Così parlò Zarathustra/Parte terza/Delle tavole antiche e delle nuove
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Delle tavole antiche e delle nuove.
1.
«Qui io siedo ed attendo; mi circondano vecchie tavole infrante, e nuove tavole a metà scritte. Quando giunge la mia ora?
— L’ora del mio tramonto, della mia distruzione; giacchè una volta ancora io voglio discendere tra gli uomini.
Ecco quello che attendo: poi che prima devono giungermi i segni che la mia ora è venuta: — il leone giocondo con lo stormo delle colombe.
Frattanto, come chi è in ozio, io parlo con me stesso. Nessuno mi racconta cose nuove; le narro io a me stesso.
2.
Quando venni tra gli uomini, li trovai che si adagiavano in una vecchia presunzione: credevan tutti falsamente di sapere già da lungo tempo che cosa per gli uomini fossero il bene ed il male.
Una cosa vecchia e logora era per essi ogni discussione su la virtù; e chi voleva dormir bene, ancor prima di coricarsi, parlava del «bene» e del «male».
Mentre così sonnecchiavano, io li destai con la mia dottrina: che cosa sia il bene, che cosa il male nessuno ancor sa: nessuno fuorché l’essere che crea!
— Questi soltanto addita all'uomo il suo fine e alla terra il suo significato e l’avvenire: questi soltanto crea il bene ed il male nelle cose.
E io li invitai a rovesciare le lor vecchie cattedre e tutto ciò su cui un tempo si poggiava quella lor presunzione: li invitai a ridere dei grandi maestri di virtù, dei loro santi, dei loro poeti e dei loro redentori del mondo.
Li invitai a ridere dei savi accigliati, e di tutto ciò che, al pari di nero spauracchio, si appollaiava sino allora, in atto di ammonire, su l’albero della vita.
Mi sedetti su la loro grande via delle tombe, sì, presso gli avoltoi e le carogne — e risi di tutto il lor passato, e della lor putrida antica magnificenza.
In verità, al modo de’ predicatori della penitenza e dei pazzi, io invocai lo sterminio su tutte le loro cose piccole e grandi. — Oh perchè le lor cose migliori son tanto vili? E così piccole anche le loro cose peggiori? — E così io ridevo.
E in me rideva e tumultava la mia saggia bramosia nata sui monti, una sapienza selvaggia dall’ali rumoreggianti, — la mia grande bramosia.
E più volte mi rapì seco lontano, in alto e via, mentr’io ridevo: e allora io volava rabbrividendo, come una freccia, in mezzo ad un’estasi ebbra di sole:
— Fuori del mondo, in remoti giorni, cui non mirò ancora alcun sogno, in meriggi più ardenti di quanto alcun artista abbia mai immaginato: colà dove gli dèi danzanti si vergognano d’ogni veste:
( — Parlo in similitudini zoppicando e balbettando come fanno i poeti: e, davvero, io mi vergogno di dover essere anche poeta! — ).
Dove ogni divenire mi appariva danza divina e divino capriccio, e il mondo libero e ritornante a sè stesso;
— Simile ad un incessante ricercarsi e ritrovarsi di molti dèi, a un beato riparlarsi, riudirsi e riappartenersi di molti dèi;
Dove il tempo mi sembrava uno scherno beato del momento dove la costrizione non era che la libertà, la quale si trastullava gioconda col suo pungiglione:
Dove ritrovai anche il mio vecchio demone, acerrimo nemico mio — lo spirito della gravità — di tutto ciò ch’egli ha creato: la costrizione, la legge, il bisogno, la conseguenza e il fine e la volontà, e il bene ed il male:
(Non deve forse esistere qualche cosa, oltre la quale, fuor della quale, si possa saltar danzando? Non devono esistere talpe e nani goffi, per trastullo di chi è leggiero, di chi è il più leggiero?).
3.
Là io raccolsi dalla via la parola «superuomo» e il concetto che l’uomo è cosa che dev’essere oltrepassata, — che l’uomo è un ponte e non una mèta: ch’egli deve chiamar sè stesso beato per il suo meriggio e per la sua sera onde, gli è segnato il cammino a nuove aurore:
— Io distesi su l’uomo, come una nuova porpora vespertina, la parola di Zarathustra, la parola del grande meriggio.
In verità, io anche additai alla ammirazione degli uomini nuovi astri e nuove notti; ed oltre le nubi e il giorno e la notte io distesi su di essi il riso, come una tenda variopinta.
Io insegnai loro tutto il mio pensiero e tutto il mio intento: che è di comporre in armoniosa unità ciò che nell’uomo è frammento e mistero e terribile caso.
— E, quale poeta divinatore d’enigmi e redentore del caso, io insegnai loro ad edificar l’avvenire e a redimer tutto ciò che fu, col creare.
Redimere il passato nell’uomo e crear nuovamente tutto Ciò che fu, sino a tanto che la volontà possa dire:
«Ma così io volli! Così io vorrò».
— Questo insegnai loro essere redenzione, e doversi chiamar con tal nome.
Ora io attendo la mia redenzione, — per ritornare l’ultima volta in mezzo a loro.
Giacchè un’altra volta voglio recarmi fra gli uomini: in mezzo a loro io voglio tramontare e, morendo, voglio porgere ad essi il più prezioso de’ miei doni.
Questo mi apprese il sole, il ricchissimo, che quando tramonta versa nel mare l’oro della sua inesauribile dovizia, sicchè per quel dono anche il più misero dei pescatori naviga col remo dorato! Ciò ho veduto una volta e nel vederlo non mi saziai di piangere.
Simile al sole vuol tramontare anche Zarathustra: e intanto egli qui siede ed attende, circondato da vecchie tavole infrante e da nuove, scritte a metà.
4.
Ecco qui una tavola nuova: ma dove sono i miei fratelli, che me la portino nella valle e la rivelino ai cuori umani?
Il mio grande amore verso i più remoti impone: «Non risparmiare il tuo prossimo!». L’uomo è tal cosa che dev’essere oltrepassata.
Ci sono molte vie e molti modi per ottenere ciò: quest’è affar tuo! Ma soltanto un buffone può pensare: «L’uomo può essere anche oltrepassato.».
Supera te stesso anche ne’ tuoi rapporti col prossimo: il diritto che tu puoi prenderti con la forza, non devi lasciartelo concedere!
Quello che tu fai nessuno può farlo a te. Vedi, la legge del taglione non esiste.
Chi non sa comandare a sè stesso, deve obedire. E più d’uno sa comandare a sè stesso, ma è ancor molto lontano dal saper obedire a sè stesso!
5.
Così son fatte le anime nobili: esse nulla vogliono per nulla, e meno d’ogni altra cosa la vita.
Solo chi appartiene al volgo può vivere per nulla; ma noi, cui la vita fu data, noi pensiamo sempre che cosa possiamo darle in contraccambio!
E, invero, è un parlare aristocratico il dire: «ciò che la vita promette a noi, noi vogliamo mantenere a lei!».
Non bisogna voler godere quando nulla si dà a godere agli altri. E a tutt’i modi non bisogna voler godere!
Poi che il godimento e l’innocenza sono le cose più vereconde: l’una e l’altra non amano esser ricercate. Dobbiamo possederle! — Ma prima ancora ci bisogna ricercar la colpa e il dolore!
6.
O miei fratelli, le primizie sono sempre sacrificate. E noi siamo primizie: per ciò non versiamo tutto il nostro sangue sui segreti altari del sacrificio, in onore di antichi idoli.
Ciò ch’è migliore in noi è ancor giovane, e alletta i palati vecchi. La nostra carne è tenera, la nostra pelle è simile a quella dell’agnello; — come potremmo non destar le brame dei vecchi sacerdoti?
In noi stessi dimora tuttavia il vecchio sacerdote degli idoli, che s’appropria la miglior parte di noi per il suo banchetto. Ah fratelli miei, come le primizie non dovrebbero essere olocausti?
Questo ci impone la stirpe cui apparteniamo; e io pregio coloro che non vogliono salvar sè stessi. Amo di tutto il mio amore quelli che periscono, perchè essi vanno di là.
7.
L’esser sinceri è di pochi! E chi fu un tempo sincero non per ciò solo vuol seguitare ad esser tale! Ma meno di tutti sanno esser sinceri i buoni.
Oh, i buoni! — «Gli uomini buoni non dicono mai la verità» per lo spirito dunque l’essere buono in tal modo è una malattia.
Essi cedono, i buoni; s’arrendono: il cuore segue il loro labbro; l’anima loro obedisce: ma chi obedisce non ode sè stesso!
Tutto ciò che i buoni chiamano il male deve fondersi insieme, perchè ne nasca una verità: o miei fratelli, siete voi cattivi quanto vi bisogna per una tale verità?
La temerità avventurosa, la lunga diffidenza, la crudele negazione, la noia, il tagliare nelle carni vive, oh come raramente tutte queste cose convengono insieme! Ma da codesto seme nasce la verità.
Vicino alla cattiva coscienza crebbe finora tutta la scienza! Spezzate, spezzate, o voi che possedete la conoscenza, le vecchie tavole!
8.
Se l’acqua s’infrange contro a travi, se ponti e sentieri varcano i fiumi e conducono oltre, perchè si dovrà credere a chi dice: «Tutto segue la corrente!».
Anche gli stolti ne dubiteranno. «E come? chiederanno essi, ogni cosa segue la corrente? Ma se i travi e i ponti sono sopra e oltre la corrente!».
«Sopra e oltre la corrente tutto è saldo; tutti i valori delle cose, i ponti, i concetti, tutto il male e tutto il bene, tutto ciò è stabile!».
Poi, quando giunge l’inverno, il domatore della corrente, anche i più scaltri si fanno diffidenti, e allora non gli stolti soltanto chiedono a sè stessi: «Dovrebbe forse ogni cosa star ferma?».
«In fondo tutto sta fermo», ecco una vera massima invernale, una buona cosa per tempi infecondi e un buon conforto per gli assonnati e per quelli che amano star rincantucciati dietro la stufa.
«In fondo tutto è fermo», ma hanno fatto il conto senza il vento.
Il vento che dissolve il gelo — un toro — non di quelli che arano — bensì un toro furioso, distruggitore, che con le valide corna spezza il ghiaccio! Ma il ghiaccio schiude le vie!
O miei fratelli, non è tutto ormai nella corrente! Non sono caduti nell’acqua tutti i parapetti ed i ponti! Chi si farebbe ancora sostegno del «bene» e del «male?».
Guai a noi! Evviva noi! Soffia il vento che scioglie il gelo! — questo predicate, o miei fratelli, per tutte le strade!
9.
V’ha un antico inganno che si chiama «il bene ed il male». La ruota di tale illusione girò sinora intorno agli indovini e agli astrologhi.
Una volta, quando si aveva fede in costoro, si credeva che tutto «fosse destino e non si facesse alcuna cosa se non perchè costretti!».
Più tardi si diffidò di tutti gli indovini e di tutti gli astrologhi: e per ciò si credette che la libertà fosse in ogni cosa: «tu puoi perchè vuoi!».
O miei fratelli, intorno agli astri e all’avvenire molte cose sinora si son credute, ma non già sapute; e per ciò anche riguardo al bene ed al male assai finora si credette, ma nulla si seppe!
10.
«Tu non devi rubare! Tu non devi uccidere!». — Tali parole una volta si chiamavano sacre: dinanzi a loro il popolo piegava il ginocchio e la testa e si toglieva le scarpe.
Ma io vi domando: dove s’ebbero mai ladri e assassini più tristi di tali sacre parole?
Non è forse l’essenza d’ogni vita il rubare e l’uccidere? E col proclamar sacre tali parole non si uccise forse la verità?
Forse un sermone della morte proclamava sacro ciò che contraddiceva alla vita e dissuadeva da essa? — Oh, miei cari fratelli, spezzate le vecchie tavole!
11.
La pietà per tutto ciò che è passato m’assale se io osservo ch’esso è in balìa della grazia, dello spirito, della follìa d’ogni generazione, che trasforma in un proprio ponte tutto ciò che fu.
Sorgerà un qualche titano ultrapossente, un qualche tiranno scaltrito, che con la sua grazia e la sua disgrazia saprà costringere e violentare tutto il passato, sino a tanto che esso divenga il suo ponte, il suo simbolo, il suo araldo, il suo grido del gallo?
Ma questo è il secondo pericolo e la mia seconda pietà: — chi appartiene al volgo risale con la memoria tutt’al più sino all’avo, — col quale cessa per lui d’esistere il tempo.
In tal modo tutto il passato è soggetto al potere di ciascuno; e anche potrebbe accadere che il volgo un giorno diventasse signore e travolgesse il tempo nelle sue torbide acque.
Per ciò, o miei fratelli, noi sentiamo bisogno d’una nuova nobiltà che si opponga alla plebe e sappia inscrivere su nuove tavole la parola «nobile» un’altra volta.
Poi che molti nobili sono necessari affinchè possa esservi una «nobiltà». O pure, come già dissi in una mia parabola: «In ciò consiste appunto la divinità, che esistono degli dèi, ma nessun dio!».
12.
O miei fratelli, io vi consacro a una nuova nobiltà e ve ne insegno i modi: voi dovete essere i generatori, gli educatori e i seminatori dell’avvenire.
— Invero, non già v’addito una nobiltà da potersi comperare con l’oro dei mercanti: scarso valore hanno le cose cui è posto un prezzo.
D’ora innanzi il vostro pregio sorga non già dalla schiatta donde discendete ma. dal fine a cui tendete. La vostra volontà e il piede che vuole spingersi oltre voi stessi, siano il vostro, nuovo onore!
Ma non già l’aver servito a qualche principe — che importa ormai dei principi? — l’esser stati puntelli a ciò ch’era saldo, per farlo ancora più saldo.
Non già l’essere i vostri avi diventati cortigiani nelle corti, e l’aver voi appreso a starvene immobili e variopinti, come fa l’airone per lunghe ore, nelle acque stagnanti.
(Giacchè quello di saper stare in piedi è un merito proprio dei cortigiani; e tutti i cortigiani credono che della beatitudine dopo morte faccia parte il potere star seduti!).
E nemmeno che uno spirito, da essi chiamato santo, li abbia guidati alla terra promessa, che per me non è tale, giacchè la terra dove cresce il peggiore di tutti gli alberi, quello della croce, è ben poco promettente!
(— E invero, dovunque quello «spirito santo» ha guidato i suoi cavalieri, questi furono sempre preceduti da capre e da oche o da pazzi! — ).
O miei fratelli, la vostra nobiltà non deve guardare indietro ma avanti! Voi dovete essere reietti da tutte le patrie dei padri e degli avi.
Voi dovete amare la terra dei vostri figli: questo amore sia la vostra nuova nobiltà, — la terra non per anco scoperta, laggiù nel più lontano dei mari! Di essa vadano in cerca infaticabilmente le vostre vele!
Nei vostri figli voi dovete far ammenda d’esser i figli dei vostri padri: tutto il passato voi dovete redimere così!
Questa nuova tavola io appendo sopra di voi!
13.
«A che prò vivere? Tutto è vano! Vivere è trebbiar la paglia: vivere è ardere senza riscaldarsi».
Tali vecchie chiacchiere son tenute ancora oggidì come «saggezza»; e perchè son viete più hanno onore. Anche la muffa nobilita.
Ai fanciulli sarebbe concesso parlar così: essi hanno paura del fuoco, perchè si sono scottati! C’è molto di fanciullesco negli antichi libri della sapienza.
E chi non fa che «trebbiare la paglia», perchè deve dir male del trebbiare? Turate la bocca a cotesti pazzi!
V’hanno tali, che si siedono a tavola senza portarvi nulla di proprio, nemmeno una buona fame, — e poi bestemmiano: «tutto è vano!».
Ma invero il mangiar bene ed il bere meglio non è arte da sprezzarsi, o miei fratelli! Spezzate, spezzate le tavole degli insoddisfatti!
14.
«Per chi è puro tutto è puro». — Così parla il popolo. Ma io vi dico: per i porci tutto si converte in porco!
Perciò gli entusiasti e i colli torti, che hanno torto anche il cuore, predicano: «il mondo è per sè stesso un mostro immondo».
Giacchè tutti costoro sono gli impuri dello spirito; specialmente quelli che non hanno mai quiete e riposo se non quando riescono a vedere il mondo dal rovescio — essi che vivono appostati dietro il mondo!
A costoro io dico (se bene non è cosa amabile): Il mondo rassomiglia all’uomo in questo: che anch’esso ha il suo deretano. — E questo è vero!
C’è molta immondizia nel mondo; ciò è anche vero; ma non per ciò solo il mondo è per sè stesso un mostro immondo!
È ben vero che sono in esso molte cose che puzzano; ma la stessa nausea fa spuntar le ali e le forze presaghe di fonti pure!
Anche in ciò ch’è migliore, qualcosa c’è sempre che muove a nausea; e anche la migliore delle cose è ancor sempre tale da dover essere oltrepassata!
O miei fratelli, di molta saggezza dà prova chi afferma che nel mondo, v’ha di molte cose immonde!
15.
Tali discorsi io udii da molti pii che vivono fuori del mondo, senza secondi fini e senza malizia — quantunque non sieno al mondo malizia e falsità peggiori di queste:
«Lasciate che il mondo sia il mondo! Non alzate nemmeno un dito contro di ciò!».
«Lasciate che chiunque voglia, strangoli, ammazzi, scortichi e tosi la gente a suo talento; non opponetevi a ciò nemmeno con un dito! In tal modo impareranno a rinunciare al mondo».
«E la tua propria ragione — tu stesso devi pigliarla per la gola e tentar di soffocarla; giacchè essa è una ragione di questo mondo: con ciò apprenderai tu stesso a rinunziare al mondo».
— Spezzate, spezzate o miei fratelli, coteste vecchie tavole della gente pia! Fate in frantumi coteste sentenze dei calunniatori!
16.
«Chi molto apprende disimpara a desiderar con forza» — questo si bisbiglia nell’orecchio la gente per oscure vie.
«La sapienza affatica: nessuna cosa ha pregio: non desiderare cosa alcuna». — Questa nuova tavola io vidi esposta anche nei mercati aperti.
Spezzate, o miei fratelli, spezzate anche questa tavola nuova! Coloro ch’erano stanchi del mondo, i predicatori della morte ed i carcerieri, la incisero; anche questo non è che un sermone in favore della schiavitù!
L’aver imparato male immaturamente, o troppo in fretta, e il non aver saputo apprendere il meglio, e il non aver saputo mangiare, ciò ha guastato loro lo stomaco.
Giacchè non altro che uno stomaco guasto è il loro spirito, e per ciò esso consiglia loro di morire! In verità, o miei fratelli, anche lo spirito è uno stomaco.
La vita è una sorgente di piacere: ma quando a taluno parla lo stomaco guasto, il padre della tristezza, per lui tutte le sorgenti sono avvelenate.
Percepire è un gaudio per chi possiede la volontà leonina! Ma chi è stanco non è più che «tollerato», e diventa lo zimbello di tutte le onde.
E agli uomini deboli questo accade sempre: essi smarriscono sè stessi nel loro cammino. E alla fine la loro stanchezza domanda ancora: «Ma perchè abbiamo camminato? Già è tutt’uno!».
Essi amano sentir predicare: «Non c’è cosa alcuna che abbia pregio! Voi dovete non volere!».
Ma quest’è un sermone in favore della schiavitù.
O miei fratelli, come un fresco vento impetuoso giungerà Zarathustra a tutti coloro che sono stanchi del loro cammino; molti nasi egli farà ancora sternutire!
Il mio soffio attraversa anche le mura, e penetra persin dentro le prigioni e negli spiriti incarcerati!
Il valore è liberazione, poiché è creazione. E unicamente per creare voi dovete imparare.
E anche l’imparare voi dovete apprenderlo da me; l’imparar bene. — Chi ha orecchie, le schiuda!
17.
Ecco la barca che deve trasportarci forse al di là, nel grande nulla. — Ma chi vuole imbarcarsi su questo «forse?».
Nessuno di voi vuol entrare nella barca della morte! E allora perchè vi dite stanchi del mondo?
Stanchi! E non avete mai rinunciato alla terra? Vi trovai sempre ancor desiderosi della terra, innamorati della vostra stessa stanchezza.
Non per nulla il vostro labbro penzola in giù: — un piccolo desiderio terrestre vi sta ancora attaccato! E nell’occhio — non s’agita forse una nuvoletta d’inobliabile voluttà terrena?
Ci sono su la terra di molte buone invenzioni: le une utili, le altre gradevoli: per ciò la terra è amabile.
Assai buone invenzioni, le quali somigliano al seno della donna: utili e piacevoli a un tempo.
O voi, stanchi del mondo! O voi, che avete la terra in fastidio! Voi dovreste esser battuti con le verghe! A colpi di verga converrebbe ridare l’agilità alle vostre gambe.
Poi che, quando non siete ammalati — o miserabili dissoluti dei quali la terra è stanca — siete scaltri perdigiorni, simili a golose gatte rincantucciate. E se non volete ricominciar a correre allegramente — andate al diavolo!
Non bisogna voler guarire gli incurabili: così insegna Zarathustra — lasciate che vadano al diavolo!
Ma è più difficile fare una fine, che non un nuovo verso: e ciò è noto a tutti i medici e a tutti i poeti.
18.
Oh miei fratelli, v’hanno tavole create dalla stanchezza, e altre create dalla pigrizia; e se anche dicono la medesima cosa, esse vogliono esser interpretate diversamente.
Osservate quest’uomo languente di sete! Breve tratto lo separa dalla sua meta; ma per la stanchezza egli s’è messo a giacere nella polvere e non ha forza di rialzarsi.
Stanco, egli sbadiglia alla via e alla terra e alla meta: e non sa muovere più un solo passo.
Il sole lo flagella, e i cani leccano il suo sudore: ma egli giace chiuso nella sua caparbia e preferisce morir di sete: — morir di sete a un palmo dalla meta.
In verità voi sarete costretti a trascinarlo a forza nel paradiso — questo eroe!
Ma piuttosto lasciatelo giacere dove s’è messo, perchè lo colga il sonno, il confortatore, con la sua pioggia scrosciante e rinfrescante!
Lasciate che giaccia sino a tanto che si ridesterà da sè — sino a tanto che rinnegherà la stanchezza e ciò che questa gli ha insegnato.
Soltanto, miei fratelli, abbiate cura di tener da lui lontani i cani, e gli animali che sogliono pigramente strisciare od errare intorno a chi dorme.
Allontanate da lui la razza dei «colti», cui è argomento di diletto il sudor di ogni eroe!
19.
Io segno intorno a me circoli e sacri confini; sempre più scarso si fa il numero di coloro che con me ascendono i monti più alti: or quella che io innalzo è una catena di montagne sempre più sacre.
Ma dovunque vogliate ascendere con me, o miei fratelli, badate che insieme con noi non salga anche qualche parassita!
Parassita è il verme che striscia, che s’insinua nel corpo, e vuol ingrassare a spese delle vostre piaghe segrete.
Questa è la sua arte: spiare il momento in cui un’anima che sale si sente stanca: nella vostra tristezza e nel vostro corruccio, nel vostro delicato pudore, egli fabbrica il suo brutto nido.
Dove il forte è debole e il nobile troppo generoso — il parassita s’annida: egli elegge la sua dimora là dove il grande ha sue piccole piaghe segrete.
Quale è la specie più sublime di tutte le cose e quale la più vile? A quest’ultima è il parassita, il quale si nutre delle carni di chi appartiene alla prima.
Come non anniderebbero in maggior copia i parassiti nell’anima che possiede la scala più alta per salire, e sa ad un tempo discendere in tutte le più remote profondità?
— Nell’anima che è la più comprensiva, in quella che meglio d’ogni altra sa correre e smarrirsi in sè stessa; nella più fatale, in quella che per suo diletto s’abbandona al rischio del caso?
— Nell’anima che si tuffa nel divenire, e tende in ogni possesso verso la volontà e il desiderio?
— Nell’anima che da sè stessa rifugge, e sè stessa attinge nel più largo dei circoli; nella più saggia di tutte, in quella a cui la follia sussurra le più dolci parole?
— Nell’anima che più ama sè stessa; in quella ove tutte le cose hanno il lor flusso e riflusso? — Come la più sublime delle anime non dovrebbe annidare i peggiori fra i parassiti?
20.
O miei fratelli, sono io forse crudele? Pure io vi dico: a ciò che sta per cadere bisogna dare un urto!
Tutto ciò ch’è dell’oggi decade: chi oserebbe trattenerlo nella sua caduta? Ma io — io voglio ancora spingerlo, perchè cada più presto.
Conoscete voi la voluttà che travolge le pietre nei profondi abissi? — guardate come questi uomini dell’oggi precipitano nelle mie profondità!
Io sono un messaggero di artisti migliori, o fratelli! Un esempio! Fate voi secondo il mio esempio.
E colui, al quale non potete insegnar di volare, spingetelo, perchè cada più presto.
21.
Io amo i valorosi; ma non basta essere un buon schermidore, bisogna anche sapere contro chi debbono essere diretti i colpi!
E talvolta la maggior bravura è nel frenare sè stessi e passar oltre nell’intento di risparmiarsi per un avversario più degno!
Voi dovete avere per avversari coloro che meritano odio, non già quelli cui si conviene il disprezzo: voi dovrete andar orgogliosi dei vostri nemici: così v’insegnai già un’altra volta.
Per il nemico più degno, amici miei, dovete serbarvi: per ciò dovete passar oltre a molte cose, — e specialmente oltre alla plebe che vi riempie gli orecchi parlandovi di popolo e di popoli.
Che il vostro occhio non si lasci offuscare dalle lor ragioni in contrasto! C’è molta ragione e anche molto torto: e chi osserva è costretto ad adirarsi.
Vederci dentro, e menar colpi — una cosa chiama l’altra: per ciò recatevi nei boschi e mettete a dormire la vostra spada!
Seguite il vostro cammino! E lasciate che il popolo e i popoli seguano la loro via — una via tenebrosa davvero, non rischiarata da un solo lampo di speranza!
Possa imperare il mercante là dove tutto ciò che ancora splende non è che oro di mercanti! Non son più i tempi dei re: ciò che oggi si chiama popolo non merita alcun re!
Osservate come questi popoli cercano d’imitare i mercanti: essi traggono vantaggio anche dalle immondizie!
Essi stanno in agguato, si spiano a vicenda — e ciò chiamano « buon vicinato». O beati tempi del passato, quando un popolo diceva a sè stesso: «io voglio dominare sopra gli altri popoli!».
Giacchè, fratelli miei, ciò che di meglio è in ogni cosa deve imperare, e non pur deve ma vuole. E se in qualche luogo si insegna diversamente — questo avviene perchè ivi appunto manca ciò che v’ha di meglio.
22.
Se quella gente avesse il pane gratuito, guai! Contro che cosa non griderebbe essa? Il suo sostentamento — è il suo vero trattenimento: giova renderlo difficile!
Sono animali selvaggi, costoro: nel lor «lavorare» c’è ancor il rubare, nel lor «meritare» c’è ancora il sopraffar con l’astuzia! Per ciò bisogna render loro dura la vita!
«Essi devono diventar migliori, più fini, più accorti, più simili all’uomo; giacchè l’uomo è il migliore animale da preda.
Egli s’è appropriato la vita di tutti gli altri animali, per ciò solo che la sua vita è stata di tutte la più dura.
Soltanto gli uccelli sono superiori a lui. E se egli imparasse anche a volare, guai! A quali altezze — non volerebbe la sua bramosia rapace?
23.
Così voglio che siano l’uomo e la donna: l’uno valente nel guerreggiare, l’altra nel partorire; ma ambedue perfetti nel danzar con la testa e con le gambe.
E sia perduto per noi ogni giorno, in cui non danzammo almeno una volta! E falsa suoni per noi ogni verità, che non abbia saputo destare almeno una volta il riso.
24.
Badate che il vostro conchiudere i matrimoni non sia un falso chiudere! Voi conchiudete troppo presto: la conseguenza n’è l’infrazione della fede coniugale!
È meglio ancora rompere il matrimonio, che piegarlo, che mentirvi! — Mi disse una donna: «È ben vero che io infransi il matrimonio — ma prima il matrimonio infranse me!».
I male accoppiati mi paiono sempre i più vendicativi: essi vogliono far scontare a tutto il mondo il delitto di non poter più correre liberi e svelti.
Per ciò io voglio che gli onesti dicano: «noi ci amiamo, lasciate che noi pensiamo al modo di serbare il nostro amore! Forse che la nostra promessa non dev’essere altro che una scommessa?
— «Concedeteci un termine: un breve matrimonio, perchè possiamo convincerci che siamo atti alle grandi nozze! Non è già cosa di poco momento quella di dovere star sempre a due!».
Così io insegno a tutti gli onesti; e che avverrebbe del mio amore per il superuomo e per tutto ciò che ha da venire, se parlassi e consigliassi altra cosa?
Non soltanto a trapiantarvi, ma a piantarvi in alto — a ciò, miei fratelli, vi possa giovare il giardino del matrimonio.
25.
Chi conobbe le antiche origini, finirà per cercare le fonti dell’avvenire e le scaturigini nuove.
O miei fratelli, non passerà lungo tempo, e nuovi popoli sorgeranno e nuove sorgenti scorreranno scrosciando in nuovi abissi. Giacchè il terremoto dissecca molti pozzi, ma anche scopre alla luce molte forze interne e molte cose secrete.
Il terremoto suscita nuove sorgenti; nuove fonti rampollano quando muoiono i popoli vecchi.
E se taluno grida: — «Ecco qui un pozzo per chi ha sete, un cuore per molte brame, una volontà per molti stromenti»; intorno a lui si stringe un popolo, cioè una moltitudine che cerca.
Chi possa comandare, chi debba obbedire — ecco ciò che si tenta di sapere! Ahimè, con quante lunghe ricerche, con quale aspro congetturare ed errare, con quanto faticoso imparare e ritentare!
La società umana non è che un tentativo, — così insegno io, — una lunga indagine; ma essa ricerca colui che comanda!
— Un tentativo, o miei fratelli! E non già un «contratto!». Spezzate, spezzate questa parola dei delicati e degli irresoluti!
26.
O miei fratelli! Per colpa di chi corre maggior pericolo ogni umana sorte? Non forse per causa dei buoni e dei giusti? — e di coloro i quali dicono nel loro cuore: «Noi sappiamo già che cosa sia buono e giusto e già anche l’abbiamo; guai a coloro che lo vanno ancora cercando?
E se grande è il danno che possono recare i cattivi, quello che i buoni cagionano è più nocivo d’ogni altro!
E se grande è quello che recano i calunniatori del mondo, il danno dei buoni è assai più tristo.
O miei fratelli, tale visse un tempo che guardò entro il cuore dei buoni e dei giusti, e poi disse: «Sono Farisei». Ma non fu compreso.
I buoni e i giusti non potevano nè dovevano comprenderlo: il loro spirito era irretito nella lor buona coscienza. La stoltezza dei buoni è d’un’impenetrabile accortezza.
Ma questa è la verità: i buoni devono esser Farisei, — essi non hanno altra scelta!
I buoni devono crocifiggere chi vuol crearsi una nuova virtù!
Questa è la verità.
E il secondo, che scoperse il loro paese, — paese, cuore e regno terrestre dei buoni e dei giusti — fu colui che domandò: «Chi odiano essi più d’ogni altro?».
Colui che crea, colui che infrange le vecchie tavole e gli antichi valori; al quale essi dan nome di falsificator di monete.
Poi che i buoni non possono creare: essi sono sempre il principio della fine: — essi trafiggono colui che inscrive nuovi valori su nuove tavole, essi sacrificano a sè stessi l' avvenire: essi crocifiggono ogni avvenire dell’uomo.
I buoni sono stati sempre il principio della fine.
27.
O miei fratelli, avete voi ben compreso questa parola? e ciò che vi dissi altra volta dell’«ultimo uomo?».
Per colpa di chi è in maggior pericolo la sorte dell’uomo?
Non forse per colpa dei buoni e dei giusti?
Spezzate, spezzate i buoni ed i giusti! — O miei fratelli, avete voi compreso questa parola?
28.
Voi fuggite da me? Voi siete atterriti? Voi tremate dinanzi a questa parola?
O miei fratelli, quando vi esortai a spezzare i buoni e le tavole dei buoni, allora soltanto io imbarcai l’uomo per l’alto mare. E ora egli guarda intorno, sgomento, con occhi sbarrati dalla malattia, dalla nausea, dal mal di mare.
False spiaggie e false sicurezze v’insegnarono i buoni; nella menzogna dei buoni voi nasceste e vi sentiste securi.
Tutto sin nel più profondo è falsato e contraffatto dai buoni.
Ma quegli che trovò la terra dell’«uomo» trovò nello stesso tempo anche la terra dell’«avvenire umano». E ora voi dovete esser marinai, ma audaci e pazienti!
Camminate diritti, sin ch’è tempo, o miei fratelli: imparate a camminare diritti! Il mare è in tumulto; vi sono molti che abbisognano di voi per rialzarsi in piedi.
Il mare infuria; tutto è in mare. Ebbene! Orsù! In alto, cuori di vecchi marinai!
Ma che patria! Verso là si volge la prua dove è la patria dei nostri figli! Laggiù più tempestosa del mare ci sospinge la tempesta della nostra brama!
29.
«Perchè sei così duro?» — disse un dì al diamante il carbone da cucina; non forse ci unisce una stretta parentela?
«E tu perchè sei così tenero?». Non altrimenti io vi chiedo: non siete voi forse i miei fratelli?
Perchè così teneri e arrendevoli? Perchè tanto sacrificio e tanta rinuncia è nei vostri cuori? E perchè così timido destino trema nel vostro sguardo?
E se non volete esser inesorabili come il fato, come potrete vincere con me?
E se la vostra durezza non vuol lampeggiare, tagliare, squarciare, come potrete voi creare con me?
Poi che chi crea è duro. E per voi la felicità dev’essere questa: poter imprimere la vostra mano nei secoli, come se fossero di cera!
— Felicità per voi dev’essere questa: scrivere sui secoli, come su un bronzo, — sul più duro, sul più nobile dei bronzi. Poi che duro è soltanto ciò ch’è nobile.
Questa nuova tavola, o miei fratelli, io appendo su voi; diventate duri!».
30.
«Oh tu, mia volontà! Tu che allontani ogni bisogno, tu mia necessità! Salvami da tutte le facili vittorie!
Oh tu, missione della mia anima, che io chiamo fato! Oh tu, che sei in me e sopra di me! Salvami e riserbami per un unico grande destino.
E la tua ultima grandezza, o mia volontà, serbala per ultimo, — si ch’io sia inesorabile nella vittoria! Ahimè, a chi mai la vittoria non fu fatale?
A chi l’occhio non s’oscurò in quell’ebbro crepuscolo?
Chi non vacillò — fatto incapace a reggersi in piedi — nella vittoria?
— Affinchè un giorno io sia preparato e maturo pel grande meriggio! pronto e saldo come bronzo ardente, simile a una nube gravida di folgori, a una mammella traboccante di latte!
— Preparato per me stesso e per la mia volontà più ascosa: un arco desideroso della freccia; una freccia bramosa della sua stella!
— Una stella preparata pel suo meriggio: ardente, trafitta, inebriata dai dardi del sole che la struggono!
— Il sole medesimo e una volontà inesorabile di sole, pronto a distruggere ogni cosa nella sua vittoria!
O volontà, tu che allontani ogni bisogno, tu mie necessità! Serbami ad una grande vittoria!».
Così parlò Zarathustra.