Il Libro dei Re - Volume I/Introduzione

Introduzione

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Lista dei Re dell'Epopea Persiana I primi Re
Lista dei Re dell'Epopea Persiana Introduzione - I
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INTRODUZIONE

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AVVERTENZA


I nomi proprii persiani che s’incontrano nel poema, sono scritti e notati d’accento in modo da andar d’accordo col verso italiano. Nel precedente sunto, invece, trattandosi di prosa, si è tenuta per essi una trascrizïone alquanto più precisa e scientifica. [p. 99 modifica]

INTRODUZIONE


I. Lodi di Dio.

(Edizione di Calcutta, pagina 1).


     In nome del Signor dell’alma nostra,
Di nostra mente autor, che non arriva
Uman pensiero a più sublime cosa.
Iddio primo è signor di gloria eterna,
5Signor dell’ampio spazio, e primo altore
E guida a tutti noi. Signor del mondo,
Signor del ciel rotante, un vivo e gaio
E giocondo fulgor dona a le stelle,
Dona alla luna e a questo sol. Ma intanto
10Ch’ei trascende ogni nome, ogni pensiero,
Ogni segno sublime, a ogni più bella
Parvenza ei dà splendor, lume e colori
Profonde ovunque. Se veder non ponno
Il tuo primo Fattor questi occhi tuoi,
15Ai fulgidi occhi tuoi non dar rancura,
Chè anche umano pensier via non ritrova
Per giunger fino a Lui. Trascende Ei solo
Ogni nome, ogni loco. Or tu ben sai
Che ove sorpassi ogni visibil cosa
20Alto concetto, fin colà non giunge
Terreno spirto o mente umana. Il nostro
Spirto e la mente ancor libra in sua mano
Iddio possente, ed Ei come potrìa
In librato pensiero esser compreso?

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25Proclamarlo qual è, non san gli umani;
Vuolsi però che tu a servirlo accinto
Sempre ti serbi in umiltà. Se crea
Parole a favellar la mente nostra,
Sol per ciò ch’essa vede, in sè le trova
30E in sè le crea; ma con tal core e tale
Spirto e con questa mente e con tal lingua,
Nato mortal come potrìa l’Eterno
Degnamente lodar?... Ben si conviene,
Ben si convien che l’essere di Dio
35Tu confessi, evitando ogni parola
Inerte e stolta, l’adorando in core,
Tua via cercando e con pensier profondo
Meditando sua legge. Ha gran potere
Chi sapïenza ha in sè; per sapienza
40Ringiovanisce un cor già vecchio e stanco.
Eppur, verbo mortal non fìa che passi
Mai questo vel, chè uman pensier non trova
All’essenza di Dio libero il varco.

II. Lodi dell’Intelligenza.

(Ed. Calc. p. 1-2).


Or qui ti si convien, saggio vegliardo,
45I pregi proclamar d’Intelligenza,
Qual si convien. Parla tu adunque, e reca
Qual cosa meglio sai d’Intelligenza,
Perchè l’orecchio di chi ascolta averne
Possa buon frutto. — È Intelligenza il primo
50Dono che Iddio ci die; ma lodar Dio
È per cotesta Intelligenza nostra
Meglio assai che la via d’ogni giustizia.
A’ regnanti è corona Intelligenza,
Intelligenza è l’ornamento primo
55D’ogni inclito guerrier. Sappi che eterna

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E vive e dura, e che di nostra vita
Dessa è la fonte prima. A tutti noi
È guida Intelligenza, al nostro core
Primo conforto, in questa terra e a quella
60Lontana vita in ciel valido aiuto.
Gioia e uman senso da lei son; per lei
Tua gloria a te proviene o tua bassezza,
Secondo adopri; e un uom, di cui la mente
Invase oscurità, ben che di spirto
65Sereno e chiaro, non fu mai qui in terra
Appien felice. Oh! che dicea l’antico
Sapïente, le cui parole sante
Fûr già nobil conforto ai saggi spirti?
«Quei che, sua guida, egli dicea, non segue
70Intelligenza, avrà dall’opre stesse
Della sua man trafitto il core. Il saggio
Stolto appella costui; diconlo estrano
I consanguinei suoi». — Ma tu, per essa,
E in questa vita e in quella alto valore
75Acquisterai; chi stolto nacque, sempre
I piè ne’ ceppi avrà. Luce dell’alma
È questa, adunque, Intelligenza, allora
Che vedi ben; senza tal luce, lieto
Calcar non potrai tu le vie terrene.
80Riconosci tu adunque Intelligenza
Qual cosa prima che creava Iddio,
Custode all’alma tua, fedel custode
A tre scolte sagaci. E le tre scolte
Di te son l’occhio e l’orecchio e la lingua;
85E molto male e molto bene in terra
Vien da coteste tre distinte cose.
     Ma chi ardirà sua lode all’alma e a questa
Intelligenza ministrar? Chi ascolto
Dar mi potrà, s’io ne fo laudi? Antico,
90Illustre saggio, poi che niun può dirne
L’alto pregio qual è, narra tu almeno

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Del creato qual fu l’origin prima.
Tu pur sei dell’Eterno alma fattura,
Tu pur conosci le nascoste cose
95E le palesi. Bella Intelligenza
Abbi tu a guida, e l’alma tua per essa
Lungi tieni dal mal. Cerca tua via
Conforme al detto d’ogni saggio in terra,
E qui peregrinando, il santo vero
100Proclama aperto, in ogni tempo; e allora
Che verbo udito avrai d’ogni scïenza,
Giammai non ti ristar dal rivelarne
Qual maestro le norme. Anzi vedrai
Che se giunse tua vista ai verdi rami.
105L’ime radici di parola ascosa
Mai non ne tocca sapïenza umana.

III. Creazione del mondo.

(Ed. Calc. p. 2-3).


     Da principio convien che gli elementi
E lor natura tu comprenda. E sappi
Che Iddio dal nulla ogni creata cosa
110Trasse a principio, per che in tutto, ovunque,
Si palesasse il suo poter. Fûr quattro
Quei che venner da Lui primi elementi,
Senza tempo da Lui, senza fatica
Alla vita prodotti. Uno è il fiammante
115Fuoco che sale al ciel; stanno nel mezzo
L’acque con l’aria, e all’elemento quarto
Ch’è questa oscura terra, alto sovrastano.
Quando, a principio, si levò il possente
Fuoco e avventò le tortüose lingue,
120Da tal cocente ardor nacque secchezza.
Quand’ei quietò, freddo sorvenne, e il freddo
Ingenerò madido umor. Ma quando

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Gl’indomiti elementi ebbero un loco
Trovato a lor convenïente, a questa
125Terrena stanza dier principio. Ancora
Si mescolâr lor mobili nature,
E parvenze novelle e d’ogni specie
Dovunque pullulâr. Mostrossi allora
Questo ciel roteante che novelle
130Meraviglie rivela a quando a quando,
E tosto dominâr sette pianeti
Tutti dell’anno i mesi, al loco suo
Ponendosi ciascun. Su in cielo allora
Governo si mostrò di umane cose
135Per giustizia e favor; ne ottiene il saggio,
Qual si convien, nobile frutto in dono.
Ma i cieli intanto, insiem fra lor congiunti,
Poi che l’ordine lor fu posto in alto,
Mossero in giro bellamente, e questa
140Umile terra co’ suoi vasti mari,
Con le montagne sue, con le pianure,
Con le sue valli, nello spazio apparve
Come fulgida lampa. Alto si ergeano
I monti sovrastanti, e dentro ai fiumi
145Spumavan l’acque, ed ogni pianta, ogni erba,
Alta salìa con rigoglioso fusto.
Ma questa terra in loco alto e sovrano
Non ebbe sede, e parve un negro punto,
Un punto negro e fosco. In ciel frattanto
150Lor meraviglie le rotanti stelle
Svelâr concordi, e su la terra ombrosa
Piovvero in copia i rai. Così montava
Eternamente il fuoco, eternamente
Così l’acque scendean, così dintorno
155A questa terra si movea la lampa
Del sole infaticato. E l’erbe ancora,
Con molti alberi e piante, uscîr spuntando,
Che sotterra, dal Fato, a lor fu posto

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Primo principio. Crescono, e sol questa
160Hanno forza e vigor, nè camminando
Vanno dovunque in ogni parte, come
I viventi quaggiù. Ma poichè apparvero
Gli animanti alla terra, essi le verdi
Erbe si fean dominio. E non fu dato
165Entro all’umido suol, come a le piante.
Fonte e principio di lor vita (a questo
Badar conviensi con intento core):
Cercan di qua di là cibo e riposo,
Loco al sonno propizio, e compimento
170Di lor voglie alla vita, e non favella
Posseggono o ragion, nè d’intelletto
Braman la luce, ma di foglie e d’erbe
Nutricando si van, di rovi agresti,
Nè dell’opere lor l’esito intendono
175Se buono o tristo. Adorazione Iddio
Da lor non cerca, ma ogni lor virtude
Nascosta non lasciò, tanto è possente
E sapïente e giusto. — Esito estremo
È tal dell’opre di quaggiù; ma niuno
180Ben lo conosce, o manifesto o ascoso.

IV. Creazione dell’uomo.

(Ed. Calc. p. 3-4).


     Se da ciò più in là scorri, ecco tu vedi
Che l’uomo apparve; ogni secreto allora
La chiave sua rinvenne. Alto ei si leva,
Qual cipresso, del capo, ed ha favella
185Dolce e piacente ed intelletto a molte
Cose pronto e ordinato. E poi che molto
Senno accoglie in suo cor, molto consiglio
E acuto ingegno, prestangli dovunque
Obbedïenza le selvagge belve,

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190Le domestiche ancor. Se tu per poco
Con la tua mente a questo ver ripensi,
Ben vedrai se a tal nome, a tal parola
D’uomo, donar concesso unico è un senso,
Se pur l’uom tu non stimi e vile e abietto,
195Nè altro segno diverso in lui discuopri.
Ma tu composto già di due principî
Fosti distinti (spirital n’è l’uno
E l’altro corporal), medio tu ad essi
Fosti creato. Creatura prima
200Tu se’ dell’universo, ultima in tempo;
Guarda però che di te stesso gioco
Mai non ti faccia. Altre e diverse cose
Udii da un saggio; ma qual mai sappiamo,
Qual de’ secreti del Signor del mondo
205È disvelato a noi?.... Tu, intanto, al fine
Mira, riguarda a te; di quante imprese
Toccar t’è d’uopo, la più bella e onesta
Sempre ne scegli. Ben convien che molte
Fatiche e stenti a sopportar ti pieghi,
210Ma in sapïenza tollerar si denno
Gli stenti di quaggiù. Mira a quest’alto
Ciel che si volge sopra a noi. Ne scende
Ogni nostro dolor, ne scende ancora
Al duol riparo, nè di tante sorti
215L’alterno rinnovar mai l’affatica,
Nè il tocca di quaggiù, nè mai l’offende
Terreno affanno. Dagli eterni giri
Ei non riposa, nè, come cotesta
Stirpe dell’uom, si sta soggetto mai
220A sua corruzïon. Vengon dal cielo
Le ricchezze e gli onor, non sono ascose
La sorte avversa e la propizia al cielo,
Ma questa volta dell’azzurro cielo
È in solido rubin che alto fiammeggia,
225Composta in ogni parte, e vento o accolto

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E fumoso vapor non l’han formata,
Non polve od acqua. Con sue tante luci,
Con sue tante facelle, è, come al primo
Giorno dell’anno, a primavera, un vago
230E nobile giardin di faci adorno.

V. Creazione del sole e della luna.

(Ed. Calc. p. 4-5).


Nella vôlta del cielo astro s’aggira,
Luce dell’alme, da cui prende il giorno
Luce e calor. Dall’oriente ei leva
Ogni mattina radïante il capo,
235E scudo sembra tutto d’or; riveste
La terra tutta d’un manto di rai,
E questo mondo, in pria sì tetro e oscuro,
S’abbella e adorna di sua viva luce.
Ma allor che d’orïente ad occidente
240Ratto si volge, mostrasi la bruna
Notte con gli astri d’orïente al varco;
Nè l’uno all’altra toglie il passo, e via
Non è più dritta di cotesta. — Oh! dunque,
O tu che Sol ti chiami, oh! che t’avvenne.
245Onde sul capo mio non splendi mai?
     Una facella ha pur la notte ombrosa
(Tu, figlio mio, fin che hai poter, non volgere
Ad opre ingiuste mai!). Quando di trenta
Giorni già tocca il fin questa notturna
250E vagante facella, il suo pudico
Volto nasconde a noi per due congiunte
Notti e due giorni. Alfin si mostra, e pallida
E sottile ne appar, qua] d’infelice
È incurvo il dorso per amor gagliardo
255Che il tormenta e consuma. Appena il nostro
Occhio veder la può lontan lontano

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Sull’orizzonte, essa sparisce a un tratto.
Ma la notte che segue, essa d’alquanto
Più e più si mostra e manda a te dall’alto
260Luce maggior. Di sette giorni e sette
Nel breve spazio, ritornando quale
Era già in pria, si fa perfetta e piena.
Ma poi più esil si fa, di notte in notte,
E s’avvicina al sol, che la dardeggia
265Con la sua luce. — Cotal legge Iddio
Da principio le impose; essa in tal norma,
Fin che il mondo sarà, costante resta.

VI. Lode del Profeta e dei suoi Compagni.

(Ed. Calc. p. 5-6).


     Se tu non vuoi che sia dolente il core,
Se tu non vuoi che sempre t’accompagni
270Tristo affanno quaggiù, se aver tu vuoi
Libero scampo da ogni danno o pena
Sfuggendo al laccio della ria sventura,
Se brami in questa vita e in quella ancora
Libero uscir da ogni dolor, di merti
275Ricco volarne al tuo Signor nel cielo,
Del Profeta conforme alla sentenza
Cerca tua via, monda il tuo cor da tutte
Macchie terrene in quell’onda vivace.
Fede nel ciel con sapïenza e amore
280È vera salvazion, via di salute,
Qual dêi cercar. Che disse mai quel santo
Rivelator delle dottrine ascose,
Ch’ebbe al divieto ed al comando in terra
Dal cielo potestà? Disse che il sole,
285Tolto il Profeta, non splendea su capo
Migliore d’Abu-bèkr. Indi la santa
Legge d’Isiàm bandìa per l’ampia terra

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Omàr possente, e l’ampia terra tutta
Adornò qual giardino in primavera.
290A questi due dietro tenea quel santo
Osmano eletto, anima casta e pura,
Infiammata di fè. Quarto fu in quella
Nobile schiera Alì, di vaga e intatta
Vergine sposo, ei che toccò sì bella
295E vera lode dal Profeta: «Io sono,
Egli dicea, del fior d’ogni scïenza
Qual munita città; porta sublime
È per entrarvi, Alì!». — Vera fu questa
Del Profeta sentenza, e testimonio
300Ben io farò che in essa era velato
Ogni secreto del suo cor. Diresti
Che negli orecchi ancor di quelle sante
E sublimi parole il suono io senta!
     Fermo e costante nel precetto suo,
305Figlio mio, ti mantieni, e, poi che il suo
Detto e il suo cenno non recâr mai danno,
D’essi non ti partir. Così dicea
D’Alì l’anima santa, e così ognuno
Dicea di quanti a la novella fede
310Con diverso operar dier forza e vita.
Sole è il Profeta, li Compagni suoi
Son la candida luna; e questo a quello,
Per socievole patto, è dritta guida.
     Il saggio agli occhi suoi qual tempestoso
315Mar raffigura il mondo. Alto sollevansi
In esso l’onde allo spirar dei venti
Impetüosi, e in mezzo all’onde vogano
Settanta navicelle. All’aer spiegate
Son lor candide vele, e una è soltanto,
320Più spazïosa, come sposa adorna
Qual è di fiero augel viva pupilla.
Profeta Mohammèd su quella nave
Viaggiando sen va; sono al suo fianco

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Alì fedel, gli altri Compagni e tutta
325Del Profeta di Dio l’ampia famiglia.
Il saggio allor, che il tempestoso mare
Scorge dal loco suo lontano e spiaggia
Non vede intorno e di quell’acque invano
Fondo ricerca, ben s’accorge e vede
330Che l’onde sue leverà il mar, che niuno
Uscirà da’ suoi gorghi. Il saggio in core
Tutto ripensa e dice: Oh! se sommerso
Col Profeta di Dio, col suo Compagno,
Andrò nell’acque del profondo mare,
335Due fidi amici avrò in quell’ora almeno!
Certo è che aita e valido sostegno
Mi fia colui che ha trono e regal serto
E vessillo in sua man. L’acque de’ fiumi
A lui son care, e il generoso vino
340Ei concesse a goder con l’aureo miele,
Egli è fontana limpida e perenne
Di dolcissimo latte, e umor di fonti.
     Or, se alla vita de’ beati spirti
Gli occhi tuoi son rivolti, un loco eletto
345Prendi e t’acquista del Profeta accanto,
Accanto al suo Compagno. E se da questo
Consiglio mio ti verrà danno, tutta
Cada su me la colpa. Io bene affermo
Esser cotesta la segnata via,
350Questa, mia legge. Che se il cor protervo
Ratto inclina al peccar, soltanto il core
È in questa terra il tuo nemico. Al santo
Compagno del Profeta alcun nemico
Non havvi al mondo, e se pur v’ha, costui
355L’antico padre suo mai non conobbe.
Laggiù, nel fuoco eterno, Iddio l’abbruci!
     Ma tu non estimar cosa leggiera
Questa vita mortal. Non dilungarti
Da chi segnava in terra orme preclare,

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360Che ad opre egregie por tu dêi principio
Or che discendi alla terrena pugna
Con gente di gran nome. Ecco! se approda
A nobil fine opra leggiadra e onesta,
Onesto oprar ti scegli e d’opre vili
365Alta vergogna accogli in cor. — Ma lungi
Errando va la mia parola, e nullo
Vegg’io confine al nobile argomento.

VII. Composizione del Libro dei Re.

(Ed. Calc. p. 6-7).


     Quante dirò leggiadre cose e belle,
Dette furono un dì. Tutte le parti
370Di quest’almo giardin che arduo rinchiudo
E nobile saper, fûr ricercate;
E se loco nessun mi fia concosso
Là su la pianta che sì vaghi frutti
Nutre sui rami, che salirne il vertice
375Non mi fu dato, ben colui che siede
D’un arbore fiorente e maestoso
Sotto a le fronde, da ogni mal difesa
Trova in quell’ombra. Forse anch’io sui rami
Di tal cipresso che ombre attorno gitta,
380Acconcio un loco troverò: e forse
Questo, che narra de’ regnanti prischi
Libro famoso, lascierò qui in torca
Qual ricordo di me. Leggi, e in tuo core
Pensa che nulla v’ha menzogna in esso,
385Nessun inganno. Che pur sempre eguali
Le sorti si volgean dell’uman seme,
Non pensar tu. Ma in esso ogni più bella
Cosa si accorda con la mente nostra,
D’enigma anche per via, quando taluna
390Alto significato in sè nasconda.

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     Ma di tempi più antichi eravi un libro,
Pieno d’antiche istorie. I sacerdoti
Ne avean, chi qua chi là, sparsi frammenti,
Ogni saggio ne avea cospicua parte,
395Qual tesoro acquistato. E un dì pur visse
Un forte, a’ borgomastri almo rampollo,
Animoso e possente e saggio molto
E di molto consiglio. Ei degli antichi
Tempi cercava con amor le cose,
400E degli antichi raccogliea le illustri
Parole e i fatti. Da ogni villa intorno,
Da ogni castello, i vecchi sacerdoti
Raccolse un giorno, e questo antico libro
Compose allor, gl’interrogando a prova
405Delle famiglie de’ regnanti prischi
E degli eroi che fûr lodati un giorno,
Nella vetusta età, di lor, che l’ampia
Terra a principio governar col senno
E a noi l’abbandonâr poscia in sì tristo
410E miserevol stato. Ei ricercava
Sotto qual astro amico al termin suo
Di lor grandezza fosse il dì venuto.
     E quei tutte narrâr partitamente
De’ prischi re le cose e di fortuna
415La mirabil vicenda. Ogni lor detto
Ascoltava quel prence, indi un famoso
Libro ne componea, nobil ricordo
Di lui nel mondo. Faccian lode a lui
E le genti del volgo e i prenci tutti!

VIII. Il poeta Dekîki.

(Ed. Calc. p. 7).


     420Ma poi che da tal libro ogni lettore
Leggeva intorno molte istorie assai,

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E a quel racconto sì piacente il core
Ponea la gente, ogni più saggio e dotto,
Venne improvviso un giovinetto. Avea
425Sciolta e nobil favella, arguto il labbro,
Splendido il core, anima dolce e buona,
E costante dicea: Nobile un carme
Io comporrò da questo libro antico! —
E tutti ne gioîr. Ma di natura
430Egra fu sempre l’età sua più bella;
Sempre ei lottò col mal. Venne improvvisa
Su lui la morte e funeral corona
Gli posò su la fronte. Ei, per quel male,
L’alma dolce spirò, nè, fin ch’ei visse,
435Ebbe quel core alcun conforto o gaudio
Un giorno mai del viver suo. Cadea
La sua fortuna, ed ei morìa trafitto
Dalla man d’uno schiavo. Erano mille
I distici sonanti ove Gushtaspe
440Ei celebrava con Argiàsp, nel tempo
Che la morte il giugnea. Così dal mondo
Si partìa l’infelice, e questo libro
Senza quel carme si restò negletto,
Chè la sorte di lui, vigile in pria,
445S’era assopita nella morte eterna.
     Deh! gli perdona, almo Signor del cielo,
Le colpe sue! Nel dì del tuo giudizio,
Nel tuo cospetto, accrescine la gloria!

IX. Composizione del Poema.

(Ed. Calc. p. 7-8).


     Dall’infelice giovinetto allora
450Questa mente si tolse. Io mi voltai
Supplice al trono dell’Eterno e voto
Fei nel mio cor di rinvenir l’antico

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Libro negletto, per volgerlo in nostro
Dolce sermon da quelle carte antiche.
455Lungo il cercar, che tutti io ne richiesi
Con infinito ardor. Forte io temea
Del rapido mutar dei fuggitivi
Giorni su in ciel, se forse io non avessi
Spazio di tempo alla grand’opra, e ad altri
460La dovessi lasciar. M’era pur noto
Che serbar molta fè non mi dovea
Quel mio tesoro, chè non havvi alcuno
Che grande e liberal l’altrui fatica
Ami ricompensar. Pien di guerreschi
465Tumulti si volgea quel secol nostro,
E a chi dell’opra sua premio cercava,
Era il vivere gramo. In questa guisa
Lunga stagion passai, nè il mio secreto
Manifestai, che non vedea chi degno
470Fosse di udirlo e amico mio nell’ardua
Impresa si facesse. Eppur, qual cosa
È più dolce nel mondo e più soave
D’un detto amico? Lodanlo i potenti
E in gran pregio l’ha il volgo; e se non era
475Bello e possente dell’Eterno il detto,
Potuto come avrìa l’almo Profeta
Con tal parola farsi a noi maestro?
     Nella nativa mia città, pregiato
E dolce amico, io sì, mi avea. Ben detto
480Tu avresti esser noi due quale una sola
Persona e un’alma. Egli mi disse un giorno:
È saggio, è bello il tuo consiglio, e possa
Per glorïoso calle inceder sempre
Trïonfando il tuo pie! L’arduo volume
485Che in pehlèvica lingua un dì fu scritto,
Se indugiar non ti vuoi, pronto son io
Qui a recarti. Piacente hai la favella
E giovinezza hai tu, verbo, gli antichi

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Eroici fatti a celebrar capace
490In nobil guisa. Or va; quel regal libro
Volta in nostro sermon; cercati onore
Presso ai regnanti con ardita impresa!
     Quando quel libro ei mi recò, rifulse
L’anima mia ch’era sì trista e fosca.

X. Lodi di Abû-Mansûr.

(Ed. Calc. p. 8-9).


495     Allor ch’io cominciai l’ardita impresa
Di quel libro regal, grande e famoso
Viveva un prence. Giovinetto egli era,
E discendea da una gagliarda stirpe
D’antichi eroi, saggio e prudente e accorto
500E di sereno cor. Molta saviezza
Egli avea di consiglio; e verecondia
E nobile parlar, dolce favella
Eran suoi pregi eletti. Oh! che mai dunque,
Sovente ei mi dicea, da me si chiede,
505Perchè l’anima tua tutta si volga
All’antico racconto?... A me ricorri
In ciò ch’è d’uopo, e l’opra mia solerte
Per me non fallirà, del tuo bisogno
Ad altri il carco non darò. — Qual fresco
510Pomo cresciuto a un arbor su la cima.
In sua guardia ei mi avea, perchè importuno
Vento non mi offendesse. Io fino agli astri
Mi sentìa sollevar dall’umil loco
Pel favor di quel grande. Agli occhi suoi
515Quanto la terra vil l’oro e l’argento
Avean scarso valor, ma il nascimento
Nobile ed alto maggior pregio in lui
Con dignitade accumular parea.
     Vile era il mondo agli occhi suoi; di fermo

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520Core egli era e fedel, d’alma preclara,
E sparve un dì, ben che famoso e illustre,
Dal popol suo, qual nobile cipresso,
Cui dal suo loco, in un giardin fiorente,
La procella schiantava. Oh! nobil sire,
525Che avêi splendido cinto, e il portamento
Avevi di gran re, gentil persona
E maestoso incesso!... Io più non vidi
Da un fatal giorno in poi segno nessuno
Di lui, nè vivo, nè già spento. Ei cadde
530Per man degli omicidi, orride belve.
Questo mio cor, captivo ora per lui,
Senza speme restò; l’egro mio spirto
Tremò qual ramo alla bufera. Oh! scenda
Maledizion sull’anno infausto e il mese,
535Nel quale ebbe poter sulla persona
Di tal prence il nemico!... Io bel consiglio
Ricordo ancor di quel possente, e adduco
A più retto sentier l’anima mia,
Per quel consiglio, dagli errori suoi.
540«Quando compiuto avrai, dissemi il saggio,
Questo Libro dei Re, solo a regnanti
Bello sarà se tu l’affidi». — E questa
Dolce parola infonde nel cor mio
Un soave gioir, tutta quest’alma
545Esulta e gode in sè, chè ove quest’alma
Ricorda ancora il suo consiglio amico,
Più saggio questo cor rendesi a un tratto,
E nova gioia lo ravviva e accende.
Così la man distesi all’opra in nome
550Del Re dei re, da l’eretta cervice.

XI. Lodi del Sultano Mahmûd.

(Ed. Calc. p. 9-10).


     Da che il mondo creò l’onnipossente
Man dell’Eterno, un prence a lui simile

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Mai non apparve. Egli ha corona e seggio
Imperïal, vittoria l’asseconda,
555E vigile fortuna Iddio gli diede.
Come fiammante sol, sedendo in trono,
Risplender fa la sua corona, e splende
L’ampia terra per lui qual levigato
Nitido avorio. Or tu dirai: Quest’almo
560Sol che sì vivo splende e da cui tanta
Luce s’accresce per la terra oscura,
Come s’appella? — Abu ’l-Kasìm, l’invitto
Re che tu chiedi, il trono suo più in alto
Pose di questo sol. La terra tutta
565Da orïente adornava ad occidente
Il possente signor, sì che miniera
D’oro s’aprìa per lui, per sua possanza
In ogni loco. — La fortuna mia
Sonnolenta destossi, e un pensier nuovo,
570Molti pensieri mi affollar la mente.
Conobbi allor che tempo era venuto
Propizio a favellar, che rinnovarsi
Doveano allora e ritornar gli antichi
Tempi de’ prischi re, sì che una notte,
575Col pensier della mente in questo assorto
Magnanimo signor dell’ampia terra,
Col cor pien di sue lodi, al sonno in grembo
Mi abbandonai. Splendea questo mio core
Come facella in quella notte oscura;
580Chiuso era il labbro, ma il mio cor vegliava.
     Stupenda visïon l’alma serena
Vide nel sonno allor. Parve che a un tratto
Dall’acque uscisse del profondo mare
Una face splendente; era la terra
585Un’atra notte, ma al chiaror di quella
Vivida luce risplendea pur essa
Qual fulgido rubin. L’ampia campagna
E de’ monti le falde intorno intorno

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Parver coperte d’un verde broccato,
590Allor che un trono si mostrò, di mille
Turchesi ornato e sfavillante. In esso
Un gran prence sedea, bello qual luna,
E su la fronte non celata avea,
Ma una corona tutta d’or. Dintorno
595Si stendean per due miglia i prodi suoi
E da destra e da manca erano in ampio
Ordin disposti sette volte cento
Elefanti animosi. Eragli innanzi
Nobil ministro, e al gran signor la via
600Di giustizia mostrava e l’alte norme
Di nostra fede. Io mi stupìa per tanta
Maestà di quel re grande e famoso,
Per tante genti sue, per quelli in guerra
Valorosi elefanti. E poi che in volto
605Al possente signor gli occhi io fermava,
Un de’ suoi prenci a dimandar mi fei:
È questa, dimmi tu, del ciel la vòlta,
La luna è questa, o il trono o la corona
Di sovrano signor?... Stelle son queste
610Che songli attorno, o prenci incliti in armi?
     E tal mi rispondea: Questi è il signore
D’India e di Grecia; da Kannogia al mare
Di Sind lontano. Ma in Turania tutti
Gli son servi e in Irania, e vivon tutti
615Sol per sua grazia e suo voler. La terra
Egli tutta adornò di sua giustizia
Con l’opre illustri, e poi che fu compiuta
L’impresa sua, si pose in su la fronte
L’inclito serto. Egli è Mahmùd, possente
620Signor di nostra terra; egli a una stessa
Fonte conduce e lupi ed agni. I prenci,
Da Kashmìr popolosa al mar di Cina,
Prestangli omaggio ossequïosi; e allora
Che nella cuna dal materno latte

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625Distolto è il labbro d’un infante, il nome
Del regnante Mahmùd primo ei balbetta.
Tu pur, che dono hai di favella e cerchi
Eterna gloria per lui sol, le lodi
Cantane riverente. Il suo comando
630Niun trasgredisce in terra, e al cenno suo
Niun mortal si sottrae, tanto egli è grande.
     Dal sonno mi destai. Balzai dal loco
Ov’era, e in piè deh! quante notti oscure
Stetti a far voti per tal re gagliardo!
635Oro da offrirgli io non avea, ma tutta
L’alma gli offersi, e dissi in me: La chiara
E nobil visïon si avrà risposta,
Chè la fama di lui per l’ampia terra
Alto risuona. Oh! lode a lui, chè lode
640Ei fa pure all’Eterno, e benedetta
Sia la sua sorte vigile e serena,
La sua corona ed il suggel! La terra
Bella si fa per maestà ch’è sua,
Quale è un giardino a primavera; il cielo
645Nuvole ha ombrose, e il suol mille parvenze.
Scendon le pioggie su gli aridi campi
Al tempo lor propizio, il mondo intero
D’Irèm sembra il giardin; per tutta Irania
Per sua giustizia opere son leggiadre,
650Gioisce il mondo di sua gioia. E il prence
È quale un ciel di fede intatta a’ suoi
Conviti di gran re, ma in guerra a un fiero
Drago è simil. Nel corpo è un elefante
Ardimentoso, ed è Gibrìl nell’alma,
655Angiol di Dio, ne’ doni suoi qual pioggia
In mese di Behmèn, fiume di grazia
Nel magnanimo core. È la fortuna
De’ suoi nemici, contro all’ira sua,
Vile e spregiata, come l’oro è vile
660Dinanzi agli occhi suoi. Nè per corona

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O per tesoro imperïal superbia
Si assunse mai, nè per battaglie e imprese
Quel suo cor si oscurò. Tutti frattanto
I fidi suoi, che molti ei n’ha, i famosi
665Guerrieri e i servi d’illibato core
Questo prence di prenci han caro e amico
E fedeli gli sono e obbedïenti.
Con tutta fè. Prenci son dessi ancora
Ne’ lor castelli per l’immenso regno,
670E lor nome si grida oggi dall’alto
Seggio sacerdotal nei templi nostri.

XII. Lodi dell’Emiro Nasr, fratello del Sultano.

(Ed. Calc. p. 10-11).


     Primo fra questi è il fratel suo bennato,
Minor d’età, che non ha pari in quella
Dolcezza umana che l’adorna. Il saggio
675Che di Nasr animoso alla grandezza
Fedel servo si dice, all’ombra queta
Di quel signor dell’ampia terra tutta
Vive beato. Ed ei che padre un giorno
Ebbe Nasir-ed-din, trono ha lucente,
680Di cui la base è quale il serto fulgido
Delle Pleiadi in cielo. Ha valor grande
E consiglio e virtù d’uom saggio e accorto,
E i prenci tutti allietansi per lui,
Quanti son nella reggia. Anco il possente
685Signor di Tus è di tal schiera eletta,
Ei che in battaglia anche un leon conquide.
Oro a’ suoi servi ei dà quanto ei ne tocca
Da lieta sorte, chè la gloria sola
Ei chiede in terra e l’ha. La via che adduce
690All’Eterno, egli addita all’uman seme,
Prega che al loco suo resti il suo prence.

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Oh! mai non resti senza la corona
Di questo re la terra! Eterno a noi
Resti e viva beato, e segga in trono
695E cinga il serto e sia robusto e forte
Della persona, sciolto dall’affanno
E dal dolor di sorte vincitrice!
     Or io mi volgo al principiar dell’opra,
Al volume dei Re famosi un tempo.