Il ventaglio (Goldoni)/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Susanna sola, ch’esce dalla bottega, e accomoda la roba della mostra.
Gran poche faccende si fanno in questo villaggio! Non ho venduto che un ventaglio fin ora, ed anche l’ho dato ad un prezzo... Veramente per disfarmene. Le persone che ponno spendere vanno alla città a provvedersi. Dai poveri vi è poco da guadagnare. Sono una gran pazza a perdere qui il mio tempo; e poi in mezzo a questi villani senza convenienza, senza rispetto, non fanno differenza da una mercante merciaia a quelle che vendono il latte, l’insalata e le ova. L’educazione ch’io ho avuta alla città, non mi val niente in questa campagna. Tutte eguali e tutti compagni: Susanna, Giannina, Margherita, Lucia, la marcante, la capraia, la contadina: si fa d’ogni erba un fascio. Si distinguono un poco queste due signore, ma poco v’è; poco, pochissimo. Quell’impertinente di Giannina poi, perchè ha un poco di protezione, si crede di essere qualche cosa di grande. Gli1 hanno donato un ventaglio! Cosa vuol fare una contadina di quel ventaglio? Oh, farà la bella figura! Si farà fresco... là...2 così... Oh che ti venga del bene! Sono cose da ridere; ma cose che qualche volta mi fan venire la rabbia. Son così, io che sono allevata civilmente, non posso soffrire le male grazie. (siede e lavora)
SCENAII.
Candida ch’esce dal palazzina, e detta.
Candida. Non son quieta se non vengo in chiaro di qualche cosa. Ho veduto Evaristo sortire dalla merciaia e poi andar da Giannina, e qualche cosa sicuramente le ha dato. Vo’ veder se Susanna sa dirmi niente. Dice bene mia zia, non bisogna fidarsi delle persone senza bene conoscerle. Povera me! Se lo trovassi infedele! È il mio primo amore. Non ho amato altri che lui. (a poco a poco s’avanza verso Susanna)
Susanna. Oh signora Candida, serva umilissima. (s'alza)
Candida. Buon giorno, signora Susanna, che cosa lavorate di bello?
Susanna. Mi diverto, metto assieme una cuffia.
Candida. Per vendere?
Susanna. Per vendere, ma il cielo sa quando.
Candida. Può essere ch’io abbia bisogno d’una cuffia da notte.
Susanna. Ne ho di fatti. Vuol restar servita?
Candida. No no, c’è tempo, un’altra volta.
Susanna. Vuol accomodarsi qui un poco? (le offre la sedia)
Candida. E voi?
Susanna. Oh, io prenderò un’altra sedia, (entra in bottega e piglia una sedia di paglia) S’accomodi qui, che starà meglio.
Candida. Sedete anche voi, lavorate. (siede)
Susanna. Mi fa grazia a degnarsi della mia compagnia. (siede) Si vede ch’è nata bene. Chi è ben nato si degna di tutti. E questi villani sono superbi come luciferi, e quella Giannina poi...
Candida. A proposito di Giannina, avete osservato quando le parlava il signor Evaristo?
Susanna. Se ho osservato? e come!
Candida. Ha avuto una lunga conferenza con lei.
Susanna. Sa dopo cosa è succeduto? Sa la baruffa ch’è stata?
Candida. Ho sentito uno strepito, una contesa. Mi hanno detto che Coronato e Crespino si volevano dare.
Susanna. Certo, e per causa di quella bella grazia, di quella gioia.
Candida. Ma perchè?
Susanna. Per gelosia fra di loro, per gelosia del signor Evaristo.
Candida. Credete voi che il signor Evaristo abbia qualche attacco con Giannina?
Susanna. Io non so niente, non bado ai fatti degli altri e non penso mal di nessuno, ma l’oste e il calzolaio, se sono gelosi di lui, avranno le loro ragioni.
Candida. (Povera me! L’argomento è troppo vero in mio danno!)
Susanna. Perdoni, non vorrei commettere qualche fallo.
Candida. A proposito di che?
Susanna. Non vorrei ch’ella avesse qualche parzialità per il signor Evaristo...
Candida. Oh io! non ce n’ho nessuna. Lo conosco perchè viene qualche volta in casa; è amico di mia zia.
Susanna. Le dirò la verità. (Non credo ch’ella si possa offendere di questo). Credeva quasi che fra lei ed il signor Evaristo vi fosse qualche buona corrispondenza... lecita e onesta, ma dopo ch’è stato da me questa mattina, mi sono affatto disingannata.
Candida. È stato da voi questa mattina?
Susanna. Sì signora, le dirò... E venuto a comprar un ventaglio.
Candida. Ha comprato un ventaglio? (con premura)
Susanna. Sì certo, e come io aveva veduto ch’ella aveva rotto il suo, quasi per causa di quel signore, dissi subito fra me, lo comprerà per darlo alla signora Candida...
Candida. L’ha dunque comprato per me?
Susanna. Oh signora no; anzi le dirò che ho avuto la temerità di domandarglielo se lo comprava per lei. In verità mi ha risposto in una maniera, come se io l’avessi offeso; non tocca a me, dice, cosa c’entro io colla signora Candida? L’ho destinato altrimenti.
Candida. E che cosa ha fatto di quel ventaglio?
Susanna. Cosa ne ha fatto? L’ha regalato a Giannina.
Candida. (Ah son perduta, son disperata). (agitandosi)
Susanna. Signora Candida. (osservando la sua inquietudine)
Candida. (Ingrato! Infedele! E perchè? per una villana?)
Susanna. Signora Candida. (con premura)
Candida. (L’offesa è insopportabile).
Susanna. (Povera me, l’ho fatta!) Signora, s’acquieti, la cosa non sarà così.
Candida. Credete voi ch’egli abbia dato a Giannina il ventaglio?
Susanna. Oh in quanto a questo, l’ho veduto io con questi occhi.
Candida. E cosa dunque mi dite, che non sarà?
Susanna. Non so... non vorrei vederla per causa mia...
SCENA Ili.
Geltruda sulla porta del palazzmo.
Susanna. Oh, ecco la sua signora zia. (a Candida)
Candida. Per amor del cielo, non dite niente. (a Susanna)
Susanna. Non v’è pericolo. (E voleva dirmi di no). Suo danno, perchè non dirmi la verità? (da sè)
Geltruda. Che fate qui, nipote? (Candida e Susanna si alzano)
Susanna. È qui a favorirmi, a tenermi un poco di compagnia.
Candida. Son venuta a vedere se ha una cuffia da notte.
Susanna. Sì, è vero, me l’ha domandata. Oh non dubiti niente, che con me può esser sicura. Non sono una frasca, e in casa mia non vien nessuno.
Geltruda. Non vi giustificate fuor di proposito, signora Susanna.
Susanna. Oh, io sono assai dilicata, signora.
Geltruda. Perchè non dirlo a me, se avete bisogno d’una cuffia?
Candida. Voi eravate nel vostro gabinetto a scrivere; non ho voluto sturbarvi.
Susanna. Vuol vederla? La vado a prendere. S’accomodi qui, favorisca. (dà la sua sedia a Geltruda, ed entra in bottega)
Geltruda. Avete saputo niente di quella contesa ch’è stata qui fra l’oste ed il calzolaio? (a Candida, e siede)
Candida. Dicono per amore, per gelosie. (siede) Dicono che sia stata causa Giannina.
Geltruda. Mi dispiace, perchè è una buona ragazza.
Candida. Oh signora zia, scusatemi, ho sentito delle cose di lei, che sarà bene che non la facciamo più venire per casa.
Geltruda. Perchè? cosa hanno detto?
Candida. Vi racconterò poi. Fate a modo mio, signora, non la ricevete più, che farete bene.
Geltruda. Siccome ella veniva più da voi, che da me, vi lascio in libertà di trattarla come volete.
Candida. (Indegna! Non avrà più l’ardire di comparirmi dinnanzi).
Susanna. (Che torna) Ecco le cuffie, signora, guardi, scelga e si soddisfi, (tutte tre si occupano alla scelta delle cuffie, e parlano piano fra loro.)
SCENA IV.
Il Conte ed il Barone escono insieme dall’osteria.
Conte. Ho piacere che mi abbiate fatto la confidenza. Lasciatevi servire da me, e non dubitate.
Barone. So che siete amico della signora Geltruda.
Conte. Oh amico, vi dirò. Ella è una donna che ha qualche talento, io amo la letteratura, mi diverto con lei più volentieri che con un’altra. Del resto poi ella è una povera cittadina. Suo marito le ha lasciato quella casupola con qualche pezzo di terra, e per essere rispettata in questo villaggio ha bisogno della mia protezione.
Barone. Viva il signor Conte che protegge le vedove, che protegge le belle donne.
Conte. Che volete? A questo mondo bisogna essere buoni da qualche cosa.
Barone. Mi farete dunque il piacere...
Conte. Non dubitate, le parlerò, le domanderò la nipote per un cavaliere mio amico; e quando gliela dimando io, son sicuro che non avrà ardire, che non avrà coraggio di dire di no.
Barone. Ditele chi sono.
Conte. Che serve? Quando gliela domando io.
Barone. Ma la domandate per me?
Conte. Per voi.
Barone. Sapete voi bene chi sono?
Conte. Non volete che io vi conosca? Non volete che io sappia i vostri titoli, le vostre facoltà, i vostri impieghi? Eh, fra noi altri titolati ci conosciamo.
Barone. (Oh come me lo goderei, se non avessi bisogno di lui!)
Conte. Oh collega amatissimo... (con premura)
Barone. Cosa c’è?
Conte. Ecco la signora Geltruda con sua nipote.
Barone. Sono occupate, credo che non ci abbiano veduto.
Conte. No certo. Se Geltruda mi avesse veduto, si sarebbe mossa immediatamente.
Barone. Quando le parlerete?
Conte. Subito, se volete.
Barone. Non è bene che io ci sia. Parlatele, io anderò a trattenermi dallo speciale.
Conte. Perchè dallo speciale?
Barone. Ho bisogno di un poco di reobarbaro per la digestione.
Conte. Del reobarbaro? Vi darà della radica di sambuco.
Barone. No no, lo conosco. Se non sarà buono, non lo prenderò. Mi raccomando a voi.
Conte. Collega amatissimo. (lo abbraccia)
Barone. Addio, collega carissimo. (È il più bel pazzo di questo mondo). (entra nella bottega dello speziale)
Conte. Signora Geltruda. (chiama forte)
Geltruda. Oh signor Conte, perdoni, non l’aveva veduta, (si alza)
Conte. Una parola, in grazia.
Susanna. Favorisca, se comanda si servi qui; è padrone.
Conte. No no; ho qualche cosa da dirvi segretamente. Scusate l’incomodo, ma vi prego di venir qui. (a Geltruda)
Geltruda. La servo subito. Mi permetta di pagar una cuffia che abbiamo preso, e sono da lei. (tira fuori una borsa per pagare Susanna, e per tirare in lungo.)
Conte. Vuol pagar subito! questo vizio io non l’ho mai avuto.
SCENA V.
Coronato esce dell’osteria con Scavezzo, che porta un barile di vino in spalla.
Conte. Illustrissimo, questo è un barile che viene a lei.
Conte. E l’altro?
Coronato. Dopo questo si porterà l’altro; dove vuol che si porti?
Conte. Al mio palazzo.
Coronato. A chi vuole che si consegni?
Conte. Al mio fattore, se c’è.
Coronato. Ho paura che non vi sarà.
Conte. Consegnatelo a qualcheduno.
Coronato. Benissimo, andiamo.
Scavezzo. Mi darà poi la buona mano il signor Conte.
Conte. Bada bene a non bever il vino, e non vi metter dell’acqua. (a Scavezzo) Non lo lasciate andar solo. (a Coronato)
Coronato. Non dubiti, non dubiti, ci sono anch’io. (via)
Scavezzo. (Sì sì, non dubiti, che fra io ed il padrone l’abbiamo accomodato a quest’ora). (via)
Geltruda. (Ha pagato, e si avanza verso il Conte. Susanna siede e lavora. Candida resta a sedere, e parlano piano fra di loro) Eccomi da lei, signor Conte. Cosa mi comanda?
Conte. In poche parole. Mi volete dar vostra nipote?
Geltruda. Dare? Cosa intendete per questo dare?
Conte. Diavolo! non capite? In matrimonio.
Geltruda. A lei?
Candida. Non a me, ma a una persona che conosco io, e che vi propongo io.
Geltruda. Le dirò, signor Conte, ella sa che mia nipote ha perduto i suoi genitori, e ch’essendo figliuola d’un unico mio fratello, mi sono io caricata di tenerle luogo di madre.
Conte. Tutti questi, compatitemi, sono discorsi inutili.
Geltruda. Mi perdoni. Mi lasci venire al proposito della sua proposizione.
Conte. Bene, e così?
Geltruda. Candida non ha ereditato dal padre tanto che basti per maritarla secondo la sua condizione.
Conte. Non importa, non vi è questione di ciò.
Geltruda. Ma mi lasci dire. Io sono stata beneficata da mio marito.
Conte. Lo so.
Geltruda. Non ho figliuoli...
Conte. E voi le darete una dote... (impaziente)
Geltruda. Sì signore, quando il partito le convenirà. (con caldo)
Conte. Oh, ecco il proposito necessario. Lo propongo io, e quando lo propongo io, le convenirà.
Geltruda. Son certa che il signor Conte non è capace che di proporre un soggetto accettabile, ma spero che mi farà l’onore di dirmi chi è.
Conte. È un mio collega.
Geltruda. Come? un suo collega?
Conte. Un titolato come son io.
Geltruda. Signore...
Conte. Non ci mettete difficoltà.
Geltruda. Mi lasci dire, se vuole; e se non vuole, gli leverò l’incomodo e me n’anderò.
Conte. Via via, siate buona; pariate, vi ascolterò. Colle donne sono civile, sono compiacente; vi ascolterò.
Geltruda. In poche parole le dico il mio sentimento. Un titolo di nobiltà fa il merito di una casa, ma non quello di una persona. Non credo mia nipote ambiziosa, nè io lo sono per sacrificarla all’idolo della vanità.
Conte. Eh, si vede che voi avete letto le favole. (scherzando)
Geltruda. Questi sentimenti non s’imparano nè dalle favole, nè dalle storie. La natura gl’inspira e l’educazione li coltiva.
Conte. La natura, la coltivazione, tutto quel che volete. Quello ch’io vi propongo è il barone del Cedro.
Geltruda. Il signor Barone è innamorato di mia nipote?
Conte. Oui, madame.
Geltruda. Lo conosco, ed ho tutto il rispetto per lui.
Conte. Vedete che pezzo ch’io vi propongo?
Geltruda. È un cavaliere di merito...
Conte. E mio collega.
Geltruda. È un poco franco di lingua, ma non c’è male.
Conte. Animo dunque. Cosa mi rispondete?
Geltruda. Adagio, adagio, signor Conte, non si decidono queste cose così sul momento. Il signor Barone avrà la bontà di parlare con me...
Conte. Quando lo dico io, scusatemi, non si mette in dubbio; io ve la domando per parte sua, e si è raccomandato, e mi ha pregato, e mi ha supplicato, ed io vi parlo, vi supplico, non vi supplico, ma ve la domando.
Geltruda. Supponiamo che il signor Barone dica davvero.
Conte. Cospetto! Cos’è questo supponiamo? La cosa è certa: e quando lo dico io...
Geltruda. Via, la cosa è certa. Il signor Barone la brama. Vossignoria la domanda. Bisogna bene ch’io senta se Candida vi acconsente.
Conte. Non lo saprà, se non glielo dite.
Geltruda. Abbia la bontà di credere che glielo dirò. (ironica)
Conte. Eccola lì, parlatele.
Geltruda. Le3 parlerò.
Conte. Andate, e vi aspetto qui.
Geltruda. Mi permetta, e sono da lei. (fa riverenza) (Se il Barone dicesse davvero, sarebbe una fortuna per mia nipote. Ma dubito ch’ella sia prevenuta). (da sè, e va verso la merciaia)
Conte. Oh, io poi colla mia buona maniera faccio fare alle persone tutto quello che io voglio, (tira fuori il libro, si metle sulla banchetta, e legge.)
Geltruda. Candida, andiamo a fare due passi. Ho necessità di parlarvi.
Susanna. Se vogliono restar servite nel mio giardinetto, saranno in pienissima libertà. (si alzano)
Geltruda. Sì, andiamo, che sarà meglio, perchè devo tornar qui subito. (entra in bottega)
Candida. Cosa mai vorrà dirmi? Son troppo sfortunata per aspettarmi alcuna consolazione. (entra in bottega)
Conte. È capace di farmi star qui un’ora ad aspettarla. Manco male che ho questo libro che mi diverte. Gran bella cosa è la letteratura! Un uomo con un buon libro alla mano non è mai solo. (legge piano)
SCENA VI.
Giannina di casa, e il Conte.
Giannina. Oh via, il desinare è preparato, quando verrà quell’animale di Moracchio, non griderà. Nessuno mi vede; è meglio che vada ora a portar il ventaglio alla signora Candida. Se posso darglielo senza che la zia se ne accorga, glielo do; se no, aspetterò un altro incontro.
Conte. Oh ecco Giannina. Ehi! quella giovane (s’incammina al palazzino.)
Giannina. Signore. (dove si trova, voltandosi)
Conte. Una parola. (la chiama a sè)
Giannina. Ci mancava quest’impiccio ora. (si avanza bel bello)
Conte. (Non bisogna che io mi scordi di Coronato. Gli ho promesso la mia protezione, e la merita), (si alza e mette via il libro)
Giannina. Son qui, cosa mi comanda?
Conte. Dove eravate indirizzata?
Giannina. A fare i fatti miei, signore. (rusticamente)
Conte. Così mi rispondete? Con quest’audacia? con quest’impertinenza?
Giannina. Come vuol ch’io parli? Parlo come so, come sono avvezza a parlare. Parlo così con tutti, e nessuno mi ha detto che sono una impertinente.
Conte. Bisogna distinguere con chi si parla.
Giannina. Oh, io non so altro distinguere. Se vuol qualche cosa, me lo dica; se vuol divertirsi, io non ho tempo da perdere con vossignoria...
Conte. Illustrissima.
Giannina. È eccellentissima ancora, se vuole.
Conte. Venite qui.
Giannina. Son qui.
Conte. Vi volete voi maritare?
Giannina. Signor sì.
Conte. Brava, così mi piace.
Giannina. Oh, io quel che ho in core ho in bocca.
Conte. Volete che io vi mariti?
Giannina. Signor no.
Conte. Come no?
Giannina. Come no? perchè no. Perchè per maritarmi non ho bisogno di lei.
Conte. Non avete bisogno della mia protezione?
Giannina. No in verità, niente affatto.
Conte. Sapete voi quel che io posso in questo villaggio?
Giannina. Potrà tutto in questo villaggio, ma non può niente nel mio matrimonio.
Conte. Non posso niente?
Giannina. Niente in verità, niente affatto. (ridendo dolcemente)
Conte. Voi siete innamorata in Crespino.
Giannina. Oh, per me ha dello spirito che mi basta.
Conte. E lo preferite a quel galantuomo, a quell’uomo ricco, a quell’uomo di proposito di Coronato?
Giannina. Oh, lo preferirei bene ad altri che a Coronato.
Conte. Lo preferireste a degli altri?
Giannina. Se sapesse a chi lo preferirei! (ridendo, ed a moti si spiega) per lui.
Conte. E a chi lo preferireste?
Giannina. Cosa serve? non mi faccia parlare.
Conte. No, perchè sareste capace di dire qualche insolenza.
Giannina. Comanda altro da me?
Conte. Orsù, io proteggo vostro fratello, vostro fratello ha dato parola per voi a Coronato, e voi dovete maritarvi con Coronato.
Giannina. Vossignoria...
Conte. Illustrissima.
Giannina. Vossignoria illustrissima protegge mio fratello? (affettata)
Conte. Così è, sono impegnato.
Giannina. E mio fratello ha dato parola a Coronato?
Conte. Sicuramente.
Giannina. Oh, quando è così...
Conte. E bene?
Giannina. Mio fratello sposerà Coronato.
Conte. Giuro al cielo. Crespino non lo sposarete4.
Giannina. No? perchè?
Conte. Lo farò mandar via di questo villaggio.
Giannina. Anderò a cercarlo dove sarà.
Conte. Lo farò bastonare.
Giannina. Oh, in questo ci penserà lui.
Conte. Lo farò accoppare.
Giannina. Questo mi dispiacerebbe veramente.
Conte. Cosa fareste s’egli fosse morto?
Giannina. Non so.
Conte. Ne prendereste un altro?
Giannina. Potrebbe darsi di sì.
Conte. Fate conto ch’egli sia morto.
Giannina. Signor, non so nè leggere, nè scrivere, nè far conti.
Conte. Impertinente!
Giannina. Mi comanda altro?
Conte. Andate al diavolo.
Giannina. M’insegni la strada.
Conte. Giuro al cielo, se non foste una donna!
Giannina. Cosa mi farebbe?
Conte. Andate via di qua.
Giannina. Subito l’obbedisco, e poi mi dirà ch’io non so le creanze. (si incammina verso il palazzina)
Conte. Creanze, creanze! Va via senza salutare, (sdegnato dietro a Giannina.)
Giannina. Oh perdoni. Serva di vossignoria...
Conte. Illustrissima. (sdegnato)
Giannina. Illustrissima. (ridendo corre nel palazzina)
Conte. Rustica progenies nescit habere modum. (sdegnato) Non so cosa fare; se non vuol Coronato, io non la posso obbligare; non ha mancato da me. Cosa si é messo in capo colui di voler una moglie che non lo vuole! Mancano donne al mondo? Gliene troverò una io. Una meglio di questa. Vedrà, vedrà l’effetto della mia protezione.
SCENA VII.
Geltruda e Candida fuori della bottega della merciaia, e detto.
Conte. E così, signora Geltruda?
Geltruda. Signore, mia nipote è una giovane saggia e prudente.
Conte. E così, alle corte.
Geltruda. Ma ella m’affatica in verità, signor Conte.
Conte. Scusatemi; se sapeste quel ch’ho passato con una donna! è vero, che un’altra donna5... (Ma tutte donne!) E così, cosa dice la saggia e prudente signora Candida?
Geltruda. Supposto che il signor Barone...
Conte. Supposto: maledetti i vostri supposti.
Geltruda. Dato, concesso, assicurato, concluso, come comanda vossignoria.
Conte. Illustrissima. (fra’ denti, da sè)
Geltruda. Signore. (domandandogli cosa ha detto)
Conte. Niente niente, tirate innanzi.
Geltruda. Accordate le condizioni e le convenienze, mia nipote è contenta di sposare il signor Barone.
Conte. Brava, bravissima. (a Candida) (Questa volta almeno ci sono riuscito). (da sè)
Candida. (Sì, per vendicarmi di quel perfido d’Evaristo). (da sè)
Geltruda. (Non credeva, certo, ch’ella v’acconsentisse. Mi pareva impegnata in certo amoretto... ma mi sono ingannata).
SCENA VIII.
Giannina sulla terrazza, e detti.
Giannina. (Non c’è, non la trovo in nessun luogo). Oh eccola lì.
Conte. Così dunque la signora Candida sposerà il signor barone del Cedro.
Giannina. (Cosa sento? cosa risponderà?)
Geltruda. Ella lo farà quando le condizioni... (al Conte)
Conte. Quali condizioni ci mettete voi? (a Candida)
Candida. Nessuna, signore, lo sposerò in ogni modo, (al Conte)
Conte. Viva la signora Candida, così mi piace. (Eh, quando mi meschio io negli affari, tutto va a meraviglia). (si pavoneggia)
Giannina. (Questa è una cosa terribile. Povero signor Evaristo! È inutile ch’io le dia il ventaglio). (via)
Geltruda. (Mi sono ingannata. Ella amava il Barone, ed io la credeva accesa del signor Evaristo). (da sè)
Conte. Se mi permettete, vado a dare questa buona nuova al Barone, al mio caro amico, al mio caro collega.
Geltruda. E dov’è il signor Barone?
Conte. Mi aspetta dallo speziale. Fate una cosa. Andate a casa; ed io ve lo conduco immediatamente.
Geltruda. Cosa dite, nipote?
Candida. Sì, parlerà con voi. (a Geltruda)
Conte. E con voi. ( Candida)
Candida. Mi rimetto a quello farà la signora zia. (Morirò, ma morirò vendicata). (da sè)
Conte. Vado subito. Aspettateci. Verremo da voi... Come l’ora è un poco avanzata, non sarebbe male che gli offeriste di tenerlo a pranzo. (Geltruda)
Geltruda. Oh, per la prima volta!
Conte. Eh, queste sono delicatezze superflue. L’accetterà volentieri, m’impegno io, e per obbligarlo ci resterò ancor io. (parte, ed entra dallo speziale)
Geltruda. Andiamo ad attenderli adunque. (a Candida)
Candida. Andiamo. (melanconica)
Geltruda. Che cosa avete? Lo fate voi di buon animo? (a Candida)
Candida. Sì, di buon animo. (Ho data la mia parola, non vi è rimedio).
Geltruda. (Povera fanciulla, la compatisco. In questi casi, (s’incammina verso il palazzina) malgrado l’amore, si sente sempre un poco di confusione). (come sopra)
SCENA IX.
Giannina dal palazzino, e Candida.
Giannina. Oh signora Candida.
Candida. Cosa fate voi qui? (in collera)
Giannina. Veniva in traccia di lei...
Candida. Andate via, e in casa nostra non ardite più di mettervi il piede.
Giannina. Come! A me quest’affronto?
Candida. Che affronto! Siete un’indegna, e non deggio e non posso più tollerarvi. (entra nel palazzina)
Geltruda. (È un poco troppo veramente).
Giannina. (Io resto di sasso!) Signora Geltruda...
Geltruda. Mi dispiace della mortificazione che avete provata, ma mia nipote è una giovane di giudizio, e se vi ha trattata male, avrà le sue ragioni per farlo.
Giannina. Che ragioni può avere? Mi maraviglio di lei. (forte)
Geltruda. Ehi, portate rispetto. Non alzate la voce.
Giannina. Voglio andare a giustificarmi... (in atto di partire)
Geltruda. No no, fermatevi. Ora non serve, lo farete poi.
Giannina. Ed io le dico che voglio andare adesso. (vuol andare)
Geltruda. Non ardirete di passare per questa porta. (si mette sulla porta)
SCENA X.
Conte e Barone dallo speciale, per andar al palazzino, e dette.
Conte. Andiamo, andiamo.
Barone. Ci verrò per forza.
Geltruda. Impertinente! (a Giannina; poi entra e chiude la porta nell'atto che si presentano il Conte ed il Barone, non veduti da lei.)
Giannina. (Arrabbiata s’allontana e smania.)
Conte. (Resta senza parlare, guardando la porta.)
Barone. Come, ci chiude la porta in faccia?
Conte. In faccia? Non è possibile.
Barone. Non è possibile? Non è possibile quel ch’è di fatto?
Giannina. A me un affronto? (da sè, passeggiando e fremendo)
Conte. Andiamo a battere, a vedere, a sentire. (al Barone)
Giannina. (S’entrano essi, entrerò ancor io).
Barone. No, fermatevi, non ne vo’ saper altro. Non voglio espormi a novelli insulti. Mi son servito di voi male a proposito. V’hanno deriso voi, ed hanno posto in ridicolo me per cagion vostra.
Conte. Che maniera di parlare è codesta? (si scalda)
Barone. E ne voglio soddisfazione.
Conte. Da chi?
Barone. Da voi.
Conte. Come?
Barone. Colla spada alla mano.
Conte. Colla spada? Sono vent’anni che sono in questo villaggio, e che non adopero più la spada.
Barone. Colla pistola dunque.
Conte. Sì, colle pistole. Anderò a prendere le mie pistole, (vuol partire)
Barone. No, fermatevi. Eccone due. Una per voi e una per me. (le tira di saccoccia)
Giannina. Pistole? Ehi gente. Aiuto. Pistole. Si ammazzano. (corre in casa)
Conte. (Imbarazzato.)
SCENA XI.
Geltruda sulla terrazza, e detti; poi Limoncino e Tognino.
Geltruda. Signori miei, cos’è questa novità?
Conte. Perchè ci avete serrata la porta in faccia? (a Geltruda)
Geltruda. Io? Scusatemi. Non sono capace di un’azione villana con chi che sia. Molto meno con voi e col signor Barone, che si degna di favorir mia nipote.
Conte. Sentite. (al Barone)
Barone. Ma signora mia, nell’atto che volevamo venir da voi, ci è stata serrata la porta in faccia.
Geltruda. Vi protesto che non vi aveva veduti, ed ho serrato la porta per impedire che non entrasse quella scioccherella di Giannina.
Giannina. (Mette fuori la testa con paura6 dalla sua porta) Cos’è questa scioccarella? (caricando con disprezzo, e torna dentro)
Conte. Zitto lì, impertinente. (contro Giannina)
Geltruda. Se vogliono favorire, darò ordine che sieno introdotti. (via)
Conte. Sentite? (al Barone)
Barone. Non ho niente che dire.
Conte. Cosa volete fare di quelle pistole?
Barone. Scusate la delicatezza d’onore... (mette via le pistole)
Conte. E volete presentarvi a due donne colle pistole in saccoccia?
Barone. Le porto in campagna per mia difesa.
Conte. Ma se lo sanno che abbiate quelle pistole: sapete cosa sono le donne, non vorranno che vi accostiate.
Barone. Avete ragione. Vi ringrazio di avermi prevenuto, e per segno di buona amicizia, ve ne faccio un presente. (le torna a tirar fuori e gliele presenta.)
Conte. Un presente a me? (con timore)
Barone. Sì, spero che non lo ricusarete.
Conte. Le accetterò perchè vengono dalle vostre mani. Sono cariche?
Barone. Che domanda! Volete ch’io porti le pistole vuote?
Conte. Aspettate. Ehi dal caffè.
Limoncino. (Dalla bottega del caffè) Cosa mi comanda?
Conte. Prendete queste pistole, e custoditele, che le manderò a pigliare.
Limoncino. Sarà servito. (prende le pistole del Barone)
Conte. Badate bene che sono cariche.
Limoncino. Eh, ch’io le so maneggiare. (scherza colle pistole)
Conte. Ehi, ehi, non fate la bestia. (con timore)
Limoncino. (È valoroso il signor Conte). (via)
Conte. Vi ringrazio, e ne terrò conto. (Dimani le venderò).
Tognino. (Dal palazzino) Signori, la padrona li aspetta.
Conte. Andiamo.
Barone. Andiamo.
Conte. Ah! che ne dite? Sono uomo io? Eh collega amatissimo. Noi altri titolati! La nostra protezione valqualche cosa. (s’incammina)
Giannina. (Di casa, pian piano, va dietro di loro per entrare. Il Conte ed il Barone entrano, introdotti da Tognino che resta sulla porta. Giannina dorrebbe entrare, e Tognino la ferma.)
Tognino. Voi non ci avete che fare.
Giannina. Signor sì, ci ho che fare.
Tognino. Ho ordine di non lasciarvi entrare. (entra e chiude la porta)
Giannina. Ho una rabbia a non potermi sfogare, che sento proprio che la bile mi affoga. (avanzandosi) A me un affronto? A una giovane della mia sorte? (smania per la scena)
SCENA XII.
Evaristo di strada, collo schioppo in spalla, e Moracchio collo schioppo in mano, una sacchetta col salvatico, ed il cane attaccato alla corda; e detta. Poi Tognino.
Evaristo. Tenete, portate il mio schioppo da voi. Custodite quelle pernici fino che io ne dispongo. Vi raccomando il cane. (siede al caffè, piglia tabacco e s’accomoda)
Moracchio. Non dubiti che sarà tutto ben custodito. (ad Evaristo) Il desinare è all’ordine? (a Giannina, avanzandosi)
Giannina. È all’ordine. (arrabbiata)
Moracchio. Cosa diavolo hai? Sei sempre in collera con tutto il mondo, e poi ti lamenti di me.
Giannina. Oh, è vero. Siamo fratelli, non vi è niente che dire...
Moracchio. Via, andiamo a desinare, ch’è ora. (a Giannina)
Giannina. Sì sì, va avanti, che poi verrò. (Voglio parlare col signor Evaristo).
Moracchio. Se vieni, vieni; se non vieni, mangerò io. (entra in casa)
Giannina. Se ora mangiassi, mangerei del veleno.
Evaristo.(Non si vede nessuno nella terrazza. Saranno a pranzo probabilmente. È meglio ch’io vada all’osteria. Il Barone mi aspetta). (si alza) Ebbene, Giannina, avete niente da dirmi? (vedendo Giannina)
Giannina. Oh sì, signore, ho qualche cosa da dirle7. (bruscamente)
Evaristo. Avete dato il ventaglio?
Giannina. Eccolo qui il suo maladetto ventaglio.
Evaristo. Che vuol dire non avete potuto darlo?
Giannina. Ho ricevuto mille insulti, mille impertinenze, e mi hanno cacciato di casa come una briccona.
Evaristo. Si è forse accorta la signora Geltruda?
Giannina. Eh, non è stata solamente la signora Geltruda. Le maggiori impertinenze me l’ha dette la signora Candida.
Evaristo. Perchè? Cosa le8 avete fatto?
Giannina. Io non le ho fatto niente, signore.
Evaristo. Le avete detto che avevate un ventaglio per lei?
Giannina. Come poteva dirglielo, se non mi ha dato tempo, e mi hanno scacciata come una ladra?
Evaristo. Ma ci deve essere il suo perchè.
Giannina. Per me so di non averle fatto niente. E tutto questo maltrattamento son certa, son sicura, che me lo ha fatto per causa vostra.
Evaristo. Per causa mia? La signora Candida che mi ama tanto?
Giannina. Vi ama tanto la signora Candida?
Evaristo. Non vi è dubbio, ne son sicurissimo.
Giannina. Oh sì, vi assicuro anch’io che vi ama bene, bene, ma bene.
Evaristo. Voi mi mettete in una agitazione terribile.
Giannina. Andate, andate a ritrovare la vostra bella, la vostra cara. (ironica)
Evaristo. E perchè non vi posso andare?
Giannina. Perchè il posto è preso.
Evaristo. Da chi? (affannato)
Giannina. Dal signor barone del Cedro.
Evaristo. Il Barone è in casa? (con maraviglia)
Giannina. Che difficoltà c’è che sia in casa, se è lo sposo della signora Candida?
Evaristo. Giannina, voi sognate, voi delirate, voi non fate che dire degli spropositi.
Giannina. Non mi credete, andate a vedere, e saprete s’io dico la verità.
Evaristo. In casa della signora Geltruda...
Giannina. E della signora Candida.
Evaristo. Vi è il Barone?
Giannina. Del Cedro...
Evaristo. Sposo della signora Candida...
Giannina. L’ho veduto con questi occhi e sentito con queste orecchie.
Evaristo. Non può stare, non può essere, voi dite delle bestialità.
Giannina. Andate, vedete, sentite, e vedrete s’io dico delle bestialità. (cantando)
Evaristo. Subito, immediatamente. (corre al palazzino e batte)
Giannina. Povero sciocco! Si fida dell’amore d’una giovane di città! Non sono come noi no, le cittadine. (Evaristo freme, e torna a battere.)
Tognino. (Apre, e si fa vedere sulla porta.)
Evaristo. E bene!
Tognino. Perdoni, io non posso introdur nessuno.
Evaristo. Avete detto che sono io?
Tognino. L’ho detto.
Evaristo. Alla signora Candida?
Tognino. Alla signora Candida.
Evaristo. E la signora Geltruda non vuole ch’io entri?
Tognino. Anzi la signora Geltruda aveva detto di lasciarla entrare, e la signora Candida non ha voluto.
Evaristo. Non ha voluto? Ah giuro al cielo! Entrerò. (vuol sforzare e Tognino gli9 serra la porta in faccia)
Giannina. Ah! cosa le ho detto io?
Evaristo. Son fuor di me. Non so in che mondo mi sia. Chiudermi la porta in faccia?
Giannina. Oh, non si meravigli. L’hanno fatto anche a me questo bel trattamento.
Evaristo. Com’è possibile che Candida m’abbia potuto ingannare?
Giannina. Quel ch’è di fatto non si può mettere in dubbio.
Evaristo. Ancora non lo credo, non lo posso credere, non lo crederò mai.
Giannina. Non lo crede?
Evaristo. No, vi sarà qualche equivoco, qualche mistero, conosco il cuore di Candida; non è capace.
Giannina. Bene. Si consoli così. Speri e se la goda, che buon pro le faccia.
Evaristo. Voglio parlar con Candida assolutamente.
Giannina. Se non l’ha voluto ricevere!
Evaristo. Non importa. Vi sarà qualche altra ragione. Andrò in casa del caffettiere. Mi basta di vederla, di sentire una parola da lei. Mi basta un cenno per assicurarmi della mia vita o della mia morte.
Giannina. Tenga.
SCENA XIII.
Coronato e Scavezzo vengono da dove sono andati; Scavezzo va a dirittura all’osteria. Coronato resta in disparte ad ascoltare; e detti.
Evaristo. Cosa volete darmi?
Giannina. Il ventaglio.
Evaristo. Tenetelo, non mi tormentate.
Giannina. Me lo dona il ventaglio?
Evaristo. Sì, tenetelo, ve lo dono. (Son fuor di me stesso).
Giannina. Quand’è così, la ringrazio.
Coronato. (Oh oh, ora ho saputo cos’è il regalo. Un ventaglio). (senza esser veduto entra nell'osteria)
Evaristo. Ma se Candida non si lascia da me vedere, se per avventura non si affaccia alle sue finestre, se vedendomi ricusa di ascoltarmi, se la zia glielo vieta, sono in un mare di agitazioni, di confusioni.
Crespino. (Con un sacco in spalla di curame10 e scarpe ecc. va per andare alla sua bottega, vede li due, si ferma ad ascoltare.)
Giannina. Caro signor Evaristo, ella mi fa pietà, mi fa compassione.
Evaristo. Sì, Giannina mia, lo merito veramente.
Giannina. Un signore sì buono, sì amabile, sì cortese!
Evaristo. Voi conoscete il mio core, voi siete testimonio dell’amor mio.
Crespino. (Buono, sono arrivato a tempo), (col sacco in spalla, da sè)
Giannina. In verità, se sapessi io la maniera di consolarlo!
Crespino. (Brava!)
Evaristo. Sì, ad ogni costo voglio tentar la mia sorte. Non voglio potermi rimproverare di aver trascurato di sincerarmi. Vado al caffè, Giannina, vado e vi vado tremando. Conservatemi l’amor vostro e la vostra bontà. (la prende per mano, ed entra nel caffè)
Giannina. Da una parte mi fa ridere, dall’altra mi fa compassione.
Crespino. (Mette giù11 il sacco, tira fuori le scarpe ecc., le mette sul banchetto ed entra in bottega12 senza dir niente.)
Giannina. Oh ecco Crespino. Ben ritornato. Dove siete stato sinora?
Crespino. Non vedete? A comprare del cuoio e a prendere delle scarpe d’accomodare.
Giannina. Ma voi non fate che accomodar delle scarpe vecchie. Non vorrei che dicessero... Sapete che non vi sono che delle male lingue.
Crespino. Eh, le male lingue avranno da divertirsi più sopra di voi che sopra di me. (lavorando)
Giannina. Sopra di me? che cosa possono dire di me?
Crespino. Cosa m’importa che dicano ch’io faccio più il ciabattino che il calzolaro? Mi basta d’essere un galantuomo e di guadagnarmi il pane onoratamente. (lavorando)
Giannina. Ma io non vorrei mi dicessero la ciabattina.
Crespino. Quando?
Giannina. Quando sarò vostra moglie.
Crespino. Eh!
Giannina. Eh! cosa questo eh? cosa vuol dir questo eh?
Crespino. Vuol dire che la signora Giannina non sarà nè ciabattina, nè calzolaia, ch’ella ha delle idee vaste e grandiose.
Giannina. Siete pazzo, o avete bevuto questa mattina?
Crespino. Non son pazzo, non ho bevuto, ma non sono nè orbo, nè sordo.
Giannina. E che diavolo volete dire? Spiegatevi, se volete ch’io vi capisca. (si avanza)
Crespino. Vuol che mi spieghi? Mi spiegherò. Credete ch’io non abbia sentito le belle parole col signor Evaristo?
Giannina. Col signor Evaristo?
Crespino. Sì, Giannina mia... voi conoscete il mio core... voi siete testimonio dell’amor mio. (contrafacendo Evaristo)
Giannina. Oh matto! (ridendo)
Crespino. In verità, se sapessi la maniera di consolarlo! (cantrafacendo Giannina)
Giannina. Oh matto! (come sopra)
Crespino. Giannina, conservatemi l’amor vostro e la vostra bontà. (contrafacendo Evaristo)
Giannina. Matto, e poi matto. (come sopra)
Crespino. Io matto?
Giannina. Sì, voi, voi matto, stramatto e di là di matto.
Crespino. Corpo del diavolo, non ho veduto io? Non ho sentito la bella conversazione col signor Evaristo?
Giannina. Matto.
Crespino. E quello che gli avete risposto?
Giannina. Matto.
Crespino. Giannina, finite con questo matto, che farò da matto da vero. (minacciando)
Giannina. Ehi ehi! (con serietà, poi cangia tuono) Ma credete voi che il signor Evaristo abbia della premura per me?
Crespino. Non so niente.
Giannina. E ch’io sia così bestia per averne per lui?
Crespino. Non so niente.
Giannina. Venite qua, sentite. (dice presto presto) Il signor Evaristo è amante della signora Candida, e la signora Candida lo ha burlato e vuol sposare il signor Barone. E il signor Evaristo è disperato, è venuto a sfogarsi meco, ed io lo compassionava per burlarmi di lui, ed egli si consolava con me. Avete capito?
Crespino. Nè anche una parola.
Giannina. Siete persuaso della mia innocenza?
Crespino. Non troppo.
Giannina. Quando è così, andate al diavolo. Coronato mi brama. Coronato mi cerca. Mio fratello gli ha dato parola. Il signor Conte mi stimola, mi prega. Sposerò Coronato. (presto)
Crespino. Adagio, adagio. Non andate subito sulle furie. Posso assicurarmi che dite la verità? Che non avete niente che fare col signor Evaristo?
Giannina. E non volete che vi dica matto? Caro il mio Crespino, che vi voglio tanto bene, che siete l’anima mia, il mio caro coccolo, il mio caro sposino. (accarezzandolo)
Crespino. E cosa vi ha donato il signor Evaristo? (dolcemente)
Giannina. Niente.
Crespino. Niente sicuro? niente?
Giannina. Quando vi dico niente, niente. (Non voglio che sappia del ventaglio, che subito sospetterebbe).
Crespino. Posso esser certo?
Giannina. Ma via, non mi tormentate.
Crespino. Mi volete bene?
Giannina. Sì, vi voglio bene.
Crespino. Via, facciamo la pace. (le tocca la mano)
Giannina. Matto. (ridendo)
Crespino. Ma perchè matto? (ridendo)
Giannina. Perchè siete un matto.
SCENA XIV.
Coronato ch’esce dall’osteria, e detti.
Coronato. Finalmente ho saputo il regalo che ha avuto la signora Giannina.
Giannina. Cosa c’entrate con me voi?
Crespino. Da chi ha avuto un regalo? (a Coronato)
Coronato. Dal signor Evaristo.
Giannina. Non è vero niente.
Crespino. Non è vero niente?
Coronato. Sì sì, e so che regalo è. (a Giannina)
Giannina. Sia quel ch’esser si voglia, a voi non deve importare; io amo Crespino, e sarò moglie del mio Crespino.
Crespino. E bene, che regalo è? (a Coronato)
Coronato. Un ventaglio.
Crespino. Un ventaglio? (a Giannina, in collera)
Giannina. (Maladetto colui).
Crespino. Avete ricevuto un ventaglio? (a Giannina)
Giannina. Non è vero niente.
Coronato. Tanto è vero, che lo avete ancora in saccoccia.
Crespino. Voglio veder quel ventaglio.
Giannina. Signor no. (a Crespino)
Coronato. Troverò io la maniera di farvelo metter fuori.
Giannina. Siete un impertinente.
SCENA XV.
Moracchio di casa colla salvietta, e mangiando; e detti.
Moracchio. Cos’è questo baccanale?
Coronato. Vostra sorella ha avuto un ventaglio in regalo, lo ha in saccoccia e nega di averlo.
Moracchio. A me quel ventaglio. (a Giannina, con comando)
Giannina. Lasciatemi stare. (a Moracchio)
Moracchio. Dammi quel ventaglio, che giuro al cielo... (minacciandola)
Giannina. Maladetto! Eccolo qui. (lo fa vedere)
Crespino. A me, a me. (lo vorrebbe prendere)
Coronato. Lo voglio io. (con collera lo vuole prendere)
Giannina. Lasciatemi stare, maladetti.
Moracchio. Presto, da’ qui, che lo voglio io.
Giannina. Signor no. (a Moracchio) Piuttosto lo voglio dare a Crespino.
Moracchio. Da’ qui, dico.
Giannina. A Crespino. (dà il ventaglio a Crespino, e corre in casa)
Coronato. Date qui.
Moracchio. Date qui.
Crespino. Non l’avrete. (tutti due sono attorno a Crespino per averlo, egli fugge via per le quinte, e loro appresso.)
SCENA XVI.
Conte sulla terrazza, Timoteo alla balconata.
Poi il Barone e detti.
Conte. Ehi, signor Timoteo. (forte con premura)
Timoteo. Cosa comanda?
Conte. Presto, presto, portate dei spiriti, dei cordiali. E venuto male alla signora Candida.
Timoteo. Subito vengo. (entra in bottega)
Conte. Che diavolo ha avuto a quella finestra? Bisogna che nel giardino del caffettiere vi siano delle piante avvelenate, (entra)
Crespino. (Traversa il teatro, e va dall’altra parte correndo.)
Coronato. | (Gli corrono dietro senza dir niente, e tutti via.) | |
Moracchio. |
Barone. (Dal palazzino va a sollecitare lo speziale) Animo, presto, signor Timoteo.
Timoteo. (Dalla speziaria con una sottocoppa con varie boccette) Eccomi, eccomi.
Barone. Presto, che vi è bisogno di voi. (entra nel palazzina)
Timoteo. Son qui, son qui. (va per entrare.
(Crespino, Coronato, Moracchio da un altra quinta corrono come sopra. Urtano Timoteo, e lo fanno cadere con tutte le sue boccette, che si fracassano. Crespino casca e perde il ventaglio. Coronato lo prende e lo porta via. Timoteo si alza e torna in bottega.)
Coronato. Eccolo, eccolo, lo ho avuto io. (a Moracchio)
Moracchio. Ci ho gusto, tenetelo voi. Giannina mi renderà conto da chi l’ha avuto. (entra in casa)
Coronato. Intanto gliel’ho fatta vedere, l’ho avuto io. (entra nell’osteria)
Crespino. Oh maladetti! Mi hanno stroppiato. Ma pazienza. Mi dispiace più che Coronato abbia avuto il ventaglio. Pagherei sei para di scarpe a poterlo ricuperare, per farlo in pezzi... Per farlo in pezzi? Perchè? Perchè è un regalo fatto alla mia amorosa? Eh, pazzie pazzie: Giannina è una buona ragazza, le voglio bene, e non bisogna esser così delicati. (zoppicando entra in bottega.)
Fine dell’Atto Secondo
Note
- ↑ I più recenti editori stampano: le.
- ↑ Così il Masi, il Guastalla ed altri. Nell’ed. Zatta è stampato la.
- ↑ Nel testo li. Così correggono quanti curarono le numerose ristampe del Ventaglio.
- ↑ Le recenti edizioni correggono: sposerete.
- ↑ Così nell’ed. Zatta e nelle recenti edizioni del Ventaglio. Forse potrebbe leggersi: È vero ch’è un’altra donna... alludendosi a Giannina.
- ↑ Così giustamente corregge Cesare Levi (C. G., Il Ventaglio, Napoli, Pironti. 1912). Nell’ed. Zatta e nelle altre citate si legge: con pausa.
- ↑ Così le edizioni citate. Nell’ed. Zatta è stampato dirli.
- ↑ Come sopra. Ed. Zatta: li.
- ↑ Ed. Zatta: li.
- ↑ Voce dialettale. Il Cameroni, il Masi e altri stampano corame; il Momigliano: cuoia.
- ↑ Così giustamente correggono il Cameroni (Capolavori di C. G., Trieste 1857) e Cesare Levi (ed. cit.). Nell’ed. Zatta è stampato qui. Nelle edizioni curate dal Masi, dal dal Guastalla, dal Momigliano, dal Vaccalluzzo leggesi: depone ecc.
- ↑ Nell’ed. Zatta è stampato per isbaglio: e in bottega. Nell’ed. Cameroni e nelle più recenti si corregge: e va in bottega; ma il G. suol dire entra.