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parte seconda 451

Khang-wang (1078-1052 av. C.). L’anno ventesimoterzo di Cao-wang (1023 av. C.), passò i confini dello Stato di Ceu al luogo detto Han-ku-Kuan,1 per andare nel regno di Shuh, oggi provincia di Sse-chuan. In appresso traversò il deserto di Gobi, giunse alle terre de’ Tartari del settentrione; e ritornò poi dì nuovo in Ceu al tempo di Muh-wang (1001-946 av. C). La breve leggenda che si trova nell’operetta intitolata Sien-lieh-cuan, che abbiamo menzionata in principio di questo capitolo, fa viaggiare Lao-tse, in sul declinare della dinastia de’ Ceu, ovvero circa cinque secoli avanti l’èra nostra, in un paese che vi è chiamato Ta-thsin.2 Con questo nome i Cinesi designavano regioni lontane a occidente del lor paese; cosicchè un tal fatto ha dato occasione, ad alcuni autori europei, di far non poche congetture; immaginandosi che Lao-tse avesse visitato la Siria, la Palestina, fors’anco la Grecia. Ma questo viaggio del filosofo cinese nel paese di Ta-thsin,3 e gli altri, che abbiam notati or ora, non son che favole, inventate molti secoli dopo la morte dì lui, come abbiamo avuto occasione d’avvertirlo in altro luogo.

Nel libro che Lao-tse ci ha lasciato, e del quale parleremo nel seguente capitolo, si trovano alcuni passi che riguardan lui stesso, e che sarà bene riferire. Ecco come egli parla di sè: — «Io sono tranquillo, dice, come uno, nel cui cuore non siano mai germogliati i semi delle passioni e della concupiscenza. Incurante del mio destino, sono come una pagliucola portata dal vento: non ho da temere, non ho da sperar nulla. In questo mondo pieno di sapienti, di virtuosi, di savii, di ricchi, di nobili, sono


  1. Vedi pag. 436.
  2. Vedi pag. 448, n. 1.
  3. Così chiamarono i Cinesi anche l’Impero romano, o almeno le terre più orientali di quello.