Il Buddha, Confucio e Lao-Tse/Parte Seconda/Capitolo VIII

VIII - Vita e leggenda di Lao-tse

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Capitolo VIII.


Vita e Leggenda di Lao-tse.


Quel poco di vero che si può sapere intorno a Lao-tse, si rileva dalle Memorie di Sse-ma-Thsien, primo istoriografo dell’imperatore Wu-ti della dinastia degli Han (140-86 av. C.). La biografia che egli ci fa di questo filosofo è tenuta per la sola autentica da quei della scuola de’ Letterati; in quanto che, come scrive uno [p. 433 modifica]d’essi, «l’autore non si lasciò sedurre da’ ciarlatani dati al culto de’ Genii, che venerano Lao-tse come un Dio; ma ne narrò la vita, rivelando il paese natale, e i figliuoli, e i nipoti di costui, per mostrare che non era che un uomo come gli altri».

Una breve operetta intitolata Lieh-sien-cuan, la quale contiene gli elogi di settanta immortali, sarebbe anch’essa di molta autorità, se realmente fosse di Liu-Hsiang, a cui si attribuisce: avendo egli scritto poco dopo Sse-ma-Thsien, ed essendo critico dotto e imparziale; ma gli eruditi cinesi mettono in dubbio l’autenticità di [p. 434 modifica]quel libretto, a cagion dello stile, che non è, secondo loro, quello del tempo, in cui visse l’autore.

La brevissima vita di Lao-tse, che si contiene in detto libricciuolo, venne letteralmente copiata, salvo qualche variante e aggiunta in fine, da un famoso dotto della scuola confuciana, per nome Huang-fu-mih; il quale, nel terzo secolo dell’èra nostra compose un’opera, anch’essa di piccola mole, col titolo Kao-shi-cuan, cioè a dire «Vite d’illustri letterati».

Un secolo appresso, ossia intorno al 350 d. C., un celebre Taose chiamato Ko-hung, raccolte le varie favole che allora correvano sul conto di Lao-tse, ne compose una leggenda, che divenne la fonte, a cui attinsero tutti i Taosi che vissero più tardi, e che scrissero sul medesimo soggetto. Questa leggenda, abbastanza amplia, sta a capo della «Storia degli Spiriti e de’ Genii» (Shên-sien-cuan) scritta dallo stesso Ko-hung.

Cominceremo fra tanto dal racconto di Sse-ma-thsien, per toglierne quelle notizie storiche, che riguardano il nostro filosofo; e verremo poi a esporre la leggenda, che ne scrisse il Taose che abbiamo ora menzionato.

Lao-tse o Lao-kün, come è oggi conosciuto il personaggio, di cui dobbiamo ragionare, chiamavasi di casato Li, di nome Erh e di cognome Po-yang. Fu anche appellato Lao-tan, che alcuni vogliono fosse un epiteto postumo; altri un soprannome datogli a cagione d’una sua particolar conformazione d’orecchie. Ma siccome Lao-tan, che vuol dire «Vecchio quasi sordo», era un antico modo d’indicare, in generale, i maestri molto in là con gli anni, è probabile che Lao-tse, diventato vecchio, fosse chiamato anch’egli così, senza altra cagione.

Nacque in luogo detto Khü-jên, nel borgo Lai, circondario di Khu-hsien, nel territorio di Thsu. Questo [p. 435 modifica]circondario, che si chiamò anche Khu-yang, e oggi ha nome Lu-yi, è nel dipartimento Kuei-te-fu nella provincia di Ho-nan. Ivi si vede a’ dì nostri un tempio detto Thai-thsin-kung, ossia «Palazzo della Purità massima», che si dice eretto dove era la casa, in cui nacque Lao-tse; e poco appresso v’è un lago chiamato Ling-khi, nel quale la tradizione vuole che nove Draghi attingessero acqua, per purificare la dimora del filosofo. Non ostante ciò, sembra che l’antico circondario Khu-hsien, che era una parte del reame di Thsu, si estendesse alquanto nel distretto di Hao-ceu della provincia di Kiang-nan; e che il borgo, che vide nascere Lao-tse, stesse a’ confini di Lu-yi, ma nella detta provincia di Kiang-nan. Fatto sta, che anche nella città di Hao-ceu trovasi un tempio consacrato alla memoria del fondatore del Taoismo, che ha fama d’essere stato già la casa natia del nostro filosofo.

Della sua vita lo storico Sse-ma-Thsien1 non ricorda che i pochi fatti che seguono. Fu archivista della corte dei Ceu, che risedeva allora nella città, la quale oggi è capitale della provincia di Ho-nan; ovvero, secondo che vogliono altri autori, ebbe la carica di Cu-hsia-she, specie di segretario di Stato. Fu appunto nel reame de’ Ceu, che Confucio andò a trovarlo, per essere istruito da lui intorno al rituale; ed ebbe quel colloquio, di cui in altro luogo abbiam riferito la sostanza, e che non staremo a ripetere. Aggiungeremo solamente che, tornato Confucio al suo paese, e domandato da’ discepoli che cosa egli pensasse di Lao-tse, si vuol che rispondesse: «Io so che gli uccelli volano, che i pesci nuotano, che i quadrupedi corrono. Que’ che corrono possono esser presi al laccio; quei che nuotano possono esser presi con le reti; quei che [p. 436 modifica]volano, con le frecce. In quanto al Drago, esso che s’innalza in Cielo, che è portato da’ venti e dalle nubi, non so come si potrebbe acchiappare. Oggi ho veduto Loo-tse: egli è come il Drago». — Erano un elogio o erano un biasimo, queste parole di Confucio? Vero è, che questi doveva trovare le astrazioni della filosofia Taose tanto fuor del campo della dottrina pratica e positiva, che egli insegnava, da stimarle di niuno utile agli uomini, e solo degne d’intelletti che amano vagare negli spazii dell’immaginazione, senza arrecar giovamento a chechessia.

Lao-tse non stette molto tempo alla corte del sovrano; ma abbandonata ogni pubblica faccenda, fuggendo la rinomanza, si dedicò tutto solo allo studio, per escogitare quella dottrina, i cui germi gli stavano in mente. Visse non di meno lungo tempo nello Stato di Ceu; e sol quando s’accorse che le cose del governo andavano di male in peggio, per non esser testimone della rovina di quella seconda sua patria, emigrò in altra terra. Giunto a un luogo del confine, detto la «Barriera», un tal Yin-hsi, deputato alla guardia di quella, conoscendo già per fama Lao-tse, fecegli onore; e pregollo caldamente, poichè era deciso di lasciare la società degli uomini e ritirarsi in solitudine, che esponesse almeno per iscritto e ordinatamente la dottrina del Tao, la quale aveva egli tanto tempo meditata, affinchè non andasse obliato e perduto un siffatto tesoro. Lao-tse vinto dall’istanza di Yin-hsi, espose il suo sistema di filosofia, in due libri e in cinquemila parole; glieli consegnò, e poi partì; nè si seppe mai più quel che avvenisse di lui. La detta Barriera è a’ confini della provincia di Ho-nan, per andare in quella di Shen-si: chiamavasi, Han-khu-kiu-kuan, ossia Vecchia barriera di Han-khu, città che oggi [p. 437 modifica]ha nome Ling-pao,2 e dove ancora si mostra una casa, in cui la tradizione vuole che Lao-tse scrivesse il suo Tao-tê-King.

Sse-ma-thsien non reca nè la data della nascita, nè quella della morte del filosofo; ma gli storici cinesi, investigando altri documenti e altre tradizioni, sono arrivati a stabilire, ch’egli venne al mondo l’anno terzo del re Ting de’ Ceu, che risponde all’anno 604 av. C., cinquantatrè anni prima che nascesse Confucio. Il famoso colloquio che questi ebbe con Lao-tse, secondo l’opinion generale avvenne l’anno diciottesimo del re King (502 av. C.): in quel tempo Confucio aveva quarantanove anni, e Lao-tse ne avrebbe avuti centodue. Ora, siccome quest’ultimo non visse più di ottantaquattro anni; e Confucio quando si andò in quel paese aveva tra i sei e i sette lustri, la data che abbiam riferita sembra del tutto erronea; ed è a preferirsi l’altra, la quale è ammessa pure da alcuni, dell’anno ventesimoterzo del sovrano, che regnò immediatamente avanti a quello che abbiamo ora menzionato, e che anch’egli aveva nome King. A questo modo s’avrebbe l’anno 521 av. C.: alquanto innanzi che morisse Lao-tse, e mentre Confucio era nel suo trentunesimo anno di età.

Teniamo ora a narrar la leggenda; la quale noi tradurremo dallo scritto di Ko-hung, che la compose come poco sopra s’è detto. Vedremo, fra le altre cose, che l’autore per dar credito a quel che racconta, mostra di sprezzare certi Taosi che scrissero maraviglie della vita del filosofo, mentre egli, a sua volta, l’empie di fatti soprannaturali.

«Lao-tse aveva nome Cung-erh, e cognominavasi [p. 438 modifica]Po-yang; e nacque in Khü-jên, luogo del circondario di Khu, nel reame di Thsu. La madre lo concepì in virtù d’una stella filante; e quantunque egli avesse avuta la più celeste parte dell’aerea sostanza, essendo venuto alla luce in casa i Li, ebbesi il nome Li per suo casato.

V’è chi suppone ch’egli già esistesse avanti che fossero Cielo e Terra; chi sostiene che sia pura energia vitale del Cielo, e conseguentemente appartenga alla famiglia degli Dei; chi afferma essere stato partorito dopo che la madre sua l’ebbe tenuto settantadue anni nel seno: e che poi venisse al mondo squarciandole il fianco sinistro, e già tutto canuto, per la qual cosa fu appellato Lao-tse, il «Vecchio fanciullo». Si vuole anche da alcuni, che il nome ch’egli ebbe fosse il casato della madre, non avendo questa avuto marito; altri invece tengon per certo, che ella un giorno fermatasi sotto un Susino (che in Cinese si chiama Li), quivi partorisse, e il fanciullo appena nato, come chi parla speditamente, accennando l’albero dicesse, il nome di quella pianta sarà il nome mio.

Si novella parimente che Lao-tse fosse apparso al mondo diverse volte sotto diversi nomi. Così che sotto i tre primi imperatori3 egli fu il maestro della Legge4 Yüau-cung; sotto i tre secondi imperatori si chiamò Kin-kiue-Ti-kün, ossia Sovrano signore della reggia;5 [p. 439 modifica]al tempo di Fu-hsi (2852 av. C.) appellossi Yo-hoa-tse; al tempo di Shên-nung (2737 av. C.) ebbe nome Kin-ling-Lao-tse; al tempo di Cu-yung6 fu Kuang-shen-tse; al tempo di Huang-ti (2697 av. C.) fu Kuang-chêng-tse; al tempo di Cuan-hsü fu Chih-tsing-tse;7 al tempo di Ti-kuh (2435 av. C.), Lu-thu-tse; al tempo di Yao (2356 av. C), Wu-chêng-tse; al tempo di Shun (2255 av. C), Yin-shen-tse; al tempo di (2205 av. C), Cên-hsing-tse; al tempo di Thang de’ Shang (1766 av. C.) fu Si-hsê-tse; e al tempo di Wên-wang (1231 av. C), Wên-yi-shêng. Dicono alla perfine che fosse conservatore degli archivi di corte; che sotto il nome di Fan-li avesse vissuto nel reame di Yüeh; nel reame di Thsi, sotto quello di Ci-i-tse; e nello Stato di Wu, sotto quello di Thao-cu-kung. Tutto ciò si legge in più e più libri; ma non è confermato dai veri testi genuini che trattano de’ Genii e degli Spiriti.

«Ko-ce-chuan8 stima che se Lao-tse fosse stato uno schietto spirito del cielo, non ci sarebbe stata generazione, fra cui non fosse apparso. Or come mai dalla sua nobil condizione sarebbe egli sceso a una vile?; come sarebbe uscito dalla sua quiete serena per mescolarsi al viver faticoso di quaggiù?; come avrebbe lasciato le pure regioni eteree, per venire in questo fango; e [p. 440 modifica]rinunziato alla celeste dignità, di cui era investito, per un umile uffizio fra gli uomini? La dottrina del Tao vi fu appena che furono e Cielo e Terra; perchè i maestri della dottrina del Tao, sia pure per piccolo lasso di tempo, dovevano mancare nel mondo? Da Fu-hsi fino alle tre dinastie (Hsia, Shang e Ceu) vissero molti Taosi celebri. Così ogni generazione ebbe i suoi; e non c’è bisogno di credere che tutti costoro siano stati una persona sola con Lao-tse. Seguaci di tenebrose discipline, vaghi di cose meravigliose, i quali non tengono in pregio che quel che è strano, hanno inventato cotali favole, credendo d’innalzare a’ maggiori onori Lao-tse. Ma in sostanza egli non è che un savio, il quale entrò in possesso della più schietta dottrina del Tao, senza pertanto essere di specie soprumana. Infatti si legge nel Sse-ki, che Lao-tse ebbe un figliuolo chiamato Tsung, il quale servì lo Stato di Wei come generale d’esercito, e che pe’ suoi meriti ebbe in appannaggio la terra di Kia. Il figliuolo di Tsung si chiamò Wang, e il figliuolo di questi, Yen. Il figliuolo del bisnipote di Yen, detto Hsia, ebbe un ufficio sotto gli Han; e il figliuolo di Hsia, nominato Kiai, fu ministro del re di Kiao-si, e poi prese dimora nel reame di Thsi.

«In quanto poi all’esser Lao-tse di stipite divino, possiamo esser certi che solamente i Taosi ignoranti hanno messa fuori siffatta asserzione, col proposito di farne un Dio, adoprandosi che i posteri professassero una tale credenza. Ma non sanno costoro che queste favole tolgon credito perfino all’arte che procaccia i mezzi d’allungar la vita umana?9 e Lao-tse è un uomo [p. 441 modifica]che ha ottenuto il Tao, anche gli altri uomini si sforzeranno d’imitarne gli esempi, per conseguire lo stesso fine; ma se invece di lui se ne fa qualcosa di soprumano, chi oserà competer con lui, o prenderlo ad esempio?

«Si narra che Lao-tse quando fu per passar la barriera di confine a occidente, il gabelliere Yin-hsi, avendo conosciuto il filosofo all’aspetto non comune, gli andò incontro, e lo interrogò intorno alla scienza del Tao. Lao-tse, per maraviglia, aperta la bocca e tirata fuori la lingua, se ne stette per alquanto tempo muto: ed ecco la cagion del nome di Lao-tan,10 col quale venne appellato in appresso. Non si sa tuttavia per certo, se un tal epiteto egli già l’avesse, come vogliono altre scritture, prima che andasse al luogo della Barriera. In quanto che Lao-tse cambiò spesso nome; e nel mondo non v’è poi solamente uno, che si chiami Tan!

«Alcuni libri taoisti avvertono, che agli uomini può di frequente accadere d’incontrar gravi pericoli. Conoscendo quando essi sopraggiungono, se allora a proposito si cambia nome per conformarsi al destino,11 si riesce a scansare ogni impaccio, e a vivere ancora qualche anno di più. Oggigiorno, chi è arrivato a possedere la scienza del Tao, non manca di comportarsi in questa guisa.

«Lao-tse dimorò nello Stato di Ceu intorno a trecent’anni; e in tutto quel tempo, più d’una volta si [p. 442 modifica]trovò in congiunture dispiacevoli; laonde i nomi che egli prese secondo i casi, furono senza numero.

«Chi vuol giustamente ricomporre i fatti della vita di Lao-tse, bisogna che si serva, come fondamento, delle notizie genuine che si trovano ne’ libri di storia; le metta a confronto co’ profondi e misteriosi ragionamenti de’ libri taoisti; e prenda quindi in attento esame tanto gli uni, quanto gli altri documenti. Tutto quel che è tradizione del volgo, non è che un accozzo di finzioni, che non merita d’esser preso in disamina.

«L’autore, investigando non poche scritture della scuola del Tao,12 ha trovato che Lao-tse aveva il viso di color bianco giallastro, bei sopraccigli, fronte spaziosa con alquante rughe e con due protuberanze, orecchi lunghi, occhi grandi, denti radi, bocca angolosa, labbra tumide; naso usuale, ma a doppia canna; i piedi aveva larghi che poteva calpestar tre o quattro palmi di terreno, e le mani tanto grandi da tener dieci borse. Al tempo di Wên-wang de’ Ceu (1231-1135 av. C.) fu archivista di Stato; e a tempo di Wu-wang (1122-1115 av. C.) fu Cu-hsia-she.13 Il volgo, osservando in lui così gran longevità, lo chiamò il «Vecchio filosofo», ossia Lao-tse.14

«Ora, quei tra gli uomini che ha ricevuto dal destino intelligenza e perspicacia maravigliose, non può esser messo a confronto, per le sue notevoli capacità, con la comune degli uomini. Egli è il principe della [p. 443 modifica]dottrina del Tao, il benedetto e il beneficato degli Spiriti celesti, colui, le cui orme sono seguite da una moltitudine di santi. Per la qual cosa Lao-tse, come regola a coloro che traversano questa vita mortale, scrisse novecento trenta libri, i quali trattano dell’arte magica. Vi si parla delle nove specie di panacee, delle otto pietre fatate, dell’ambrosia d’oro, del succo prezioso; e poi anche del modo di conservar la purità originale, di mantener uniti il pensiero e lo spirito, di serbar inalterati gli elementi e la sostanza de’ corpi, di disfare le immagini, di disperdere le calamità, di allontanare il male, di governare i demoni, di nutrir la propria natura, di sopportare l’astinenza del cibo, di trasfigurarsi e trasformarsi, di vincere e soggiogare, e di ridurre in soggezione i demonii e i cattivi Genii. Tutte queste scritture sono notate in un catalogo, con altri settanta libri, pure di Lao-tse, intorno agl’incantesimi e a’ talismani. Tutti gli altri scritti non enumerati nel detto catalogo sono stati aggiunti con frode dai Taosi posteriori, e attribuiti al filosofo, e devono perciò esser al tutto riguardati come apocrifi.15

«Lao-tse era uomo pacifico e indifferente; non aveva desiderii, e solamente attendeva con ardore all’arte di prolungar la vita. Laonde, benchè fosse rimasto in Ceu per lungo tempo, mai non gli venne in animo di cambiare stato nè condizione. Egli procurava che la luce della sua intelligenza non offuscasse le menti volgari, industriandosi in pari tempo che in lui tutto fosse reale [p. 444 modifica]e spontaneo. Voleva ottenere il pieno possesso della scienza del Tao; e poi avrebbe abbandonato questo mondo.

Confucio andava sempre da Lao-tse, a consultarlo sul rituale. Avanti di quel tempo, avendo egli mandato un suo discepolo per nome Tse-kung a visitare il Filosofo, questi gli disse: — Il tuo maestro, che ha nome Khiu,16 sarà da me istruito, sol dopo tre anni, ch’egli mi abbia seguito come discepolo. E poichè Confucio fu andato appresso Lao-tse, questi un giorno si fece a dirgli: — Un buono e prudente mercante, che abbia pieno il fondaco di merci, per timore de’ ladri fingerà di non avervi la benchè minima cosa; nella stessa guisa il savio pieno di virtù e di sapienza, deve fingersi ignorante al pari della gente comune. Quale utile vuoi tu cavare dalla tua presunzione, da’ molti tuoi desiderii e dalle tue passioni?

Una volta Confucio stava leggendo; Lao-tse vedutolo gli domandò: Che libro leggi? — Lo Yi-king, rispose Confucio; anche i santi si dilettavano di tal lettura. — Disse Lao-tse: — I santi potevano leggerlo, chè essi lo intendevano; ma tu perchè lo leggi? sai dirmi che cosa v’è d’importante in quel libro? — Il suo contenuto, replica Confucio, si epiloga in due parole: carità e giustizia. — Vane parole senza costrutto, tornò a dire il maestro. Anc’oggi si fa gran pompa di carità e di giustizia, eppure si offendono di continuo gli affetti umani: e il disordine sociale non è stato mai tanto grande. Il cigno non è bianco, perchè si lavi ogni giorno; nè il corvo è nero, perchè ogni giorno si tinga. Eccelso è il cielo per sua natura; per sua natura la terra è [p. 445 modifica]fonda; il sole e la luna di per sè stessi son luminosi; e anche l’armonica disposizione degli astri vien dalla natura loro. E le piante non hanno esse eziandio proprietà ben determinate, che ne distinguono le infinite specie? Se tu ti applicherai con sollecitudine a coltivare la scienza del Tao, tu l’acquisterai. A che dunque ti serviranno la carità e giustizia? Battere il tamburo per chiamare una pecora smarrita è da stolti: e tu mi sembri uno che intenda a rovescio la natura umana. — Poi domandò a Confucio: — Se’ tu giunto in possesso della Scienza (Tao)? — Io la cerco invano da ventisette anni, rispose questi: — Se la Scienza (Tao), riprese a dir Lao-tse, fosse cosa da potersi dare in omaggio agli altri, chi non la porgerebbe al suo principe?; e se si potesse offrire a qualcuno, chi non l’offrirebbe a’ genitori?; e se si potesse annunziare altrui, chi non la annunzierebbe al fratello?; e se si potesse tramandar per tradizione, chi non la lascerebbe in retaggio a’ figliuoli? Ma tutto questo è impossibile; la Scienza non dimora che nell’animo di chi può farsene assoluto signore. — Eppure, tornò a dire Confucio, io ho compilato il Libro de’ versi (Shi-king), le Storie antiche (Shu-king), il Canone de’ riti (Li-ki), il Trattato della musica (Lo-king), e la Cronica del mio paese natale (Chun-thsiu). Ho predicato la saviezza degli antichi re, e ho procurato che quella fosse luce che rischiarasse il sentiero a’ sovrani di Ceu, per molte generazioni di principi; ma invano, chè ogni mia fatica fu senza frutto: cotanto è difficile farsi comprendere dagli uomini! — Lao-tse replicò: — Le discipline17 che hanno [p. 446 modifica]fin qui occupata la tua mente, sono vecchio retaggio delle antiche età: nient’altro che reliquie del passato. Or non è egli singolare, che tu non sappia camminare che su l’orme de’ morti; che tu non t’adopri a coltivare che un campo sterile, dove non trovi che ossa?

Confucio lasciato che ebbe quel filosofo, fece ritorno a’ suoi discepoli. Per tre giorni interi il maestro non fece parola dell’accaduto; della qual cosa Tse-kung maravigliato, fattosi animo egli stesso lo interrogò a questo proposito. Confucio rispose: — Quando l’avversario usa nel discutere ragioni, che a guisa d’uccelli se ne volan via rapidamente; io ordino il mio ingegno a guisa d’arco teso, nè mai è accaduto che la freccia abbia fallito il colpo. Quand’egli usa ragioni che corron come cervie; l’ingegno mio si può paragonare a un veltro, che corre, le raggiunge, le abbatte. Quand’egli usa ragioni che guizzan come anguille; ecco il mio ingegno come un amo, che i pesci subito abboccano. Ma se egli è un Drago che s’innalza su le nubi, che trascorre i puri campi dell’etere, io non posso seguirlo. Oggi ho veduto Lao-tse; egli è come il Dragone volante! Invano ho tentato parlare; il mio spirito e il mio intelletto, come smarriti, non sapevano dove si fossero.

Yang-tse andò a visitare Lao-tse; e questi gli disse: — La pelle gaia del Leopardo, e le singolari movenze della Scimmia, son quel che attiran le frecce del cacciatore. — Yang-tse gli domandò anche alcuni schiarimenti intorno al modo di governare degli antichi. — Il governo dell’illustri re dell’antichità, rispose Lao-tse, era veracemente efficace, e nondimeno eglino non ostentavano d’adoperarvisi; in quel tempo la civiltà aveva trasformate le genti, e pertanto il [p. 447 modifica]popolo non presumeva di sè. La virtù di costoro era reale, ma non ne menavano vanto. Le loro geste sono imperscrutabili: vagano nel non essere.18

Lao-tse si pose in animo di lasciare il paese, traversare i confini a occidente, e recarsi sul monte Khuen-lun. Yin-tse, che stava a guardia della Barriera, da certi segni nell’aria prognosticò, che per quelle parti doveva passare un Genio. Subito spazzò la strada lungo quaranta miglia;19 e appena vide comparire Lao-tse, conobbe che era proprio colui che aspettava. Il Filosofo aveva dimorato lungo tempo nella capitale della Cina, ma non aveva rivelato a nessuno i segreti della sua scienza; laonde, non dubitando punto che Yin-hsi fosse stato predestinato a riceverne il sacro deposito, fece sosta in quel luogo. Ora è da sapere che Lao-tse menava seco un suo famiglio, certo Siu-kia, al quale avea fissato di dare cento denari al giorno: e il patto era stato fatto di buon’accordo; ma non avendo il filosofo pagato mai il servo, gli doveva ormai 72,000 danari. Siu-kia, accortosi che il padrone era per passare i confini, e andare in lontani paesi, non pose tempo in mezzo, e richiese il suo avere. Ma non essendo riuscito a farsi dare neanche un picciolo, incaricò uno di condursi da Yin-hsi, e pregarlo che inducesse Lao-tse a tenersi a’ patti. Il mediatore, non sapendo che Siu-kia era a’ servigii del filosofo da dugento anni, calcolato presso a poco tra sè la somma, di cui poteva esser creditore il servo, proposegli di dargli in moglie la sua figliuola; al che Siu-kia acconsentì di buon grado, visto che la fanciulla era bella assai. Conclusa a questo modo la [p. 448 modifica]cosa, il mediatore andò da Yin-hsi; il quale all’udire siffatto negozio si maravigliò grandemente, e recossi subito a visitar Lao-tse. Allora questi rivolta la parola al famiglio gli disse: — Tu da gran tempo dovresti esser morto; e sono grandissimo numero di anni che tu ministri le mie faccendole. Eri povero, senza mezzi e senza ufficio. Io ti concessi il talismano della vita pura e perpetua, che t’ha reso capace di viver fino a oggi; ed ecco che ora tu vai sparlando di me in questa guisa? Arrivati che noi fossimo stati al reame di An-si, io ti avrei scrupolosamente e indubitatamente pagato in tanti scudi d’oro.20 Come mai non hai tu potuto sopportare altro indugio?

Ciò detto, fece a Siu-kia aprir la bocca e piegar la testa verso terra; sì che il verace talismano dell’eternità gli uscì di corpo e cadde giù: e i caratteri del talismano, scritti in rosso, si vedevano così belli, come fossero stati tracciati di fresco. Siu-kia diventò all’istante un mucchio d’ossa.

Yin-hsi sapendo a prova quanto fosse grande la potenza soprannaturale di Lao-tse, che se voleva poteva infondere di nuovo la vita in que’ miseri avanzi, battendo più volte la testa in terra dinanzi a lui, istantemente lo pregò che resuscitasse il servo; al quale [p. 449 modifica]promise di pagare egli stesso per lui il prezzo del salario. Lao-tse acconsentì; ripose il misterioso e potente talismano sulle reliquie del morto, e questi subitamente tornò a rivivere come prima. Allora Yin-hsi diede al servo resuscitato dugentomila danari e lo accommiatò.

Dopo questo fatto maraviglioso Yin-hsi fu discepolo zelantissimo del Filosofo, il quale gli apprese l’arte dì viver lunghi anni. E avendo inoltre pregato il maestro che lo istruisse più profondamente nella Scienza del Tao, Lao-tse gliela espose in cinquemila parole. Le quali, dopo che l’ebbe in solitudine meditate, le trascrisse in un libro, che intitolò Tao-te-King. Questo valente discepolo, diventato perfetto nella pratica della Scienza arcana, non tardò a trasformarsi anch’esso in uno spirito immortale, al pari del suo Maestro.

L’imperatrice Teu-thai-heu (170 av. C.) ebbe gran fede negl’insegnamenti del filosofo Lao-tse; e l’imperatore Hsiao-Wên-ti,21 i suoi parenti e la sua moglie non mancavano di leggere attentamente quel libro sublime. Non è a dire quanto gran vantaggio ne traesse ognuno, per cosiffatto procedere; e come fosse prosperoso e pacifico il regno di Wên-ti (179-156 av. C.) e di King-ti (156-140 av. C), di questi sovrani così osservanti de’ precetti taosi! — Per tre generazioni si protrasse la vita gloriosa e benefica dell’imperatrice Teu-Thai-heu.

In questo tempo si resero famosi per profonda conoscenza della Dottrina, Su-kuang, precettore del principe ereditario, e il suo figliuolo. I quali, sapendo esser cosa verissima, che a colui, il quale è giunto al colmo d’una gloria ben meritata, giova rinunziare [p. 450 modifica]alla vita pubblica; lasciarono i loro ufficii, si ritirarono dalla società degli uomini, ed elargirono le loro ricchezze a’ bisognosi, conservando solo per sè un nome incorrotto. D’allora in poi, tutti i filosofi solitarii rinunziarono alla gloria e alle vanità del mondo; e non ebbero altro in animo che l’acquisto d’una longevità rigogliosa, scevra da tutte le disgrazie e da tutti i pericoli, che s’incontrano nel cammino della vita.

In quanto larga copia ha fluito l’inesauribile sorgente della sapienza di Lao-tse! E quanto inestimabil beneficio hanno arrecato al mondo quelle salutevoli acque! Maestro a infinito numero di generazioni lo han detto il Cielo e la Terra; e il suo discepolo Cuang-ceu22 lo ha proclamato sovrano patriarca della Dottrina taose».

Qui termina la leggenda più compiuta, che si abbia della vita di Lao-tse. Altri scritti di simil genere, ma di minore importanza, novellano di lui cose anche più maravigliose. Vogliono per esempio ch’egli esistesse avanti la manifestazione d’alcuna forma corporea; e che fosse presente allo svolgimento del gran caos, come uno spirito aleggiante per l’immenso spazio vuoto e tenebroso. Il suo corpo ebbe una serie infinita di trasformazioni, prima di diventare uomo. Finalmente al tempo che regnava in Cina Yang-kia (1408-1401 av. C.), entrò nel seno di una donna per nome Yüan-miao-Yü-niu; vi stette ottantun’anni, e dopo venne al mondo in forma umana: e questo accadde l’anno quattordicesimo del regno di Wu-ting (1310 av. C.). Al tempo di Wu-wang de’ Ceu (1122-1115 av. C.) si recò nell’India e nel reame di Tao-khi, e fece ritorno in Cina, durante il regno di [p. 451 modifica]Khang-wang (1078-1052 av. C.). L’anno ventesimoterzo di Cao-wang (1023 av. C.), passò i confini dello Stato di Ceu al luogo detto Han-ku-Kuan,23 per andare nel regno di Shuh, oggi provincia di Sse-chuan. In appresso traversò il deserto di Gobi, giunse alle terre de’ Tartari del settentrione; e ritornò poi dì nuovo in Ceu al tempo di Muh-wang (1001-946 av. C). La breve leggenda che si trova nell’operetta intitolata Sien-lieh-cuan, che abbiamo menzionata in principio di questo capitolo, fa viaggiare Lao-tse, in sul declinare della dinastia de’ Ceu, ovvero circa cinque secoli avanti l’èra nostra, in un paese che vi è chiamato Ta-thsin.24 Con questo nome i Cinesi designavano regioni lontane a occidente del lor paese; cosicchè un tal fatto ha dato occasione, ad alcuni autori europei, di far non poche congetture; immaginandosi che Lao-tse avesse visitato la Siria, la Palestina, fors’anco la Grecia. Ma questo viaggio del filosofo cinese nel paese di Ta-thsin,25 e gli altri, che abbiam notati or ora, non son che favole, inventate molti secoli dopo la morte dì lui, come abbiamo avuto occasione d’avvertirlo in altro luogo.

Nel libro che Lao-tse ci ha lasciato, e del quale parleremo nel seguente capitolo, si trovano alcuni passi che riguardan lui stesso, e che sarà bene riferire. Ecco come egli parla di sè: — «Io sono tranquillo, dice, come uno, nel cui cuore non siano mai germogliati i semi delle passioni e della concupiscenza. Incurante del mio destino, sono come una pagliucola portata dal vento: non ho da temere, non ho da sperar nulla. In questo mondo pieno di sapienti, di virtuosi, di savii, di ricchi, di nobili, sono [p. 452 modifica]un che non sa nulla, povero, stupido e selvaggio. E pertanto la gente mi chiama grande! eppure mi sembra d’essere un dappoco! Egli è forse per ciò che son da più della comune degli uomini? — Ho tre qualità che tengo per tesori, la condiscendenza, la parsimonia e l’umiltà. La condiscendenza mi fa forte, la parsimonia mi fa ricco, l’umiltà mi fa grande. — Ecco che cosa vorrei s’io fossi re d’un piccolo reame. Vorrei ricondurre il mio popolo a’ costumi primitivi; quando agli uomini sembravan buone le ghiande; una bella veste, la pelle di montone; una reggia, la grotta del monte: quando pareva loro di viver felici, vivendo semplici. Vorrei che nessuno emigrasse; e se pur vi fossero e carri e barche, non s’avrebbero a usare. E se di là da’ confini abitassero altre famiglie, tanto vicine, che noi udissimo il canto de’ lor galli e l’abbaiar de’ lor cani, farei che i miei sudditi invecchiassero e morissero senza visitar quella gente». — 26

Dopo aver parlato di Lao-tse dovrebbesi ora parlar del Tao-tê-king, libro, nel quale il filosofo ha esposta la sua dottrina; ma avanti di prendere in esame questa scrittura, cade meglio in acconcio una breve istoria delle origini del Taoismo; la quale servirà d’argomento al seguente capitolo.27

Note

  1. Intorno a Sse-Ma-Thsien, vedi pag. 330, n. 1.
  2. Nel Shen-ceu, Ho-nan-fu, provincia di Ho-nan.
  3. Vedi pag. 295 e n. 1.
  4. Maestro della Legge, Fa-shih, è epiteto di Buddhisti. Un’opera cinese intitolata Shih-shih-Yao-lan scrive: Coloro, i quali si sono distaccati affatto da ogni cosa mondana, che vivono nella perfetta quiete della Legge buddhica, che non desiderano che l’annientamento assoluto, hanno nome di Fa-shih.
  5. Kin-kiue e Kin-mên, è uno degli epiteti del palazzo imperiale.
  6. Cu-yung, personaggio leggendario, è tenuto per uno de’ ministri di Huang-ti. Secondo altri era figliuolo di Cuan-hsü, nominato poco sotto. È reputato governatore della regione di Mezzogiorno, e perciò tenuto pel Genio del fuoco.
  7. Alcuni suppongono che Chih-tsing-tse sia un altro nome di Cu-yung (vedi nota 1); il quale, come signore delle regioni meridionali, era anche chiamato Nan-fang-chih-kü e Nan-fang-kü.
  8. Lo stesso che Ko-hung, autore del libro Shên-sien-cuan.
  9. Questo è il principale intento, a cui miravano i Taosi d’allora; e l’alchimia, che dovea procacciare l’elisire dell’immortalità, era l’arte più importante, che essi praticassero. Vedi p. 458.
  10. Qui il carattere tan «esser duro d’orecchi, sentire a stento i suoni», sta per un altro, che ha lo stesso suono, ma significa «star con la lingua fuori»; cosicchè traducendo a parola, il passo verrebbe a dire: «tirata fuori la lingua, thu-shê, se ne stette con la lingua fuori, tan».
  11. A parola: per seguire le metamorfosi della Materia prima, Yüan-khi, vedi pag. 426 e altrove.
  12. Qui il monosillabo tse è preso nel senso di «filosofo» e non di «fanciullo». Vedi pag. 303, n. 3.
  13. Vedi pag. 435.
  14. Qui, come in un altro passo di sopra, si citano i titoli di alcune opere taoistiche, che io non sono stato a ripetere.
  15. Sarà inutile far osservare, che l’autore di questa leggenda, pure atteggiandosi a critico, attribuisce a Lao-tse una quantità di libri, che egli non ha mai scritti. La sola opera che abbiamo di lui, è il Tao-tê-King, della quale parleremo in appresso.
  16. Khiu è il nome di Confucio; vedi pag. 303.
  17. A parola: le sei discipline, cioè il cerimoniale, la musica, l’arte di tirar d’arco, l’arte di guidare i cocchi, l’arte di scrivere, e il calcolo.
  18. Vedi il cap. x.
  19. In cinese «mille Li». Li è misura itineraria, la quale è oggi calcolata la 250a parte d’un grado di meridiano.
  20. Il testo di questa leggenda, tradotto dal Julien, a questo punto ha il passo seguente: «Je vais aller vers la mer d’Occident (la mer Caspienne); je visiterai les royaumes de Ta-thsin (l’empire romaine!), de Ki-pin (Cabul), de Thien-tchu (l’Inde), de’ Asi (la Parthie), je vous ordonne de conduire mon char». Questo brano è stato omesso nel testo che ho sotto gli occhi; dove non si fa parola che del viaggio di Lao-tse in An-si (o Asi). Del resto questa non è la sola differenza tra il testo, da cui ha tradotto il Julien e quello, da cui ho tradotto io; ma tali diversità, essendo per lo più di poco rilievo, non le ho avvertite al lettore.
  21. Teu-Thai-heu era moglie di Hsiao-Wên-ti.
  22. Vedi pag. 466 e seg.
  23. Vedi pag. 436.
  24. Vedi pag. 448, n. 1.
  25. Così chiamarono i Cinesi anche l’Impero romano, o almeno le terre più orientali di quello.
  26. Tao-tê-King, capitoli xx, lxvii e lxxx.
  27. Al tempo che regnava Huan-ti degli Han, il nono degli anni yen-hsi (167 d. C.), si cominciò a sacrificare ne’ templi in onore di Lao-tse, come si faceva già per Confucio. Il primo degli anni khien-féng (666 d. C), l’imperatore Kao-tsung de’ Thang visitò la casa, dove nacque Lao-tse in Hao-ceu, e onorò il filosofo col titolo di Thai-shang-Hsüan-yüan-Huang-ti. Vedi pag. 320, nota 1.