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412 ATTO SECONDO

Conte. In poche parole. Mi volete dar vostra nipote?

Geltruda. Dare? Cosa intendete per questo dare?

Conte. Diavolo! non capite? In matrimonio.

Geltruda. A lei?

Candida. Non a me, ma a una persona che conosco io, e che vi propongo io.

Geltruda. Le dirò, signor Conte, ella sa che mia nipote ha perduto i suoi genitori, e ch’essendo figliuola d’un unico mio fratello, mi sono io caricata di tenerle luogo di madre.

Conte. Tutti questi, compatitemi, sono discorsi inutili.

Geltruda. Mi perdoni. Mi lasci venire al proposito della sua proposizione.

Conte. Bene, e così?

Geltruda. Candida non ha ereditato dal padre tanto che basti per maritarla secondo la sua condizione.

Conte. Non importa, non vi è questione di ciò.

Geltruda. Ma mi lasci dire. Io sono stata beneficata da mio marito.

Conte. Lo so.

Geltruda. Non ho figliuoli...

Conte. E voi le darete una dote... (impaziente)

Geltruda. Sì signore, quando il partito le convenirà. (con caldo)

Conte. Oh, ecco il proposito necessario. Lo propongo io, e quando lo propongo io, le convenirà.

Geltruda. Son certa che il signor Conte non è capace che di proporre un soggetto accettabile, ma spero che mi farà l’onore di dirmi chi è.

Conte. È un mio collega.

Geltruda. Come? un suo collega?

Conte. Un titolato come son io.

Geltruda. Signore...

Conte. Non ci mettete difficoltà.

Geltruda. Mi lasci dire, se vuole; e se non vuole, gli leverò l’incomodo e me n’anderò.

Conte. Via via, siate buona; pariate, vi ascolterò. Colle donne sono civile, sono compiacente; vi ascolterò.