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422 ATTO SECONDO

Giannina. (Mette fuori la testa con paura1 dalla sua porta) Cos’è questa scioccarella? (caricando con disprezzo, e torna dentro)

Conte. Zitto lì, impertinente. (contro Giannina)

Geltruda. Se vogliono favorire, darò ordine che sieno introdotti. (via)

Conte. Sentite? (al Barone)

Barone. Non ho niente che dire.

Conte. Cosa volete fare di quelle pistole?

Barone. Scusate la delicatezza d’onore... (mette via le pistole)

Conte. E volete presentarvi a due donne colle pistole in saccoccia?

Barone. Le porto in campagna per mia difesa.

Conte. Ma se lo sanno che abbiate quelle pistole: sapete cosa sono le donne, non vorranno che vi accostiate.

Barone. Avete ragione. Vi ringrazio di avermi prevenuto, e per segno di buona amicizia, ve ne faccio un presente. (le torna a tirar fuori e gliele presenta.)

Conte. Un presente a me? (con timore)

Barone. Sì, spero che non lo ricusarete.

Conte. Le accetterò perchè vengono dalle vostre mani. Sono cariche?

Barone. Che domanda! Volete ch’io porti le pistole vuote?

Conte. Aspettate. Ehi dal caffè.

Limoncino. (Dalla bottega del caffè) Cosa mi comanda?

Conte. Prendete queste pistole, e custoditele, che le manderò a pigliare.

Limoncino. Sarà servito. (prende le pistole del Barone)

Conte. Badate bene che sono cariche.

Limoncino. Eh, ch’io le so maneggiare. (scherza colle pistole)

Conte. Ehi, ehi, non fate la bestia. (con timore)

Limoncino. (È valoroso il signor Conte). (via)

Conte. Vi ringrazio, e ne terrò conto. (Dimani le venderò).

Tognino. (Dal palazzino) Signori, la padrona li aspetta.

Conte. Andiamo.

Barone. Andiamo.

  1. Così giustamente corregge Cesare Levi (C. G., Il Ventaglio, Napoli, Pironti. 1912). Nell’ed. Zatta e nelle altre citate si legge: con pausa.