamabili, con immane fatica dello spirito che deve alla materia assiduamente imporre atti, dalli interni sensi discordanti, ed a penosa continua menzogna dannarla), ma questa legge, sulla quale s’incardina e s’imperna la