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238 l'ombra del passato


— A quest’ora, viscere? Dove vuoi anelare?

— Allora, addio!

Caterina lo accompagnò fino allo svolto del viottolo, stringendogli nervosamente il braccio.

— Tornerai? — gli disse, supplichevole.

— Sì, ma bada che stanotte voglio dirti una cosa. Promettimi di ascoltarmi: altrimenti non ritorno.

— È per l’ebreo?

— Anche per lui, sì. So che egli gira sempre da queste parti. Perchè?

Allora Caterina si staccò da lui, quasi spaventata, mormorando:

— Tu credi?... Tu credi?...

— Io non credo niente! Ne riparleremo.

Egli si allontanò, e gli parve di essere davvero geloso. Per la prima volta si domandò se il giovine ebreo non piacesse a Caterina come a lui piaceva la studentessa!

Mezz’ora dopo essi erano di nuovo assieme, nella cameretta umida e buia.

Caterina, insolitamente fredda, non lo abbracciò: solo gli battè una mano sulla spalla, come per invitarlo a parlare.

Egli però non sapeva come cominciare.

— Andiamo fuori: qui c’è troppo caldo, — disse finalmente, irrequieto.

— La nonna...

— Lasciala dormire! Non senti come russa? Brontola anche in sogno, quella vecchia! Andiamo, qui si soffoca. Tu non fai mai quello che voglio io!

— Non è vero! — ella disse, quasi piangendo.