Didone, Reina di Cartagine

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Didone, Reina di Cartagine
XXXIX XLI
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CAPITOLO XL.

Didone, Reina di Cartagine.

Dido, la quale prima ebbe nome Elisa, fu edificatrice di Cartagine. E piacemi a lode di questa parlare alquanto più lungamente, se per ventura con le mie poche lettere potessi in alcuna parte almeno tor via la infamia messa indegnamente all’onore di castità. Acciocchè io cominci alquanto più di lungi a [p. 186 modifica] sua gloria i popoli di Fenicia, secondo che è assai famosa cosa, molto conosciuti per industria, venendo quasi dell’estremità dell’Egitto allo lido di Soria, edificarono in quello molte famose città. Fra gli altri fu loro re Agenore, famoso al nostro tempo non che al suo; dal quale fu creduto che discendesse la gloriosa schiatta di Dido, lo cui padre fu Belo, re di Fenicia; lo quale nell’isola di Cipro1, soggiogata da lui, morì. E alla morte lasciò la giovinetta e Pigmalione, alquanto maggiore, suo figliuolo, raccomandando quegli ai suoi cittadini; i quali fecero re Pigmalione in luogo di suo padre, e Elisa, eccellentissima di bellezza, diedero per moglie a Aterbo, chiamato Sicheo, sacerdote d’Ercole, lo quale avea maggior degnità appresso del re: questi s’amarono insieme con gran santità. Era Pigmalione oltre a tutti gli uomini cupidissimo e insaziabile d’oro, così Sicheo era ricchissimo; benchè, conosciuta l’avarizia del re, egli tenesse nascosta2 la sua moneta; ma non avendola potuto nascondere [p. 187 modifica] alla nominanza, tratto Pigmalione da cupidità, per avere speranza d’avere lo suo tesoro, uccise a tradimento lo cognato, lo quale non si guardava. La qual cosa come Elisa seppe portolla sì impazientemente, che appena s’astenne d’uccidersi . E avendo consumato molto tempo indarno, e pianto, chiamando ispesse volte lo suo diletto Sicheo; e mandata contro a suo fratello, e chiamata ogni crudele bestemmia, deliberò fuggire; o che ella l’avesse per ammaestramento di visione, secondo che dicono alcuni, o che ella lo facesse per proprio consiglio di sua mente; forse perchè l’avarizia del fratello non conducesse anco lei alla morte. E messa giuso la debilezza di femmina e fermato l’animo con fortezza d’uomo (per la qual cosa ella meritò d’essere chiamata dappoi Dido in lingua di Fenicia che e a dire in lingua latina forte donna) innanzi all’altre cose trasse a sua volontà alcuni de’ principi delle cittadi, i quali per varie cagioni ella sapeva avere in odio Pigmalione: e tolte le navi del fratello, apparecchiate per mandare lei3, o per altra ca[p. 188 modifica] gione, fece subito riempierle dai compagni. E di notte, tolto lo tesoro del marito, il quale ella sapeva, e quello che ella potè torre al fratello, fecelo nascosamente mettere in nave; e con deliberata malizia fece legare fardegli pieni d’arena sotto vista che fusse lo tesoro di Sicheo, e in presenza d’ogni uomo fecegli mettere in mare, cioè in nave. E essendo già larghi în mare, maravigliandosi quegli4 che non sapevano il fatto, comandò, che i detti fardegli fussero gittati in mare; e con lagrime affermò, sè5 aver trovato modo di aver la morte, la quale ella avea lungamente desiderata, avendo gittato in mare lo tesoro di Sicheo; ma dice, che6 avea compassione ai compagni, i quali, ella non dubitava, se ne andassino a Pigmalione, essere con lei insieme duramente tormentati dallo avarissimo e crudelissimo re; ma se [p. 189 modifica] eglino volessero fuggire con lei, affermò di non mancare a loro, e a’ suoi bisogni. La qual cosa udendo i miseri nocchieri, benchè gravemente lasciassero la patria dove egli erano nati, e le proprie case, nondimeno per paura della crudel morte impauriti consentirono lievemente d’andare in esilio. E volte le navi, a guida di quella andarono in Cipro: dove ella levò fanciulle, le quali, secondo loro usanza, in sul lido pagavano a Venere la loro prima verginità, per piacere de’ suoi giovani, e per generar li figliuoli; e tolse per compagnia del suo cammino il sacerdote di Giove, e tutta sua famiglia, lo quale indovinava grandi cose di quella fuga. E già lasciandosi alle spalle Creta, e Sicilia dal destro lato, piegò dal lato di Barberia, e entrò nel paese de’ Messali, e finalmente nel golfo assai cosciuto: dove essendo sicuro lo stare delle navi, determinò di dare alquanto di riposo a’ nocchieri, che erano stanchi. E venendo i vicini per desiderio di vedere i forestieri, e alcuni portando vettovaglia e mercatanzia; secondo usanza, cominciarono a pigliare e fare insieme amistà e parentado. E parendo grato agli abitatori, che quegli forestieri rimanes[p. 190 modifica] sero in quel luogo, e essendo venuti ambasciadori da Utica, posta similmente per quegli che erano venuti da Tiro, e quegli confortando pigliare 7 sede in quel luogo, subito andarono, e comperarono solamente in su quel lido tanta terra quanto volgesse un cuojo di bue (benchè ella avesse udito, che il suo fratello la minacciava perseguirla, non impaurita) perchè mostrasse non fare ingiuria ad alcuno, e alcuno non sospettasse, in quella essere gran cosa per lo tempo che dovesse seguire 8. E questo fu scaltrimento di femmina! per suo comandamento fu tagliata quella pelle di bue in sottilissime correggiuole, e giunta l’una con l’altra, presero molto più, che non pensavano 9 i venditori: e edificò battagliera città sotto l’augurio di una trovata testa di cavallo; la quale ella chiamò [p. 191 modifica] Cartagine, e la rocca Birsa dalla pelle di bue. E mostrato lo tesoro che avea tenuto nascosto10, e confortato li compagni, che erano fuggiti con lei, a grande speranza; subito furono levate le mura, i palagi, i templi, le mercatanzie e pubbliche e private. E avendo ella dato al popolo leggi, e la regola del vivere, e subito essendo cresciuta la nobile città; fu famosa per tutta Africa di grande bellezza e non veduta altra volta, di non udita virtù e castità. Per la qual cosa, essendo quegli d’Africa sommamente inchinevoli a lussuria avvenne, che il re de’ Musicani s’innamoro di lei, e domandò quella11 per moglie ai maggiorenti di Cartagine; minacciando, se non gli fusse data, far guerra, e guastar la città che cresceva. E sapendo li cittadini lo sacro proponimento di quella vedova reina della inflessibile castità; e temendo per sè molto, essere disfatti per la guerra12, se quello domandatore fusse ingannato di suo [p. 192 modifica] desiderio; non arditi di dire a lei quello che domandava che quello volesse; pensarono ingannare la reina con parole, e trarla a suo volere con la sentenzia13 di quella medesima. E dissero a lei, che lo re desiderava ridurre la sgominata gente a più umani costumi, e per questo domandava a loro alcuni ammaestratori, minacciando fare guerra, se non gli fussero dati: e dissono, ch’erano in dubbio, chi dovesse pigliare quella fatica, e lasciare la patria per andare a vivere con sì aspro re. La reina non s’accorse dell’inganno; ma volta a quegli, disse: O nobili cittadini, che ignoranza e che viltà è la vostra? non si può dire, che quello sia dirittamente cittadino, lo quale per la pubblica salute rifiuti la morte, od altra incomodità, se cagione lo richiede14: dunque andate allegri, e con poco vostro pericolo rimovete dalla patria lo gran furore della guerra. Con queste riprensioni della reina parve a quegli principi, avere [p. 193 modifica] ottenuto quello che egli volevano; e parve loro discoprire i veri comandamenti del re. Le quali cose udite, assai parve alla reina, sè avere affermata la deliberazione con la propria sentenzia; e in sè medesima si dolse, non osando 15 contraddire allo inganno dei suoi. Ma, stando 16 ferma in suo proponimento, subito fece questa deliberazione, la quale le parve di bisogno a sua onestà: e disse che mariterebbe, se le fusse dato termine. Lo quale essendole conceduto; e sopravvenendo Enea Trojano non veduto mai; deliberò, piuttosto volere morire, che rompere sua castità: ordinò uno grande fuoco nella più alta parte della terra, per quietare l’anima di Sicheo, secondo lo credere dei cittadini; e vestita di nero, servando varie cerimonie, e sacrificati molti animali, montò 17 sopra quel rogo in presenza di molti citta[p. 194 modifica]dini, i quali guardavano che ella dovesse fare. Le quali cose avendo fatte tutte per voto, trasse fuori un coltello, che ella avea sotto le vestimenta; e messo quello innanzi al castissimo petto, chiamato Sicheo, disse: Secondo che volete, cittadini miei, io vo’ a marito: e appena fornite queste parole, con somma tristizia d’ogni uomo, lasciossi cadere sopra il coltello; e soccorrendo quegli per ajutarla, avendo offesi i luoghi della vita, morì ispargendo lo sangue onestissimo. O Dio! alla tua onestà fu fatta forza, e tu fosti eterno e venerabile onore di viduità! Vorrei che le donne vedove guardassino a te, e inispezialità quelle che sono cristiane guardassino alla tua fortezza 18; e,se elle possono, con intera mente considerino te, la quale spargi lo tuo santissimo sangue; e quelle in ispezialità, alle quali fu levissima cosa non dirò andare 19 al secondo marito, ma al terzo, al quarto, e oltre. [p. 195 modifica] Io dimando, quelle che diranno, che hanno le ’nsegne della fe’ di Cristo, guardando quella di strana nazione, e infedele, e dalla quale Cristo non era conosciuto, ad acquistare la lode che deve perire 20, con così costante animo e con fermo proposito procedere infino alla morte non ricevuta da altri, anzi dalla propria mano, innanzi che ella volesse con sentire al secondo matrimonio, e innanzi che ella permettesse, essere isforzato lo venerabilissimo proponimento della sua osservanza? E perchè le donnè del nostro tempo sono sottilissime a scusarsi, alcuna dirà, secondo che io penso:: Ella dovea fare così perchè ella era abbandonata alla morte dal padre, e dalla madre e da’ frategli; i vagheggiatori la stimolavano con lusinghe: io non potrei contrastare; io sono di carne, e non di ferro. O che giuoco è questo! Dido di cui aiutorio si fidava, la quale avea un solo fratello, e quello era nimico? non ebbe Dido molti vegheggiatori? anzi era Dido di pietra e di legno più che [p. 196 modifica] l’altre donne del nostro tempo? dunque con la mente ciascuna è possente assai: ella fuggì, morendo, per quella via, chè ella pensava, non potere resistere con la forza. Ma noi, i quali diciamo, essere sì abbandonati, non abbiamo noi Cristo per rifugio? e egli è certamente nostro ricuperatore, sempre presente a quegli che sperano in lui: pensi tu, che quello il quale campò i Fanciulli della fornace del fuoco, che liberò Susanna dal falso peccato, non possa campare dai legami delle mani dei nemici? Piega a terra gli occhi, e serra gli orecchi; e a simiglianza di uno scoglio ricevi l’onde che sopravvengono; e non muovendoti lascia stare i venti, e rimarrai salva. E forse un’altra dirà: Io avea grandi possessioni, casa bellissima, masserizie reali, e gran quantità di ricchezze; molto desiderava avere figliuoli, acciocchè tanta ricchezza non passasse agli stranj. Ma questo è matto desiderio: non avea Dido regno senza figliuoli? non avea ella ricchezza di re? che dirai tu? Ella rifiutò esser madre, perchè savissimamente pensò, che niuna cosa è più stolta che guastare i suoi fatti per fare gli altrui. Dunque macchierò io la castità per acquistare posseditori ai campi, [p. 197 modifica] alla splendida casa, e alle masserizie, e che spesso avviene che sono consumatori? e se tu hai ricchezze grandi, certamente tu le dei spendere, e non gettar via21: molti sono poveri di Cristo, ai quali infino a che tu dai le ricchezze, tu edifichi per te eterni palagi, e illumini la tua castità d’un altro splendore. Ancora avemo gli amici, de’ quali niuno è più convenevole erede 22, perchè ciascuno gli ha sì fatti come egli li domanda 23; ma i figliuoli non sono sì fatti come tu gli vuoi, ma quali la natura gli produce. Verrà la terza, e dirà, che le conviene così fare, perchè lo padre gliele comandò, e perchè i parenti ne la costringono, i vicini ne la confortavano; quasi come noi non sapessimo, che il suo appetito l’avesse confortata, anzi l’avesse comandato quello disfrenato; d’una negazione24 [p. 198 modifica] avrebbe annichilato ogni cosa: Dido potè morire per non vivere disonesta, questa non potè negare lo matrimonio per vivere onesta. Forse si presenterà un’altra, che (a suo credere)25 sarà più scaltrita che le altre, e dirà: Io era giovane; (come tu sai) la gioventù è calda; io non potrei stare continente: lo Dottore delle genti dice, che meglio è maritarsi, che ardere 26: lo cui consiglio io seguito. O come bene è detto questo! quasi come io sia un fanciullo, e comandi stare casto alle vecchiette 27, o come Dido non fusse giovanetta 28 quando dispose stare casta. O come quella è scellerata opera! non sia tolta in devozione 29 la parola di San Paolo così santo, ma 30 anzi piuttosto a difensione del peccato molto s’alleghi, quello [p. 199 modifica] che è più brutta cosa! Noi possiamo restaurare la mancata forza co’ cibi e non possiamo menomare coll’astinenza la superflua? Quella pagana donna per vanagloria potè signoreggiare allo suo ardore, e porgli legge; e una donna cristiana per acquistare vita eterna non potrà signoreggiare sè medesima? Oimè! mentre noi pensiamo31 ingannare Iddio con sì fatti modi, sottraiamo noi medesimi allo caduco onore, non dico allo eterno, e sospingiamo noi medesimi allo pericolo d’eterna dannazione32 . Dunque si vergognino quelle che considerano lo morto corpo di Dido33; e pensando la cagione di sua morte, alleggino34 lo volto dolendosi, quella che è cristiana essere avanzata in onestà da quella che è membro di diavolo. Nè pensino, che, come [p. 200 modifica] hanno pianto il morto corpo vestite di nero, abbiano fatto ogni suo dovere: deesi salvare l’amore infino alla fine, se vogliono35 adempiere l’officio del vedovatico; e non pensino passare ad altro amore. La qual cosa alcune fanno piuttosto per satisfare a suo ardore sotto colore del matrimonio, che per ubbidire al sagramento del matrimonio: e che tanto è cercare consorzio di tanti uomini, e a tanti congiungersi, che, seguendo Valeria Massalina36, entrare per le caverne, e per gli luoghi disonesti. Ma di questo altra volta si dirà; perchè confesso, avere passato troppo i termini del cominciato lavorio: ma chi è quegli che sia sì suo signore, che alcuna volta37 non sia tratto del suo proposito? Domando perdonanza a quegli che leggerà: e io tornerò onde io mi partii. Dunque i suoi cittadini con pubblico pianto e tristizia celebra[p. 201 modifica] rono la sepoltura di Didone, grande e magnifica non solamente d’onori umani, ma eziandio di divini a suo potere; e onoravano quella non solamente in luogo di comune ma dre e reina, ma in luogo di gloriosa Dea. E continuamente obbedendo a quella infino che durò Cartagine, ebbero quella in reverenzia con are38, templi e sacrificj39.

Note

  1. Cod. Cass. loquale soggoghato dalluj nellisola discipris mori.
  2. Cod. Cass. egli tenne sinaschosta.
  3. Cod. Cass. per mandare allej. Test. Lat. ad eam transferendam.
  4. Cod. Cass. maravigliandosj quasj. Test. Lat. mirantibus ignaris.
  5. Cod. Cass. affermossi avertrovati. Test. Lat. se ... adinvenisse testata est.
  6. Cod. Cass. ma dicie chellungamente avea compassione.
  7. Cod. Cass. quegli chonfortavano pigliare.
  8. Cod. Cass. perchè alchuno mostrasse farle ingura nonche alchuno inquella essere granchosa per lo tempo che dovesse seguire. Test. Lat. ne injuriam inferre cuiquam videretur, et ne quis eam magnum aliquid suspicaretur facturam, ecc.
  9. Cod. Cass. avenditorj. Test. Lat. longe amplius, quam arbitrari potuerunt venditores.
  10. Cod. Cass. tenuto chasto.
  11. Cod. Cass. e domandando quella. Test. Lat. postulavit.
  12. Cod. Cass. per la grazia.
  13. Cod. Cass. sentita.
  14. Cod. Cass. onde altra ineomandita_secha- gione non richiede. Test. Lat. si casus postularet, ne dum incommodum aliquod.
  15. Cod. Cass. nonne usando. Test. Lat. non ausa.
  16. Cod. Cass. mostrando ferma. Test. Lat. stante tamen proposito.
  17. Cod. Cass. molto sopra quel luogho. Test. Lat. rogum construxit . . . illum conscendit.
  18. Cod. Cass. alla tua fortezza. Test . Lat. tuum robur.
  19. Nel Codice si desidera il verbo, omesso dall’amanuense.
  20. Cod . Cass . che diperire. Test. Lat. perituram.
  21. Abbiamo volto il verbo abjicere del Test . Lat. nell’altro gettar via seguendo il Betussi. Test. Lat. divitiæ... expendendæ non abjiciendæ.
  22. Cod. Cass. ede de.
  23. Cod. Cass. chomegli lo do mefigliuolj.
  24. Cod. Cass. dunanazione. Test. Lat. negatione unica.
  25. Cod. Cass. cheassuo potere. Test. Lat. suo judicio.
  26. Betus. Test. Lat. quam uri.
  27. Betus. Test. Lat. aniculis.
  28. Betus. Test . Lat. juvencula.
  29. Cod. Cass. indevisione.
  30. Cod. Cass. chosj santamente anzj. Test. Lat. a Paulo tam sancto ... quin in defensionem facinoris, ecc.
  31. Cod. Cass. possiamo. Test. Lat. arbitramur.
  32. Cod. Cass detterna nazione. Test. Lạt. damnationis.
  33. Cod. Cass. morto chorpo diddio. Test. Lat. Didonis cadaver.
  34. Cod. Cass. allegrino. Test. Lat. vultus dejiciant. La voce alleggiare è da noi sostituita a quella del Codice.
  35. Cod. Cass. se vuole. Test. Lat. adimplere velint.
  36. Cod. Cass. volere meschalchia. Test. Lat. Valeriam Messalinam.
  37. Cod. Cass. che alchuno non sia tratto. Test. Lat. aliquando.
  38. Cod. Cass. ebbero quella reverenzia chonarti. Test. Lat. aris coluere.
  39. Nel leggere queste sentenze durerà fatica a credere il leggitore, essere state scritte da quel Boccaccio, che in tanta furia di laidezze trascorse nelle pagine del Decamerone. Ma poniamo mente al morale cangiamento della vita di M. Francesco, e sarà tolto ogni dubbio, anzi torremo argomento, avere il medesimo scritto il Libro delle Donne Illustri dopo il 1362, nel quale anno egli fu tornato a mente più pura dal P. Gioacchino Ciani Certosino. Boccaccio menava i giorni a mo’ di persona solo del presente sollecita, e dava sciolta la briglia a sua libidine; e dipingendo nel Decamerone la varia natura degli uomini in varia condizione di vita, propinava ad altrui quel veleno, del quale avea corrotta la mente ed il cuore. Quando, vicino a morte il Beato Pietroni Certosino, uomo tutto di Dio, quasi confortato da superno volere, mandò per M. Boccaccio un confratello di lui P. Gioacchino Ciani, perchè lo traesse di quella pozzanghera di vizj. Come ilbuon frate si fu al cospetto di Boccaccio, prendendo i modi di persona diputata da Dio, dissegli: Sovrastargli prossima e miseranda fine, se non rimetteva dalle turpitudini, e dal trarre altrui in lussuria co’ suoi scritti. Queste e simili cose dicendo il frate, Messer Boccaccio fu colto da grandissimo spavento; e tanto fermò l’animo suo nel divisamento di darsi a Dio, che forse in qualche convento avrebbe finiti i suoi giorni, se non l’avesse stornato l’amico di lui Petrarca. Se dunque in queste Vite, o leggitore, tu vedi Boccaccio dar documenti di morale differenti da quelli del Decamerone, tienlo per convertito; e poni, essere stato scritto questo Libro dopo il 1362, nel quale anno, cangiata la mente dell’autore, questi cangiò anche foggia di scrivere.