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agitarsi. — Del resto, che c’entra? Io l’ebreo non lo voglio, anche se si fa mille volle cristiano...

— Lasciami finire: e rispondimi a tono. L’avresti voluto, se ne fossi stata innamorata, e se egli ti avesse detto che la vera fede è la sua?

— Gli ebrei hanno ucciso Gesù, — ella disse, ingenuamente. — No; non l’avrei voluto!

— Ella non può capire! — egli pensò lasciandola e stringendosi la testa fra le mani. E provò un senso di vuoto: gli parve che fra lui e Caterina, seduti sul medesimo scalino, si stendesse un deserto smisurato come quel gran cielo melanconico che si stendeva sulle loro teste.

— Eppure, — ricominciò sottovoce, senza sollevare la testa, — bisogna che tu mi capisca: è una cosa che devo dirti da tanto tempo. Io non sono ebreo, ma ho anch’io la mia fede. Non voglio fare il matrimonio religioso. Mi vuoi lo stesso?

— Tu scherzi, — ella disse, ridendo piano piano. — Vuoi provarmi. Sei geloso dell’ebreo.

— No, no. Parlo sul serio. Non sono geloso: o meglio, sì, sono geloso; ma questo non c’entra. Pensaci bene: non ridere. Non ridere! Non c’è da ridere! — disse a voce alta, ma senza sollevare la testa.

Ella cessò di ridere, e solo dopo qualche momento disse con voce tremante:

— Vuoi dunque che pianga?

Ed egli in quel momento comprese che era ingiusto con lei: egli che sognava un regno di giustizia universale.