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delle tavole antiche e delle nuove | 189 |
— Simile ad un incessante ricercarsi e ritrovarsi di molti dèi, a un beato riparlarsi, riudirsi e riappartenersi di molti dèi;
Dove il tempo mi sembrava uno scherno beato del momento dove la costrizione non era che la libertà, la quale si trastullava gioconda col suo pungiglione:
Dove ritrovai anche il mio vecchio demone, acerrimo nemico mio — lo spirito della gravità — di tutto ciò ch’egli ha creato: la costrizione, la legge, il bisogno, la conseguenza e il fine e la volontà, e il bene ed il male:
(Non deve forse esistere qualche cosa, oltre la quale, fuor della quale, si possa saltar danzando? Non devono esistere talpe e nani goffi, per trastullo di chi è leggiero, di chi è il più leggiero?).
3.
Là io raccolsi dalla via la parola «superuomo» e il concetto che l’uomo è cosa che dev’essere oltrepassata, — che l’uomo è un ponte e non una mèta: ch’egli deve chiamar sè stesso beato per il suo meriggio e per la sua sera onde, gli è segnato il cammino a nuove aurore:
— Io distesi su l’uomo, come una nuova porpora vespertina, la parola di Zarathustra, la parola del grande meriggio.
In verità, io anche additai alla ammirazione degli uomini nuovi astri e nuove notti; ed oltre le nubi e il giorno e la notte io distesi su di essi il riso, come una tenda variopinta.
Io insegnai loro tutto il mio pensiero e tutto il mio intento: che è di comporre in armoniosa unità ciò che nell’uomo è frammento e mistero e terribille caso.
— E, quale poeta divinatore d’enigmi e redentore del caso, io insegnai loro ad edificar l’avvenire e a redimer tutto ciò che fu, col creare.
Redimere il passato nell’uomo e crear nuovamente tutto Ciò che fu, sino a tanto che la volontà possa dire:
«Ma così io volli! Così io vorrò».
— Questo insegnai loro essere redenzione, e doversi chiamar con tal nome.