Il Bardo della Selva Nera/Canto V
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IL BARDO
DELLA SELVA NERA.
CANTO QUINTO.
LA SPEDIZIONE
Taque il Bardo, ciò detto, e più vicina
Fece l’orecchia ad ascoltar. Vezzosa
Dall’altra sponda la gentil Malvina
Della bocca alcun poco aprì la rosa,
5E coll’alma dal petto peregrina
Il bel viso sporgea, desiderosa
D’udir gli accenti di quel labbro amato,
Su cui tutto già vola il cor piagato.
Allor Terigi incominciò: Gran cose,
10Egregio veglio, a raccontar m’inviti,
Come in sua forza BONAPARTE pose
L’Egizia terra co’ suoi pochi arditi;
E qual propizio Nume a più famose
Prove salvo il ridusse ai nostri liti,
15Ove i furori della patria spense
Tutti, e d’Italia il rio destin redense.
Ma chi spinger potrà securo e solo
Per tanto mar la temeraria antenna?
Il valor di che parlo, è di tal volo,
20Che nol può seguitar vela nè penna.
Stanca è la tuba della Fama, e solo
Qualcun de’ fatti memorandi accenna;
E si lamenta che, ognor schietta e vera,
Le più volte tenuta è menzognera.
25Già l’orgoglio Alemanno avea piegato
Dinanzi al Franco sull’Isonzo il ciglio,
E l’Insubre paese trïonfato
Nuove leggi reggean, nuovo consiglio;
Mentre ruggendo e a miglior dì serbato,
30Il Veneto Lïon perdea l’artiglio;
Ed Europa, che pace ai re chiedea,
Già le sue piaghe ristorar parea.
Sol del sangue d’Europa e del suo pianto
Cresciuta sempre, e sempre sitibonda,
35Anglia feroce dell’ulivo al santo
Ramo insultava su l’Atlantic’onda,
E comprava delitti, e sol di tanto
Si dolea, che non fosse ancor feconda
Di tradimenti assai la disleale
40Quant’era di valor la sua rivale.
Questa di ferro e di sublime ardire,
Quella d’oro e di fraudi era possente.
Vide il grande Guerriero che ferire
Fea bisogno la cruda in orïente,
45E all’avara su l’Indo inaridire
Dell’auro corruttor la rea sorgente:
Chè su l’Indo inesausta ed infinita,
Non sul Tamigi, è di costei la vita.
Chiude l’alto pensier nel suo gran seno,
50Fa di forti un’eletta, e al mar s’affida.
Non sì tosto sul dorso hallo il Tirreno,
Che giunto al Nilo già la fama il grida.
Salvo uscito sul Libico terreno,
L’esercito si volse all’onda infida:
55Guatò l’immensa liquida pianura,
E ricordossi delle patrie mura.
Allor pronto le schiere a parlamento
Raccolse il Magno, e la serena vista
Girando intorno, con quel forte accento
60Ch’ogni volere al suo volere acquista:
Soldati, ei disse, a illustre esperimento,
A famosa io vi guido alta conquista,
Che costumi, virtù, commercio abbraccia,
E di quest’orbe cangerà la faccia.
65Voi ferirete a morte l’infedele
Anglia, cui tanto il nostro danno alletta.
Di qua si passa al cor della crudele,
Di qua vassi di Francia alla vendetta;
Qua vi chiamano i pianti e le querele
70D’un altro mondo che soccorso aspetta.
Al fulgor della Gallica bandiera
L’Indo da lungi alza la fronte, e spera.
Soldati, Europa vi contempla, e grande,
Grande è il destino che adempir vi resta
75Rischi, affanni, fatiche, e memorande
Pugne, la danza a cui vi meno è questa.
Ma parlo ai forti, a cui già le ghirlande
D’Arcoli e Dego coronár la testa;
Parlo al Franco guerrier, parlo a’ miei figli
80Nello stento esultanti e ne’ perigli.
Molto voi feste per la patria, molto
Per la gloria, per me. D’assai più ancora
Farete adesso; ch’io vi scorgo in volto
Già la fiamma d’onor che vi divora;
85Già il suon dell’armi, già le voci ascolto
Accusatrici d’ogni vil dimora.
Ma chi vil può mostrarsi in questo lido,
Ove ancor suona d’Alessandro il grido?
Quella che incontro torreggiar si mira,
90È città da quel Magno un dì fondata.
Colà dentro la grande Ombra sospira
Dal molle abitator dimenticata.
Or la sdegnosa raddolcendo l’ira,
Da que’ merli contenta ella ne guata,
95E impazïente a vendicar ci chiama
L’onor prisco già spento, e la sua fama.
Qui molte troveremo orme profonde
Dell’antico valor. Chiaro il Romano
Su questo suol fu spesso e su quest’onde,
100Nè il Franco andrà da quello oggi lontano.
L’emulaste finora; or se risponde
L’usato ardir, l’eguaglierete. Invano
Nol vi prometto. Ditelo, se mai
Promettendo vittoria, io v’ingannai.
105Fur ignei dardi al sen queste parole:
Armi ognun grida, all’armi ognun si sprona.
L’ali al piè, l’ali al cor primo esser vuole
A por ne’ rischi ognuno la persona.
Tragge lampi e terror dai ferri il Sole:
110L’allegro canto de’ guerrieri intuona
L’esercito volante, e si confonde
L’inno di Marte col fragor dell’onde.
Animoso di ratte orme l’arena
Venìa stampando innanzi a tutti il Duce.
115Non macchiava vapor l’aria serena;
Schietta e larga dal ciel piovea la luce.
Quando repente (a me medesmo appena
Il credo, e il vidi con quest’occhi), un truce
Prodigio apparve. Tu l’ascolta, e al vero
120Darà fede in segreto il tuo pensiero.
Mugge il mar senza vento, e sopra il mare
Da prestissimi vortici sospinta
Negra una nube di lontano appare
Di vivo sangue tempestata e tinta.
125Dal fosco grembo ad or ad or traspare
Una forma terribile indistinta.
Dritta ver noi, veloce, alta, tremenda
Venìa dall’Asia l’apparenza orrenda.
Dalla parte, onde il nembo a noi procede,
130Tutto è il ciel bujo; dalla nostra è un riso
Di purissima luce. Il guardo vede
Quinci un inferno, e quindi un paradiso.
Giunta là dove nel mar bagna il piede
Degli Arabi la torre, all’improvviso
135Tuona la nube, squarciasi, e fuor caccia
Immenso spettro con aperte braccia.
L’alto capo toccar gli astri parea,
Ma il piè sotterra s’inabissa. Stende
Su l’Affrica una man; l’altra spandea
140Su l’Asia, e parte ancor d’Europa offende.
Al fianco il brando, al fronte l’elmo avea,
E sotto l’elmo dell’altar le bende.
Scosse un gran libro, e il libro che s’aprìo,
Scritto in fronte mostrò: Voce di Dio.
145Schifosa, oscena, e per gran piaghe impura
Tutta appar la persona. Ha la sembianza
Carca di duol, smarrita e mal sicura,
Quasi senta mancar la sua possanza.
Mette, e par che riceva la paura
150Che altrui dar cerca. Cavernosa stanza
Di rance zanne la livida bocca
Pestifera mefite intorno scocca.
Girò su noi l’orribil guardo, e foco
Dagli occhi dardeggiò, ma smorto e tetro:
155Digrignò i denti spaventosi, e roco
Muggì, come spezzata onda, lo spetro;
E udir mi parve questo tuon: Sì poco
Temuta è dunque la mia possa? Addietro,
Addietro, gente dell’altrui bramosa,
160La più di tutte audace e perigliosa.
Se con la spada e co’ pensieri ardite
Tradurre al culto di ragion la terra
Che in mal punto attingeste, e alle meschite
Ed ai costumi ch’io fondai far guerra,
165E turbar l’ozio del mio regno, udite
Ciò che nel grembo all’avvenir si serra;
Franchi, udite e tremate: mille porte
Per tutti esterminarvi apre la morte.
Altri in dure battaglie, altri di stento
170E di squallido morbo, altri trafitto
Sotto il ferro cadrà del tradimento;
Faran bianco le vostre ossa l’Egitto.
Le vele che portár tanto ardimento,
Fulminate dall’Anglo in rio conflitto,
175D’Abukir lasceranno infame, e bruna
Di Franca strage la fatal laguna.
Mi fér l’orrende profezìe fremire.
Volsi gli occhi al gran Duce, e su la fiera
Fronte gli vidi folgorar l’ardire;
180Li rivolsi allo spettro, e più non v’era.
Ben di lampi e di fumo in Abukire
Una striscia mirai, che densa e nera
Tra le Galliche antenne in frettolose
Rote nel mar tuffossi, e si nascose.
185Scarco di quel funesto ingombro il cielo
Tornò sereno, e tornar lieti i petti.
D’un cor medesmo e d’un medesmo zelo
Moviam rapidi, queti e circospetti.
E già quanto due volte è un trar di telo,
190In ordinanza militar ristretti,
D’Alessandro siam sotto alla cittade
Scossa al baleno dell’ignote spade.
Qui l’ardua cominciò Niliaca impresa.
Chi fia che tutta a mano a man la dica?
195Il dì primiero combattuta e presa
Cadde d’Egitto la reina antica.
Munir le mura e il porto di difesa
Fu del secondo rapida fatica;
Norma si diede e provvidenza all’uopo
200De’ cittadini il terzo e l’altro dopo.
In Rosetta nel quinto, in Damanuro
Brillò nel sesto di nostr’arme il lampo.
L’altro fe’ Rammanìa, l’altro fe’ scuro
D’Araba strage di Cebrissa il campo.
205De’ re alle tombe ne’ seguenti un duro
Conflitto arse: vincemmo; e senza inciampo
Del fortunato BONAPARTE al piede
L’Egizie sorti il dì ventesmo vede.
Dietro il volar di sue vittorie è lento
210Della parola e del pensiero il corso.
Ancor Cinzia col bel carro d’argento
Tre giri intégri non avea trascorso,
Che sottomesso ogni nemico o spento,
Menfi sentìa del Franco impero il morso
215Dal Pelusiaco seno alle rimote
Spiagge, ove dritta il piè l’ombra percuote.
E sagge furo e salutari e dive
Del vincitor le leggi, e dolce il freno.
Sovente conquistár l’Egizie rive
220L’Arabo, il Perso, il Turco, il Saraceno;
Ma fu crudo il conquisto, e ancor lo scrive
Colma d’orror la storia, che sereno
Farà il sembiante, e allegrerà gl’inchiostri
L’opre narrando del Cirneo Sesostri.
225Oltre Gaza respinti, oltre Siene
Del Canopo i tiranni, a far beati
Gli abitatori, a sciorne le catene
I pensier tutti dell’Eroe fur dati.
I santi dritti, ond’esce il comun bene,
230I costumi, le curie, i magistrati
Restituisce; e pien di maraviglia
L’uomo dell’uom la dignità ripiglia.
Con severa bilancia ripartito
Regola il carco che la patria impone;
235Frange i ceppi al commercio, che fiorito
L’arti risveglia, a cui la pace è sprone.
Per le vie, per le case al dolce invito
L’Industria ferve: ogni squallor depone
Il già cangiato Egitto, e sente a prova
240La presenza del Dio che lo rinnova.
Vita di tutto ei tutto osserva, e saggio
Dispon dell’opra il mezzo e la maniera.
Tale il re delle pecchie, allor che il raggio
Del monton sveglia l’alma primavera,
245A riparar del rio verno l’oltraggio
Desta al lavor del miele e della cera
L’industri ancelle, e, osservator severo
Le fatiche ne scorre e il magistero.
Altre intendono ai favi, altre la manna
250Van de’ fiori a predar cupide e snelle.
Qual le compagne a scaricar s’affanna,
Qual del dolce licore empie le celle.
Queste, tratti i pungigli, la tiranna
Torma de’ fuchi caccian lungi; e quelle
255Castigano le pigre. Un odor n’esce
Che ti ristaura, e il lavorìo più cresce.
Con infinita provvidenza il senno
De’ suoi sofi comparte il sommo Duce.
Altri l’ombra del punto fissar denno,
260Che rompe all’arco meridian la luce.
Altri i portenti investigar, che fenno
Chiaro l’Egitto, ovunque ne traluce
L’orma ancor maestosa, alla cui vista
Il pensiero stupisce, e il cor s’attrista.
265Quei dell’alcali indaga e de’ metalli
I segreti covili: arcano obbietto
Di maraviglia per deserte valli
Questi raccoglie il peregrino insetto.
Qual pe’ freschi del Nilo ampj cristalli
270Del muto abitator turba il ricetto
Itologo bramoso, e qual procura
Nuove piante all’amor della natura.
Ai lenti ceppi di tenace arena
Altri toglie i canali; e quando i colti
275Chieggon del Nilo la feconda piena
Corregge i flutti vagabondi e sciolti.
Altri all’aura le late ali disfrena
Di ventoso molino; altri per molti
Gorghi in severo idraulico travaglio
280Getta nell’onde il tentator scandaglio.
Sagaci intorno al chimico fornello
Sudano intanto d’Esculapio i figli,
Che de’ morbi a frenar l’atro flagello
D’erbe e nitri facean dotti perigli.
285La schiava al fato stirpe d’Ismaello
L’arte, che a morte sa troncar gli artigli,
Stupita impara, e vede alfin che, dove
L’uom si guarda, il destin l’urna non move.
Così l’alme scïenze ricondotte
290Alla terra natìa per mano amica
Dopo l’orror di lunga iniqua notte
Salutár liete la lor cuna antica.
E di saper più ricche ed incorrotte,
E con fronte più casta e più pudica,
295Il delitto espiár d’un esecrando
Timor del Vero, che le spinse in bando.
Bello il vederle ai porti, alle bastite
Girar tra spade e bronzi, e con le pure
Man le seste, gli squadri, e le matite
300Oprar tranquille in mezzo alle paure.
Bello il veder le vie coperte e trite
Di guerrieri e di sofi: e le secure
Canopie genti intanto dappertutto
Raccor dell’armi e della pace il frutto.
305Securo punge il suo cammel, nè teme
Dall’Arabo ladrone onta e rapina
Il vïator: libera il dorso preme
L’Indica merce all’Eritrea marina.
Di BONAPARTE è l’occhio ovunque è speme
310Dell’utile, o del meglio: in sua divina
Mente ei lo volge ad ogn’istante, e il piede
Move rapido e franco ove lo vede.
Tutto discorre il Delta, ed ogni passo
È un beneficio. Intento a ciò che giova,
315Ode, osserva, provvede, nè mai lasso
O nascendo o morendo il Sol lo trova.
E se talvolta di vigor già casso,
Lo spirto no, ma chiede il corpo nuova
Di forze emenda, di veder ti pensa
320Giove in riposo all’Etïopia mensa.
Chè pari a Giove ei pur talor discende
Alla dolcezza d’ospital convito.
N’esulta in cor l’Egizïano, e pende
Da quelle labbra di stupor rapito.
325Se in lui veder nelle battaglie orrende
Credette il divo d’Iside marito,
Or n’udendo il sublime almo sermone,
Pittagora ascoltar pargli e Platone.
De’ suoi gravi di senno alti pensieri
330Fa tesoro la fama; e sì voi pure,
Moli eterne di Cëope e di Meri,
Li parlerete coll’età future.
Il maggior de’ Potenti e de’ guerrieri
Qui, direte, s’assise, e le mature
335Sentenze svolse del profondo petto,
E fu degno di cedro ogni suo detto.
Gli occhi alzando di Cëope al sublime
Monumento, dell’arte immenso affanno,
Contra cui le già stanche e mute lime
340Del tempo vorator dente non hanno,
Venti secoli e venti dalle cime
Di quella mole a contemplar ci stanno,
Sclamò l’Eroe. L’udì la fama, e disse:
Cadrà quel masso, non quel detto. E scrisse.
345Giunto là, dove Neco il gran tragitto
Fece alle Rubre nelle Libich’onde,
Con lieto grido salutár l’Invitto,
Sceso a bearle, quelle chiare sponde.
Ma sdegnoso dell’istmo il derelitto
350Mar vermiglio agitò le rubiconde
Spume, e cercò, sentendo il fato amico,
Pien di nuova speranza il varco antico.
Tutto guardando, e tutto in sè romito
Il Magnanimo intanto esaminava
355L’acque, le prode, il ben acconcio sito
Che le porte al commercio Indo dischiava.
Del figliuol di Psammitico l’ardito
Genio il seguìa d’appresso, e gli mostrava
L’orme ancor vaste del canal che spinse
360L’orto all’occaso, e in un due Mondi avvinse.
E ben la fiamma al cor gli s’accendea
Dell’emula virtù, ben nell’audace
Pensier gli lampeggiò la grande idea,
Che forse ancora nell’Eroe non tace.
365Ma diverso lassù fato volgea.
Già nuove palme gli prepara il Trace
Stretto coll’Anglo, a cui la Franca sorte
Arbitra fatta dell’Egitto è morte.
Sul mar di Siria e in Acri, ove Fortuna
370Sfida a conflitto la virtù Francese,
Ondeggia al vento con la Turca luna,
Ahi vile accordo! il leopardo Inglese.
Di Joppe e Gaza la campagna è bruna
Di barbari già pronti a inique offese.
375Ma tante torme e tante armi son polve
Dinanzi a quel valor che tutto solve.
Vide il costoro orribile macello
Il monte che l’Ebreo sacra ad Elía.
L’umil terra lo vide, u’ Gabriello,
380Siccome è scritto, salutò Maria.
E tu il vedesti, tu che d’Israello
Apristi all’arca trïonfal la via,
Retrogrado Giordano, e la seconda
Fuga tentasti con la trepid’onda.
385E fora il muro al suol caduto alfine
Che in Acri il sommo Vincitor rattenne;
E avrìa rimesso la Fortuna il crine
Alla mano che stretto ognora il tenne.
Ma il ciel che a più mirande e peregrine
390Prove il chiamava, all’alto ardir le penne
Precise, il ciel che a più levarlo inteso
Due gran fati al suo brando avea sospeso.
D’Asia il fato e d’Europa era pendente
Da quella spada, e trepidava il Mondo.
395Librò, credo, amendue l’Onnipossente,
E ponderoso in giù scese il secondo.
Sparve l’altro più lieve, e nella mente
Si rinchiuse di Dio, che nel profondo
Del suo consiglio or forse il fa maturo,
400Nè par che molto restar debba oscuro.
S’offerse agli occhi allor di BONAPARTE
Grande un prodigio, e qual vulgossi, occulto
Nol vi terrò, ch’egli è d’eterne carte
Degno, nè debbe rimaner sepulto.
405Già d’Acri a terra rovinose e sparte
Cadean le mura; del superbo insulto
Già il fio pagava l’Ottoman, cui resta
Solo un riparo, e mal potea far testa.
Tacita uscìa dalle cimmerie grotte
410La nemica del dì; ma non del Duce
Tacea la cura, che per l’alta notte
In mille parti il suo pensier traduce.
Ed ecco balenando aprir le rotte
Ombre a’ suoi sguardi un’improvvisa luce,
415Ecco stargli davanti eccelsa e ritta
L’augusta immago della patria afflitta.
Avea lacero il crin, smorto il bel viso,
E su la guancia lagrime e squallore.
Guatò muta il Guerriero, e il guardo fiso
420Parea sul volto gli cercasse il core.
Indi un sospir dal petto imo diviso,
Mi conosci tu? disse: al suo dolore
Non ravvisi la madre? e il suo periglio
Dunque ancora non parla al cor del figlio?
425Tu fra barbare genti, inutil vanto,
Côgli d’Asia gli allori; e il fero Scita
Giunto coll’Unno al crin mi sfronda intanto
Quei che lasciasti nella tua partita.
Nè questa è tutta la cagion del pianto,
430Lassa! nè sola è questa la ferita
Che mi dà morte. I figli, i figli, ahi stolti!
Spengon la madre in ree discordie avvolti.
Grande, felice, e di valor precinta
Feci io tutti tremar, mentre fui teco.
435Or giaccio oppressa, disprezzata e vinta;
Chè BONAPARTE mio non è più meco.
Il tuo lasciarmi, il tuo partir m’ha spinta,
M’ha, misera! sommersa in questo cieco
Di mali abisso, e dell’uscirne è vano
440Ogni sforzo, se lungi è la tua mano.
Torna, deh torna a me, figlio, mia speme,
Mia speranza, mio tutto. A che ti stai
Cercando pur su queste rive estreme
Gloria minor del tuo coraggio? e il sai.
445Salvar la patria che t’invoca e geme,
Pensaci, è gloria più solenne assai.
Deh! non patir ch’empio ladron mi tolga
La vita, e il pugno in queste chiome avvolga.
Non patir che la bella Itala figlia
450Usurpator Sarmatico t’involi.
Piange in barbari ceppi, e si scapiglia
L’infelice, e non è chi la consoli.
A te le sue catene, a te le ciglia
Alza, pregando che a scamparla voli.
455Il promettesti, lo giurasti, e furo
Sempre d’un Dio la tua promessa e il giuro.
Vieni dunque, e ne salva. Delle genti
In te gli occhi son fissi. Il mormorìo
Del mar che freme è carco de’ lamenti
460Che ti manda l’Europa; odi per dio
Se frapponi al soccorso altri momenti,
Tu più patria non hai. Disse, e sparìo
Come baleno, e per la via che prese,
Di gemiti suonar l’aria s’intese.
Fine del Canto Quinto.