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che un maestro deve affezionarsi ai bambini. Ricordava quanto aveva sofferto, da piccolo, per l’abbandono in cui era stato lasciato, e amava per questa ragione i bambini di Carissima, quelli di Andromaca, tutti i bimbi di Casalino e probabilmente del mondo intero. E pensava ai suoi figli futuri con grande tenerezza.

— Li castigherò, — pensava, — ma non crudelmente.

Intanto s’era procurato qualche lezione. Fra gli altri aveva due scolari meno giovani di lui: un seminarista e una ragazza che frequentava anche lei una scuola normale. Entrambi ritornavano da Cremona. Il seminarista era un ragazzo poco intelligente, svogliato, e Adone un giorno ebbe l’infelice idea di dirgli che l’esistenza di Dio è una illusione degli uomini.

— Dio esiste, sì, — diceva il giovane maestro panteista, — ma è in noi, o meglio noi tutti formiamo parte di questo gran tutto universale che si chiama anche Natura... tal nostra religione dev’essere l’amore per il prossimo, la tendenza a perfezionarci, a essere giusti con noi e con gli altri. Sopratutto con gli altri. Dio siamo noi...

Il seminarista ascoltava, e aveva un’aria di persona convinta; ma ad un tratto socchiuse gli occhi e disse in dialetto, con impazienza:

— Ma va da Meoli a farti indorare!

Adone non tentò oltre di convertirlo.

La studentessa era più docile. Era intelligentissima e vivace: ma non aveva memoria e nep-