De gustibus non est disputandum/Atto II
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ATTO SECONDO
SCENA PRIMA.
Giardino.
Don Pacchione e Ramerino.
Un piacer bramerei, giacchè siam soli.
Ramerino. Sì, sì, v’intendo, amico.
Poichè nessun ci vede,
Sotto questa de’ faggi ombra diletta,
Voi vorreste giocare alla bassetta.
Pacchione. No, v’ingannate assai:
Codesto vizio non l’ho avuto mai.
Quando ho danari in tasca,
A me piace goderli in compagnia
Cogli1 amici in mia casa, o all’osteria.
Ramerino. Piace anche a me la società. Goduto
Al magnifico pranzo ho anch’io non poco.
Ora il tempo passar vorrei col gioco.
Pacchione. A proposito, appunto
Del pranzo ho da parlarvi.
Ramerino. Voi stamane
Non avete mangiato.
Povero don Pacchion, siete ammalato?
Pacchione. Anzi sto ben, con il celeste aiuto;
Ma soffrire ho dovuto,
Per certa convenienza,
Il tormento crudel dell’astinenza.
Ramerino. Non intendo il perchè...
Pacchione. Saper vorrei
Come riuscì quel piatto di vitello.
Ditemi s’era buono, in cortesia.
Pacchione. Oh vita mia!
Ramerino. Il cuoco miglior cosa
Non ha fatta stamane, a gusto mio.
Pacchione. Di quel piatto l’autor sono stat’io.
Ramerino. Bravissimo!
Pacchione. Era buono?
Ramerino. Era esquisito.
Pacchione. Ben cotto? saporito?
Ramerino. Era eccellente.
Pacchione. Ed io non ne ho potuto mangiar niente.
Ramerino. Perchè?
Pacchione. Perchè Artimisia,
Ch’io venero e rispetto,
Ha per me dell’affetto;
Ma perchè troppa carne
A lei fa dispiacenza,
Distruggere mi vuol coll’astinenza.
Ramerino. Bellissima davvero!
Artimisia vi vuol parco, astinente,
Ella mangia, ella beve allegramente;
Come colui che sgrida il giocatore,
Poi si mette a giocar da traditore.
Se uno specchio avesse in mano
Chi corregge i vizi altrui,
Principiar dovrebbe in lui
Le passioni a moderar.
Per superbia l’uomo insano
Dell’altr’uom le macchie vede;
Nè si specchia, e non s’avvede
Ch’è vicino a delirar. (parte
SCENA II.
Don Pacchione, poi Rosalba.
Non dice mal. La vedova gentile
Mi vuol digiuno con le grazie sue,
Ed ella a desinar mangiò per due.
Se cibo degli amanti è la speranza,
O Artimisia vezzosa amor non sente,
O dall’amante suo non spera niente.
Rosalba. Don Pacchione, che fate?
A bere non andate,
Come gli altri, il caffè?
Pacchione. Sì, andiamo tosto.
Rosalba. Andiamo... No, fermate.
Ecco il paggio; osservate.
Ve lo manda Artimisia in questo loco.
Pacchione. Me lo manda Artimisia? Ah, non è poco.
Rosalba. Eccolo; don Pacchione,
Volete ch’io vi serva?
Pacchione. Simili grazie non ricuso mai.
Rosalba. Poco zucchero, è vero?
Pacchione. Assai, assai.
Rosalba. Basta?
Pacchione. Un altro pochino.
Rosalba. Così?
Pacchione. Così va bene.
Rosalba. Siete un ghiotto perfetto.
Pacchione. Lo zucchero per me fa bene al petto.
Rosalba. Questo dolce sciroppo2 or via pigliate.
Pacchione. Lo beverò con gusto.
SCENA III.
Artimisia e detti.
Pacchione. Ma perchè?
Rosalba. Poverino!
Deh lasciate ch’ei beva
Questo caffè di zucchero ripieno.
Artimisia. Non signore.
Pacchione. Perchè?
Artimisia. Perchè è veleno.
Pacchione. Veleno?
Rosalba. (Oimè, che dite?) (piano ad Artimisia
Artimisia. (State zitta; ridete, e non partite). (piano a Rosalba
Pacchione. Qual tradimento è questo?
Artimisia. Tal periglio funesto
Per cagione del merto a voi sovrasta.
Ho scoperto l’arcano, e tanto basta.
Pacchione. Chi vuolmi avvelenar?
Artimisia. Tutti.
Pacchione. Ma come?
Artimisia. L’amor, la stima che ho per voi nel petto,
Tutti accese d’invidia e di dispetto.
A comperar veleni
So che taluno è stato,
E voi temer dovete
Tutto quel che mangiate e che bevete.
Pacchione. Dunque me n’anderò.
Artimisia. Mi maraviglio.
Voi dovete restar.
Pacchione. Ma se mi vogliono
Avvelenar?
Artimisia. Difendervi potete.
Basta che non mangiate e non bevete.
Pacchione. Mangiare, o non mangiar, per me è tutt’uno;
Voglio di qua partir.
Artimisia. Tutte le porte
Chiuse voi troverete;
Senza licenza mia non partirete.
Pacchione. Deh, Rosalba gentile,
Parlate in mio favore.
Rosalba. Io non m’imbroglio.
Pacchione. Deh, lasciate ch’io parta.
Artimisia. No, non voglio.
Pacchione. Maledetto il momento
Ch’io son venuto qui! Muoio di fame,
Non posso satollarmi,
E poi vogliono ancora avvelenanti?
Se morto mi volete,
Pacchione creperà;
Ma ammazzatelo presto, in carità.
Donne crudeli e perfide,
Donne spietate e barbare,
Toglietemi d’impaccio,
Deh fatemi crepar.
Con una spada ziff,
Con un coltello zaff.
O con un laccio ih!
O con un maglio ah!
Ma nel mio seno
Non vuò veleno;
Ma l’astinenza,
Ma l’appetenza
Mi fa tremar.
Crudeli e perfide,
Spietate e barbare,
Di mal di stomaco
Non vuò crepar. (parte
SCENA IV.
Artimisia e Rosalba.
Più non potevo trattener le risa.
Il pover galantuomo
Soffre per cagion vostra un bel tormento.
Artimisia. Questo è l’unico mio divertimento.
Rosalba. Ma coll’andar del tempo,
Se non cangiate in suo favor pensiero,
Fra il digiuno e il timor morrà da vero.
Artimisia. Infino a questa sera
Bastami di goder la bella scena;
Procurerò disingannarlo a cena.
Rosalba. Ah non vorrei, signora,
Si dicesse perciò quel che sì spesso
Gli uomini soglion dir del nostro sesso.
Spiacemi quando sento
Dir: le donne son furbe e menzognere.
Le vorrei, qual io son, tutte sincere.
In questo mio cuore
Inganno non v’è.
Sincero è l’amore,
Sincera è la fè.
Tradire non so,
Schernire non vuò.
Cogli altri fo quello
Che bramo per me. (parte
SCENA V.
Artimisia, poi Celindo.
Queste cosuccie fredde,
Son accorte, son furbe più dell’altre.
Ecco Celindo. Poverino! ei pena,
Ma non mi basta ancor. Mi piace il gioco:
Voglio tirarlo innanzi ancora un poco.
Celindo. Artimisia, pietà...
Artimisia. Sì, disponete
Del mio amor, di mia fè, che vostra io sono.
Celindo. Non pretendo da voi...
Artimisia. Tutto vi dono.
Che volete di più?
Celindo. Mi giunge nuovo,
Artimisia gentil, codesto amore.
La mia fede, il mio cuore
Ad Erminia donai, voi lo sapete.
Artimisia. È ver; voi non potete
Lasciarla, abbandonarla.
Sperar l’affetto vostro a me non lice.
Ah misera, infelice!
Penar senza speranza mi conviene.
Altri avranno i contenti, ed io le pene.
Celindo. (Mi fa pietade). (da sè
Artimisia. (Ha da cascar, se fosse
Più duro d’un macigno). (da sè
Celindo. (Ma non posso
Erminia abbandonar). (da sè
Artimisia. Non giova al mondo
Fede, sincerità, costanza, amore;
Per guadagnare un cuore,
Che le grazie più belle in se raduna,
Merito non ci vuol, ci vuol fortuna.
Celindo. Spiacemi che sì tardi
Scoperto il vostro foco3...
Artimisia, vi stimo.
Artimisia. (Or viene il buono). (si
No, no, di mia nipote
La bellezza v’alletta.
Ella è più giovanetta.
E ver che la mia dote
Supera dieci volte
Gli assegnamenti suoi;
Ma una vedova alfin non è per voi.
Celindo. Non è per me?
Artimisia. No, ingrato,
Io non sono per voi. Se la mia mano
Fosse stata, crudele, a voi gradita,4
Non avereste Erminia preferita.
Celindo. Ma se...
Artimisia. Non v’è più tempo.
Senza frutto il mio cuor si strugge in pianto.
Come la cera al foco,
Si disfan le mie carni a poco a poco.
Celindo. Veggo però, che ancora
E fresca, e grassa, e ritondetta siete.
Artimisia. Ah, crudele, il mio mal voi ben vedete.
Celindo. Se potessi, vi giuro...
Artimisia. No, d’amor non mi curo.
Basta, di chi v’adora,
Che pietade mostriate, e poi si mora.
Celindo. Se della mia pietà... dell’amor mio...
(Stelle, che fo?)
Artimisia. (Principia
Il merlotto a cader). (da sè
Celindo. Voi, che d’Erminia
Nel sen potete regolar gli affetti...
Celindo. A voi s’aspetta...
Artimisia. Non più: la vostra mano.
Celindo. La mia mano? Perchè?
Artimisia. Non state a replicar. La mano a me.
Celindo. Oh cieli! eccola.
Artimisia. Accetto
Di questa mano il dono.
E perchè giusta io sono,
E perchè5 nell’amor tradir non soglio,
Portatela ad Erminia, io non la voglio.
Celindo. Come?
Artimisia. Tant’è.
Celindo. Se voi...
Artimisia. Ognun badi, Celindo, a’ fatti suoi.
Celindo. Se per me voi penate...
Artimisia. Capperi, vi gonfiate
Nel sentir che una donna
Peni e smani per voi?
Celindo. No, mi tormenta,
Che vi cruci per me d’amore il foco.
Artimisia. Lo potrei anche dir così per gioco.
Celindo. Ah sì, di me senz’altro
Gioco vi prenderete.
Con chi merto non ha, far lo potete.
Artimisia. (Ecco qui mia nipote). (da sè
SCENA VI.
Erminia e detti.
Anche qui li ritrovo?) (da sè
Nel mio tenero petto,
È veramente affetto;
Non vi burlo, non fingo e non v’inganno.
(Anche alla nipotina un po’ d’affanno). (da sè
Erminia. (Misera me!) (da sè
Celindo. Signora,
Se potessi la man...
Artimisia. La vostra mano
Ad Erminia è dovuta.
Eccola.
Celindo. (Oh cieli! Io non l’avea veduta), (da sè
Erminia. No, non vi confondete,
Se voi pentito siete
Della fede giurata all’amor mio;
Sono del vostro amor pentita anch’io.
Celindo. Erminia, questo cor...
Erminia. Più non lo curo.
Celindo. Artimisia potrà...
Erminia. Di lei non cerco.
Celindo. Ah, pria ch’io mi disperi...
Voi parlate per me. (ad Artimisia
Artimisia. Sì, volentieri.
Nipotina, mi dispiace, (ad Erminia
Ma non posso il ver celar.
Dice lui, che gli dispiace
Questa flemma di parlar.
Dice lei, che siete bello, (a Celindo
Ma che siete sgarbatello,
Senza grazia nel parlar.
(Voglio farli disperar). (da sè
Non c’è caso, non vi vuole, (ad Erminia
Non la posso accomodar.
Ho gettate le parole, (a Celindo
Non vi vuol più sopportar.
A vederli fan pietà.
Me la godo,
Me la rido,
Prendo spasso,
Faccio il chiasso,
Voglio farli disperar). (da sè, e parte
SCENA VII.
Erminia e Celindo.
Celindo. (Insulti ed onte
Erminia a me?) (da sè
Erminia. (Potea lasciar d amarmi,
Senza farmi arrossir, senza oltraggiarmi). (da sè
Celindo. (Potea trovar più onesto
Di vendetta lo sfogo ed il pretesto). (da sè
Erminia. Quanto t’amai, ti aborrirò.
Celindo. Lo sdegno
Moderate, madama.
Erminia. Chi vi cerca, signore?
Celindo. E chi vi brama?
Erminia. Un flemmatico ciglio a voi non piace;
Artimisia è per voi, ch’è scaltra e audace.
Celindo. Nè per voi è adattato
Un amante sgarbato.
Erminia. Il Cielo dunque
L’un per l’altro non fece il nostro cuore.
Io son misera, è ver, voi traditore.
No, non dovevi, ingrato,
Finger d’amarmi allora,
Che non aveva ancora
L’alma provato amor.
Tu mi disprezzi, audace?
Ah, la smarrita pace
Rendimi al seno ancor. (parte
SCENA VIII.
Celindo solo.
Mi guida a delirar. Pietà mi desta:
Alla pietà s’aggiunge
Qualche bella speranza, ed a ragione
Mi rimprovera Erminia. Ella per altro
Col pianto e con i vezzi
Mi potrebbe obbligar, non coi disprezzi.
Dir ch’io non le gradisco,
Perchè sono sgarbato, è oltraggio tale
Che mi muove a dispetto,
Che converte in isdegno anche l’affetto.
Donne, voi che amate siete
Per il vezzo e la beltà,
Il rigor, la crudeltà,
Potrà farvi un dì sprezzar.
Se tirannico è l’impero,
Mal si regge, e poco dura;
Quando pesa, si procura
L’aspro giogo di spezzar. (parte
SCENA IX.
Il Cavaliere di Roccaforte, con una carta di musica in mano.
Vede chi mangia il miglio;
E nella gabbia stretto,
Canta, digiuno ancor.
Artimisia non sente, e non mi vede.
Chi nol sa, non lo crede
Qual dura pena sia,
Per uom di spirto, la malinconia.
Son solo e vuò sfogarmi,
Vuò cantar, vuò ballar, vuò far per gioco,
Giacchè solo son io, di tutto un poco.
Piacer amabile
D’un’alma nobile
È il lieto vivere
Con onestà.
La la la la lara (ballando
La la ra la.
È sempre misero
L’uom senza spirito.
Chi vive in giubilo,
Godendo va.
La la la la lara (ballando
La la ra la.
SCENA X.
Artimisia, Don Ramerino, Rosalba e detto.
Ch’è impazzito davvero. Presto, presto,
Il medico, il cerusico cercate;
Conduceteli qui, non ritardate).
(Piano a don Ramerino e Rosina, senza che il Cavaliere s’avveda.
Ramerino. (Povero cavaliere!) (da sè
Rosalba. (Mi fa pietà il meschino). (da sè
Cavaliere. (Ecco Artimisia;
Cangiar stile conviene), (da sè) Ah mia signora,
Per pietà, consolate un che v’adora.
Artimisia. (Passare alla mestizia,
Dopo tanta allegria,
È l’effetto più ver della pazzia). (piano a don Ramerino
Cavaliere. Rispondetemi almeno, o sì, o no;
Ah, se voi mi schernite, io morirò.
Rosalba. (Parla bene finor). (plano ad Artimisia
Artimisia. (No, v’ingannate.
Dir di voler morir, senza un perchè,
Son parole da pazzo, e pazzo egli è). (piano a Rosalba
Cavaliere. Ah crudele, spietata,
Barbara donna ingrata!
Voi negate al mio mal pietà e conforto?
Così voi mi trattate? Oimè, son morto.
Artimisia. (Presto, il medico, presto, ed il cerusico).
Ramerino. (In fatti è tutto foco.
Par un che persi abbia i danari al gioco).
Rosalba. (È pazzo per amor; se fossi in lei,
Da sì fatta pazzia lo guarirei). (da sè, e parte
SCENA XI.
Artimisia ed il Cavaliere.
Che spietata così?...
Artimisia. Con chi parlate?
Cavaliere. Con voi, mio ben.
Artimisia. Chi siete?
Non vi conosco. E voi mi conoscete?
Cavaliere. Stelle, non siete voi
Artimisia, il mio nume, il mio tesoro?
Artimisia. Che Artimisia? che dite?
La contessa son io di Montebello.
Voi avete, meschin, perso il cervello.
Voi cangiaste pensiero, in grazia mia.
Voi scherzate con me per allegria.
Artimisia. Olà, mi maraviglio;
Portatemi rispetto.
Cavaliere. Oh cara, oh cara!
Artimisia. Oh pazzo maladetto!
Cavaliere. A me pazzo?
Artimisia. Sì, a voi,
Che non mi conoscete,
E far meco il grazioso pretendete.
Cavaliere. (Oimè, fossi davvero
Per disgrazia impazzito 1) (da sè
Artimisia. (A poco, a poco,
Se lo crede egli stesso). (da sè
Cavaliere. Oh dei! I Non siete
Artimisia, il mio ben?
Artimisia. No, ve I’ho detto.
Cavaliere. (Impazzito sarò per troppo affletto). (da sè
Artimisia. Chi è cotesta Artimisia?
Cavaliere. È una tiranna
Che mi vuol tormentare, è una vezzosa
Amabil vedovella.
Artimisia, il mio ben... voi siete quella.
Artimisia. Alla larga, vi dico.
Cavaliere. Eh, giuro al Cielo!
Vi conosco, lo so, pazzo non sono.
Pietà vi chiedo in dono;
Voi fate del mio cor scherno e strapazzo;
Vi conosco, Artimisia, io non son pazzo.
Artimisia. Aiuto! Chi è di là?
SCENA XII.
Don Ramerino, Rosalba, un Medico, un Chirurgo e detti.
Ramerino. (A lei, signor dottore;
Visiti l’ammalato, per favore).
Rosalba. (Signor chirurgo, in fretta
Prepari il moccolino e la lancetta).
Artimisia. (Questa scena per mille io non darei).
(il Medico e il Cerusico s’accostano al Cavaliere
Cavaliere. Che vogliono da me, signori miei?
Il polso? Andate via, non son malato.
(il Medico gli vuol tastare il polso
Sangue? Signor cerusico6 sguaiato,
Signor dottor, che impertinenza è questa?
Vi do or or qualche cosa in su la testa.
(Il Cerusico con la lancetta accenna dovergli cavar sangue
Artimisia. È pazzo il poverino.
Cavaliere. Dite, don Ramerino,
Dite, Rosalba mia,
Quella non è Artimisia?
Artimisia. Oh che pazzia!
Non mi conosce più.
Cavaliere. Sì, vi conosco;
Sì, vi conosco, ingrata,
Barbara, dispietata.
Artimisia. Presto, presto,
Signor dottor, signor chirurgo, presto,
Cavate al poverello
Quattro libbre di sangue dal cervello.
(Il Medico ed il Chirurgo si vanno accostando per fermarlo, e così gli altri ancora, mentre egli dice l’aria seguente:
Cavaliere. Non v’accostate, non mi toccate,
Bella tiranna, (ad Artimisia
Perchè crudele
Con chi fedele
V’ama di cor?
Non mi toccate, (al Medico e al Cerusico
Non v’accostate,
Non provocate
Il mio furor.
Voi alla bella (a don Ramerino e a Rosalba
Mia vedovella
Per me chiedete
Pietade e amor.
Non v’accostate, non mi toccate,
Che se son pazzo, v’accopperò. (parte
Artemisia. Ramerino. Rosalba. |
a tre | V’è nessun ch’abbia il segreto |
SCENA XIII.
Luogo delizioso.
Celindo e Don Pacchione.
Sovra il cuor d’Artimisia ha pretensione?
Celindo. Può essere di sì.
Pacchione. Quando dunque è così,
Vossignoria sarà
Uno di quei che vogliono onorarmi.
Celindo. Onorarvi? in qual modo?
Pacchione. Avvelenarmi.
Celindo. Amico, quest’è un sogno.
Pacchione. Se Artimisia
Mi davano il veleno nel caffè.
Celindo. Duoimi di ciò, ma più mi duole ancora,
Che di me si sospetti.
So regolar gli affetti;
Il mio amore, il mio sdegno,
Non arrivano, amico, a questo segno.
Pacchione. Ma il nemico vi è certo.
Sono stato avvertito.
Io muoio d’appetito,
E non posso nemmeno
Cibo assaggiar, per tema del veleno.
SCENA XVI.
Roralba e detti, poi Artimisia.
Pacchione. Cos’è accaduto?
Rosalba. È pazzo divenuto
Il cavalier gentile:
Pazzo non ho veduto a lui simile.
Il medico, il chirurgo,
Erano per curarlo preparati;
Egli, pien di furor, li ha minacciati.
Celindo. Me ne dispiace assai.
Pacchione. Mi duol davvero;
Ma il mio caso del suo più strano i’ veggio,
E se mi vonno avvelenar, sto peggio.
Artimisia. Amici, il cavaliere
Ha perduto il cervello.
Ha dato in frenesia,
E furiosa è talor la sua pazzia.
Dice il medico nostro,
Conviene secondarlo
Nelli capricci sui,
E dir sempre di sì dinanzi a lui.
Celindo. Misero cavaliere,
Mi muove a compassione.
Pacchione. Ma di lui più infelice è don Pacchione.
Artimisia. Perchè?
Pacchione. Perchè chi è pazzo
Non sente il male, e non conosce il bene.
Di fame io muoio, e digiunar conviene.
Artimisia. Eccolo il pazzarello.
Avvertite che s’ha da secondare;
E per non l’irritare,
E perchè non ci nascano de’ guai,
Dinnanzi a lui non s’ha da rider mai.
Pacchione. Per me non riderò.
Celindo. Nè io per certo7.
Rosalba. Del mal d’altri non rido, io ve l’accerto.
Artimisia. (A quel che meditai,
Se non ridono, affé, mi pare assai). (da sè
SCENA XV.
Il Cavaliere e detti.
Artimisia. Con chi parlate?
Cavaliere. Signora, perdonate.
Artimisia. E chi son io?
Cavaliere. Artimisia no certo.
Artimisia. E ben, chi sono?
Cavaliere. La contessa sarà di Montebello.
Artimisia. (Non vel dissi che è pazzo il poverello?)
Artimisia. (No, non si ride;
Se ridete, s’infuria, e poi vi uccide).
E voi, chi siete?
Cavaliere. Io sono...
Non so più chi mi sia.
Sono un mostro d’Averno.
Artimisia. (Tacete.
Secondatelo tutti, e non ridete).
Cavaliere. Ho le furie nel mio petto.
Ah, mi lacera il dispetto,
Più resister non si può.
Celindo. Cavalier, vorrei sapere...
Cavaliere. Dov’è andato il cavaliere?
Pacchione. Roccaforte, amico mio...
Cavaliere. Roccaforte non son io.
Artimisia. | a due | Ma chi siete? | |
Rosalba. | |||
Cavaliere. | Non lo so. | ||
Artimisia. | a due | Ma che avete? | |
Rosalba. |
Ho perduto il mio cervello,
Ho nel seno un Mongibello,
E il mio cor soffiando va.
Artimisia. Non ridete, in carità.
Cavaliere. Chi spietato mi deride,
Il mio sdegno proverà.
Celindo. |
a quattro | Non si parla, non si ride; |
Artimisia. Non signor, non siete quello.
Cavaliere. Roccaforte non son io?
Pacchione. Non signor, padrone mio.
Cavaliere. Sono un pazzo?
Celindo. Non lo credo.
Cavaliere. Una bestia?
Rosalba. Non Io vedo.
(a cinque Che disdetta - maledetta!
Che tormento, che pietà!
Cavaliere. Vuò partir, son disperato.
Pacchione. Non partite in questo stato.
Cavaliere. Voglio andare al cieco Averno
A sfidar la crudeltà.
(a cinque Quest’imbroglio,
Questo scoglio,
Superar non si potrà.
Cavaliere. Pazzi siete.
Celindo. |
a due | Ah ah ah. | |
Cavaliere. |
a due | Zitto là. |
Giusto Cielo,
Togli il velo
A cotanta cecità.
Ciel sereno,
Torna appieno
Nella tua serenità.
Fine dell’Atto Secondo.
Note
- ↑ Zatta: Con gli. Così poi: con l’astinenza ecc.
- ↑ Fenzo: stroppo.
- ↑ Forse è de leggere: Scoperto ho il vostro foco.
- ↑ Zatta: Fosse stata crudel, da voi gradita.
- ↑ Così corregge Zatta. Nell’ed. Fenzo: Ma perchè. Forse è da leggere: Ma perchè giusta io sono, - E perchè ecc.
- ↑ Fenzo: cirusico.
- ↑ Zatta: Nemmen io certo.