L'ombra del passato/Parte II/Capitolo II

Capitolo II

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II.

Il lumino ardeva noi portico, davanti alla nicchia di San Simone Giuda. Nulla era cambiato nella casa di Tognina: soltanto, i fanciulli eran diventati giovani, i bambini fanciulli, ed altri bimbi eran nati. Carissima s’era alquanto ingrassata, la zia Elena aveva perduto i denti. La Tognina era sempre la stessa, malaticcia, nera, indifferente, d’età incerta: pareva che per lei il tempo non passasse, o meglio non esistesse neppure, come non esiste per la mummia chiusa nel suo sacco impermeabile. Anche nella cameraccia di Adone persisteva l’odore delle patate e delle piume, e il romorìo dei topi allegri e sfacciati. Egli andò a letto, dopo aver accuratamente appeso i suoi vestiti al vecchio attaccapanni che sembrava un albero: ma per quanto fosse stanco non potè subito addormentarsi. I suoi pensieri però deviavano, un po’ vaghi e sparsi, come l’acqua d’un rigagnolo che, arrivata a un certo punto, si divide e si sparge di qua e di là per il prato. Egli pensava sempre a Caterina, ma pensava anche ad altre cose, ad altre persone, alla sua mamma, ai suoi fratelli. Essi [p. 225 modifica]crescevano laboriosi e gentili; soltanto il piccolo rimaneva un po’ rachitico e selvaggio: e si nascondeva quando Adone lo chiamava!

- Per lui sono un uomo fortunato, — pensava Adone, ricordando che Reno un giorno aveva raccolto le briciole della sua focaccia. Poi il suo pensiero si rivolgeva con tenerezza alla sorellina Eva.

- È diventata carina davvero: prenderà marito, speriamo! Anche i fratelli si ammoglieranno. Perchè non dovranno esser felici anche loro? La mamma e Reno li ajuterò io, certo. Speriamo, speriamo!

E sperando cercò di addormentarsi: ma aveva appena chiuso gli occhi quando un lieve rumore lo svegliò.

— E maledetti topi! Ah, il mio vestito!

Sollevò il capo, inquieto per il suo bel vestito grigio alla moda; ed anche per le sue calzette a righe nere e gialle. I topi non rispettano nulla. Non pensano che un vestito alla moda e un pajo di calzette fini costano grandi sacrifizi ad un giovane povero!

Egli rimise la testa sul guanciale e di nuovo si rattristò. Pensava alla zia, che lo faceva dormire ancora lassù, in quella cameraccia desolata. Egli era sempre l’intruso, in quella casa; era sempre l’uccello di passaggio. La zia s’inteneriva per lui solo quando era malata; Pirloccia non lo bastonava più perchè non poteva: gli altri lo guardavano con indifferenza o con invidia. Ed egli, nonostante le sue teorie sull’amore universale, non amava i suoi parenti, non vedeva l’ora di [p. 226 modifica]andarsene, di liberarsi di loro, come un tempo anelava liberarsi del suo mantellaccio che pur gli era necessario.

Al ricordo del mantellaccio sorrise. Ecco un indumento che i topi avevano sempre rispettato!

— Bisogna mettere le trappole, — egli pensò, riaddormentandosi. — È che son tanti! Mille, forse! Davide diceva che la marchesa aveva paura dei topi: ora capisco! Temeva le rosicchiassero i vestiti. Io non li temevo perchè non avevo niente... Ora... il mio vestito, le calzette gialle e nere... ah, è dentro, eccolo, ti ho preso! Come è caldo!...

Gli parve di aver preso un topolino, entrato in una delle calzette: vide Caterina che si curvava a guardare, trasalì, si accorse di sognare, e rise piano piano, come un bimbo, addormentandosi.

S’alzò presto e fece un giro pei campi. Il sole non ardeva ancora, ma l’erba gialla delle cavdagne, gli acini verdi e duri dell’uva già grossi, i fichi maturi, rivelavano l’estate inoltrata. Egli si fermò vicino alla melonaja, osservando che i cocomeri quell’anno erano molto in ritardo. Egli se ne intendeva! Ricordi tristi e lieti pareva esalassero, col profumo dell’erba, da quei luoghi che avevano conosciuto la sua infanzia tormentata! [p. 227 modifica]

Passando vicino a un campo coltivato a pomidoro vide emergere, tra il verde umido delle pianticelle attaccate a grossi bastoni di salice, la testona gialla di Agostino il gemello.

— Come va? — egli salutò.

L’albino miope venne fuori dal campo, e disse che di salute stava benone, ma che aveva molti dispiaceri.

— Non t’han detto? Ai primi di aprile siamo venuti, io e mia moglie, ad abitare con voi. Ma le donne non andavano d’accordo: a momenti succedeva un guajo. Allora, fila! Ce ne siamo andati via ancora. Ma bisognerebbe che la zia avesse un po’ di coscienza! Mi fa lavorare, sì, ma come? Come un contadino qualunque. Gli altri in casa, io fuori. È giusto questo? Dimmelo tu, piccolo, è giusto?

Egli sporgeva verso il giovine le sue grosse mani verdicce, odorose di pomidoro. Adone ricordava le bastonate che il gemello gli aveva dato, e gli veniva voglia di ridere pensando che ora Agostino si rivolgeva a lui per invocare giustizia.

— No, non è giusto, — ammise.

— Tu dovresti fare una cosa, Adone, — riprese l’albino, grattandosi forte le palme delle mani. Devi dire alla zia: «Ma non avete coscienza, zia? Pensate a quel povero Agostino». La zia, credilo, ti vuol bene: ti ascolterà. Sopratutto dille che abbia coscienza.

— Glielo dirò, — promise Adone, alquanto ironico. [p. 228 modifica]

Allora Agostino, intenerito, gli domandò notizie di Caterina, e se si sposavano presto.

— Sì, — disse Adone, scuotendo la testa ricciuta, — domani! Ci vuol altro!

— Quando c’è l’amore c’è tutto! — sentenziò Agostino, aggrottando le sopracciglia nude. E ad un tratto battè una contro l’altra le palme delle mani, le tenne attaccate, disse con malizia: — tanto più che voi signori avete pochi figli.

— Va là, sono calunnie! — Adone gridò.

— Davvero, davvero, sai! Come, non lo sapevi? Ti burli di me? Vedrai; scommettiamo che la nipote della marchesa non avrà figli?

— Che, si sposa anche lei?

— Quando si sposerà, dico. Mio suocero, il fabbro, (quello che voleva rifare il mondo a colpi di martello) dice che l’avresti potuta sposare tu...

— Scemo! — disse Adone, arrossendo.

Ma l’albino ribattè:

— Eh, vedi, Davide sposa una donna ricca!

— Sì, sì, — rispose allegramente Adone.

E ritornò verso casa. Nell’aja e nell’atrio i bimbi di Carissima e quelli di Andromaca giocavano e strillavano. IL pavimento dell’atrio era sporco di buccie di piselli e di fichi; il più piccolo dei bimbi, ancora lattante, trascinava il suo cestino di vimini strillando come un cagnolino bastonato: un altro mangiava la pappa seduto sullo scalino della porta, un terzo raccattava con attenzione un granellino di pisello e se lo portava alla boccuccia sucida. Le galline andavano e [p. 229 modifica]venivano, serie e imponenti. Carissima cuciva e cantava, indifferente alla scena che le si svolgeva attorno. In cucina Pirloccia faceva colazione, servito dalla zia Elena.

Vedendo Adone l’ometto gli mostrò una fetta di polenta, e lo invitò a mangiare con lui. Ma il giovane prese la tazza di caffè e latte che gli dava la zia Elena, e andò a sedersi nel portico, con la scusa che là c’era meno caldo.

Egli trasaliva ancora, nell’udire la voce del mercante di scope! Seduto in mezzo al portico, fra le buccie di piselli e di fichi su cui scivolavano i bambini, circondato dalle galline che venivano a battere il becco sui bottoni delle sue scarpe, egli mangiava il suo caffè e latte e ripensava alle parole di Agostino. Sì, perchè negarlo? Gli avevano fallo piacere, lo avevano lusingato. Era la prima volta che gli si dava tanta importanza: era dunque diventato un personaggio? Pensava: Come diventerebbe gelosa Caterina se lo sapesse!

— Verrà Davide, quest’anno? — domandò a Carissima, che aveva smesso di cantare per chiacchierare con lui.

— La matrigna dice di sì: dice che verrà a settembre, forse con la sposa. Dicono che questa sposa è una bella donna, più vecchia di lui, però: una donna con molti quattrini. Non era poi tanto matto come sembrava.

Adone sorrise e scosse la testa. Pensò al povero zolfanellajo, che era morto nella miseria, e [p. 230 modifica]domandò se la ̈Müton era contenta del matrimonio di Davide.

— Egli le manda un marenghino ogni mese, diceva Carissima. — Ora le ha mandato molti quattrini per accomodare la casa.

— Ecco dunque che anche per lei è venuto il giorno! — disse Adone, allegro, ma di una letizia un po’ cattiva, ricordando il ritornello della vecchia zolfanellaja. — Ora voglio andare a trovarla. No, prima voglio veder la zia.

La zia era nella sua camera e rifaceva il letto, coprendolo e appianandolo con attenzione religiosa.

— Va in là, caro, — disse al nipote, vedendolo balzare in camera come un lepre.

— Sentite, zia, ho da parlarvi. Meglio subito. No, state tranquilla, non tocco le sedie: e neppure la conserva. Zia, ho da farvi una domanda: avete voi coscienza?

La donnina si drizzò, lo guardò inquieta. Adone andò e chiuse l’uscio: nel ritornare verso il letto vide nei piccoli occhi lattiginosi della zia tale un’espressione d’inquietudine che gli ritornò in mente un antico sospetto. Gli parve che Tognina fosse tormentata da un rimorso.

— Ho veduto Agostino, — disse subito, toccando per istintivo ricordo le spalliere delle seggiole.

— È lui che vi domanda se non avete una coscienza. Perchè non lo prendete in casa? Gli altri sì: lui no!

— Ma che vada a farsi benedire! — gridò Tognina, ricurvandosi per accomodare la coperta. [p. 231 modifica]Ma se la moglie voleva bastonare Carissima? C’era l’inferno in casa. Lei, Dirce, diceva che Carissima rubava in casa: eran cose da dirsi, queste?

— Che calunnia! — disse Adone con ironia. Ad ogni modo io ho fatto l’ambasciata. Pensateci. Ma sono ancora buone, queste conserve? A Padova ne ho mangiata una di frutta di stinchiringori. Non sapete che frutto è lo stinchiringori? No? È un frutto che ha sapore di trifoglio. Zia, dove sono andate a finire tutte le trappole? Ne vorrei due.

La donnina era pensierosa più del solito: disse dov’erano le trappole, poi tacque, e Adone se ne andò. Ma quando fu nel pianerottolo si sentì richiamare, e rientrò.

— Che volete?

— Volevo dirti... — ella cominciò, esitante, volevo... Se vuoi invitare a pranzo per domenica la tua Caterina con la sua vecchia...

— Non c’è dubbio che questa venga! — esclamò Adone. — Ad ogni modo tenterò. Altro?

— Niente.

Egli andò e mise due trappole nella sua stanzaccia: poi andò a trovare la vecchia zolfanellaja, che lo accolse con tenerezza. Ella era diventata quasi sorda, più brutta che mai: un’aria truce le deformava il viso legnoso, quando ella parlava del suo povero morto.

— Egli parlava sempre di un paese dove i malati di polmoni guariscono: quando aveva la febbre sognava sempre quel paese. Diceva: quando il mio Davide avrà il posto ci andremo assieme. [p. 232 modifica]Davide non aveva posto, allora: quando lo ebbe, il mio Nino era già partito, era già nel paese ove davvero si guarisce...

Ma Adone sapeva già questa storia: e voleva parlar di vivi, non di morti.

— Dunque gli sposi verranno presto? Fatemi vedere la fotografia della sposa.

La vecchia gliela fece vedere. La sposa, in abito scollato, aveva una fila di perle al collo e teneva un lungo guanto in mano. Non era bella, come diceva Carissima, ma aveva un viso caratteristico, bruno, ovale, con una bocca spirituale e due grandi occhi neri, ai quali due folte sopracciglia riunite davano un’espressione di fierezza.

— Bella! — esclamò Adone.

C’era qualche cosa in quel ritratto, che lo colpiva profondamente. La vecchia disse, scuotendo una mano:

— È istruita, poi, la mia sposa! Sa tante lingue; ha scritto anche un libro.

Ah, ecco, ora Adone capiva: era l’espressione intelligente di quella donna, che lo affascinava.

— È ricca, poi, eh?

— Sì, sì, ricca.

— È dunque venuto il giorno? — egli disse, ridendo.

La donna capì: riprese l’aria truce di prima, ripetè il vecchio ritornello misterioso:

— Verrà un giorno.

Che voleva dunque? [p. 233 modifica]

Sognava forse un giorno di vendetta e di giustizia, come Adone sognava un’era di pace e di amore?

— Sì, — ella riprese. — Verranno a settembre. Son contenta, sì, ma, non so che cosa la sposa mangerà. Mi dà da pensare, questo.

Adone ripetè lo scherzo fatto alla zia.

— Ordinate un vasetto di conserva di stinchiringori. È molto buona. Basta metterne un pochino nelle vivande, per farle diventare saporitissime.

Alcuni giorni passarono, tranquilli ed eguali. Il Pirloccia e i suoi figli non molestavano più Adone: lo lasciavano vivere, lo lasciavano proseguire per la sua via; verso la meta che egli fin da bambino s’era proposto di raggiungere.

Dopo il suo arrivo a Casalino egli si sentiva meglio, nonostante il caldo e l’afa della pianura. La notte dormiva, non aveva più dolori di testa, e non sognava più cose tristi. La mattina s’alzava all’alba e vagava pei campi, spingendosi fino ai paesetti vicini, e ritornava per l’argine, dal quale si godeva la vista del fiume calmo e. luminoso.

Quando egli stava a casa, i bimbi gli si aggruppavano attorno, si arrampicavano dietro la sua sedia, lo baciavano e gli strappavano i capelli. Egli lasciava fare, finchè aveva pazienza: pensava [p. 234 modifica]che un maestro deve affezionarsi ai bambini. Ricordava quanto aveva sofferto, da piccolo, per l’abbandono in cui era stato lasciato, e amava per questa ragione i bambini di Carissima, quelli di Andromaca, tutti i bimbi di Casalino e probabilmente del mondo intero. E pensava ai suoi figli futuri con grande tenerezza.

— Li castigherò, — pensava, — ma non crudelmente.

Intanto s’era procurato qualche lezione. Fra gli altri aveva due scolari meno giovani di lui: un seminarista e una ragazza che frequentava anche lei una scuola normale. Entrambi ritornavano da Cremona. Il seminarista era un ragazzo poco intelligente, svogliato, e Adone un giorno ebbe l’infelice idea di dirgli che l’esistenza di Dio è una illusione degli uomini.

— Dio esiste, sì, — diceva il giovane maestro panteista, — ma è in noi, o meglio noi tutti formiamo parte di questo gran tutto universale che si chiama anche Natura... tal nostra religione dev’essere l’amore per il prossimo, la tendenza a perfezionarci, a essere giusti con noi e con gli altri. Sopratutto con gli altri. Dio siamo noi...

Il seminarista ascoltava, e aveva un’aria di persona convinta; ma ad un tratto socchiuse gli occhi e disse in dialetto, con impazienza:

— Ma va da Meoli a farti indorare!

Adone non tentò oltre di convertirlo.

La studentessa era più docile. Era intelligentissima e vivace: ma non aveva memoria e [p. 235 modifica]neppure buona volontà, e per questo l’avevano hocciata.

Era poi molto bella, pallida, con un profilo ideale, e i capelli neri meravigliosi. Fin dalle prime lezioni si mise a discutere col suo maestro: discutevano, ma finivano col trovarsi sempre d’accordo.

Vicino a lei Adone palpitava, sentiva un fascino strano avvolgerlo, come un profumo, come una musica. Ma egli non pensava menomamente a tradir Caterina, vicino alla quale egli provava un’ebbrezza ben più forte di quella che gli destava la signorina.

D’altronde questa era innamorata d’un pittore, che rinnovava gli affreschi della parrocchia. E Adone dal canto suo considerava Caterina come sua moglie. Gli pareva si fossero sposati il giorno del loro primo incontro, all’ombra dei pioppi della strada di San Giovanni. Tradir lei era come tradir sè stesso. Pur desiderandola con ardore, egli la giudicava infinitamente inferiore a lui; ma ne compativa i difetti come un marito saggio compatisce i difetti della moglie. Durante le sue visite ella non tralasciava di lavorare: preparava la polenta, dava da mangiare alle galline, intrecciava cordicelle di giunco o di scorza di salice per cappelli. Vestiva un po’ sciatta, coi grossi piedi a metà entro le pianelle dalla suola di legno. I suoi capelli d’oro sparivano entro un fazzoletto nero e duro, come un tesoro entro una borsa di cuoio. Adone l’ammirava egualmente: le pareva sempre bella, fresca, desiderabile. I loro discorsi quasi sempre erano puerili; le loro discussioni [p. 236 modifica]rassomigliavano alle loro antiche discussioni di scolaretti. Qualche volta però Adone, mentre Caterina chiacchierava, si distraeva in modo strano.

Egli sognava: davanti a sè vedeva un tavolino con su il vocabolario francese, e accanto al tavolino scorgeva la figura pallida e ardente della studentessa.

Egli scacciava subito via questa visione; gli pareva d’esser colpevole; ma sentiva una specie di voluttà nel suo rimorso.

Caterina lo osservava; gli girava attorno, spiando il momento in cui la vecchia Suppèi si allontanava.

E appena la vecchia li lasciava soli, ella si avvicinava al fidanzato, porgendogli la bocca rosea e fresca.

Egli allora dimenticava l’altra; e non si accorgeva che, mentre egli la baciava, Caterina diventava triste.

Poi andavano a sedersi sotto il pergolato.

Se veniva qualche amica di Caterina, egli non sdegnava chiacchierare e scherzare con lei: quando poi restavano soli con la vecchia, egli raccontava la sua vita di studente, o faceva progetti per l’avvenire. Oppure si abbandonavano entrambi, egli e Caterina, ai loro ricordi di fanciullezza. Ricordavano tutto: la loro vita era come uno stesso libro, del quale le pagine contenessero alternativamente la storia dell’una e dell’altro: ed essi conoscevano e sapevano a memoria queste pagine.

Raramente questionavano: Caterina era sempre docile ai voleri di lui, che del resto pretendeva [p. 237 modifica]poco da lei. Egli cercava di catechizzarla, di spiegarle i suoi principî: le parlava di matrimoni ideali, senza sindaco e senza prete, ed ella non si scandalizzava, non discuteva neppure.

Questa docilità di lei, che in fondo gli dispiaceva perchè gli sembrava un segno di poca intelligenza, finì col persuaderlo a tentare un colpo da lungo tempo meditato.

Una sera, verso la metà di agosto, egli e Caterina si trovavano sotto il pergolato, mentre la Suppèi, nell’interno della casetta, rimetteva in ordine le stoviglie e cantava con la sua grossa voce una monotona cantilena religiosa. Adone ascoltava e si sentiva triste: il canto primitivo della vecchia gli destava come la nostalgia della fede perduta.

A un tratto egli disse:

— Ho incontrato l’ebreo lungo l’argine. Come mi ha guardato!...

— Ancora? — gridò Caterina. — Ti ho detto che è una cosa finita! Lascialo stare.

— Eh, no; voglio dirti una cosa, anzi!...

Ma ella cominciò a smaniare, e siccome Adone insisteva, si alzò, entrò in cucina e si mise ad accompagnare il canto della nonna.

Non seppe perchè, egli sentì voglia di piangere.

Caterina tornò fuori, ed anche la vecchia sedette sullo scalino della porta: il cattivo odore della sua pipa si sparse nell’aria tiepida e irritò il giovine.

Egli si alzò e fece la solita preghiera:

— Nonna, lasciateci andare a passeggio! [p. 238 modifica]

— A quest’ora, viscere? Dove vuoi anelare?

— Allora, addio!

Caterina lo accompagnò fino allo svolto del viottolo, stringendogli nervosamente il braccio.

— Tornerai? — gli disse, supplichevole.

— Sì, ma bada che stanotte voglio dirti una cosa. Promettimi di ascoltarmi: altrimenti non ritorno.

— È per l’ebreo?

— Anche per lui, sì. So che egli gira sempre da queste parti. Perchè?

Allora Caterina si staccò da lui, quasi spaventata, mormorando:

— Tu credi?... Tu credi?...

— Io non credo niente! Ne riparleremo.

Egli si allontanò, e gli parve di essere davvero geloso. Per la prima volta si domandò se il giovine ebreo non piacesse a Caterina come a lui piaceva la studentessa!

Mezz’ora dopo essi erano di nuovo assieme, nella cameretta umida e buia.

Caterina, insolitamente fredda, non lo abbracciò: solo gli battè una mano sulla spalla, come per invitarlo a parlare.

Egli però non sapeva come cominciare.

— Andiamo fuori: qui c’è troppo caldo, — disse finalmente, irrequieto.

— La nonna...

— Lasciala dormire! Non senti come russa? Brontola anche in sogno, quella vecchia! Andiamo, qui si soffoca. Tu non fai mai quello che voglio io!

— Non è vero! — ella disse, quasi piangendo. [p. 239 modifica]

Uscirono, sedettero sullo scalino della porta.

Attraverso il fogliame del pergolato, sul cielo bianchiccio, si vedevano le stelle filanti; la notte era dolce; ma Adone sentiva ancora l’odore della pipa, e invece di calmarsi s’irritava sempre più.

Caterina invece, insolitamente calma, aspettava ch’egli parlasse. Egli le cinse la vita col braccio e cominciò:

— Devo dirti una cosa. Non adirarti, però: senti bene. Devo domandarti: è proprio vero che l’ebreo ti vuole sposare? Dimmi la verità.

— Sì, è vero.

— L’ha detto a te?

— Sì, mi ha scritto. Ed è venuto qui parecchie volte.

— Tu non lo vuoi, vero?

— Se l’avessi voluto non sarei qui! — ella rispose fieramente.

— No, senti bene: voglio dirti questo. Se, per esempio, tu non mi avessi conosciuto e ti fossi innamorata di lui, avresti preteso che egli si convertisse?

— Ma egli si vuol convertire!

— Sì, ma, dico, se egli non avesse voluto rinunziare alla sua fede, e tu fossi stata innamorata di lui, lo avresti sposato egualmente?

— La nonna...

— Lascia stare la nonna! — egli disse, irritato. — Lei non può capire nulla!

— Sì, ma bisogna anche pensare che lei mi ha allevata! — rispose Caterina, cominciando ad [p. 240 modifica]agitarsi. — Del resto, che c’entra? Io l’ebreo non lo voglio, anche se si fa mille volle cristiano...

— Lasciami finire: e rispondimi a tono. L’avresti voluto, se ne fossi stata innamorata, e se egli ti avesse detto che la vera fede è la sua?

— Gli ebrei hanno ucciso Gesù, — ella disse, ingenuamente. — No; non l’avrei voluto!

— Ella non può capire! — egli pensò lasciandola e stringendosi la testa fra le mani. E provò un senso di vuoto: gli parve che fra lui e Caterina, seduti sul medesimo scalino, si stendesse un deserto smisurato come quel gran cielo melanconico che si stendeva sulle loro teste.

— Eppure, — ricominciò sottovoce, senza sollevare la testa, — bisogna che tu mi capisca: è una cosa che devo dirti da tanto tempo. Io non sono ebreo, ma ho anch’io la mia fede. Non voglio fare il matrimonio religioso. Mi vuoi lo stesso?

— Tu scherzi, — ella disse, ridendo piano piano. — Vuoi provarmi. Sei geloso dell’ebreo.

— No, no. Parlo sul serio. Non sono geloso: o meglio, sì, sono geloso; ma questo non c’entra. Pensaci bene: non ridere. Non ridere! Non c’è da ridere! — disse a voce alta, ma senza sollevare la testa.

Ella cessò di ridere, e solo dopo qualche momento disse con voce tremante:

— Vuoi dunque che pianga?

Ed egli in quel momento comprese che era ingiusto con lei: egli che sognava un regno di giustizia universale. [p. 241 modifica]

— È per il suo bene, — pensava.

Ma perchè fosse un bene bisognava che ella comprendesse; ed ella non poteva comprendere, ed egli non si sentiva capace di spiegarle in che consisteva questo bene. Le spiegazioni sono inutili, del resto, quando la mente non s’apre per riceverle.

Chi gliele aveva date a lui, queste spiegazioni? Chi gli aveva detto che la sua fede non era quella di Tognina, del Pirloccia, di Caterina, del seminarista? Nessuno: la sua mente aveva ricevuto la spiegazione da esseri invisibili, da voci lontane, da voci che salivano dalle profondità del suo cuore e scendevano dalle profondità del cielo stellato. La voce umana può influire solo fino a un certo punto, e può echeggiare solo nelle menti già aperte alle voci della natura e dell’istinto. Ed egli sapeva che Caterina non aveva questa mente, come l’aveva lui, come l’aveva la studentessa.

Caterina taceva, come sbalordita: ed egli aspettava ch’ella parlasse, rassegnato a sentire parole inutili, ma deciso a non piegarsi. Il più era fatto.

Anch’ella aveva appoggiat i gomiti sulle ginocchia e la testa sulle mani. Entrambi, curvi e silenziosi, parevano intenti ad ascoltare qualche voce che salisse dalla terra, sotto di loro.

Ad un tratto parve che Caterina ricominciasse a ridere. Ah, ella non poteva capire! Ma il soffio che la scuoteva si fece ansante, proruppe, di ventò singhiozzo. Piangeva.

— Caterina! — egli disse, sollevandosi, preso da un impeto di tenerezza. — Che fai? piangi? No, [p. 242 modifica]non voglio! Questo no... Se tu non vuoi... se tu non vuoi...

Le accarezzò le spalle, le mise una mano sulla testa. Ricordava che da ragazzetto aveva tante volte giurato di essere il protettore di lei: ed ora invece la tormentava, la faceva piangere.

— Taci, taci, — le disse, carezzandole le spalle frementi. — Ne riparleremo quando tu ci avrai pensato bene. Io ti spiegherò... ti convincerò...

Ella sollevò la testa.

— Ho pensato, ho pensato, — disse singhiozzando, e con una certa fierezza. — C’è bisogno di pensarci tanto? Farò quello che vorrai.

— Perchè piangi, allora? — egli domandò meravigliato.

— Perchè sei cattivo, ecco! Perchè non pensi al dispiacere della mia nonna...

— La nonna?... — egli disse come fra sè. — È vecchia.

E siccome egli esitava, Caterina si sollevò; cessò di piangere, e disse con rancore e con tristezza:

— Sì, ella può morire presto. Ma i morti ritornano... i morti vedono tutto, lo sai! Ella non mi perdonerà...

— Dio, tu credi ancora a queste cose! — egli disse, stringendosi le mani desolato.