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E a quel racconto sì piacente il core
Ponea la gente, ogni più saggio e dotto,
Venne improvviso un giovinetto. Avea
425Sciolta e nobil favella, arguto il labbro,
Splendido il core, anima dolce e buona,
E costante dicea: Nobile un carme
Io comporrò da questo libro antico! —
E tutti ne gioîr. Ma di natura
430Egra fu sempre l’età sua più bella;
Sempre ei lottò col mal. Venne improvvisa
Su lui la morte e funeral corona
Gli posò su la fronte. Ei, per quel male,
L’alma dolce spirò, nè, fin ch’ei visse,
435Ebbe quel core alcun conforto o gaudio
Un giorno mai del viver suo. Cadea
La sua fortuna, ed ei morìa trafitto
Dalla man d’uno schiavo. Erano mille
I distici sonanti ove Gushtaspe
440Ei celebrava con Argiàsp, nel tempo
Che la morte il giugnea. Così dal mondo
Si partìa l’infelice, e questo libro
Senza quel carme si restò negletto,
Chè la sorte di lui, vigile in pria,
445S’era assopita nella morte eterna.
Deh! gli perdona, almo Signor del cielo,
Le colpe sue! Nel dì del tuo giudizio,
Nel tuo cospetto, accrescine la gloria!
IX. Composizione del Poema.
(Ed. Calc. p. 7-8).
Dall’infelice giovinetto allora
450Questa mente si tolse. Io mi voltai
Supplice al trono dell’Eterno e voto
Fei nel mio cor di rinvenir l’antico