Il ventaglio (Goldoni)/Atto I
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ATTO PRIMO
SCENA PRIMA.
Tutti
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Disposizione e colpo d’occhio di questa prima scena.
Geltruda e Candida a seder sulla terrazza. La prima facendo de’ gruppetti1, la seconda dell’entoilage2. Evaristo ed il Barone vestiti propriamente da cacciatori, sedendo sui seggioloni, e bevendo il caffè co’ loro schioppi al fianco. Il Conte da campagna con rodengotto3, cappello di paglia e bastone, sedendo vicino allo Speziale, e leggendo un libro. Timoteo dentro alla sua bottega, pestando in un mortaio di bronzo sulla balconata4. Giannina, da paesana, sedendo vicino alla sua porta filando. Susanna sedendo vicino alla sua bottega, e lavorando qualche cosa di bianco. Coronato sedendo sulla banchetta, vicino all’osteria, con un libro di memorie in mano ed una penna da lapis. Crespino a sedere al suo banchetto, e lavorando da calzolaro con una scarpa in forma. Moracchio di qua dalla casa di Giannina verso i lumi5, tenendo in mano una corda con un cane da caccia attaccato, dandogli del pane a mangiare. Scavezzo di qua dell’osteria, verso i lumini, pelando un pollastro. Limoncino presso alli due, che bevono il caffè colla sottocoppa in mano, aspettando le tazze. Tognino spazzando dinnanzi alla porta del palazzina, e sulla facciata del medesimo. Alzata la tenda tutti restano qualche momento senza parlare, ed agendo come si è detto, per dar tempo all’uditorio di esaminare un poco la scena.
Evaristo. Che vi pare di questo caffè? (al Barone)
Barone. Mi par buono.
Evaristo. Per me lo trovo perfetto. Bravo, signor Limoncino, questa mattina vi siete portato bene.
Limoncino. La ringrazio dell’elogio, ma la prego di non chiamarmi con questo nome di Limoncino.
Evaristo. Oh bella: tutti vi conoscono per questo nome, siete famoso col nome di Limoncino. Tutti dicono: andiamo alle Case nove a bevere il caffè da Limoncino; e ve ne avete a male per questo?
Limoncino. Signore, questo non è il mio nome.
Barone. Oh via, da qui innanzi vi chiameremo signor Arancio, signor Bergamotto. (bevendo il caffè)
Limoncino. Le dico che io non son fatto per far il buffone.
Candida. (Ride forte.)
Evaristo. Che ne dice, signora Candida? (si fa fresco col ventaglio e lo rimette sul poggio6)
Candida. Che vuole ch’io dica? Sono cose da ridere veramente.
Geltruda. Via, signori, lasciatelo stare quel buon ragazzo; egli fa del buon caffè, ed è sotto la mia protezione.
Barone. Oh, quando è sotto la protezione della signora Geltruda, gli si porterà rispetto. (Sentite, la buona vedova lo protegge). (piano ad Evaristo)
Evaristo. Non dite male della signora Geltruda. Ella è la più saggia e la più onesta donna del mondo. (piano al Barone)
Barone. Tutto quel che volete, ma si dà aria di protezione come lei... il signor Conte, che siede e legge con un’aria da giurisdicente. (come sopra)
Evaristo. Oh in quanto a lui, non avete il torto, è una vera caricatura, ma è troppo ingiusta la comparazione colla signora
Geltruda. (come sopra)
Barone. Un per un verso, l’altra per l’altro, per me li trovo ridicoli tutti due. (come sopra)
Evaristo. E cosa trovate di ridicolo nella signora Geltruda?
Barone. Troppa dottrina, troppo contegno, troppa sufficienza7.
Evaristo. Scusatemi, voi non la conoscete. (piano fra loro)
Barone. Stimo più la signora Candida cento volte. (il Barone ed Evaristo finiscono di bere il caffè. Si alzano, rendono le tazze a Limoncino. Tutti e due vogliono pagare. Il Barone previene: Evaristo lo ringrazia piano. Limoncino con le tazze e i denari va in bottega. In questo tempo Timoteo pesta più forte.)
Evaristo. Sì, è vero... La nipote ha del merito... (Non vorrei che costui mi fosse rivale). (da sè)
Conte. Eh! signor Timoteo. (grave)
Timoteo. Che mi comanda?
Conte. Questo vostro pestamento m’annoia.
Timoteo. Perdoni... (battendo)
Conte. Non posso leggere, mi rompete la testa.
Timoteo. Perdoni, or ora ho finito. (seguita, staccia e ripesta)
Crespino. Ehi, Coronato. (lavorando e ridendo)
Coronato. Cosa volete, mastro Crespino?
Crespino. Il signor Conte non vuole che si batta. (batte forte sulla forma)
Conte. Che diavolo d’impertinenza, non la volete finire questa mattina?
Crespino. Signor illustrissimo, non vede cosa faccio?
Conte. E cosa fate? (con sdegno)
Crespino. Accomodo le sue scarpe vecchie.
Conte. Zitto là, impertinente. (si mette a leggere)
Crespino. Coronato! (ridendo batte, e Timoteo batte)
Coronato. Or ora non posso più. (dimenandosi sulla sedia)
Scavezzo. Moracchio. (chiamandolo e ridendo)
Moracchio. Cosa c’è, Scavezzo?
Scavezzo. Il signor Conte! (rìdendo e burlandosi del Conte)
Moracchio. Zitto, zitto, che finalmente è un signore...
Scavezzo. Affamato.
Giannina. Moracchio. (chiamandolo)
Moracchio. Cosa vuoi?
Giannina. Cosa ha detto Scavezzo?
Moracchio. Niente niente, bada a te, e fila.
Giannina. Oh, è gentile veramente il mio signor fratello. Mi tratta sempre così. (Non vedo l’ora di maritarmi). (con sdegno volta la sedia, e fila con dispetto.)
Susanna. Cos’è, Giannina? Che cosa avete?
Giannina. Oh se sapeste, signora Susanna! Non credo che si dia al mondo un uomo più grossolano di mio fratello.
Moracchio. Eh bene! Son quel che sono. Cosa vorresti dire? Finchè state sotto di me...
Giannina. Sotto di te? Oh spero che vi starò poco, (con dispetto fila)
Evaristo. Via, cosa c’è? (a Moracchio) Voi sempre tormentate questa povera ragazza. (s’accosta a lei) E non lo merita, poverina.
Giannina. Mi fa arrabbiare.
Moracchio. Vuol saper tutto.
Evaristo. Via via, basta così.
Barone. È compassionevole il signor Evaristo. (a Candida)
Candida. Pare anche a me veramente. (con un poco di passione)
Geltruda. Gran cosa! non si fa che criticare le azioni altrui, e non si prende guardia alle proprie. (a Candida)
Barone. (Ecco, questi sono que’ dottoramenti ch’io non posso soffrire).
Crespino. (Povera Giannina! Quando sarà mia moglie, quel galeotto non la tormenterà più). (da sè, lavorando)
Coronato. (Sì, la voglio sposare se non fosse che per levarla da suo fratello).
Evaristo. Ebbene, signor Barone, volete che andiamo? (accostandosi a lui)
Barone. Per dirvi la verità, questa mattina non mi sento in voglia d’andar alla caccia. Sono stanco di ieri...
Evaristo. Fate come vi piace. Mi permetterete che ci vada io?
Barone. Accomodatevi. (Tanto meglio per me. Avrò comodo di tentare la mia sorte colla signora Candida).
Evaristo. Moracchio.
Moracchio. Signore.
Evaristo. Il cane ha mangiato?
Moracchio. Signor sì.
Evaristo. Prendete lo schioppo, e andiamo.
Moracchio. Vado a prenderlo subito. Tieni. (a Giannina)
Giannina. Cosa ho da tenere?
Moracchio. Tieni questo cane fin che ritorno.
Giannina. Date qui, mala grazia, (prende il cane e lo carezza; Moracchio va in casa.)
Coronato. È proprio una giovane di buon cuore. Non vedo l’ora ch’ella divenga mia. (da sè)
Crespino. Che bella grazia che ha a far carezze! Se le fa ad un cane, tanto più le farà ad un marito. (da sè)
Barone. Scavezzo.
Scavezzo. Signore. (si avanza)
Barone. Prendete questo schioppo e portatelo nella mia camera.
Scavezzo. Sì signore. (Questo almeno è ricco e generoso. Altro che quello spiantato del Conte!) (porta lo schioppo nell'osteria)
Evaristo. Pensate voi di restar qui per oggi? (al Barone)
Barone. Sì, mi riposerò all’osteria.
Evaristo. Fate preparare, che verrò a pranzo con voi.
Barone. Ben volentieri, vi aspetto. Signore, a buon riverirle, (alle signore) Partirò per non dar sospetto. (da sè) Vado nella mia camera, ed oggi preparate per due. (a Coronato, ed entra)
Coronato. S’accomodi, sarà servita.
SCENA II.
Moracchio, Evaristo e dette.
Moracchio. (Collo schioppo esce di casa, e si fa dare il cane da Giannina) Eccomi, signore, sono con lei. (ad Evaristo)
Evaristo. Andiamo. (a Moracchio) Signore mie, se me lo permettono, vado a divertirmi un poco collo schioppetto, (verso le due signore, e prende lo schioppo.)
Geltruda. S’accomodi, e si diverta bene.
Candida. L’auguro buona preda e buona fortuna.
Evaristo. Son sicuro d’esser fortunato, se sono favorito da’ suoi auspizi. (a Candida, e va accomodando lo schioppo e gli attrezzi di caccia)
Candida. Veramente è gentile il signor Evaristo! (a Geltruda)
Geltruda. Sì, è vero. È gentile e compito. Ma, nipote mia, non vi fidate di chi non conoscete perfettamente.
Candida. (Per che cosa dite questo, signora zia?)
Geltruda. (Perchè da qualche tempo ho ragione di dirlo).
Candida. (Io non credo di poter esser condannata...)
Geltruda. (No, non mi lamento di voi, ma vi prevengo perchè vi conserviate sempre così).
Candida. Ah, è tardo il suo avvertimento. Sono innamorata quanto mai posso essere. (da sè)
Evaristo. Oh, tutto è all’ordine: andiamo. (a Moracchio) Nuovamente servitor umilissimo di lor signore. (saluta le due signore in atto di partire.)
Geltruda. Serva. (si alza per fargli riverenza)
Candida. Serva umilissima, (s’alza ancor ella, urta, e il ventaglio va in istrada.)
Evaristo. Oh! (raccoglie il ventaglio)
Candida. Niente, niente.
Geltruda. La non s’incomodi.
Evaristo. Il ventaglio è rotto, me ne dispiace infinitamente.
Candida. Eh non importa, è un ventaglio vecchio.
Evaristo. Ma io sono la cagione ch’è rotto.
Geltruda. Non si metta in pena di ciò.
Evaristo. Permettano ch’abbia l’onore... (vorrebbe portarlo in casa)
Geltruda. La non s’incomodi. Lo dia al servo Tognino. (chiama)
Tognino. Signora. (a Geltruda)
Geltruda. Prendete quel ventaglio.
Tognino. Favorisca. (lo dimanda ad Evaristo)
Evaristo. Quando non mi vonno permettere... tenete... (dà il ventaglio a Tognino, che lo prende e va dentro)
Candida. Guardate quanta pena si prende, perchè si è rotto il ventaglio! (a Geltruda)
Geltruda. Un uomo pulito non può agir altrimenti. (Lo conosco che c’entra della passione). (da sè)
SCENA III.
Tognino sulla terrazza dà il ventaglio alle donne; esse lo guardano e l’accomodano.
Evaristo, Susanna e detti.
Evaristo. (Mi spiace infinitamente che quel ventaglio si sia rotto per causa mia; ma vo’ tentare di rimediarvi). Signora Susanna. (piano alla stessa)
Susanna. Signore.
Evaristo. Vorrei parlarvi. Entriamo in bottega.
Susanna. Resti servita. S’accomodi. (s’alza)
Evaristo. Moracchio.
Moracchio. Signore.
Evaristo. Andate innanzi. Aspettatemi all’entrata del bosco, ch’or ora vengo. (entra con Susanna)
Moracchio. Se perde il tempo così, prenderemo delle zucche, e non del selvatico. (vìa col cane)
Giannina. Manco male che mio fratello è partito. Non vedo l’ora di poter dire due parole a Crespino; ma non vorrei che ci fosse quel diavolo di Coronato. Mi perseguita, e non lo posso soffrire. (da sè, filando)
Conte. Oh oh, bella, bella, bellissima. (leggendo) Signora Geltruda.
Crespino. Cosa ha trovato di bello, signor Conte?
Conte. Eh, cosa e’entrate voi? Cosa sapete voi che siete un ignorantaccio?
Crespino. (Ci scommetto che ne so più di lei), (batte forte sulla forma)
Geltruda. Che mi comanda il signor Conte?
Conte. Voi che siete una donna di spirito, se sentiste quello ch’io leggo presentemente, è un capo d’opera.
Geltruda. È qualche istoria?
Conte. Eh! (con sprezzatura)
Geltruda. Qualche trattato di filosofia?
Conte. Oh! (come sopra)
Geltruda. Qualche bel pezzo di poesia?
Conte. No. (come sopra)
Geltruda. E ch’è dunque?
Conte. Una cosa stupenda, meravigliosa, tratta dal francese: è una novella, detta volgarmente una favola.
Crespino. (Maledetto! Una favola! stupenda! meravigliosa!) (batte forte)
Geltruda. È di Esopo?
Conte. No.
Geltruda. E di monsieur de la Fontaine?
Conte. Non so l’autore, ma non importa. La volete sentire?
Geltruda. Mi farà piacere.
Conte. Aspettate. Oh ch’ho perduto il segno. La troverò... (cerca la carta)
Candida. Voi che leggete de’ buoni libri, amate di sentir delle favole. (a Geltruda)
Geltruda. Perchè no? Se sono scritte con sale, istruiscono e divertono infinitamente.
Conte. Oh, l’ho trovata. Sentite...
Crespino. (Maledetto! legge le favole!) (pesta forte)
Conte. Oh, principiate a battere? (a Crespino)
Crespino. Non vuol che li metta li soprattacchi?8 (al Conte, e batte)
Timoteo. (Toma a pestar forte nel mortaio.)
Conte. Ecco qui quest’altro canchero che viene a pestar di nuovo. La volete finire? (a Timoteo)
Timoteo. Signore, io faccio il mio mestiere. (pesta)
Conte. Sentite. Eravi una donzella di tal bellezza... (a Geltruda) Ma quietatevi, o andate a pestare in un altro luogo, (a Timoteo)
Timoteo. Signore, mi scusi, lo pago la mia pigione, e non ho miglior luogo di questo. (pesta)
Conte. Eh, andate al diavolo con questo maledetto mortaio. Non si può leggere, non si può resistere. Signora Geltruda, verrò da voi. Sentirete che pezzo, che roba, che novità. (batte sul libro, ed entra in casa di Geltruda.)
Geltruda. È un poco troppo ardito questo signor speziale. Andiamo a ricevere il signor Conte. (a Candida)
Candida. Andate pure, sapete che le favole non mi divertono.
Geltruda. Non importa, venite, che la convenienza lo vuole.
Candida. Oh questo signor Conte! (con sprezzo)
Geltruda. Nipote mia, rispettate, se volete essere rispettata. Andiamo via.
Candida. Sì sì, verrò per compiacervi. (s’alza per andare)
SCENA IV.
Evaristo e Susanna escono dalla bottega.
Candida, Susanna e detti.
Candida. Come! Ancora qui il signor Evaristo! Non è andato alla caccia? Son ben curiosa di sapere il perchè. (osserva indietro)
Susanna. La non si lagni di me, perchè le assicuro che le ho dato il ventaglio a buonissimo prezzo. (a Evaristo)
Evaristo. Non v’è più la signora Candida! (Mi dispiace che non sia qualche cosa di meglio).
Susanna. Non ne ho nè di meglio, ne di peggio: questo è il solo, questo è l’ultimo che m’era restato in bottega.
Evaristo. Benissimo, mi converrà valermi di questo.
Susanna. M’immagino che ne vorrà fare un presente, (ridendo)
Evaristo. Certo ch’io non l’avrò comprato per me.
Susanna. Alla signora Candida?
Evaristo. (È un poco troppo curiosa la signora Susanna), (da sè) Perchè credete voi ch’io voglia darlo alla signora Candida?
Susanna. Perchè ho veduto che si è rotto il suo.
Evaristo. No no, il ventaglio l’ho disposto diversamente.
Susanna. Bene bene, lo dia a chi vuole. Io non cerco i fatti degl’altri. (siede e lavora)
Evaristo. Non li cerca, ma li vuol sapere. Questa volta però non l’è andata fatta. (da sè, e si accosta a Giannina)
Candida. Gran segreti colla merciaia. Sarei bene curiosa di sapere qualche cosa. (s’avanza un poco)
Evaristo. Giannina. (piano accostandosi a lei)
Giannina. Signore. (sedendo e lavorando)
Evaristo. Vorrei pregarvi d’una finezza.
Giannina. Oh cosa dice! comandi se la posso servire.
Evaristo. So che la signora Candida ha dell’amore per voi.
Giannina. Sì signor, per sua grazia.
Evaristo. Anzi m’ha ella parlato perchè m’interessi presso di vostro fratello.
Giannina. Ma è una gran disgrazia la mia! Sono restata senza padre e senza madre, e mi tocca essere soggetta ad un fratello ch’è una bestia, signore, è veramente una bestia. (fila con sdegno)
Evaristo. Ascoltatemi.
Giannina. Parli pure, che il filare non mi tura l’orecchio. (altiera, filando)
Evaristo. (Suo fratello è stravagante, ma ha anche ella il suo merito, mi pare). (ironico)
Susanna. Che avesse comprato il ventaglio per Giannina, non credo mai. (da sè)
Coronato e Crespino. (Mostrano curiosità di sentir quel che dice Evaristo a Giannina, ed allungano il collo per sentire.)
Candida. Interessi colla merciaia, interessi con Giannina! non capisco niente. (da sè, e si avanza sulla terrazza)
Evaristo. Posso pregarvi di una finezza? (a Giannina)
Giannina. Non le ho detto di sì? Non le ho detto che mi comandi? Se la rocca le dà fastidio, la butterò via. (s’alza, e getta la rocca con dispetto.)
Evaristo. Quasi quasi non direi altro, ma ho bisogno di lei.
Candida. (Cosa sono mai queste smanie?) (da sè)
Crespino. Getta via la rocca? (da sè, e colla scarpa e martello in mano, s’alza e si avanza un poco.)
Coronato. Mi pare che si riscaldino col discorso! (da sè, col libro, s’alza e s’avanza un poco.)
Susanna. Se le facesse un presente, non andarebbe in collera. (da sè, osservando)
Giannina. Via, eccomi qua, mi comandi. (ad Evaristo)
Evaristo. Siate buona, Giannina.
Giannina. Io non so d’essere mai stata cattiva.
Evaristo. Sapete che la signora Candida ha rotto il ventaglio?
Giannina. Signor sì. (con muso duro)
Evaristo. Ne ho comprato uno dalla merciaia.
Giannina. Ha fatto bene. (come sopra)
Evaristo. Ma non vorrei lo sapesse la signora Geltruda.
Giannina. Ha ragione. (come sopra)
Evaristo. E vorrei che voi glielo deste secretamente.
Giannina. Non lo posso servire. (come sopra)
Evaristo. (Che risposta villana!)
Candida. (Mi dà ad intendere che va alla caccia, e si ferma qui).
Crespino. (Quanto pagherei sentire!) (s’avanza, e mostra di lavorare)
Coronato. Sempre più mi cresce la curiosità. (s’avanza, fingendo sempre di conteggiare.)
Evaristo. Perchè non volete farmi questo piacere? (a Giannina)
Giannina. Perchè non ho ancora imparato questo bel mestiere.
Evaristo. Voi prendete la cosa sinistramente. La signora Candida ha tanto amore per voi.
Giannina. È vero, ma in queste cose...
Evaristo. Mi ha detto che vorreste maritarvi a Crespino... (dicendo così, si volta, e vede li due che ascoltano) Che fate voi altri? Che baronata è questa?
Crespino. Io lavoro, signore. (toma a sedere)
Coronato. Non posso scrivere e passeggiare? (torna a sedere)
Candida. (Hanno dei segreti importanti). (da sè)
Susanna. (Che diavolo ha costei, che tutti gli uomini le corrono dietro?)
Giannina. Se non ha altro da dirmi, torno a prendere la mia rocca. (prende la rocca)
Evaristo. Sentite: mi ha pregato la signora Candida, acciò m’interessi per voi, per farvi avere delle doti, e acciò Crespino sia vostro marito.
Giannina. Vi ha pregato? (cangia tuono, e getta via la rocca)
Evaristo. Sì, ed io sono impegnatissimo perchè ciò segua.
Giannina. Dov’avete il ventaglio?
Evaristo. L’ho qui in tasca.
Giannina. Date qui, date qui, ma che nessuno veda.
Evaristo. Eccolo. (glielo dà di nascosto)
Crespino. (Le dà qualche cosa). (da sè, tirando il collo)
Coronato. (Cosa mai le ha dato?) (da sè, tirando il collo)
Susanna. (Assolutamente le ha donato il ventaglio). (da sè)
Candida. Ah sì, Evaristo mi tradisce. Il Conte ha detto la verità.
Evaristo. Ma vi raccomando la segretezza. (a Giannina)
Giannina. Lasci far a me, e non dubiti niente.
Evaristo. Addio.
Giannina. A buon riverirla.
Evaristo. Mi raccomando a voi.
Giannina. Ed io a lei. (riprende la rocca, siede e fila)
Evaristo. (Vuol partire, si volta, e vede Candida sulla terrazza) (Oh, eccola un’altra volta sulla terrazza. Se potessi prevenirla!) (da sè, guarda intorno, e le vuol parlare) Signora Candida?
Candida. (Gli volta le spalle, e parte senza rispondere.)
Evaristo. Che vuol dir questa novità? Sarebbe mai un disprezzo? Non è possibile... So che mi ama, ed è sicura che io l’adoro. Ma pure... Capisco ora cosa sarà. Sua zia l’avrà veduta, l’avrà osservata, non avrà voluto mostrare presso di lei... Sì sì, è così, non può essere diversamente. Ma bisogna rompere questo silenzio, bisogna parlare alla signora Geltruda, ed ottenere da lei il prezioso dono di sua nipote. (via)
Giannina. In verità sono obbligata alla signora Candida che si ricorda di me. Posso far meno per lei? Fra noi altre fanciulle sono piaceri che si fanno e che si cambiano senza malizia. (filando)
Coronato. (S’alza, e s’accosta a Qiannina) Grand’interessi, gran segreti col signor Evaristo!
Giannina. E cosa c’entrate voi? e cosa deve premere a voi?
Coronato. Se non mi premesse, non parlerei.
Crespino. (S’alza pian piano dietro Coronato per ascoltare.)
Giannina. Voi non siete niente del mio, e non avete alcun potere sopra di me.
Coronato. Se non sono ora niente del vostro, lo sarò quanto prima.
Giannina. Chi l’ha detto? (con forza)
Coronato. L’ha detto e l’ha promesso, e mi ha data parola, chi può darla e chi può disporre di voi.
Giannina. Mio fratello forse... (ridendo)
Coronato. Sì, vostro fratello, e gli dirò i segreti, le confidenze, i regali...
Crespino. Alto alto, padron mio. (entra fra li due) Che pretensione avete voi sopra questa ragazza?
Coronato. A voi non deggio rendere questi conti.
Crespino. E voi che confidenza avete col signor Evaristo? (a Giannina)
Giannina. Lasciatemi star tutti due, e non mi rompete la testa.
Crespino. Voglio saperlo assolutamente. (a Giannina)
Coronato. Cos’è questo voglio? Andate a comandare a chi v’appartiene. Giannina m’è stata promessa da suo fratello.
Crespino. Ed io ho la parola da lei, e vai più una parola della sorella che cento parole di suo fratello.
Coronato. Su questo ci toccheremo la mano. (a Crespino)
Crespino. Cosa vi ha dato il signor Evaristo? (a Giannina)
Giannina. Un diavolo che vi porti.
Coronato. Eh, ora ora. L’ho veduto sortire dalla merciaia. La merciaia me lo dirà. (corre da Susanna)
Crespino. Che abbia comprato qualche galanteria? (va dalla merciaia)
Giannina. (Oh, io non dico niente sicuro... Non vorrei che Susanna...)
Coronato. Ditemi in grazia. Che cosa ha comprato da voi il signor Evaristo? (a Susanna)
Susanna. Un ventaglio. (ridendo)
Crespino. Sapete voi che cosa ha donato a Giannina?
Susanna. Oh bella! Il ventaglio. (ridendo)
Giannina. Non è vero niente. (contro Susanna)
Susanna. Come non è vero niente? (a Giannina, alzandosi)
Coronato. Lasciate veder quel ventaglio. (a Giannina, con forza)
Crespino. Voi non c’entrate. (dà una spinta a Coronato) Voglio veder quel ventaglio. (a Giannina)
Coronato. (Alza la mano, e minaccia Crespino.)
Crespino. (Lo stesso.)
Giannina. Per causa vostra. (a Susanna)
Susanna. Per causa mia? (a Giannina, con sdegno)
Giannina. Siete una pettegola.
Susanna. A me pettegola? (s’avanza minacciando)
Giannina. Alla larga, che giuro al cielo... (alza la rocca)
Susanna. Vado via, perchè ci perdo del mio. (ritirandosi)
Giannina. Ci perde del suo?
Susanna. Siete una contadina, trattate da quella che siete. (corre via in bottega)
Giannina. (Vorrebbe seguitarla. Crespino la trattiene) Lasciatemi stare.
Crespino. Lasciatemi vedere il ventaglio. (con forza)
Giannina. Io non ho ventaglio.
Coronato. Cosa vi ha dato il signor Evaristo? (a Giannina)
Giannina. Vi dico ch’è un’impertinenza la vostra. (a Coronato)
Coronato. Voglio saperlo. (s' accosta a Giannina)
Crespino. Non tocca a voi, vi dico. (lo respinge)
Giannina. Non si tratta così colle fanciulle onorate, (s’accosta alla sua casa.)
Crespino. Ditelo a me, Giannina. (accostandosi a lei)
Giannina. Signor no. (s’accosta di più alla porta)
Coronato. Io, io ho da saperlo. (respinge Crespino, e s’accosta a Giannina.)
Giannina. Andate al diavolo. (entra in casa, e gli serra la porta in faccia)
Coronato. A me quest’affronto? (a Crespino) Per causa vostra. (minacciandolo)
Crespino. Voi siete un impertinente.
Coronato. Non mi fate riscaldare il sangue. (minacciandosi)
Crespino. Non ho paura di voi.
Coronato. Giannina dev’esser mia. (con forza)
Crespino. No, non lo sarà mai. E se questo fosse, giuro al cielo...
Coronato. Cosa sono queste minaccie? Con chi credete di aver che fare?
Crespino. Io sono un galantuomo, e son conosciuto.
Coronato. Ed io cosa sono?
Crespino. Non so niente.
Coronato. Sono un oste onorato.
Crespino. Onorato?
Coronato. Come! ci avreste voi qualche dubbio?
Crespino. Non sono io che lo mette in dubbio.
Coronato. E chi dunque?
Crespino. Tutto questo villaggio.
Coronato. Eh amico, non è di me che si parla. Io non vendo il cuoio vecchio per il cuoio nuovo.
Crespino. Nè io vendo l’acqua per vino, nè la pecora per castrato, ne vado di notte a rubar i gatti per venderli o per agnelli, o per lepre.
Coronato. Giuro al cielo... (alza la mano)
Crespino. Ehi!... (fa lo stesso)
Coronato. Corpo di bacco! (mette la mano in tasca)
Crespino. La mano in tasca! (corre al banchetto per qualche ferro)
Coronato. Non ho coltello... (corre, e prende la sua banchetta)
Crespino. (Lascia i ferri e prende un seggiolone dello speciale, e si vogliono dare.)
SCENA V.
Timoteo, Scavezzo e detti.
Timoteo. (dalla sua bottega, col pistetto9 in mano.)
Limoncino. (Dal caffè, con un legno.)
Scavezzo. (Dall’osterìa, con uno spiedo.)
Conte. (Dalla casa di Geltruda, per dividere) Alto, alto, fermate, ve lo comando. Sono io, bestie, sono il conte di Roccamonte; ehi bestie, fermatevi, ve lo comando, (temendo però di buscare)
Crespino. Hai ragione che porto rispetto al signor Conte, (a Coronato)
Coronato. Sì, ringrazia il signor Conte, altrimenti t’avrei fracassato l’ossa.
Conte. Animo, animo, basta così. Voglio saper la contesa. Andate via, voi altri. Ci sono io, e non c’è bisogno di nessuno.
Timoteo. C’è alcuno che sia ferito? (Limoncino e Scavezzo partono)
Conte. Voi vorreste che si avessero rotto il capo, scavezzate le gambe, slogato un braccio, non è egli vero? Per avere occasione di esercitare il vostro talento, la vostra abilità.
Timoteo. Io non cerco il mal di nessuno, ma se avessero bisogno, se fossero feriti, storpiati, fracassati, li servirei volentieri. Sopra tutti servirei di cuore in uno di questi casi V. S. illustrissima.
Conte. Sei un temerario, ti farò mandar via.
Timoteo. I galantuomini non si mandano via così facilmente.
Conte. Si mandano via i speciali ignoranti, temerari, impostori, come voi siete.
Timoteo. Mi maraviglio ch’ella parli così, signore; ella che senza le mie pillole sarebbe morto.
Conte. Insolente!
Timoteo. E le pillole non me l’ha ancora pagate. (via)
Coronato. Il Conte in questo caso mi potrebbe giovare. (da sè)
Conte. Ebbene, cosa è stato? cos’avete? qual è il motivo della vostra contesa?
Crespino. Dirò, signore... Non ho riguardo di dirlo in faccia di tutto il mondo... Amo Giannina...
Coronato. E Giannina dev’esser mia.
Conte. Ah ah, ho capito. Guerra amorosa. Due campioni di Cupido. Due valorosi rivali. Due pretendenti della bella Venere, della bella dea delle Case nove. (ridendo)
Crespino. Se ella crede di volermi porre in ridicolo... (vuol partire)
Conte. No. Venite qui. (lo ferma)
Coronato. La cosa è seriosa10 gliel’assicuro.
Conte. Sì, lo credo. Siete amanti e siete rivali. Cospetto di bacco! guardate le combinazioni! Pare la favola ch’ho letto alla signora Geltruda. (mostrando il libro, e legge) «Eravi una donzella d’una bellezza sì rara...»
Crespino. (Ho capito). Con sua licenza.
Conte. Dov’andate? Venite qui.
Crespino. Se mi permette, vado a terminar di accomodare le sue scarpe.
Conte. Oh sì, andate che siano finite per domattina.
Coronato. E sopra tutto che non siano accomodate col cuoio vecchio.
Crespino. Verrò da voi per avere del cuoio nuovo. (a Coronato)
Coronato. Per grazia del cielo, io non faccio nè il ciabattino, nè il calzolaro.
Crespino. Non importa, mi darete della pelle di cavallo, della pelle di gatto. (via)
Coronato. (Certo colui ha da morire per le mie mani). (da sè)
Conte. Che ha detto di gatti? Ci fareste voi mangiare del gatto?
Coronato. Signore, io sono un galantuomo, e colui è un impertinente che mi perseguita a torto.
Conte. Questo è un effetto della passione della rivalità. Siete voi dunque amante di Giannina?
Coronato. Sì signore, ed anzi voleva raccomandarmi alla di lei protezione.
Conte. Alla mia protezione? (con aria) Bene, si vedrà. Siete voi sicuro ch’ella vi corrisponda?
Coronato. Veramente dubito ch’ella sia portata più per colui, che per me.
Conte. Male.
Coronato. Ma io ho la parola di suo fratello.
Conte. Non è da fidarsene molto.
Coronato. Moracchio me l’ha promessa sicuramente.
Conte. Questo va bene, ma non si può violentare una donna. (con forza)
Coronato. Suo fratello può disporre di lei.
Conte. Non è vero: il fratello non può disporre di lei. (con caldo)
Coronato. Ma la di lei protezione...
Conte. La mia protezione è bella e buona; la mia protezione è valevole; la mia protezione è potente. Ma un cavaliere, come son io, non arbitra e non dispone del cuor di una donna.
Coronato. Finalmente è una contadina.
Conte. Che importa questo? La donna è sempre donna; distinguo i gradi, le condizioni, ma in massima rispetto il sesso.
Coronato. (Ho capito, la sua protezione non val niente).
Conte. Come state di vino? Ne avete provveduto di buono?
Coronato. Ne ho del perfetto, dell’ottimo, dell’esquisito.
Conte. Verrò a sentirlo. Il mio quest’anno è riuscito male.
Coronato. (Son due anni che l’ha venduto).
Conte. Se il vostro è buono, mi provvedere da voi.
Coronato. (Non mi curo di questo vantaggio). (da sè)
Conte. Avete capito?
Coronato. Ho capito.
Conte. Ditemi una cosa. S’io parlassi alla giovane, e con buona maniera la disponessi?
Coronato. Le sue parole potrebbero forse oprar qualche cosa in mio vantaggio.
Conte. Voi finalmente meritate d’essere preferito.
Coronato. Mi parrebbe che da me a Crespino...
Conte. Oh, non vi è paragone. Un uomo, come voi, proprio, civile, galantuomo...
Coronato. Ella ha troppa bontà per me.
Conte. E poi rispetto alle donne, è vero, ma appunto per questo, trattandole com’io le tratto, vi assicuro che fanno per me quel che non farebbero per nessuno.
Coronato. Questo è quello che pensavo anch’io, ma ella mi voleva disperare.
Conte. Io faccio come quegli avvocati che principiano dalle difficoltà. Amico, voi siete un uomo che ha una buona osteria, che può mantenere una moglie con proprietà; fidatevi di me, mi voglio interessare per voi.
Coronato. Mi raccomando alla sua protezione.
Conte. Ve l’accordo e ve la prometto.
Coronato. Se volesse darsi l’incomodo di venir a sentir il mio vino...
Conte. Ben volentieri. In casa vostra non vi ho alcuna difficoltà.
Coronato. Resti servita.
Conte. Buon galantuomo! (gli mette la mano sulla spalla) Andiamo, (entra)
Coronato. Due o tre barili di vino non saranno mal impiegati. (entra)
Fine dell’Atto Primo.
Note
- ↑ Piccoli nodi. Da groppo, forma dialettale.
- ↑ Tela rada, e per lo più fatta a maglie, che serve a guarnizioni d’abiti, o di ornamenti donneschi: Nouveau Dictionnaire Francois-Italien par M. l’abbé François D’Alberti, I.a ed. ital., Bassano, 1777.
- ↑ Redingote, dall’ingl. riding coat. Soprabito o casacca per difendersi dalla piova o dall’umidità del mattino, usato specialmente da chi va a cavallo. L’Alberti cit. traduce palandrano.
- ↑ Forina dialettale, da balconada o «balcone ed intendiamo quell’apertura a guisa di finestra grande, che dà lume alle botteghe»: G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano.
- ↑ Certamente i lumi a olio della ribalta. Vedi anche più sotto.
- ↑ Poggiuolo; balaustro o parapetto della terrazza.
- ↑ Franc.: boria, presunzione.
- ↑ Così l’ed. Zatta, ma senza l’interrogativo. Nelle recenti edizioni del Ventaglio, curate dal Masi, dal Padovan, dal Momigliano, dal Vaccalluzzo, è stampato: Non vuol che le metta i sopratacchi? Il Menghini stampa: che li metta i ecc.; e Cesare Levi: che gli metta i ecc.
- ↑ Quasi tutti i più recenti editori stampano: pestello.
- ↑ Il Masi, il Guastalla, il Padovan, il Momigliano e qualche altro stampano: seria.