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Da: oltre che moto da luogo, significa attitudine, fine ad alcuna cosa, non dipendenza, e perciò i grammatici riprendono le locuzioni comuni festa da ballo, biglietto da visita, messa da requiem, invece di festa di ballo, biglietto di... etc.

Dactilografia: (dal gr. dáctilon = dito e grafia = scrittura) neologismo invalso in questi ultimi tempi per indicare la scrittura a macchina, molto diifusa oggidì negli uffici e per comporre e per trarre copia da mss. Le prime macchine furono, se non erro, introdotte fra noi dopo il 1883.

Dada: è voce francese infantile come dice il suono istesso delle due sillabe uguali, ed esprime il primo saggio del carminare [to daddle a child è pur espressione inglese], poi il cavalluccio di legno. La parola dada ricorre da noi nel senso traslato francese di idea prediletta, desiderio di persona o cosa a cui il pensiero ritorna. Dàda è pur voce volgare nostra con cui i bimbi chiamano la donna che li mena attorno.

Dado: dicono i meccanici nel senso di testa mobile madrevitata, di forma prismatica qualsiasi.

Dai: e così pure fai, stai scrivono e dicono all’imperativo, seconda persona, alcuni che vogliono seguir da vicino la pronuncia toscana. Il Rigutini, toscano e accademico, e pur uomo pieno di gran rettitudine letteraria, annota «è miglioro ortografia scrivere da’ che da o dai alla fiorentina».

Daltonismo: malattia della vista por la quale non si distinguono bene alcuni colori, specialmente il rosso ed il verde. Questa informità ebbe nome dal fisico inglese G. Dalton (1766-1844) che la descrisse su di sè stesso. È chiamata anche acromatopsia. Dicesi anche daltonismo in senso morale.

D’altronde: fr. d’ailleurs, per per altro, del resto, d’altra parte, o, come preferisce il popolo, poi. In it. d’altronde sarebbe un avverbio di luogo e indicherebbe da altra parte; ma è oramai fuori d’uso. Ora, se sta per morire in senso proprio, perchè mantenerlo in vita in senso metaforico non suo? Così i puristi. Se non che il Rigutini giustamente osserva: «È poi veramente errore? Se io posso dire in senso avversativo d’altra parte; altronde e d’altronde che è il suo equivalente, perchè non lo potrò usare con lo stesso significato?». Questo — aggiungo io — è il problema che si presenta in molti casi di veri o supposti francesismi. La risposta non è dubbia.

Dama dei biscottino: locuzione lombarda di molta e caustica efficacia, ma che tendo ad andare in disuso (V. Porta): indica propriamente la nobildonna che dovendo volendo adempiere ai precetti di Cristo, crede di soddisfarli portando il biscottino al letto dogli infermi dell’ospitale. Troppo lieve fatica per conquistare il cielo! Usasi tale locuzione sprogiativamente per indicare lo signore dell’aristocrazia nera: le dame ascritte a società cattoliche.

Dancing on the barn: o, più brevemente, dancing, specie di ballo che dovette [p. 154 modifica]essere di origine popolare, come dice il nome inglese, e poi elevato a dignità di ballo signorile: è un ballo figurato di quattro passi di polacca (polka) per mano, quattro di valzer, quindi i danzatori si abbracciano e riprendono.

Dandy: parola inglese, passata in Francia, press’a poco come fashionable (vedi questa voce) e si dice di persona che, non solo ostenta la religione dell’eleganza, ma ne crea talvolta le stranezze e la moda: oggi in disuso. V. Lion.

Danseuse: a questa parola francese ballerina, danzatrice non bene corrispondono, almeno nell’uso, per la stessa ragione che chanteuse non è proprio cantante. | Danseuse dicesi con special riguardo di colei che eseguisce strane e lascive danze, come il can-can, la danza serpentina, il ballo del ventre, etc.

Dante (pelle di): spesso si ode dalla nostra gente ignorante domandare de’ guanti di pelle di dante. È la versione fonica di peau de daim, di damma o daino con cui si fabbricano guanti, gambali, calzoni.

Danzante: come part. aggiunto di festa, veglia, è la versione del francese, matinée, soirée dansante, modo traslato conforme all’indole della lingua francese, difforme al modo italiano di concepire. Come locuzione fatta, è senza dubbio felice.

Da pigliarsi con le molle: dicesi di grossi errori, e anche di persone spregevoli che non si possono accostare nè toccare.

Dar del filo da torcere: locuzione familiare; vale: dare altrui materia di lavoro paziente, assiduo, irto di spine per raggiungere un intento, superare una difficoltà. Spesso la locuzione contiene senso ostile. Es. «Ricordati che ti darò del filo da torcere!».

Dare evasione: per rispondere, dare corso, è termine non bello degli uffici. V. Evasione.

Dare il la: nel senso traslato, detto di persona che dà l’intonazione, il carattere, la tinta, l’espressione cui gli altri s’accordano, è modo dell’uso. Nel linguaggio musicale dare il la significa dare l’accordo. Il senso traslato ci provenne dal francese donner le la?

Dar la fuga: locuzione dialettale romagnola che vuol dire schernire, beffare, quasi da costringere alla fuga.

Dar lo sbruffo: modo popolare toscano, comune ad altre regioni: significa: dar danaro o roba di nascosto per ottenere favore e privilegio contro giustizia.

D’Artagnan: noto personaggio del famoso e popolare romanzo di A. Dumas, I tre moschettieri: audace, spavaldo, cavalleresco, generoso, rotto ad ogni impresa, tipo guascone e francese: divenne presso che proverbiale e antonomastico.

Darwinismo: la teoria del grande naturalista e filosofo inglese Carlo Darwin (1809-1882), secondo la quale il mondo dei viventi quale oggi è, proviene da lenta e graduale trasformazione e perfezione mercè la selezione e la lotta per l’esistenza: due vocaboli usati ed abusati. V. Della origine delle specie per naturale selezione, 1859, opera di lui capitale.

Da Scilla a Cariddi: o latinamente: Incidit in Scyllam, cupiens vitare Charybdim, verso di Gualtier de Lille, Alexandreis, V. 301, poeta del sec. XIV, rinnovato da un adagio greco che leggesi in Apostolio, XVI, 49 (Parœmiogr. Graeci, ed. Leutsch. II, 672). Cfr. altresì Omero, Odissea, XII. Dicesi di chi volendo evitare un pericolo, cade in un altro. Cariddi era un vortice nello stretto di Messina, Scilla una rupe di fronte a Cariddi. Ma il tempo placa e diminuisce vortici e scogli.

Das Ewig-Weibliche: V. Eterno femminino.

Datare da: per cominciare da ricorda ai puristi il verbo francese dater, commencer à compter d’une certaine epoque.

Dataria: ufficio prelatizio in Roma pel conferimento di grazie e dispense: così è detto dalla data delle suppliche segnate.

Dato: come sostantivo vale nozione, fatto supposto o ammesso nella ricerca di una verità ed è voce usata nel linguaggio delle scienze. Indi significò nell’uso comune ciò che è offerto dai fatti, fatto vero e accertato da cui si deduce e si argomenta. Spiace ai puristi.

Daumont: vetture alla Daumont sono chiamati certi traini signorili a quattro ruote, pesanti, scoperti, in cui i signori [p. 155 modifica]siedono su l’alto di superbi sedili. Il nome preciso è alla D’Aumont, da Luigi, duca d’Aumont, gran signore di Francia e, prima della rivoluzione, arbitro della moda e delle eleganze. Egli era celebre per lo sue scuderie e diè voga a tale forma di cocchi.

Davus sum, non Oedipus: io sono Davo (un servo), non Edipo (il sapiente che spiegò l’enigma della Sfinge). Terenzio, Andria, atto I, 3, 194.

Dazio: per porta, barriera è locuzione milanese molto comune per indicare la porta della città ove solevano essere i doganieri. L’uso rimane anche dopo che il dazio alle porte è stato tolto. Idiotismo destinato a scomparire.

Dead-heat (ded-hit): parola inglese del linguaggio delle corse e significa prova nulla per l’arrivo simultaneo di due cavalli, ciclisti e simili istrumenti di rapidità. Come tutte le voci dello sport essa è pure nel gergo francese.

De auditu: lat. per sentita dire.

Débâcle: nel primo senso disgelo, innondazione e propriamente significa lo spezzarsi della superficie compatta e congelata di un fiume, i cui lastroni precipitano per la corrente con pericolo de’ ponti e de’ battelli. Es. la débâcle de la Loire. Passò poi nel senso politico e sociale per indicare la mutata fortuna, lo scomporsi e il precipitare irresistibile di una istituzione, di una forma di governo, etc. In tale senso la voce francese è usata da noi. Vi risponderebbero le parole sfacelo, sbaraglio.

Débauché: parola francese che indica l’eccesso del bere e del mangiare e poi sregolatezza de’ costumi. Derivato débauché. Per l’etimologia V. lo Scheler. Il Sig. Petrocchi nel suo dizionario universale fa posto all’aggettivo debosciato. Oh, perchè allora non metto anche deboscia? Questo «sconcissimo gallicismo» (Rigutini) mi pare alquanto fuor dell’uso, almeno parmi fra i gallicismi uno de’ più evitati ed evitabili, forse in grazia del pessimo suono.

Debito publioo: è il complesso di tutte le obbligazioni di denaro dello Stato verso privati. Con legge 10 luglio 1861 venne istituito il Gran libro del debito del regno d’Italia.

Debordare: per venir fuori, sporger fuori dal suo posto o orbita, è il fr. déborder. V. Bordo.

Debosciato e Deboscia: V. Débauche.

Debutto e debuttare: i dizionari di solito non registrano queste due parole che sono di valore quasi tecnico nel linguaggio teatrale. «Gallicismi sguaiati» (début e débuter) li chiama il Fanfani e propone esordiente ed esordire, principiante e principiare, ma chi usa queste parole in tale senso? Il Rigutini annota che «anche la gente di teatro e i gazzettieri cominciano a vergognarsene»; ma non mi pare davvero!

Decadente: neol. non registrato e tolto dal neologismo francese décadent, per indicare quella scuola poetica la quale susseguendo ad un’età gloriosa e piena, segnò un periodo di decadenza come nerbo di pensiero, compensata però da alcuna innovazione nella forma e nei suoni. Furono detti codesti poeti anche Parnassiani dal Parnasse contemporain, edito dal Lemerre (1866, in-8°) con la collaborazione della più parte di cotesti poeti, fra i quali Arsène Houssaye, Th. Gautier, Carlo Baudelaire, F. Coppée, Sully Prudhomme, etc. Codesta scuola fu espressione di forze giovani e ribelli che fusero, per così dire, nella nuova arte l’elemento romantico della passione e la raffinatezza classica della cesellatura e del suono. In questo amore della raffinatezza sta la ragione del nome. E sta altresì nel fatto che, come esiste l’alba, il meriggio e il tramonto, così esistono varie tendenze del pensiero artistico e letterario e ciascuna, secondo la sua ragione, può avere particolari bellezze e fascini. Carlo Baudelaire, paragonando l’accademismo classico ad una «matrona rustica, ripugnante di salute e di virtù, senza contegno e senza espressione», dice che la letteratura di Decadenza è come «una di quelle imperiose bellezze che dominano la memoria, che congiungono al profondo fascino naturale tutta l’eloquenza del vestire: signora de’ suoi movimenti, cosciente e di sè stessa regina; voce armoniosa come ben temprato [p. 156 modifica]strumento; sguardi densi di pensieri che hanno virtù di far intendere quel solo che vogliono». Il paragone elegante è anche vero. Se non che la dama elegante a lungo andare perdette son charme profond et original e tutta l’éloquence restò limitata alla toilette. In altri termini l’eccesso dell’estetica diventò manifesto vizio; l’armonia de’ suoni, bamboleggiamento. Tale scuola si ripercosse dovunque con qualche lode come ogni cosa che vien di Parigi e specialmente influì sull’arte poetica italiana della fino del secolo XIX con un numero inverosimile di poeti imitatori e stillanti melassa e spargenti luccicori di lumaca da per tutto. Fra questa bassa folla di decadenti e di esteti in mala copia, mascheranti co’ suoni il povero pensiero, titano solitario, G. Carducci sta custode del genio italico. | Decadente vale anche, nel gergo elegante e giornalistico, raffinato.

Decampare: neologismo e metafora nel tempo stesso assai comune. Décamper in francese = levare il campo, sloggiare. Es. Armée obligée de décamper, e familiarmente = s’enfuir. Ma non ha, che io sappia, il senso metaforico in cui noi l’usiamo di recedere dalle proprie opinioni.

Décavé: voce usata nel linguaggio del giuoco. Cave, lat. cavus, vuol dire in francese, oltre che cantina, anche la posta del giuoco, cioè quanto ciascun giocatore si propone di arrischiare. Décavé è colui che ha perduto la sua cave. Quindi in francese le frasi: décaver un joueur, être décavé, perdre toute sa cave. Sbancare e sbancato vi rispondono, ma solo in parte giacchè si riferiscono a chi tiene banco: e anche qui il francese ha la fortuna della unica parola nota ed efficace. Trovo anche il neol. astratto décavage.

Deceduto: per morto, fr. décédé.

Decesso: per morte ricorda il francese décès, dal verbo décéder (latino decèdere = andarsene) = mourir de mort naturelle. Voce dell’uso, specie negli uffici. «Latinismo inutile» lo dice il Rigutini, cioè latinismo, gallicismo e voce burocratica insieme, il che è di non poche parole.

Decidere e decisione: V. Deciso.

Decisamente: nel senso di certamente con inclusa l’idea di risolutezza e conclusione, risponde, secondo i puristi, al décidément dei francesi.

Deciso: per risoluto, fermo, pronto, non può usarsi secondo il Tommaseo, il Fanfani ed il Rigutini giacchè la cosa non la persona è decisa. Vero è che noi usiamo deciso alla maniera francese: décidé = ferme, invariable, résolu. Anche decidersi per risolversi, determinarsi, spiace ai puristi e por la ragione etimologica (de-cidere = tagliare, onde ben detto decidere una lite, quasi tagliarla) e perché conforme al francese décider: lo stesso dicasi di decisione per risoluzione. Voci d’uso presso che popolari.

Declinare: letteralmente vuol dire volgere in basso ed è verbo usato dai francesi in più ampio senso che non in italiano. In francese si dice appunto décliner un honneur, décliner son nom. Tanto l’una come l’altra locuzione sono in molto uso presso di noi e sono da’ puristi riprese. Avvertasi tuttavia che declinare ebbe nell’uso antico valore di scansare onde la locuzione declinare un onore, un ufficio potrebbe, volendo, trovar buona difesa. Ma il declinare (dire) il nome è di quei gallicismi che non vanno più. Credo lo avvertano anche nelle scuole.

Décolletage: astratto di décolleté. Vedi questa parola.

Décolleté: abito décolleté, una signora tutta décolletée, etc., è voce prevalente alla nostra che vi corrisponde, lo scollato. La quale vedasi come ben suona in questo classico esempio: «L’abito di queste donne era di raso, a superbi e lascivi ricami d’oro, con ornamento, intorno al loro scollato, d’oro e ricco di gioie». E così dicesi anche scollatura: «Mostrava il candido petto, del quale, mercè del vestimento cortese nella sua scollatura, gran parte se ne apriva a’ riguardanti». Ma ormai la voce francese è di assoluto dominio e le parole italiane non trovano accoglienza che negli scritti letterari.

Decorativo: dicesi talora con intenzione arguta e satirica di persona che, pur valendo poco, ha molta prestanza, dignità e parvenza così che, per il fatto che l’essere è vinto dal parere, dà decoro all’ufficio alla parte che deve sostenere. [p. 157 modifica]

Decorazione: (lat. decus = decoro) per ordine cavalleresco ricorda ai puristi l’uso francese: La décoration de la Legion d’honneur, Chamarré de decoration, etc. È il solito, frequentissimo caso di quei gallicismi che si possono chiamare tali solo perchè l’uso o il costrutto è tolto dal francese, non perchè siano difformi dall’italiano o mal convengano alle leggi etimologiche.

Decozione: dal lat. de e coquere = cuocere: in farmaceutica significa il far bollire un liquido contenente sostanze medicamentose, così da estrarne i principi attivi.

Decubito: dal lat. de e cubare = giacere. Dicesi in termino medico l’attitudine del corpo steso sul letto; o sul dorso, o sul ventre, o sui fianchi. Col nomo di decubito di decubitus acutus e chronicus o di piaghe da decubito vengono puro designate quelle escare e successive piaghe, che si formano nelle regioni del corpo, sottoposte per la prolungata posizione orizzontale, a prolungata pressione.

De cuius: letteralmente del quale: termine legale, tolto dal Diritto romano, per indicare una persona da cui proviene una eredità, quindi Il de cuius vale il testatore. De cuius haereditate agitur.

Dedica: è ritenuta dai puristi forma mono buona di dedicatòria, per indicare il breve scritto con cui si rivolge o dedica un libro ad alcuno. Il vero è che dedicatòria è molto fuori dell’uso.

Dedicarsi: è detto benissimo nel senso di attendere ad un culto, ad una religione, ed anche nel senso di farsi ligio, devoto ad alcuno. Dedicarsi deriva dal latino de-dicare = consacrarsi. Molti però adoperano dedicarsi in vece del semplice darsi, attendere. Es. dedicarsi alla medicina, agli impieghi, e questo modo ha sapore pei puristi di esagerazione e ricorda l’uso del verbo dédier de’ francesi. In tale ultimo senso è accolto dalla Crusca su la manifesta autorità dell’uso.

Defatigare: latinismo che nel linguaggio de’ legali dicesi per stancare, protrarre a lungo. Es. defatigare una causa.

Defatigatorio: voce del gergo forense, da defatigare. Es. eccezione, incidente, procedura defatigatoria.

Defensionale: termine legale invece che a difesa. Es. prove defensionali. Neologismo tolto dalla voce defensione, latino defensionem.

Defervescenza: da de privativo e fervere ribollire: chiamano i medici lo stato e il periodo in cui la temperatura si abbassa verso il normale, nelle malattie di carattere febbrile.

Defezionare: V. defezione. Tale verbo non è dedotto dal francese, ma formato da noi per analogia.

Defezione: è parola di pura origine latina, defectionem. Ma è certo che l’uso che noi facciamo di defezione e del verbo defezionare per dire abbandonare il partito a cui si appartiene, cioè per diserzione e disertare, ricorda la parola francese: défection = action d’abandonner le parti auquel on est lié: di fatto noi usiamo la parola defezione specialmente in senso politico e riserbiamo diserzione al senso militare. V. ciò che è detto alla parola decorazione. Cfr. del resto il modo latino deficere ab aliquo = abbandonare il partito di alcuno.

Deficiente: cioè manchevole, lat. deficiens: eufemismo che talora, specie parlando di fanciulli, equivale a frenastenico. V. questa voce. | Deficiente è pur voce del linguaggio scolastico e significa quell’alunno che non ha la preparazione e la maturità necessaria alla promozione.

Deficit: persona 3" del pres. ind. del verbo latino deficere, dunque manca. Così, parlando specialmente dell’Erario, si intende la differenza che intercede tra le entrate e le spese, quando queste superano quelle. I puristi suggeriscono manco.

Défilé: termine militare francese più di frequento usato che non la parola sfilata. Indica il passare che nelle riviste le varie milizie fanno davanti al generale od al capo dolio Stato.

Defunto: nella locuzione rendersi defunto = morire, è giustamente ripreso come modo improprio e ridicolo giacchè il rendersi defunto suppone volontà e intenzione della cosa, il che solitamente non avviene.

Degenerato: part. agg. del verbo degenerare = perdere le qualità buone, [p. 158 modifica]proprie del genere. Di questa voce oggi molto si usa ed abusa per indicare coloro i quali per abitudini, gusti, qualità morali e fisiche, ereditarie o acquisite, si allontanano dallo stato normale fisiologico, sano, e tendono a forme squilibrate, pervertite e anormali del vivere individuale e sociale.

Degenerazione: nel linguaggio medico significa l’alterazione organica di un tessuto di un organo, la quale ha per effetto di impedire la normale funzione del detto organo. In senso antropologico indica quel complesso di caratteri che fanno deviare l’individuo dal suo tipo normale. Usasi spesso, come la voce precedente, in senso morale; e M. Nordau con tale parola intitolò un suo acuto e paradossale libro ove sono passate in rassegna le anomalie e i pervertimenti dell’Arte e degli scrittori.

Degente: (dal latino dègere da de e ago = passare il suo tempo, vivere) è voce usata dai medici e negli uffici per indicare specialmente coloro che sono negli ospedali.

Degradante: V. degradazione e V. anche il participio avviliente.

Degradare: V. Degradazione.

Degradazione: curioso vocabolo, speciale del linguaggio della caserma e dicesi di sfregio o rottura o guasto fatto ad un oggetto. Es. panca degradata per dire panca rotta. Avendo un ufficiale rotto un vetro della caserma, ebbe il conto della spesa che diceva: «Per degradazione ai vetri centesimi 30». La provenienza di questo vocabolo deve certamente essere dal verbo francese dégrader = se détériorer., endommager. Es. dégrader une maison, dégrader un mur. A questo proposito notiamo come le voci degradare, degradante, degradato nel senso di avvilire, rendere abbietto siano riprovate dai puristi per la loro provenienza francese, benchè la nuova Crusca le registri per autorità dell’uso. Uso però della lingua corrente, non del popolo: questo, per es., dirà: «io non mi sporco a fare la tal cosa» e non dirà: «non mi degrado». Nel senso di diminuire di grado, di intensità, detto delle tinte, sarebbe preferibile scrivere digradare, digradazione.

Dégringolade: parola frequente: deriva dal verbo dégringoler che nel senso proprio vuol dire scendere a precipizio e contro voglia a rompicollo. Nel senso figurato è frequente presso di noi.

Degustare: V. Degustazione.

Degustazione e così il verbo degustare non sono, come scrivo il Fanfani, «due latinismi sguaiati da lasciarsi ai pedanti fradici» ma bensì due francesismi dégustation e déguster = gustare d’un liquore per conoscerne le qualità, il sapore. Certo le voci francesi provengono alla lor volta dal latino degustare e degustatio (gustus), ma noi le togliemmo direttamente dal francese. Le nostre buone parole sono assaggio, assaggiare.

Dehors: voce francese, contrario di dedans: fuori, dentro. In un bellissimo manifesto italiano, si intende! di non so quale stabilimento di bagni o di acque termali, trovo magnificati ai forestieri i «dehors ombrosi».

Déjeuner: così è chiamata sovente la colazione del mattino che toglie dal digiuno; déjeuner, dal latino de ieiunare cioè sdigiunare. Vi corrisponde, oltre a colazione, la nostra buona e bella parola asciolvere che per etimologia è pari a déjeuner, cioè solvere jejunium, rompere il digiuno, ma va cadendo o almeno ben pochi la adoperano nella lingua dell’uso. Uno studio su le belle parole italiane che son moriture riuscirebbe piacevolissimo.

De l’audace, encore de l’audace, toujours de l’audace (et la France est sauvée): motto celebre di Danton, ministro di Giustizia, all’Assemblea Nazionale, il 2 settembre 1792. Ricorda la risposta del maresciallo G. Trivulzio (1448-1518) a Luigi XII che lo richiedeva quali elementi fossero necessari per una sicura vittoria: Trois choses sont absolument nécessaires: premièrement de l’argent, secondement de l’argent, troisiérement de l’argent.

Delenda Carthago: V. Ceterum censeo Carthaginem esse delendam.

Delimitazione: per segnare i confini, ricorda ai puristi la voce francese délimitation. Se gallicismo lo si vuol ritenere, parmi da ritenere altresì fra i gallicismi necessari. [p. 159 modifica]

Deliquescenza: (dal latino deliquesco = mi sciolgo) lo sciogliersi di certi sali per l’assorbire che essi fanno dell’acqua sotto forma naturale di vapore. Fr. déliquescence.

Delirio di persecuzione: V. Persecuzione.

Delirium tremens: delirio tremulo ovvero delirio de’ beoni, delirium tremens potatorum. Esso è caratterizzato da temporaneo perturbamento della ragione, da agitazione e tremolio delle membra e degli organi della favella. Può assumere forma maniaca e melanconica. Anche in francese dicesi delirium tremens.

Delucidazione: questa parola non elegante è usata spesso nelle scuole, per spiegazione, schiarimento, chiosa.

Demanio: dal fr. domaine = dominio, basso lat. domanium: il complesso dei beni stabili dello Stato, posseduto come patrimonio proprio; dicesi anche demanio per indicare l’autorità e l’amministrazione a cui sono detti beni affidati.

Demarcare: (fr. démarquer). Verbo usato per limitare, separare. Così demarcazione (fr. démarcation) per Limitazione, confine. Es. Linea di demarcazione. Il Rigutini li chiama «sconci gallicismi». Certo sono parole superflue e di suono non bello. V. demarcazione.

Demarcazione: fr. (démarcation). In italiano è parola registrata soltanto dal Tramater. Deriva dal verbo marcare che proviene dalla voce tedesca mark = confine, onde la Marca = regione. Marchese, signore della Marca. | Marcare è buon verbo nel senso di apporre il marchio (mark., fr. marque, spag. marca, ingl. mark)


               Onde al segno ch’io marco
               va stridendo lo strale
               da la cocca fatale.
                                   Parini, L’Educazione.

e di confinare, che oggi più non usa. Nel senso di notare, segnare è riprovato: così dicasi di rimarcare, rimarchevole per notevole, insigne, etc. Fr. remarquable.

Démarche: voce francese che significa propriamente modo di camminare, e nel senso morale condotta, contegno, pratica.

Démarrage: termino marinaresco francese, da de e amarrer (cfr. il lat. marra): l’atto dello sciogliere gli ormeggi delle navi: questa parola è usata con valore tecnico dai meccanici in vece di avviamento, spunto, mossa dei veicoli, macchine, automobili, etc. (In inglese Starting, da cui Starter, voce usata, oltre che negli ippodromi, anche in meccanica e per designare certe disposizioni d’avviamento).

D’emblée: modo francese, quasi popolare per indicare il compiersi di un’azione, subito, con fortuna, senza fatica e preparazione. V. Emblée,

Déménagement: fr. sgombero.

Demi-mondaine: come la lingua greca rigermoglia dalla sua morte per creare nuove voci di nuove cose scientifiche, così il francese ha il segreto di quegli eufemismi che sono un indizio del mutato senso morale. Demi-mondaine è la meretrice? la cortigiana? oibò! La demi-mondaine è, per così dire, una professionista: vive delle sue grazie e delle altrui, dà incremento alle mode e insegna il buon gusto, favorisce l’importazione delle ostriche e dello champagne: è letterata: legge d’Annunzio e Prevost: coi denari altrui antepone l’acquisto dei brillanti veri ai chimici. Frequenta le stazioni climatiche, i bagni, etc. Un gentiluomo può ben esserle cavaliere; le dame le siedono senza sdegno accanto ai concerti e alle prime rappresentazioni: spesso ne copiano le eleganze supreme. Cocotte, femme au trottoir indicano gradi inferiori nel reggimento di Citera. Il nome proviene da Demi-monde, titolo di una notissima commedia di A. Dumas, rappresentata al Ginnasio (au Gymnase) il 20 di marzo 1855. In essa con fine arte sono rappresentate cotesto donne dalla parvenza onesta, decorose, invece bacate nell’interno, come talora avviene per le frutta. Società equivoca, donna della, società equivoca fu tradotto. Il vero è che a noi manca tale voce precisa. Si noti ancora che il senso della parola che secondo il Dumas si riferiva solo alle donne che hanno fatto uno o più scappucci ma che tengono ancora alla apparenza dell’onestà ufficiale, si estese poi per significare lo cortigiano di alto grado. [p. 160 modifica]

Demi-monde: V. Demi-mondaine.

De minimis non curat praetor: massima del diritto romano ed è frase viva tuttora per significare genericamente che alle piccolezze non bisogna dare troppa importanza. Dicesi anche solo de minimis, «delle cose piccolissime il Pretore non tiene calcolo».

Deminutio capitis: secondo il concetto di Roma antica caput, capo, indicava l’insieme dei diritti di libertà, cittadinanza e famiglia. Privare alcuno di questi tre diritti o di uno di essi era una deminutio capitis, maxima, media, minima secondo i casi. Dicesi oggi comunemente deminutio capitis per significare perdita di autorità, di prestigio e simili.

Demivierge: così al numero del più M. Prevost, scrittore francese oggi di molta voga, intitolò un suo romanzo, narrando le gesta di quelle mondane giovani donne che conservano solo la verginità fisiologica. Il titolo elegantemente salace ha fatto fortuna e la parola corre, anche fra noi.

Democratizzare: fr. démocratiser cioè convertila alle idee, alle istituzioni democratiche.

Democristiani o democristi: neol. recente, detto dei cattolici con tendenza socialista, ma deliberatamente ossequenti alla volontà del Pontefice.

Démodé: fr. passato di moda. Non sarà inutile l’avvertire come il popolo nostro abbia una quantità grande di locuzioni e voci vivaci e incisive per significare cotale concetto, specie ragionando di vestimenta.

Demografia: dal greco demos = popolo e grafo = scrivo, descrivo. Studio o scienza sul movimento, numero, carattere, etc. delle varie popolazioni. Di queste statistiche molto si avvantaggia quella nuova scienza (?) che si chiama sociologia.

Demolire, demolito, demolizione: sono vocaboli molto usati nel senso figurato di diffamare, screditare. Questi traslati tolti dal francese démolir, démolition, spiacciono ai puristi. «Una delle più goffe e delle più sguaiate metafore francesi» li dice il Rigutini. Eppure...!

Demonografia e demonologìa: scienza che tratta della natura e dell’influsso de’ demoni. Nell’evo-medio tale studio rivestiva ufficio di somma importanza, attribuendosi ai demoni un’azione grande sui fatti e sull’umana natura. Forza della vita, quasi misterioso microbio.

Demonògrafo o demonòlogo: colui che tratta o fa studi su la natura e storia de’ demoni.

Demonolatrìa: l’adorazione del principio del male, cioè del demonio, di che erano incolpati gli antichi stregoni: follia o allucinazione di chi crede adorare i demoni.

Demonomanìa: delirio di carattere religioso che si manifesta col terrore del demonio e dell’inferno. Chi ne è affetto crede di essere posseduto dal diavolo o di essere votato al suo culto.

Demoralizzare: e così demoralizzazione, sono parole riprovate dai puristi in quanto che ci provengono dal francese: démoraliser, démoralisation. In quella vece vi sono i verbi italiani corrompere, depravare, guastare e perdersi d’animo, scoraggirsi, avvilirsi. Ma certo il verbo demoralizzare ha più largo significato, e parlando di eserciti in cui il senso morale della disciplina e del dovere si è infranto, sembra avere oramai valore di voce fissa e precisa.

De nihilo nihilum, in nihilum nil posse reverti: nulla nasce dal nulla, nulla può tornare in nulla. Persio (Satire III, V, 83). Cfr. altresì Lucrezio (I, 206) ove è confermato questo principio fisico della eterna e indistruttibile materia. Vero è che il motto de nihilo nihilum si ripete per cose anche di minor conto.

Densìmetro: istrumento che serve a misurare la densità dei liquidi.

Dentelle: è in francese il nostro merletto, e come questo deriva da merlo (di mura) così quello da dent (dente).

Dentifricio: da dente e fricare, lat. = fregare, strofinare. Nome dato ad ogni polvere, crema o preparato per pulire i denti.

Denunziare: nel linguaggio della politica e del giornalismo significa disdire. Es. «denunziare un trattato, un armistizio» etc. Ai puristi ricorda il verbo dénoncer francese, usato in tal senso. [p. 161 modifica]

Deo gratias: ultima frase della messa, usata corno saluto ed entrando nelle case. Ricorda Fra Galdino de’ Promessi Sposi. Oggi è motto conservato talora dai religiosi, specie da’ frati, questuanti, etc.

De omnibus rebus et quibusdam aliis: di tutte le cose e di altre ancora, corruzione, popolarmente lepida, del motto de omni re scibili et de quibusdam aliis. Del quale la prima parte è il titolo inesatto, riportato dal Voltaire della XI delle novecento tesi sostenute in Roma nel 1486 da Pico della Mirandola: Ad omnis scibilis investigationem et intellectionem. La seconda parte è un’aggiunta ironica dello stesso Voltaire.

Deperimento: V. Deperire.

Deperire: secondo etimologia vorrebbe per noi dire perire del tutto = de-pereo, latino. Noi invece usiamo la parola in forza di cominciare a perire, tanto in senso morale che fisico. Secondo i puristi tale senso è tolto dal francese deperir = pencher vers sa fin, être en voie de destruction, detto dell’organismo, della salute, degli stabili, delle cose. Così dicasi della parola deperimento, fr. dépérissement. Certo non mancano verbi nostri, peggiorare, andar a male, guastarsi scadere, etc. Ma siamo al solito caso della parola unica, chiara, precisa.

Depilatòrio: fr. dépilatoire: preparati farmaceutici contenenti sostanze caustiche, usati per determinare la caduta di quei peli, specie del volto muliebre e delle mani che tolgono bellezza, essendo ove esser non devono. Dai latini, osservatori di tali mundizie, era detto psilothrum, gr. Ψίλωθρον: dagli ebrei, merdocco.

Deplorabile: V. Deplorare.

Deplorato: V. Deplorare.

Deplorare: verbo latino che vuol dire piangere, dolersi grandemente. Questo verbo oggi è molto usato con valore nuovo e racchiude un curioso senso di eufemismo o attenuazione o di compatimento per le umano miserie, così che spesso è usato in vece di biasimare, condannare, verbi troppo recisi e crudi. Così ad es. alcuni deputati che furono impegolati in alcuno losche operazioni di una già Banca Romana, sono semplicemente dei deplorati. Insomma ciò che si condanna in un uomo di condizione comune, in un personaggio qualificato e ragguardevole si deplora. La cosa non è molto democratica, ma è umana. Usato è pure l’aggettivo deplorabile per biasimevole, brutto, sconcio, mentre per noi deplorabile significa luttuoso, degno di pietà, di pianto. È manifesto l’influsso del déplorable francese in cui talvolta il concetto del rincrescimento si congiunge al biasimo.

Deportare: esilio perpetuo con perdita di diritti civili, fuori del territorio continentale di Francia, onde le frasi: subir la déportation; Être condamné à la déportation, etc. Ciò secondo il codice di Francia, onde le parole déporter, déportation, déporté parole di origine latina (de-portare) ma che in questo speciale senso noi togliemmo dalla lingua francese. All’Italia mancava anche la cosa: cioè non la materia prima meritevole di deportazione che anzi abbondava nè oggi sarebbe manchevole, ma territori extracontinentali, colonie, etc., codici e leggi nostre, non essendo nazione, relegare.

Deportato: V. Deportare.

Deportazione: V. Deportare.

Depravazione: dal lat. de e pravus = pravo, malvagio: nel linguaggio medico indica quello stato anormale nel quale i desideri dei sensi sono pervertiti. Es. depravazione del gusto, dell’olfatto etc.

De Profundis: prime parole del salmo CXXIX, che è il sesto dei sette salmi della penitenza, e si canta negli uffici funebri: «Dal profondo ho gridato a te. Signore, Signore, odi la mia voce!».

Depurativo: dicesi in medicina di que’ farmaci che si reputano adatti a liberare gli umori del corpo umano da’ loro elementi maligni e patogeni. La medicina odierna non nutre, come l’antica, troppa fiducia in simili cure.

Deragliamento: V. Deragliare.

Deragliare: verbo assai comune in vece di fuorviare, uscire dalle rotaie. Rail è voce inglese e significa sbarra, rotaia, onde rail-way = la ferrata. Ma a noi il verbo più probabilmente provenne dal dèrailler o, meglio, dérailer francese. Benchè vocabolo assai usato, esso entra nel [p. 162 modifica]novero di quei gallicismi facilmente avvertiti e talvolta, per senso di pudore, evitati. Nessun dizionario l’onora di registrazione, e questa sorte che par giù cotanto, forse gli provenne dal bisticcio tra esso verbo e ragliare.

Dérapage: neol. del linguaggio degli automobilisti: dicesi quando la vettura non sente più il freno: voce derivata dal verbo déraper, termine di marina, detto dell’àncora quando non tiene e lascia andar la nave alla deriva.

Derby: Lord Derby fondò nel 1780 ad Epsom, contea di Surrey presso Londra, questa corsa famosa, che ha carattere nazionale in Inghilterra ove corresi annualmente, e di lì il nome e la cosa passò in Europa. Il nome ufficiale è: The Derby Stakes, cioè iscrizioni del Derby, le quali costituiscono il premio: corrono polledri di anni tre: la distanza è di un miglio e mezzo inglesi, m. 2400. Il defunto re Umberto I fondò il Derby italiano, col premio di L. 24,000: si corre nel maggio a Roma: iscrizione lire 800. Quanto sia importante tale corsa e quale fama possa ad es. acquistarsi un cavallo, lo prova questo dispaccio:

La morte di «Bendor»

Londra, 10 gennaio, notte.


Il cavallo «Bendor», vincitore del Derby, è morto stamane (Stefani).

NB. Molti valent’uomini si hanno a fatica un cenno biografico ne’ giornali! Aggiungi ancora, come segno dei tempi, che un cavallo vincitore del Derby, acquista un valore venale contro cui male reggono gli sperperi lussuriosi di antiche età le quali — a onor del vero — non aspiravano come la nostra a perfezione di civiltà. Tolgo dalla cronaca: «Sceptre» comperato per 625,000 lire: Ci telefonano da Parigi, 1 aprile, mattina: Telegrafano da Londra al New York Herald, edizione di Parigi, che il famoso cavallo Sceptre venne comperato dal signor Bass, il notissimo e ricchissimo fabbricante di birra inglese, per la somma di 625,000 fr. Questo prezzo di acquisto di un cavallo non venne mai sorpassato, fuorchè due volte dal duca di Westminster e dal signor Edmondo Blanc!»

Deriva: termine mar.: trasporto della nave fuor della propria rotta per effetto di opposta corrente: laddove scarròccio e scarrocciare è l’andar sottovento per effetto del vento e del mare in direzione obliqua alla chiglia.

Derma: voce medica, dal greco derma = pelle, cioè lo strato che insieme all’epidermide, forma la pelle o cute: è formato da tessuto connettivo e da fibre elastiche. Dicesi anche corion, dal gr. χόριον, cuoio. Nella scienza medica dalla voce derma derivano molte parole.

Dermatite: infiammazione o malattia della pelle, e con questa voce generica si sogliono indicare le variatissime affezioni della pelle, le quali poi prendono speciali nomi secondo i casi. Onde la voce dermatologìa per indicare quella branchia della patologia che ha per suo istudio le malattie cutanee.

Dermatologìa: V. Dermatite.

Dernier cri: l’ultimo grido, la suprema espressione, etc. Modo di dire francese, venuto sino a noi ed usato talora in ispeciali significati. Es. «La tal foggia di vestire è il dernier cri della moda».

Derno: V. In derno.

Déroute: uguale anzi ugualissimo a rotta cioè sconfitta, dal latino de-ruptus. Ma come tutte le voci francesi sembra, in un certo nostro ceto e linguaggio giornalistico, che inchiuda in sè più vivace senso. Es. «La seduta antimeridiana aperta da... con una cinquantina di deputati, segnò una nuova déroute per... etc.».

Dervis: vocabolo che significa in persiano povero. Ordine religioso, secondo la fede di Maometto. | I partigiani del Mahdi nel Sudan orientale.

Desèrre: V. Dessert.

Déshabillé: abito da casa o da camera, e dicesi solo della donna: Déshabillé de nuit, déshabillé du matin, joli déshabillé. Essere in déshabillé; locuzione francese che noi usiamo e di cui non sembra possibile far senza. Come saggio però del tempo quando la lingua italiana aveva virtù organiche più salde che ora, ricordo il Tasso nell’Aminta ove parla di Silvia: [p. 163 modifica]

          ed incolta si vide e si compiaque
          perchè bella si vide ancorchè incolta:
          io me no avvidi e tacqui.

E altrove, pure il Tasso:

          Nè te, benchè negletta, in manto adorna
          giovinetta beltà vince e pareggia.

Certo la lingua italiana non ha la parola dall’impronta fissa come il francese, ma la parola e la frase sono più liberamente plasmate dal genio dello scrittore.

Desiderata: pl. neutro latino che vuol dire le cose desiderate, ed è parola usata specie nel linguaggio dei bibliofili e de’ librai per indicare quelle opere che sono ricercate perchè rare e poco note: desiderata si disse eziandio delle nozioni scientifiche che sono manchevoli: da questo latinismo antico e comune derivò verosimilmente il neol. seguente.

Desideratum: parola neologica del gergo francese, usata anche in italiano per indicare in ispeciale senso cosa che manca e che è desiderata. La paix est le desideratum du progrès. Questa parola è oggi molto frequente nel linguaggio politico: al pl., tanto desiderata alla maniera francese, come desiderati.

Desinit in piscem: termina in pesce. E interamente: «Donna bella nel volto e nel petto, finisce sconciamente in figura di mostro!» così Orazio finissimamente nel principio della sua epistola ai Pisoni, ove dà i noti e perfetti ammaestramenti sull’arte: e in questo caso accenna allo sconcio della disarmonia delle parti, ai libri senza capo nè coda. | Desinit in piscem dicesi poi liberamente di opero belle in principio, brutte in fine.

Desolante: è voce verbale del verbo desolare = devastare, e poi nel senso morale di affliggere, sconfortare. Voce, dunque, più che buona, ma l’abuso che se ne fa invece di doloroso, affliggente, sconsolante, pietoso, etc. ricorda ai puristi troppo da vicino il modo uguale francese: désolant.

Dessert: non si riscontra questa parola nella lingua francese che dopo il XVI secolo. Vuol dire l’ultimo servizio del pranzo, come formaggio, frutta, dolci, vini fini, liquori. Oramai questa parola è entrata nell’uso e fu tradotta in deserre, e a Lucca, assicura il Fanfani, in deserta!!? Noi potremmo usare semplicemente frutta o se si tratta di un maggiore apparecchio, potremmo rinnovare la bella voce antica seconde mense. Ma la forza di richiamare in vigore buone locuzioni o di crearne di nuove, acconce e nostrane, difetta all’italiano odierno. Nel citato libro dello Scappi, dove sono registrati gli inverosimili servizi alle mense pontificali, un unico vocabolo, cioè «servizio di credenza» serve ad indicare tanto l’hors d’oeuvre come il dessert. Per l’etimologia questa parola proviene da desservir, dunque alla lettera «servito» che è parola altrettanto classica in questo senso come semispenta. Dessert è oramai parola conquistata dall’uso tra noi. Giardinetto non è propr. il dessert, nè si presterebbe alle locuzioni d’uso, come ad es. essere al dessert.

Dessous: sost. masch. francese e vuol dire il di sotto cioè la parte nascosta di una cosa. Anche questa parola è usata: Es. «Ha il torto massimo di dire, di stampare e di firmare quello che pensa, abbattendo fame usurpate, rivelando i dessous finanziari di certe compagnie». Significa anche dessous le sottovesti delle donne. Les filles aux gorges provocantes et aux dessous parfumés. Ma è voce del gergo.

Destinatario: indica in commercio, negli uffici di spedizione la persona a cui è diretta una merce. Ai puristi ricorda la parola francese destinataire: ma il Rigutini ammette che «difficilmente si potrebbe sostituire con una sola parola. Rimanga dunque ai mercanti». Ma il secolo oggi è mercante e tutti l’usano, anche i non mercanti di professione.

Destituzione: l’atto col quale un ufficiale o funzionario dello Stato viene, per gravissime causo, privato dell’impiego e della carica. È la maggior pena che il Potere esecutivo possa infliggere ad un funzionario, nè va confusa con la licenza, nè col collocamento a riposo.

Destra: nel noto senso politico è voce notata nei reconti lessici: corto di provenienza francese: la droite = ensemble des députés ou des sénateurs qui siègent à la droite du président de l'assemblée. [p. 164 modifica]C’est le parti des stationnaires, et des rétrogrades.

Destroyer: nomo inglese di cui facilmente si scopro il significato: distruggitore. Esso è dato a quelle navi da guerra di recente invenzione il cui scopo precipuo è quello di distruggere le torpediniere. Torretta e ponto corazzato, cannoni a tiro rapidissimo, velocità massima caratterizzano i destroyers. La voce nostra equivalente, usata in marina promiscuamente, è cacciatorpediniera.

Detective: voce inglese, dal latino detegere = scoprire. Dicesi dell’abile ed astuto agente di polizia segreta, il cui ufficio è di seguire o scoprire le tracce d’un delitto.

Detector: scopritore, dal latino de e tegere = scoprire: voce inglese con la quale, nella telegrafia Marconi, si intende quell’apparecchio che serve a scoprire la speciale origine dei telegrammi.

Determinismo: nome nuovo di cosa antica: indica quella filosofia positiva, materialista, fatalista che è contraria al concetto cristiano del libero arbitrio, della grazia, della provvidenza, della redenzione per opera di una forza superiore. Chiunque pone lo spirito in assoluta dipendenza della materia e fa della psicologia una conseguenza della fisiologia, non vede insomma nel pensiero che un effetto del moto cerebrale, è costretto dalla logica ad accettare cotesta dottrina che nega l’influsso della volontà, o, per dir meglio, considera gli atti della volontà come determinati da tutta altra causa che non la volontà in sè. E se questa spiegazione può spiacere ad un determinista, diamone una seconda informata ai principi del determinismo; nè ciò paia scetticismo di me, autore. Il vero è che il mondo e l’uomo, determinismo o divina provvidenza che sia, non muteranno. Ecco intanto la spiegazione: In filosofia si dà il nome di determinismo a quella dottrina che fa dipendere i nostri atti non da una volontà assoluta, come insegna la religione cattolica, ma da mille cause dentro e fuori di noi che li determinano. Con ciò non è detto che la nostra ragione non eserciti alcun influsso sui nostri atti, anzi essa può in date circostanze influire grandemente su la nostra decisione cioè su la conversione in atto delle cause che servono come di base ai nostri ragionamenti e li determinano. Questa dottrina è la logica conseguenza del postulato che l’universo è sottoposto alla legge imprescindibile di causa ed effetto, ed è veramente anormale la cocciutaggine di certi filosofi che vogliono porre le forze intellettuali e vitali dell’uomo fuori dell’influenza universale, e quindi fuori dell’universo. L’universo essendo infinito, non c’è nulla fuori dell’universo, e tutto ciò che ne sappiamo di sicuro essendoci venuto per via naturale indagando la natura, è più logico credere che l’incomprensibile per noi si possa spiegare per via naturale che col tirare in ballo forze sopranaturali di cui non sappiamo niente e che non ci arrecano nessuna maggior luce nella grande incognita dell’universo. Dopo le quali gravi cose, ricordo come la parola determinismo, è tolta, come importazione diretta, dal francese déterminisme, che, nel senso anzi detto, si trova solo ne’ lessici recenti.

Determinista: seguace del Determinismo. V. questa voce. Dal fr. déterministe.

Detestabile: «fr. détestable [da detestare = avere in orrore, in odio] significa in it. abbominevole, che desta orrore; non si dice quindi che delle cose più gravi. — Es. Parricidio, delitto detestabile. Per cattivo, pessimo è uso enfatico, che ha riscontro nell’uso consimile di abbominevole. — Es.: «In questa bettola noi abbiamo bevuto del vino detestabile per del vino pessimo, del vino scellerato, del vinaccio» (Allan, op. cit.).

Détresse: lat. districtio, quasi stretta, cioè bisogno, gran pericolo. Noi per indicare la mancanza di danaro abbiamo, oimè! un’infinità di espressioni, sì proprie come metaforiche, sì letterarie che dialettali, che è inutile ricordare. Il ricorrere anche per questo alla buona lingua sorella è una vera pietà. Es.: «Il lavoro piacque a... che mandò a chiamare l’autore e questi si presentò subito allegrissimo perchè si trovava in un momento di détresse».

Detritus: voce latina da de e tèrere = consumare, usata in quasi tutte le lingue [p. 165 modifica]per significare i residui di una sostanza di un corpo distrutto e ridotto in frammenti per processo di disorganizzazione o di necrobiosi, o per effetto di reazioni chimiche.

Dettagliare: V. Dettaglio.

Dettagliatamente: «non ha un esatto corrispondente in francese, ma è foggiato su en détail per minutamente, in tutti i particolari, al minuto, a ritaglio» (Allan, op. cit.).

Dettaglio: per particolare, circostanza è voce che vince nell’uso e proviene dal francese détail, così dicasi dei derivati dettagliare per circostanziare, dire minutamente, per filo e per segno.

Deus ex machina: il dio dal meccanismo. Nei teatri antichi i numi apparivano sorretti da alcun meccanismo e spesso la loro venuta valeva a sciogliere il nodo dell’azione: del qua! mezzo, troppo facile, esorta Orazio nella sua Arte Poetica di non usare. Dicesi oggi deus ex machina non solo in senso drammatico, ma per significare l’intervento di qualcuno che scioglie, decide una questione; specie intendesi di operatore occulto e potente.

Deus nobis haec otia fecit: un dio ci procurò questo riposo, così Titiro, bifolco, a Melibeo nella 1a Egloga di Vergilio, alludendo alla munificenza di Augusto imperatore.

Deveine: nei termini del giuoco significa in francese il contrario di vena, quindi disdetta. V. Guigne: Voce del gergo.

De visu: lat. di veduta e si dice di cosa vista, non sentita.

De visu et de auditu: chiamano i legali quei testimoni che riferiscono cose personalmente vedute ed udite.

Di: «se devesi scrivere come si parla, l’uso parlato non lascia mai la preposizione di innanzi al nome del mese o dell’anno. Ondo non mai si direbbe Verrò il 25 agosto ma di agosto. Pure, scrivendo, è uso oramai comunissimo il tralasciarlo per una ellissi, che credo avesse origino dai mercanti. — Si erra poi stranamente usando le preposizioni articolate del, dello, della, etc. in luogo della semplice di, quando diciamo, per es. «La tale ha delle braccia bellissime» per significare che ha braccia o le braccia bellissime: e dicendo così, si fraintende l’uso toscano che dice: «Ha di gran belle braccia». La di, usata a quel modo, è francese». Così il Rigutini, A queste sottili! osservazioni di carattere grammaticale a me piace aggiungere questa altra nota, cioè la tendenza odierna a sopprimere il segnacaso di, e questo o per amore di brevità, specie nelle scritte commerciali, o per effetto di altre lingue, o per incuria. Es. Scarpe tela vela caffè, Esposizione Milano, etc. Così il rapporto di materia che solea esprimersi col di, ad imitazione del francese, oggi si esprime con l’in e col di senza alcuna stabile norma. Es.: Scarpette in raso, Abito in seta, etc. V. In.

Diabète: (gr. diabáino = passo attraverso) voce medica generica con la quale si designano molte malattie, distinte da alcuni caratteri comuni: eccesso della sete e della fame, gran copia di urina, corrotta nella sua composizione chimica, cachessia consuntiva che conduce a lenta fine. Spesso col nome diabete si suole indicare quella forma più comune che è il diabete zuccherino.

Diaforèsi: termino medico derivato dal i greco, διαφορέω = passo attraverso, quindi traspirazione, sudore.

Diaforetico: = sudorifero. Termino medico per significare que’ medicinali o quelle cure che servono a promuovere il sudore.

Diagramma: curva rappresentativa della legge di un fenomeno fisico, meccanico, matematico.

Diapason: (fr. diapason) dal greco dià = per e pasòn = tutte (le note): indica l’estensione dei suoni che una voce o un i strumento può percorrere, dai più gravi ai più acuti. Usasi anche in senso figurato. | Diapason è detta anche quella specie di forchetta d’acciaio a due branche che, vibrando, dà il tono e serve ad accordare gli istrumenti. Italianamente corista.

Diaspis pentàgona: nomo di un insetto esiziale ai gelsi, onde intristiscono: è una specie di nuova cocciniglia, importata, pare dal Giappone (1886).

Diatesi: gr. diàthesis = costituzione. [p. 166 modifica]Con questa parola sogliono i medici significare la disposizione intima di un corpo, diversa da un individuo ad un altro, sì nello stato di malattia che di sanità. A questa disposizione venivano attribuite le malattie, come supposte di identica natura ancorchè varie per sintomi clinici e sede anatomica. Il nuovo studio su la natura infettiva e parassitaria di molte malattie ha fatto perdere a diatesi l’esteso significato.

Dichiaramento: nel gergo della camorra napoletana dichiaramento è il nome dato alla sfida a duello fra gli affigliati. Esso si eseguisce di solito a colpi di rivoltella: tirasi all’impazzata e spesso rimangono feriti o morti passanti e curiosi. — La voce è spagnuola e dopo tanto tempo da quel dominio in Napoli, si mantiene viva e uguale la parola e la cosa, tranne le modificazioni arrecate dal progresso e dalle armi. — Contro questi duelli di più persone, oltre alle attuali leggi, esistono i bandi antichi spagnuoli; ma pare che questi avessero la medesima efficacia delle gride che Don Fernandez Gonsalvo de Cordova bandiva in Lombardia verso quel torno di tempo.

Dicitore: questo bel vocabolo antico che significava parlatore, oratore elegante, e che il Petrocchi colloca fra le parole fuor dell’uso, sembrami dalle odierno tendenze estetiche e letterarie essere richiamato all’onor dell’uso.

Dlcitur: lat. si dice: usasi per rafforzare talora ironicamente un concetto di congettura e di dubbio.

Dì comodo: ovvero di favore si dice in gergo commerciale di quella firma che si appone ad una cambiale affinchè essa abbia la garanzia sufficiente per essere ammessa allo sconto, cioè commutata in danaro presso una Banca. In altri termini non rappresenta un affare, ma un favore chiesto e concesso da un terzo; di cui talvolta si usa e si abusa. Distinguonsi tre specie di cambiali, finanziarie, di affari, di comodo. Questa ultima specie di firma dicesi anche francesemente: Avallo. V. questa parola.

Dicrotismo: (δίς, due volte e κρότος. suono) termine medico che significa doppia pulsazione del polso, la quale è avvertita dalle dita in certi stati patologici.

Didimi: V. Appendice.

Diem perdidi: ho perduto un giorno. Motto attribuito in Svetonio all’imperatore romano Tito. Cosa curiosa! queste due grandi massime romane del risparmio del tempo e del rispetto alle leggi (legum servi sumus ut liberi esse possìmus) sono nate in Italia, il paese del perditempo e del disprezzo o, per essere più precisi, della noncuranza delle leggi!

Dies irae: il giorno dell'ira, cioè il giorno della vendetta, della resa dei conti, del redde rationem, e propriamente e nel primo senso, al Signore Iddio. È il principio del noto e bellissimo canto liturgico:

               Dies irae, dies illa
               solvet saeclum in favilla
               teste David cum Sibylla.

Dietro: le locuzioni dietro pagamento, dietro istanza, dietro domanda, etc., in vece di per istanza, conforme alla domanda, etc. sono riprovate dai puristi come ineleganti e curialesche. | La locuzione esser dietro a fare una cosa, invece di star facendo o attendere ad una cosa e simili, se può scusarsi nel discorso familiare, disdirebbe, certo, ad una nobile scrittura.

Dieu et mon droit: Dio e il mio diritto: motto della casa reale inglese.

Difesa personale: è quella che si oppone ad ingiusta ed inopinata aggressione, tale che il danno non possa essere ovviato se non opponendo violenza a violenza, arma ad arma. Il Codice penale dispone non esservi reato quando le ferite sono arrecate per legittima difesa.

Differenziazione: altra delle parole sesquipedali in zione: fr. differentiation.

Digestione (visita di): così familiarmente, ma non solo per celia, in Milano è detta quella visita di cortesia che si costuma fare dopo alcun invito a pranzo. Locuzione recente, che deve aver avuto origine dal motto arguto della persona che prima l’usò.

Digitale: (digitalis purpurea, L.) pianta così chiamata dalla corolla a forma di ditale. Se ne toglie uno de’ più pregevoli medicamenti, usato e noto specialmente [p. 167 modifica]come moderatore dello pulsazioni cardiache.

Di gran mattino: invece che di buon mattino è conforme al francese de grand matin. «Al giorno ancora acerbo», così poeticamente il Poliziano nelle sue Stanze.

Dilatazione di stomaco: aumento della capacità dello stomaco, il «tristo sacco» come dice Dante, dovuta, sia ad una causa meccanica (stenosi del piloro o lesione delle tuniche muscolari) sia ad una semplice rilassatezza delle pareti dell’organo. La stasi o sosta degli alimenti e il loro fermentare è cagione di gravi turbamenti e di auto-intossicazione cronica.

Dilazionare: V. Dilazione.

Dilazione e dilazionare: sono neologismi del linguaggio commerciale e degli uffici. |A dilazionare formato da un nome verbale, si può benissimo sostituire il verbo differire: ma è certo che il nome dilazione non trova una parola equivalente e comoda. Si dirà, è vero: comprare un oggetto a tempo o a respiro e nel linguaggio familiare si dirà: mi concede una proroga; mi dia un po’ di respiro: ma certo è che dilazione ha preso carattere tecnico e preciso. Anche il Petrocchi la registra. Per curiosità noto come il Rigutini, condannando il verbo dilazionare, dica: «È una di quelle superfetazioni che nascono dal verbale di un altro verbo». E superfetazione è una parola bella in bocca a un purista? o non più tosto un brutto traslato francese? Ciò prova quanto sia difficile sfuggire al genio del proprio tempo e come sia necessario subire il genio etnico altrui quando il proprio difetta.

Dilettantismo: è in arte il maggior nemico dell’arte vera. Dilettantismo è, per intenderci, la passione che certo anime prive di «mente arguta e cuor gentile» hanno nella loro giovinezza di stampare un romanzo o un volume di versi. Vanità ed ozio fomentano il dilettantismo, come severità e pazienza confortano l’arte.

Dimissionario: fr. démissionaire, dicosi dell’ufficiale publico che ha dato le sue dimissioni. Vocabolo più frequente e dell’uso che rinunziatario.

Dinamismo: term. fisiol., per contrasto, equilibrio delle forze è dal fr. dynamisme (gr. dynamis =: forza].

Dinamitardo: neologismo da dinamite (dynamis = forza). Così sono chiamati quei rivoluzionari che intendono adoprare questo perfetto mezzo esplosivo a vendetta o a miglioramento del mondo, o dell’una e dell’altra cosa insieme, giacchè non è facile penetrare nell’intenzione di costoro. Dal fr. dynamitard = dynamiteur.

Dinamitare: far saltare con la dinamite. Verbo caro al linguaggio dei rivoluzionari. Mezzo semplice e sicuro di riforma sociale. Dal fr. dynamiter, neol.

Dìnamo: (dal greco dynamis = forza) nome femminile in o con il plurale uguale al singolare. (Avviso ai grammatici che mano ha una sorella). Motore elettrico a corrente continua in cui il campo magnetico è determinato da un elettro magnete: e, per dare più chiara spiegazione, apparecchio destinato a trasformare l’energia di una corrente continua in lavoro meccanico e viceversa: questa macchina si compone di un elettro magnete fisso, le cui espansioni polari circondano un tamburo rotante, sul quale è avvolto in successive spirali il filo ove circola la corrente elettrica. In francese dynamo.

Dinamometro: termine generico per indicare un misuratore di forza o di lavoro.

Dinastia: con nuovo senso e uso familiare, spesso ironico, si designano col nome di dinastie certe famiglie in cui un potere cittadino è mantenuto per brighe e clientele proprie, debolezza e mancanza di senso civile nella cittadinanza.

Dindo: in cambio della voce tacchino, dicesi specialmente nell’Alta Italia; fr. dinde, n. f. abbreviazione di poule d’Inde. È voce non buona, registrata nei dizionari recenti. | Per indicare questo gallinaceo, sacro alle agapi umane, le voci, comprese quelle dialettali, sono parecchie come avviene por qualche altro oggetto o animalo, il che è gran pena per que’ grammatici che si studiano di ridurre ad unità il linguaggio italiano: tacchino, dindo, dindio, gallinaccio, pollo d’India, polin, pit., plit.

Dine: (gr. dynamis forza) nomo scolto nei congressi internazionali di fisica por indicare l’unità dì forza: è la forza [p. 168 modifica]necessaria ad imprimere alla massa di un grammo l’accelerazione di un centimetro, al minuto secondo. Dining room: è in inglese quello che in Milano dicesi francesemente salle à manger e che gli italiani dicono ancora sala o stanza da pranzo o tinello. Dinosauri: specie di rettili fossili, simili ad enormi lucertole. Dinoterio: nome di formazione scientifica per indicare una specie estinta di mammiferi giganteschi, simili agli elefanti. Diorite: roccia cristallina, composta di amfibolo e di feldspato oligoclasio. Diplopìa: dal greco, e vuol dire doppia vista. Così in medicina è chiamata quella infermità della vista, prodotta da uno spostamento nel parallelismo dei due assi visuali, per la quale un oggetto produce due sensazioni distinte e sembra quasi doppio. Di poema degnissima e d’istoria: verso talora ripetuto lepidamente a modo di intercalare (Gerusalemme liberata, XV, 32; e il Tasso lo tolse dal Petrarca:

                                   degna
          di poema chiarissimo e d’istoria.
                    (Trionfo della Morte, I, 35, 36).

Dipsòmane: (dal gr. δίψα, sete e μανία) termine medico; e dicesi di colui il quale abitualmente o per malo uso o per alcun difetto organico sente il bisogno di ingurgitare grandi quantità di liquido, vino, bibite, acqua, etc. L’astratto è Dipsomanìa, ma specialmente intendesi dell’impulso che alcuni degenerati hanno per le bevande alcooliche. Diramare: nel noto senso degli uffici, di mandare, spargere un ordine o un rescritto, è dai puristi giudicato «modo barbaro», ma se anche esso è tale, l’uso lo rende civile. Lo registra il Petrocchi ed altri. Direttissima: V. Per citazione. Dirigibile: agg. sost., nave aerea capace di esser diretta. Neol. Diritti dell’uomo: l’Assemblea Costituente francese nel 1789 publicò i diritti dell’uomo (῏῏Déclaration des Droits de l’homme) che divenne il primo capitolo della Costituzione del 1791, e restò il fondamento del diritto publico sì in Francia come presso quelle nazioni che si risentirono dell’effetto della rivoluzione francese. È il caso di recare testualmente ciò che tutti citano ma pochi sanno precisamente: «La nature a fait les hommes libres et égaux; les distinctions nécessaires á l’ordre social ne sont fondées que sur l’utilité générale. Tout homme nait avec des droits inaliénables et imprescriptibles: tels sont la liberté de toutes ses opinions, le soin de son bonheur et de sa vie, le droit de propriété, la disposition entière de sa personne, de son industrie, de toutes ses facultés, la communication de ses pensées par tous les moyens possibles, la recherche du bien être et la résistence à l’oppression. L’exercice des droits naturels n’a de bornes que celles qui en assurent la jouissance aux autres membres de la société. Nul homme ne peut être soumis qu’á des lois consenties par lui ou ses réprésentants». Diritto canonico: diritto ecclesiastico, fondato sui cànoni della Chiesa, le Sacre Scritture, i decreti de’ vari concilii, le costituzioni de’ papi, gli usi e le autorità dei fatti avvenuti. Ha per obbietto di regolare la gerarchia ecclesiastica, ma specialmente i rapporti della Chiesa con le diverse Podestà temporali. Diritto divino: diritto che si considera come voluto da Dio. Comprende le regole che le Sante Scritture rivelano agli uomini. Per un abuso del vocabolo si chiamò diritto divino un fittizio diritto pel quale i principi avrebbero la loro autorità da Dio e non dalla volontà dei popoli, onde la distinzione delle monarchie di diritto divino e le monarchie costituzionali o rappresentative. Dis: lat. dis., gr. δυς prefisso inseparabile (in greco opposto ad εὖ = bene) significa interruzione, dispersione, divisione: distrugge il senso positivo o buono della parola cui si prefigge; es. disperdere, difficile, distogliere, disonesto, etc. Disappunto: per contrarietà, aspettazione delusa, cosa che non cade al suo punto, è ripreso dai puristi come gallicismo désappointement. [p. 169 modifica]

Disarmare: termine marinaresco. Vedi Armare.

Disarmare: per placare (letterario), calmare, vincere, rabbonire, etc. è verbo comune oramai: i puristi lo riprendono rome francesismo: désarmer., fig. = calmer, apaiser, flechir. Es. cherchex à désarmer vos ennemis plutôt qu’ à les vaincre.

Disavanzo: l’eccedenza del passivo su l’attivo in un bilancio.

Disbrigo: detto della spedizione degli affari è voce su cui i puristi non si accordano: si accorda l’uso che sancisce tale vocabolo, buono o cattivo che esso sia.

Discente: voce pedantesca, latinismo inelegante, usato talora nelle scuole per alunno, scolaro, etc.

Discentrare: (da dis dispersivo e negativo, e centro) togliere alle amministrazioni centrali dello Stato molte delle sue attribuzioni per concederle ai comuni, alle Provincie, insomma ad autorità autonome. Contrario di accentrare. E così i due nomi discentramento e accentramento.

Discorsa: termine spregiativo per indicare, in modo assai familiare, un discorso lungo ed insulso.

Discrasìa: (gr. dis, negativo e krasis = temperamento) nel linguaggio medico significa cattiva costituzione dell’organismo.

Discrezionale (potere): nella nostra legge penale si dice discrezionale quel potere di cui è investito il Presidente della Corte d’Assise, in virtù del quale potere, durante il corso di un dibattimento e in tutto ciò che la legge non prescrive e non vieta sotto pena di nullità, può fare quanto egli stima utile per iscoprire la verità. Locuzione tolta dal francese pouvoir discrétionnaire.

Diseuse: la nostra lingua italiana ha la voce classica dicitore per oratore, arringatore, dicitore in rima; ma invano cercheremmo la voce femminile dicitrice: forse perchè la donna ciarla ma raramente dice? Bisogna credere che gli antichi avessero questa opinione così in contrasto con le idee femministe dell’oggi. Certo è che il vocabolo manca o non è usato, e l’unico esempio che reca il Tramater è assai poco chiaro. Per il senso in cui noi usiamo la parola francese diseuse, V. Chanteuse.

Disfare: al presente fa io disfo, e disfaccio, all’imperfetto disfaceva e non disfava e così dicasi degli altri composti di fare. Avvertimento non del tutto superfluo.

Disguido: voce comune per significare un errore di spedizione.

Disidratare: togliere completamente l’acqua allo sostanze che si vogliono essiccare: vocabolo del linguaggio de’ chimici.

Disiecti membra poetae: dicesi con speciale senso di luoghi o parti spicciolate dell’opera di un autore, e letteralmente: membra dello sparso poeta: emistichio di Orazio (Sat. I. 4, 62).

Disimpegnare: (da dis e impegno) nel senso di esercitare bene, adempiere, sostenere un ufficio è appuntato dai puristi. Suo vero senso è levare d’impegno, sciogliere, o, nella forma neutra passiva, sciogliersi da un obbligo, da un assunto. A dir vero il passaggio dall’uno all’altro senso non mi pare difficile e strano.

Disincagliare: in marina vuol dire togliere il bastimento dal luogo ove è incagliato e rimetterlo a galla.

Dislivello: usasi talora per slivello, differenza di livello.

Dislocamento: in marina significa il volume e il peso dell’acqua spostata dalla carena.

Disobbligare: verbo derivato dalle forme latino dis-ob-ligare = slegare, sciogliere dall’obbligo; il contrario di obbligare = gratificarsi uno, cattivarsene la benevolenza, etc.: quindi disobbligare = fare atto scortese, alienare da sè. Tale verbo noi togliemmo dal francese désobliger: lo stesso dicasi di disobbligante, accettato a vero dire dalla nuova Crusca nel senso di scortese, poco gentile, etc.

Disorganizzare: V". Organizzare.

Dispensario: (lat. dispensare = distribuire, fr. dispensaire) istituto, di solito di fondazione ospitaliera, ove si danno consulti modicine senza accogliore infermi.

Dispepsia: dal greco pepto o pepso = ammollire, macerare, maturare, cuocere, digerire, e dis preflsso negativo, dunque [p. 170 modifica]ciò che volgarmente dicesi indigestione, i Dispepsìa chiamano i medici con voce generica quei disturbi passeggeri, localizzati allo stomaco, per effetto di alterazioni chimiche dei succhi gastrici o per cause anatomiche.

Dispiaciuto: per dispiacente: forma tipica brutta del dialetto napoletano.

Dispitto: per dispetto, sdegno: voce antiquata che vive nella locuzione «in dispitto» per effetto della divulgata popolarità del Canto X dell’Inferno dantesco:

come avesse l’inferno in gran dispitto.


Dispnèa: (gr. dis che ha senso avversativo, e pnèo = respiro) in medicina significa la difficoltà di tirar su il fiato, la quale si accompagna a molte malattie.

Disponibilità: (fr. disponibilité, officier en disponibilité) dicesi degli ufficiali dello Stato, dispensati dal prestar servizio per soppressione d’ufficio o per riduzione de’ ruoli organici.

Distaccamento: termine militare tolto dal francese (détachement). Indica quella squadra o compagnia o drappello che presta il suo ufficio lungi dal corpo e dalla sede principale. Tale senso ha pure il verbo distaccare. I puristi hanno torto a riprendere queste voci, giacchè esse non solamente sono parole organate nella lingua dell’uso, ma conviene anche pensare che l’Italia, soggetta per secoli al dominio politico di altre nazioni, non ebbe eserciti suoi e perciò quando potè instituirne uno, dovette ricorrere alle voci presenti e dell’uso militare, e specie alle parole di Francia, su le cui istituzioni in molte cose il governo della terza Italia si modellò. Avvertasi in fine che distaccamento è accolto dalla Nuova Crusca e così il verbo distaccare con un esempio del Montecuccoli.

Distinguersi: per segnalarsi, farsi strada, nome, è dal Fanfani ripreso per gallicismo: se distinguer. La logica induce il Fanfani a condannare anche i derivati distinto e distinzione a cui suppliscono le parole nostre reputato, segnalato, ragguardevole, ammodo, garbato etc. e riguardo, stima, riverenza, dignità etc. A mio avviso essi sono, come tanti altri, francesismi di difficile distinzione, tanto più che non mancano esempi classici. Certo anch’io penso che il frequentissimo uso che di queste parole si fa, specie distinzione e distinto, proceda da influsso francese. Comunque si pensi, il vero è che son parole che vanno facili per le bocche di tutti mentre le nostre occorrono più specialmente nell’uso letterario.... o del popolo umile.

Distinto: V. Distinguersi.

Distinzione: V. Distinguersi.

Dito di Dio: metafora tolta dalla Bibbia e usata popolarmente per significare la visibile punizione di Dio. Numeri VIII, 17; Vangelo di S. Luca XI, 20.

Ditta: questa parola che vale Compagnia Società di commercio spesso è attribuita, con intenzione di ingiuria ad istituti compagnie il cui carattere è o dovrebbe essere morale anzi tutto, non commerciale o venale. Es.: «Povera Chiesa! Una volta almeno contava al suo attivo delle conversioni notevoli che rialzavano il prestigio della ditta nei momenti difficili, richiamando su lei l’ammirazione degli imbecilli...».

Dittico: (dal gr. diptykos = pieghevole in due) quadro diviso in due tavole di legno, da aprirsi e chiudersi a piacere, per lo più in arco o a sesto acuto, detto anche ancòna.

Diuresi: termine medico formato dal greco e significa abbondante secrezione di urina.

Diuretico: attributo di que’ medicamenti e di quelle sostanze che hanno facoltà di aumentare la secrezione dell’urina.

Divano: parola con la quale si indicano in Oriente le assemblee nelle quali i sovrani e i loro ministri tengono consiglio e danno udienza. Più specialmente si intende del ministero ottomano e della Cancelleria della Sublime Porta.

Divaricare: allargare, aprire, verbo spesso usato nel linguaggio medico.

Divergenza: contrario di convergenza, ed è voce usata in senso traslato per indicare disparità, differenza di opinioni, quasi che tendano a punti opposti.

Diversivo: agg. sost., usato talora in senso traslato per deviazione, passaggio opportuno ad altro argomento o cosa. [p. 171 modifica]

Divette: le artiste di caffè-concerto non sono dive, ma semplicemente divettes cioè divinità di ordino inferiore. Traducesi anche in divetta. V. divo e V. chanteuse.

Divide et impera: dividi e regna! motto latino attribuito a molti potenti; da Filippo di Macedonia che, dividendo e corrompendo, cioè impedendo il fascio delle forze comuni, domò la Grecia, a Luigi XI di Francia che fondò la forza monarchica sul vinto feudalismo. Se non motto, consiglio e pratica costante di Casa d’Austria:

               E quest’odio che mai non avvicina
               Il popolo lombardo all’alemanno,
               Giova a chi regna dividendo e teme
               Popoli avversi affratellati insieme.

Dividere: idee, gioie, dolori, etc. è dal Fanfani e dal Rigutini ripreso come goffa imitazione del verbo partager de’ francesi. La lunga dissertazione del Fanfani è persuasiva senza dubbio; ma sta il fatto che questa locuzione è entrata nell’uso e a stento si distingue dalle buone: io partecipo, prendo parte al tuo dolore, io sono della tua opinione, etc.

Divisione delle parole: una consonante fra due vocali fa sillaba con la seconda, come o-no-re; eccetto le parole composto che si dividono nelle loro componenti, come mal-agevole, dis-inganno, tras-mettere. Di due consonanti eguali l’una fa sillaba con la precedente vocale, l’altra con la seguente, come ac-cet-tò. F e qualunque consonante muta, trovandosi innanzi a liquida, si unisce alla vocale seguente, come ca-fro, a-cre, ve-tro, de-gno, etc.: in ogni altro caso due consonanti diverse si scompagnano e si fa ven-to, al-to, er-to, ac-qua, etc. Non sembra lecito disgiungere una consonante apostrofata dalla vocale seguente benchè su tale quistione una riforma sarebbe desiderata. A questo proposito mi piace anzi riferire l’opinione di F. d’Ovidio in un’avvertenza preposta al suo recente volume Ricordi ed Affetti: «Non è però un error tipografico, o ad ogni modo non è imputabile alla tipografia, l’uso di parole apostrofato in fin di riga. Ho voluto proprio romperla con una norma ortografica così arbitraria e gretta, spesso dannosa alio stile e financo alla grammatica. Il bel fondamento che i grammatici le diedero è che in fin di riga la parola apostrofata resta impronunziabile di per sè stessa, e costringe il lettore a guardare anticipatamente il principio della riga seguente. Non badarono che ciò avviene del pari quando si spezza got-ta, goc-cia, ap-porre e così via; e che un rimedio ben peggiore è il costringersi a scrivere all’occorrenza: Di altro lato, una mano lava la altra, metter barriere tra la Italia e l’Italia, in quattro e quattro otto, di amore e d’accordo o d’amore e di accordo, e simili altre goffaggini. Sarebbe tempo di smetterla; e, in cambio di tante innovazioni o rievocazioni ortografiche (V. ciò che è detto a pag. 32-33) tutt’altro che lodevoli, spazzar via certe norme pedantesche che non hanno nè babbo nè mamma, o meglio, han per babbo un sofisma, per mamma la cieca abitudine, e per balia la paura di parer ignoranti trasgredendole». Non si pensi del resto che ciò sia una novità: il Bodoni, stampatore sommo, con la maggior libertà termina le righe con le preposizioni articolate all’, de’, dell’ anche dove avrebbe potuto farne a meno. Se la riga è lunga, si cerchi di dividere la parola in modo che resti una vocale sola in principio o in fine, come a-nello, pendì-o. La s si unisce per regola generale alla sillaba che segue. Non si dividono i dittonghi, i trittonghi, etc.; ma si deve scrivere ruo-lo, fi-gliuo-lo, etc. Non si dividono i numeri.

Diva: V. Divo.

Divo: lat. divus (deus), divino. Ma dicesi talora con certo senso di ironica facezia di persona notoria o celebre la quale, all’aspetto, al contegno e alle parole dimostri essere conscio di troppo del suo valore e della sua notorietà. | Diva poi dicesi, e non sempre per ischerzo, di cantatrice celebre. | Diva è anche in francese: «mot emprunté de V italion où il signifie divine et dont on se sort quelquofois en parlant dex excellentes cantatrices». I francesi poi ne hanno fatto divette, voce del gergo. Vedi questa parola.

Divorante: per eccessivo. Es.: «un’attività divorante», ricorda l’uso traslato del francese dévorant.

Divorzista: dicesi di persona favorevole [p. 172 modifica]al divorzio Una delle tante parole di conio arbitrario e di vita effimera.

Divulsione: in medicina significa dilatazione forzata. Voce formata dal latino dis, che indica separazione, e vellere = strappare (piloro, retto, collo dell’utero).

Dixit latro ad latronem: disse il ladro al ladrone: motto latino tolto dalle antiche favole per significare lo scambievole accordo, i reciproci patti fra gente di mal affare.

Doccia o doccia fredda: per traslato dall’azione terapeutica calmante, dicesi familiarmente di notizia o di osservazione, la quale abbia virtù di calmare fieri propositi, esaltazione di idee, spesso deviando il pensiero in opposta parte. Aver bisogno d’una doccia: fr., avoir besoin d’une douche, detto di chi non intende ragione e si esalta oltre misura.

Docente: semplicemente per maestro, insegnante, ha del pedantesco e l’orecchio mal si abitua a questo latinismo. | Libero docente è chiamato colui il quale per alcuna sua riconosciuta perizia e dottrina ottiene facoltà di insegnare negli istituti superiori una disciplina o scienza affine e di corredo a quella che è nei programmi di una data facoltà. La libera docenza, cosa ottima in sè, nella pratica talora è un accorto mezzo per far molta strada con poca fatica.

Docenza: voce usata insieme all’aggettivo libera. V. Docente.

Dock: dal celtico dekken = chiudere, contenere: indica una serie di bacini fiancheggiati da magazzini a più piani: il tutto abilmente disposto per il pronto e sicuro carico e scarico delle navi. Famosi quelli di Londra sul Tamigi. | Il Guglielmotti propone, anzi registra, l’antica voce dicco; e va bene: bisogna poi trovare chi l’adoperi ed intenda. Alcuni traducono dock con calate. A Genova dicesi calata.

Doctor in utroque: dottore nell’uno e nell’altro diritto, cioè nel diritto civile e noi diritto canonico.

               Tibi quoque tibi quoque
               è concessa facoltà
               di potere in jure utroque
               gingillar l’umanità.


Documentazione: invece di prova, documento, non la trovo in nessun lessico. Però la si legge: Es. «Sarebbe una documentazione di vergogna e nessuno vuol darla pel proprio paese». È una delle non poche voci abusive fatto non so se per influsso del francese (documentation) ovvero del suffisso zione che sembra porgere più efficace l’idea della cosa in atto piuttosto che in fatto.

Documento umano: questa locuzione abusata è di E. Zola: document humain. V. le Roman experimental (Charpentier, 1880) e più particolarmente un capitolo del trattato Sul Romanzo (Du Roman) intitolato: Les documents humains. Secondo lo Zola il naturalismo si estende (e ne fu iniziatore il Balzac) su la letteratura: un romanzo può ridursi ad una semplice monografia, a una pagina di vita, à une tranche de vie. | Quanto alla verità vera ed eterna della teoria zoliana, vedi Dante, quanto alla formula o al recipe, vedi gli infiniti romanzi di ambiente e di monografie germogliati in così stucchevole copia attorno alla fiera pianta dell’arte dello Zola!

Dogo: V. Bull-dog.

Dolce far niente: frase italiana, tipica, antica, melodiosa, direi quasi estetica: caratteristica della razza, conosciutissima all’estero. Risponde forse a quel fìne senso filosofico per cui Belacqua dice a Dante: «quiescendo et sedendo anima efficitur sapiens». | Cfr. per l’origine storica del motto, Plinio il giovane (Epist. VIII 8): illud jucundum nil agere, e Cicerone (De Oratore, III, 24) nil agere delectat. Vero è che il tempo e le necessità hanno modifìcato tale dolce ozio: ad ogni modo è questo motto intinto di alcuna calunnia, avendo l’italiano alcuna sua speciale, geniale intensità nel lavoro, quando vuole.

Dolcetto: eccellente vino da pasto piemontese (Dogliani, Cortemiglia, Mondovì) color rosso rubino, leggermente abbocato, di gradevole sapidità. È vino che si consuma nell’annata: barberàto e barolàto dicesi a seconda che al mosto del dolcetto si fa compiere la fermentazione su le vinacce del Barbèra o dol Baròlo.

Dolicocèfalo: neologismo scientifico del linguaggio medico, dal greco dolicos = [p. 173 modifica]lungo e kefalè = testa. Dicesi come agg. di cranio ovale. Questo nome fu dato da Retzius ai crani umani formati in guisa che veduti dalla parte superiore sono ovali con il diametro longitudinale superiore d’un quarto circa al diametro trasversale. V. Indice cefalico.

Dolio: (lat. dòlium) grande vaso di creta presso i romani ove si teneva il vino nel periodo della fermentazione, prima di travasarlo nelle anfore. Più tardi fu fatto di doghe come le nostre botti.

Dolman: come voce della moda indica un mantello per signora, ampio, senza maniche, spesso con cappuccio. La voce completa è doliman, abito dei turchi, talare, di seta a fini tessuti vistosi, con pelliccia. Gli Ungheresi venendo al servizio di Luigi XIV, portarono in Francia questa foggia di sopra vesta di parata che essi tolsero dai Turchi. A noi certo venne per via della Francia.

Dolmen: voce celtica o gallica che dir si voglia; significa lastrone. | I dolmen sono antichissimi monumenti, sull’uso e su la natura dei quali gli archeologi, come al solito, non s’accordano. Probabilmente tombe. Consistono di una informe lastra di marmo che posa su due altre minori e verticali. Gran numero se ne trovò nella Gran Britannia e nella terra Armoricana. Furono creduti anche appartenere al culto druidico.

Domesticato: V. la locuzione Socialisti addomesticati.

Domicilio coatto: locuzione neologica (coactus = costretto, forzato) accolta dalla Crusca, cui risponde l’antica voce confine. Facoltà data per leggi al Ministero dell’Interno, per gravi motivi di sicurezza e di ordine publico, di designare por un termino da 6 mesi a 2 anni a’ recidivi e malviventi un luogo di residenza. Istituto adatto a fomentare più i vizi antichi e apprenderne di nuovi che ad emendamento. Dicesi per estensione familiare domicilio coatto di residenza ingrata o forzata.

Domi mansit, lanam fecit: rimase in casa, filò la lana: quattro parole epigrafiche che rendono e comprendono l’ideale dell’antica mater familias presso i romani.

A questo proposito oggi si è corso anche di troppo! V. Femminismo.

Dòmino: nome in antico dato al camauro de’ preti col cappuccio per difesa dal freddo, dunque letteralmente = al signore, pel signore. Così per simiglianza al detto camauro venne nel secolo XVIII in Francia chiamata quella nota specie di cappa che nei balli mascherati si indossa per occultare volto e figura. L’accento sull’o è indice della provenienza francese. Il Petrocchi ha ambedue le grafie dòmino e dominò. Per estensione poi domino indica la persona stessa che ne è vestita.

Don: (lat. dominus, donno = signore) usasi nel dialetto napoletano dinanzi al nome come titolo di cortesia. Nell’aristocrazia e segnatamente in quella lombarda, don e donna sono assai comuni come prefissi ai nomi di chi è insignito di titolo nobilesco. Don Lisander (Alessandro Manzoni). Notevole questo uso del don nelle regioni dove la Spagna ebbe più lungo e diretto dominio.

Donare: (fr. donner) vale dare in dono, ed è oggi francesismo usarlo per dare. — Salvini, Discorsi: «Il castigo che ai delinquenti si dona», così il signor Allan, op. cit. ma parmi poco dell’uso o affettato.

Don Chisciotte: dell’eroico e mirabilmente folle eroe del Cervantes il popolo intendendo solo il lato spavaldo e cavalleresco, dice per beffa don Chisciotte di persona che assuma o inutile o sproporzionata difesa altrui con vana iattanza. Tale senso estensivo è pure in fr. Don Quichotte, Don Quichottisme.

Donchisciottesco: aggettivo formato dal nome del noto eroe del Cervantes, Don Chisciotte. Dicesi di persona o azione che abbia alcun che di spavaldo, petulante, coraggioso, ingenuo talora; ma per questioni che non ne valgono il conto.

Don Cicillo: felice espressione dialettale napoletana che rendo nel suono istesso la persona che vuol significare, cioè il giovane elegante, manierato, che corteggia lo donne, che affetta signorilità e ricchezza. Tipo che si incontra dovunque, e con speciali caratteri in Napoli. | Registro questa [p. 174 modifica]parola locale perchè dimostra come il popolo sappia creare i propri vocaboli senza ricorrere a voci straniere. Don Cicillo = presso a poco a lion, gommeux etc.

Don Giovanni: dicesi familiarmente di audace, fortunato e spregiudicato conquistatore di donne: dalla nota leggenda spagnuola del 14° sec. dello scapestrato Don Juan Tenorio, immortalata da scrittori e musici.

Donna allegra: o ragazza allegra, e più frequentemente al diminutivo, donnina, dicesi di femmina di facili e liberi costumi, tale per elezione di vita.

Donna Fabia (Fabron de’ Fabrian): è il tipo stupendo della vecchia stupida dama aristocratica, comicamente immortalata nella Preghiera di Carlo Porta, il grande poeta meneghino. Donna Fabia così ringrazia il buon Gesù:

Mio caro e buon Gesù, che per decreto
Dell’infallibil vostra volontà
M’avete fatta nascere nel ceto
Distinto della prima nobiltà,
Mentre poteva, a un minim cenno vostro
Nascer plebea, un verme vile, un mostro,
.......................................
Io vi ringrazio che d’un sì gran bene
Abbia ricolma l’umil mia persona.

Secondo il Barbiera nel suo libro «La principessa Belgiojoso», il Porta avrebbe tolto il modello di cotesta dama da una marchesa di casa Trivulzio, di nome donna Margherita, la quale viveva appunto in quel tempo del Porta. «Signora marchesa, infine tutti siamo vermi», le diceva il curato della chiesa di S. Alessandro per temperare la albagìa di lei; cui ella rispondeva: «Sì, sono un verme, ma Trivulzio!». Il nome, almeno in Milano, ha valore estensivo e però qui è citato.

Donnée: voce francese, ed indica l’argomento, il soggetto e con precisa parola latina la favola di un dramma, di un romanzo, etc. La gente di mondo usa spesso quella parola.

Dont: gen. invariabile del pronome relativo francese, dal latino de unde, italiano donde di cui. Nel linguaggio di Borsa significa il premio che si deve pagare al venditore quando non si creda più opportuno eseguire un contratto antecedentemente stipulato (di cui è premio, etc.).

Dopo tutto: è proprio l’après tout francese: i modi nostri sono: in fine, alla fin fine, alla fin dei conti, po’ poi, in conclusione, da ultimo, insomma, etc. Il Tommaseo e il Rigutini hanno ragione da vendere quando condannano dopo tutto: i buoni scrittori lo evitano e dopo tutto questa locuzione appartiene al numero di quei modi di dire che si sono radicati nell’uso e toglierli vorrebbe dire non saper più come parlare, o far come i bimbi quando stabiliscono il giuoco di pronunciar parole con la esclusione di determinate lettere.

Doppìare: in marina significa passare a breve distanza, descrivendo un mezzo giro, dall’una all’altra parte di un capo, di una punta o di un’isola. Quando si passa in linea retta dicesi montare. Questo senso del verbo doppiare ci deve essere provenuto dal fr. doubler = passer outre, laisser de l’arrière. Doubler un cap, un rocher.

Doppietta: fucile a due canne, schioppa.

Doppione: da doppio: due opere usuali di una stessa edizione formano un doppione. Doppione, con uso recente, diconsi due parole che non variano se non per qualche particolarità grafica, non per il senso, indicando la cosa istessa. Es. incivilire e civilizzare. La lingua italiana oltre che di sinonimi difficili a bene usare, è ricchissima di doppioni, in molti casi appunto perchè la parola straniera tende a prevalere su la uguale parola buona italiana. Della natura del doppione così rettamente ragiona l’abate Romanelli, op. cit. «talvolta questi doppioni sono grafie diverse, o allotropie, cioè varianti fonetiche e morfologiche leggiere; che alcune, ormai stantìe e dialettali, vanno scomparendo ogni giorno, e quindi soltanto possono riuscire incomode ai dilettanti; e che, finalmente, ci son degli oggetti della natura e dell’arte, particolari e locali, che possono essere anche un po’ diversi nella materia e nella forma, i quali non sono fissi nè si posson fissare nella nostra, come forse in nessuna lingua viva. Eccone una lista: Abbadia, badia; brace, brage, bragia; briciolo, briciola; ciarpame, ciarpume; codesto, cotesto; danari, denari; [p. 175 modifica]dimani, domani; famigliare, familiare; frutte e frutta; geste e gesta; giovane, giovine; gocciola, gocciolo; grembiale, grembiule; guattero, sguattero; guscia, guscio; lacrima, lagrima; lazzaretto, lazzeretto maraviglia, meraviglia; macine, macina; occhialetto, occhialino; romore, rumore; scandalo e scandolo secreto, segreto; soggezione suggezione; viottola, viottolo. E ne’ verbi: arrossare e arrossire; ammansare e ammansire; assordare e assordire; impazzare e impazzire; indurare e indurire, e simili. Or tale ricchezza di doppioni di questa specie, che è maggiore nello lingue che han più lunga storia (e basterebbe dare un’occhiata al greco e al latino), non è male avvertire che arreca pure qualche vantaggio: di poter evitare ripetizioni monotone, scontri molesti di suoni, allitterazioni o rime, assonanze e consonanze».

Dorée: in Jeunesse dorée è locuzione comune presso di noi. V. Jeunesse.

Dormeuse: poltrona grande, elastica e profonda ove ci si sdraia come in un letto. È certo che il francese nel creare certi vocaboli significativi è felicissimo. Cfr. del resto la nostra voce poltrona da poltrire.

Doublé face: fr., detto delle stoffe, a due dritti.

Dormir con la serva: modo popolare toscano, esteso ad altre regioni, che vuol significare esser semplice, ignorante come un fanciullo. Così detto dall’uso di far dormire i bimbi con la serva?

Dormir tra due guanciali: dicesi di chi non ha veruna cagione di sospetto o timore.

               In illo tempore, quando i mortali
               se la dormivano tra due guanciali...
                              Giusti, Preterito più che perfetto.

Dorsay: fr., così chiamano i sarti l’abito maschile a falde.

Dos-à-dos: dosso contro dosso, figura di ballo in cui i danzatori si volgono lo spalle. Coi balli di Francia vennero necessariamente i nomi che noi accettammo senza modificarli, ma accontontandoci solo di storpiarli nella pronuncia.

Dossier: (radice dos, dosso) usatissimo in Francia nel senso di pratica, incartamento riguardante persona, affare, tende a penetrare nel nostro linguaggio.

Dottora: femminile di dottore e meno comune di dottoressa. Ora le donne addottorate in qualche disciplina, così fiere come esse oggi sono della loro dignità, come chiamarle? a dottora non ci si ausa e dottoressa sa di saccente, e pare contenere in sè alcuna parte di scherno o almeno di estraneo all’ideale femminista: onde è che le donne che hanno diploma di laurea, scrivono spesso sul biglietto dottore, quasi nome partecipante. La grammatica del Morandi e Cappuccini (§ 138) approva questo nuovo uso femminile di dottore. Così in fr., femme docteur.

Dottrina di Monroe: propr. è la dichiarazione di Giacomo Monroe (Mennro) 1759, 1831, presidente degli Stati Uniti d’America, che l’Unione non tollererebbe l’ingerenza di nessuna potenza d’Europa nella lotta d’indipendenza dell’America meridionale. V. Monroe.

Doublé (oro): la parola italiana press’a poco consimile è similoro. Doublé francese significa foderato, coperto cioè di lieve lamina d’oro o d’argento. Dicono anche plaqué che da noi si legge tradotto in placcato e, per l’amore alla libertà, anche placato. Doublé usasi anche in senso morale: Un giurista doublé di filosofo scrive un nostro elegante letterato.

Doubler: fr. letteralmente doppiare, spesso da noi è usato in vece di foderare; e così doublure in vece di fodera. L’italiano ha anche la parola soppannare usata un tempo, oggi quasi caduta dall’uso.

Douloureuse: nel gergo francese vale il conto, (la carte d payer).

Do ut des: do, affinchè tu dia, espressione latina, più della tristo necessità che regge la vita che di freddo egoismo. Dicesi molte volte come scherzoso intercalare quando uno, favorendo altrui, domanda in ricambio alcun beneficio.

Doventare: per diventare «è forma grossolana e da evitarsi in polita scrittura», così il Rigutini: infatti è piuttosto una allotropia di vocabolo comune in Toscana, e dal Giusti accarezzata di troppo.

Dovere: «fr. devoir, è per noi ciò che l’uomo è obbligato di fare dalla ragione, [p. 176 modifica]dalla morale, dalle leggi, dalla sua condizione, dalla civiltà. È quindi improprio per ogni leggiera convenienza. Dicono alcuni, nota il Tommaseo (Sin. 2456), «Fo il mio dovere, e faranno un inchino. I miei doveri a casa, e questo significa i miei saluti. E gente che così parla è la più noncurante spesso de’ veri doveri». Manz. X: «La voce era corsa; e i parenti e gli amici venivano a fare il loro dovere». La stessa enfasi si sente in dovere per compito assegnato dal maestro, lavoro di scuola. Comune nel dialetto lombardo e piemontese.» Così il sig. Allan, op. cit. Vero è che esso è uno di quei gallicismi sanciti dall’uso.

Draga: parola comune con la quale si indica quell’istrumento meccanico fatto di cucchiai e di gran bracci a leva, adoperato specialmente per togliere ai porti, fiumi, canali, il deposito di fango che toglie il passaggio alle navi. Draga ci provenne dal francese drague. La nostra parola è cava-fango. Oggi la meccanica costruisce cava-fanghi a vapore poderosissisimi (V. Pirodraga) che rendono navigabili alle maggiori navi porti e canali che altrimenti sarebbero in breve interrati. Drague, dall’ingl. drag, trarre.

Dragomanno: nome dato in Oriente a certi ufficiali che si prestano come interpreti fra gli indigeni e gli stranieri nei processi, le udienze, le cerimonie, etc.

Draisienne: istrumento inventato nel secolo XVIII da certo Barone Drais di Sanerbonn, simile presso a poco ai nostri primi cicli di legno, a due ruote uguali ma senza pedali, e che si poneva in moto puntando i piedi in terra. La draisienne rappresenterebbe il tipo primo e imperfetto, rimasto per lungo tempo immobile, della famiglia gloriosa della bicicletta.

Dramatis personae: nelle antiche stampe dei drammi antichi leggonsi queste parole latine che vogliono dire le maschere (giacchè nel dramma greco solevano gli attori magnificare il volto con speciali maschere) ovverosia i personaggi del dramma. Per estetica ricercatezza di frase il modo antico è talora rinnovato dai moderni, oppure così si dice con intendimento faceto per indicare gli autori di un dato avvenimento.

Drap: tessuto di lana in cui trama od ordito sono coperte da lieve peluria; voce di incerta origine. In italiano v’è drappo, ma nel linguaggio della moda vince la pronuncia e la voce francese.

Drawing Frame: locuzione inglese che non esce dal linguaggio de’ filatori di cotone; in italiano stiratoio e letteralmente intelaiatura della macchina da stirare.

Drenaggio: voce internazionale: francese drainage, tolta dall’inglese draining = bonifica, prosciugamento di terra. Voce oramai invalsa per indicare lo scolo o spurgo dei terreni aquitrinosi o palustri mediante opere e canali sotterranei. I puristi giustamente consigliano la voce fognatura, se non che nell’uso per fognatura parmi che si intenda specialmente lo scolo delle cloache nelle città. | Drenaggio, in medicina significa quella cura che consiste nell’aiutare lo scolo de’ liquidi interni dell’organismo mantenendo aperto l’orificio con un tubo (drain) o con filacce.

Drizza: nel ling. mar. vuol dire ghia o paranco, con cui si alzano antenne, picchi e vele.

Drop: voce inglese che significa gocciola e così in commercio si chiamano talvolta quelle caramelle sferiche di vari sapori e colori che l’Inghilterra ha messo di moda.

Dublè: V. Doublé.

Dulcamara: per ciarlatano. Dall’Elisir d’Amore del Donizetti. | Dulcamara propriamente è una pianta sarmentosa della famiglia delle Solanacee usata in medicina come diuretica e depurativa. Il nome le proviene dalla sensazione prima dolce poi amara che dà a chi la assaggia.

Dulce et decorum est pro patria mori: antica massima sublime, da Orazio (Odi III, 2, 13) così armoniosamente espressa. Dolce e nobile cosa è morir per la patria. Orazio, a vero dire, preferì gettar lo scudo, vantarsene a iattanza di viltà, e vivere bene finché gli fu concesso. La massima, ripetuta nei secoli, va oggimai perdendo il suo valore intimo a cagione dei mutati sensi e delle mutate condizioni della nuova civiltà: conserva tuttavia il suo stupendo valore storico.

Dulcinèa: scherzosamente per amante, amorosa. Dulcinèa del Toboso, l’amante [p. 177 modifica]imaginaria del meraviglioso Don Chisciotte, la cagione occulta delle immortali sciocchezze del pallido e squallido Cavalier dalla Triste figura. Dulcinée pur nel gergo fr. vale ironicamente, amante, maitresse.

Dulcis in fundo: l’opposto di: in cauda venenum: il dolce in fine, riferito alle cose che hanno lieto fine o alle notizie buono messe in fino per maggior conforto e compenso.

Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur: la cittá di Sagunto nel 218 av. C. dopo avere chiesto soccorso a Roma, si arrendeva ad Annibale. Cfr. Livio, libro XXI, 7. Mentre a Roma si delibera, Sagunto è presa. Motto divenuto proverbiale per chi in gran frangente indugia a risolvere.

Dura, Durra, Durrha: è il nome arabo del Sorghum vulgare, pianta graminacea che si coltiva anche in Europa, e in Italia chiamasi Sorgo, Saggina, Melica, nonchè delle sue varietà dette Sorghum Durra e Sorghum cernuum, coltivate in Egitto, nell’Abissinia e nell’Africa centrale. Voce assai nota al tempo delle guerre d’Abissinia.

Dura madre: lat. dura mater, meninx fibrosa, fr. dure-mère, è la membrana esterna del cervello e del midollo spinale, fatta di tessuto connettivo con fibre elastiche, aderente alla superficie interna del cranio. Essa è una delle tre membrane dette con sola voce meninge, avvolgente l’apparecchio cerebro-spinale e spesso dura madre = meninge, onde meningìte col solito suffisso in ite, significa infiammazione della meninge.

Duvet: la peluria sottostante alle penne di alcuni palmipedi, oche, cigni, etc.; se ne fanno cuscini e imbottite, e si talvolta la parola francese.