Aes rude, signatum e grave rinvenuto alla Bruna/Capitolo II

Luigi Adriano Milani

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Capitolo I Capitolo III

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CAPITOLO II.


L’aes grave.


La descrizione del ripostiglio della Bruna ci ha già dato occasione di fare delle osservazioni intrinseche, tecniche e tipologiche, sui singoli pezzi; ma studiandoli ulteriormente nei riguardi estrinseci, nel loro insieme, ed in rapporto con i monumenti congeneri, essi ci conducono alla constatazione di vari fatti numismatici ed a deduzioni di non lieve importanza per la storia della primitiva monetazione italica.

Primieramente, prendendo in considerazione i cocci rinvenuti insieme col ripostiglio, dobbiamo [p. 41 modifica]notare che i due frammenti a, per la loro qualità e robustezza, sono i soli che potrebbero riferirsi al recipiente (dolio od olla) dentro cui era stato deposto il tesoretto; il quale, prescindendo da due assi a testa d’Apollo, simili ai nn. 10-15 suddescritti, che mi dissero essersi ritenuto il ritrovatore o il primo proprietario, e prescindendo pure da qualche altro pezzo, forse perduto fra la terra, ha il rispettabile peso complessivo di chilogr. 14,213, pari a libbre romane 43 1/2: in cifra tonda dunque circa 50 assi librali ordinari, laziali o romani (vedansi gli ultimi assi descritti, nn. 16-17, in confronto col peso ordinario dei più antichi assi romani librali)1.

Anche il deposito di Vulci rinvenuto nel 1828 presso il Ponte della Badia, il quale ha più d’ogni altro stretta analogia col nostro, secondo la magra notizia che abbiamo del medesimo presso Gennarelli (La moneta primitiva, p. 11), si trovò «dentro una rozza olla mezzanetta, cinque palmi sotto terra» 2. [p. 42 modifica] Gli altri frammenti di vaso b-c ed i resti animali f-g, accennano: o alla esistenza di antichissimo abitato presso il luogo di rinvenimento, o alla suppellettile di qualche tomba, presso cui fosse seppellito, come spesso accade di vedere, il cavallo del defunto. Il peculiare colore della patina si addirebbe all’una come all’altra ipotesi. Il fondo di tazzina italo-pelasgica e, di comune uso nel secolo VI a. C, ed il frammento c di ciotola di bucchero etrusco od italico, mi richiamano alla mente le scodellette di terra giallognola a decorazione geometrica, appunto di fabbrica italo-pelasgica, e l’orciuolo di bucchero, rinvenuti insieme con otto pezzi di aes rude in un sepolcro circolare in muratura, scoperto presso l’antica Collatia (v. Garrucci, Civiltà Cattolica, 1880, s.e XI, voi. IH, p. 718). Se però l’aes rude di Collatia (oggi Lunghezza), come il grande deposito di aes rude rinvenuto a Cervetri, di cui ha dato notizia lo stesso Garrucci (loc. cit., e Monete dell’Italia antica, p. 2, tav. I-V), può bene riportarsi all’ultima epoca rappresentata dalla stoviglia di fabbrica italo-pelasgica (fine del sec. VI a. C, o, al più tardi, principio del sec. V), il nostro ripostiglio è, come vedremo, d’epoca assai posteriore; né il fondo di tazza pelasgica può mai avere con esso verun rapporto.

L’epoca del nascondimento del nostro ripostiglio viene, a primo tratto, determinata dagli assi nn. 10-15, i quali, per la semplice osservazione da noi fatta a pag. 23 circa lo stile o il tipo alessandrino della testa d’Apollo, devono assolutamente essere posteriori alla influenza ellenistica nel Lazio e nella Campania.

Quasi al medesimo risultato cronologico era arrivato anche il Samwer nel diligente studio intorno [p. 43 modifica]all’aes grave romano3. Egli, considerando la forma superiore della prora di nave usata dai Romani nella più antica loro moneta di bronzo (p. 36 e segg.), dovette concludere ch’essa appartiene al tempo Alessandrino, e che non potè essere adottata dai Romani prima del 330-306 a. C.

I pesi degli assi a testa d’Apollo, tutti superiori nel nostro ripostiglio al peso normale della libbra romana (da gr. 352 a gr. 327,5), non possono fare difficoltà, quando si consideri lo stretto legame tecnico stilistico, tipologico e metrologico che passa fra la serie di aes grave, cui essi spettano e quella di Luceria nell’Apulia.

La serie a testa d’Apollo, fin dal tempo di Marchi e Tessieri (L'aes grave, p. 60), fu stabilita così:

As D/ e R/ Testa d’Apollo
Semis "     " Pegaso veloce
Triens "     " Protome di cavallo
Quadrans "     " Cignale corrente
Sextans "     " Testa di Dioscuro (Vulcano)
Uncia "     " Grano d’orzo o frumento
né il Garrucci, che da trent’anni teneva dietro alla medesima (tav. XXXIII-XXXIV, p. 18), potè modificarla; solamente egli credette di attribuirla piuttosto al paese dei Falisci, cioè a Saura Faliscorum, anziché al paese dei Volsci, com’era stata riferita da Marchi e Tessieri e dal Mommsen Hist. de la Monn. rom., I, p. 186).

Dalla statistica dei rinvenimenti dell’aes grave di tale serie, la quale ora si estende dalla Calabria [p. 44 modifica]al Tirolo4, e comprende anche l’Umbria, ciò solo si può concludere, che così questa serie, come quella a testa giovanile di Giano, pure rappresentata nel nostro ripostiglio5, venivano accettate con particolare favore in tutta Italia.

Circa alla lettera S sull’asse a testa d’Apollo dell’esemplare del Museo Kircheriano, la spiegazione [p. 45 modifica]datane dal Garrucci, tav. XXXIII, 2, non ha valore, potendosi spiegare meglio che come iniziale di un epiteto apollineo, quale iniziale della città, o del popolo, o della provincia presso cui tale serie è stata emessa6.

Come Garrucci interpretava Apollo-Soranus, io potrei, a maggior diritto, interpretare semplicemente Apollo-Sol, oppure Apollo-Sabus — Sabinus, che in sostanza ha il medesimo significato di Sol e Soranus (cfr. Preller-Jordan, Griech. Mythol., II, p. 275); e metterei così in armonia l’epiteto apollineo col nome del popolo cui ascrivere il detto asse, cioè i Sabini, Sabatini e Samniti (= Sabnites, e Safineis), sempre il medesimo popolo osco (cfr. Preller-Jordan, op. cit., I, p. 8, nota 1)7. Nel medesimo paese dei Volsci parecchie sono le colonie latine il cui nome comincia da s: Signia, Sora, Setia, Suessa-Pometia, Satricum8; e vedremo ben presto che la s del citato asse a testa diademata di Apollo deve, secondo ogni probabilità, per non dire con certezza, interpretarsi come iniziale appunto di città.

Chiunque abbia famigliare la storia dell’arte greca, e insieme abbia studiato la tipologia delle monete greche ed italo-greche di Pool, Head, Gardner, Imhoof-Blumer, etc., non potrà disconoscere la stretta analogia stilistica esistente fra la testa d’Apollo di origine ellenistica ionico-attica dei nostri assi (tavola XIV, 1)9 e la testa, di Ercole coperta dalla [p. 46 modifica]spoglia nemea, anch’essa di origine ellenistica ionico-attica, e specificamente macedonica, degli assi di Luceria.

La testa di Apollo di stile italico dell’asse, tav. XIV, 1, come è dimostrato dal peso e dalle osservazioni fatte di sopra (pag. 25, 26), è posteriore, e non anteriore, al tipo prettamente ellenistico; ed è appunto notevole, che come in questo, così generalmente in tutti i pezzi di aes grave italico, là dove il carattere dell’arte italica è più accentuato, tanto più tarda è l’epoca rispettiva dei medesimi, in confronto coi pezzi di aes grave simili di accentuato carattere greco. Naturalmente, nell’Italia dei Romani, il prototipo si prendeva sempre dal mondo greco, per quanto era pratico e possibile; indi via via assumeva forma e carattere nazionale.

Tanto la testa di Apollo coi capelli fluenti, quanto quella di Ercole giovanile coperta dalla spoglia nemea, sono comuni, e strettamente legati alle prime monete d’argento che i generali romani, in virtù dell’imperium militare. batterono sotto la loro autorità e col loro nome nazionale ROMANO10 in Campania, allorché questa provincia cominciò a subire il loro giogo (a. 338-318 a. C.; Head, Hist Num., p. 28)11 (XX). Anche il pegaso volante, tipo del semisse della serie [p. 47 modifica]a testa d’Apollo, ed il cavallo galoppante, sormontato dall’astro solare, tipo di un molto discusso e raro asse a iscrizione latina arcaica, trovato nelle terre di Luceria ed attribuito a tale città (Garrucci, tav, LXIII, 3; cfr. p. 34 e 41), li abbiamo nelle dette monete romano-campane: il cavallo in quelle più antiche (338-318 a. C), inscritte ROMANO12; il pegaso. in quelle poco posteriori (318-268 a. C), inscritte ROMA (cfr. Garrucci, tav. LXXVI, 12, 19; 4-8). I tipi poi si intrecciano e si allacciano cosi, che le monete romano-campane col pegaso (didrammi e dramme) offrono al diritto la testa di Ercole; quelle col cavallo, la testa di Apollo laureato (Garrucci, tav. LXIII, 3), o diademato (Garrucci, p. 41), coi capelli fluenti: inversamente di quel che succede nell’aes grave di Luceria e nella serie a doppia testa di Apollo. Dicasi altrettanto della protome di cavallo brigliato o frenato, propria dell’asse di Luceria, come della protome di cavallo libero (pegaso) del triente della serie a doppia testa di Apollo, che pure abbiamo nelle più antiche monete romano-campane (Garrucci, tav. LXXVII, 20-22). Quanto al cignale corrente del quadrante della nostra serie, l’abbiamo più tardi nelle monete di bronzo coniate a iscrizione osca di Capua (Garrucci, tav. LXXXVII, 13-14); la testa di Vulcano (non Dioscuro, v. più oltre p. 49 e seg.) con pileo e capelli fluenti, l’abbiamo tal quale nelle dramme di Aisernia nel Sannio (262 a. C, Garrucci, tav. XC, 21-22), desunto dalle monete di Lemno e di Lampsaco (Head, p. 466, fig. 280); i grani d’orzo o di frumento dell’oncia, propri anche della serie di Luceria (Garrucci, tav. LXIV, 7, il tipo più comune [p. 48 modifica]è la spiga di grano, simbolo equivalente, li abbiamo tanto nelle più piccole monete d’argento (oboli) e di bronzo di Metaponto in Lucania, coniate al tempo di Pirro sotto la soggezione romana (300-280 a. C.)13, quanto nelle monete di Ascoli nell’Apulia (300-279 a. C).

La relazione dei tipi della serie a doppia testa d’Apollo coi tipi specialmente propri della Campania e dell’Apulia, mi pare così rimarchevole e stringente, da non potersi invero spiegare assegnandole la patria attribuitale dal Garrucci. — Non vi può esser dubbio: il luogo d’ origine di questa serie va cercato verso il mezzogiorno: o all’ estremo confine dei Volsci (p. es. Sora), o addirittura nella Campania. Qui ci soccorre la S del citato asse del Museo Kircheriano (Garrucci, tav, XXXIII, 2), la quale ci addita la città che non poteva confondersi con nessun’altra: Suessa Aurunca, l’unica colonia latina inclusa nella Campania che abbia per iniziale la lettera S.

Suessa, datasi ai Romani nel 344 a. C. e capitale degli Aurunci od Ausonii dopo la distruzione di Aurunca (337 a. C, Livio, VIII, 15), si trovava chiusa al di là del Liris (Garigliano) e al di qua del Volturno, posto avanzato eminentemente strategico (Rocca Monfina) sulla via diretta (Appia) che menava a Capua. Questa città fu per i Romani il baluardo e la chiave del dominio sulla Campania, alla quale fu più tardi aggregata. Essa, da loro colonizzata nel 313 a. C., battè moneta d’argento con [p. 49 modifica]iscrizione latina, SVESANO, secondo il sistema romano-campano (didrammi attici), e fu la principale, se non l’unica, zecca romano-campana avanti la conquista di Capua; né cessò di battere moneta d’argento e di bronzo se non al tempo dell’asse sestantale, come è dimostrato dal bronzo coniato14.

I suoi tipi monetari specifici sono improntati al culto solare Apollineo (l’Apollo o Febo degli Ausonii; cfr. Vergilio, lib. VI e VII), ed al giuoco del cavallo dei desultores (ἀναβάται dei Greci. Paus., V, 9, 2), di cui vantava l’origine insieme con Taranto (Liv., XXXV, 28): da una parte la testa laureata di Apollo con capelli fluenti (Garrucci, tav. LXXXII, 33-34; Head, Ancient coins, tav. 44, 10), stile preciso dell’asse fuso che noi le attribuiamo; al rovescio il desultore con i due cavalli e la palma della vittoria. Il pegaso del semisse ed il cavallo del triente stanno in relazione col culto solare (Bellerofonte) e col desultore; mentre la testa duplicata di Vulcano dell’oncia, allude bene alla rocca Monfina, di natura vulcanica, in corrispondenza col VOLCANOM di Aesernia e col prototipo di Lemno e di Lampsaco, rappresentato, [p. 50 modifica]come dio primordiale, anche nel fastigio15 principale del tempio di Giove Capitolino.

Dell’aes grave, dirò ormai, Suessano, il quale, oltre che dal peso anche dalla duplicazione del tipo, mostra di essere una delle più antiche specie fuse, abbiamo non più di due emissioni ordinarie distinte:

1a Emissione con asse a duplice testa diademata di Apollo, sul piede della mina attico-campana, ridotta via via dal peso di 16 once (gr. 436) a sole once 14-12. (Cfr. gli Annexes presso Mommsen-Blacas, I, p. 337 e gli assi del nostro ripostiglio).
2a Emissione con testa come sopra, a cui qualche volta si aggiungono: a) i raggi solari; b) la S iniziale della zecca; c) il segno del grappolo d’uva. — Questa emissione sta sul piede della libbra romana debole (11-10 once).
In connesso tipologico e metrologico con la seconda emissione da me assegnata a Suessa-Aurunca stanno i rarissimi assi di emissione straordinaria: [p. 51 modifica]

A. — Riccio, Poliorama, Napoli, n. 29; Ritschl, Priscae lat. Monum., tav. V16;

B. — Museo Hederwary I, tav. II, n. 4217,

riferiti, a cagion del ritrovamento, a Luceria, e recanti i nomi dei duumviri monetali:

VIO • • F • C • MODIO • CN • F •


Nel diritto vediamo la stessa identica testa di Apollo, diademata (A) o laureata (B) degli assi e delle dilitre dei Suessani; e nel rovescio, il cavallo saltellante sormontato dall’astro solare, di cui abbiamo detto di sopra, e che sappiamo più tardi essere stato effettivamente adottato anche da Luceria (periodo trientale), la quale probabilmente lo desunse dalla vicina Arpi (Head, Hist. Num. p. 37, fig. 24),

Ad un’altra emissione straordinaria, posteriore, e forse meglio riferibile a Luceria (?), ma in ogni caso connessa con i tipi della lega monetaria dell’argento di cui dissi a p. 49, nota 19, stanno gli assi, ora anepigrafi ed ora coi nomi dei duumviri monetali:

SE • BABI • • SEXTI


(Garrucci, tav. LXX, 3-4, e LXIII, 2; da once 3 a 7), i quali da un lato presentano la testa d’Apollo, se non Venere (cfr. l’ acconciatui’a ed i lineamenti), e dall’altro il gallo solare, simbolo della lega campano-sannitica suddetta. [p. 52 modifica]Eccoci all’esame della serie di aes grave a testa di Giano giovanile, pure rappresentata nel nostro ripostiglio e stata dal Mommsen attribuita ad Ardea, {Hist. de la Monn. I, p. 185), e dal Garrucci (tavola XXXVI, VII, p. 19) ai Sabini.

Essa si compone dei seguenti tipi :

As D/ Bifronte imberbe, R/ testa di Mercurio
Semis " testa di Minerva, " testa muliebre
Triens " folgore, " delfino
Quadrans " mano aperta, " due grani
Sextans " conchiglia (pecten) " caduceo
Uncia " astragalo, " segno dell’oncia •
Semuncia " ghianda, " segno (semoncia).

Il segno del falcetto (runco) aggiunto sopra una emissione di questa serie, mette fuori d’ogni controversia la sua composizione.

Osserviamo : che, se da un lato questa serie per i due tipi principali dell’asse: D/ testa di Giano imberbe, R/ testa di Mercurio, si allaccia all’antichissima religione specificamente romana; dall’altro, nei tipi secondari (semisse, triente, quadr., sestante, oncia), s’immedesima coi tipi della monetazione d’argento e d’oro romano-campana (338-218 a. C).

La testa di Giano imberbe, desunta tipologicamente dai Bifronti antichissimi delle monete di Atene, Tenedo, Lampsaco, e Siracusa in ispecie18, è sostanzialmente quella medesima del primo nummus romano d’argento, battuto, secondo io credo, simultaneamente in Roma ed a Capua con la iscrizione ROMA: incusa, in Roma; a rilievo, in Capua.

Ho spazieggiato queste parole, perchè, con cotale [p. 53 modifica]mia idea di una duplice emissione simultanea a Roma ed a Capua delle dette monete d’argento, si spiega nel modo il più semplice e naturale la differenza tecnica delle due emissioni (cfr. i primi denari Urbani, pure a leggenda incusa, di cui tratto nel cap. IV) la identità stilistica e metrologica di tali monete, e, ad un tempo, si conciliano le osservazioni di Mommsen con gli argomenti in contradittorio, ed invero validissimi, recati dal barone d’Ailly, Recherches, I, p. 157 e dal Garrucci, p. 62, 166.

Questi nummi sono i famosi quadrigati degli annalisti romani19, il nummus e seminummus corrispondenti ai didrammi e dramme campane20. — I relativi tipi sono, ripeto, essenzialmente Urbani: da un lato. Giano bifronte giovanile, simile a quello degli assi della serie di cui ragioniamo; dall’altro, Giove Fulguratore in quadriga veloce (quadrigatus).

Giano giovanile, imberbe, è il dio principe degli Indigitamenta (Divum, Deus Consivius, Macrob., I, 9, 16; cfr. Preller-Jordan, Röm. Mythol., I, p. 166, 159), dio solare italico antichissimo (Roscher, Mythol. Lexikon, II, p. 16 seg., 27, 43 seg.), eminentemente battagliero; ma altresì federale, ossia preposto ai foedera, e come tale Geminus, Bifrons, Custos pacis21. [p. 54 modifica]Giano imberbe sta a Giano barbato, precisamente come Apollo sta a Giove, ed Ercole imberbe ad Ercole barbato22. Esso rappresentava la guerra e la pace insieme; Apertus era la guerra, Clausus la pace. Clausus non fu onorato se non tre volte in tutta la storia di Roma:

I. al tempo di Numa (715-672 a. C.), — pace e federazione dei Romani coi Sabini;

II. nel 235 a. C., dopo la prima guerra punica, — pace e federazione generale italica;

III. nel 29 a. C., sotto Augusto, — pace e federazione mondiale23.

Il tipo del rovescio del detto nummus. Giove Fulguratore, è pure un tipo che emana ed imperpersona [p. 55 modifica]Roma ed il popolo romano: — è sicuramente il Giove fulguratore di Volcas di Vei (cioè Volcanus = Mamurio), che dalla vetta del Campidoglio, anzi dall’ultimo vertice del sacro tempio di Giove Capitolino, protegge il popolo romano e ne rappresenta la fulminea potenza militare24. Traiano, restituendo l’antichissima moneta della Repubblica, non poteva dimenticare di rinnovare il quadrigatus che fu veramente la prima moneta Urbana d’argento, e politicamente la più importante25.

La circostanza dell’emissione emerge dalla spiegazione stessa dei tipi: o segue immediatamente la occupazione di Capua, 338 a. C., o coincide con lo stabilimento della Prefettura in quella città, 314 a. C.26. Essendo fatta per servire ai bisogni delle guerre sannitiche, è poi naturale sia tagliata sul piede attico-campano (dilitre e litre = nummus e seminummus).

L’asse col tipo di Giano giovanile precede un poco la detta emissione dell’argento Urbano e Capuano, e sussiste ancora contemporaneamente alla medesima, ridotto, come gli esemplari del nostro ripostiglio, sul peso dell’aes grave urbano di 11 e 10 once.

Le nostre idee vengono confermate dalle osservazioni sull’aes signatum (cap. III), e dalla stessa analisi di tutti gli altri tipi riferentisi alla serie d’aes grave a testa di Giano imberbe, di cui esistono due [p. 56 modifica]emissioni ben distinte: una più pesante, senza segni (Garrucci, tav. XXXVII); ed una più debole, col segno del falcetto.

Nel rovescio dell’asse a testa di Giano giovanile vediamo la testa di Mercurio, una divinità etrusco-romana (etr. Turmus) che si identifica col Turnus laziale Vergiliano27, il cui culto in Roma rimonta al tempo dei Tarquini (Preller-Jordan, II, p. 230). La testa di Mercurio, Deus magnus, Caelestis, Aeternus, Felix, Nuntius pacis, è il tipo ordinario dell’oncia urbana, e si connette tanto col Mercurio dei quinarii e sestanti di Populonia (Garrucci, tavola LXXiII, 13-15 e tav. LXXIV, 8-9), quanto con il tipo delle monete di argento di Segni (Garrucci, tav. LXXXII, 20-21) e di Alba Fucense (Garrucci, tav. LXXXII, 17). Il caduceo — attributo di Mercurio — del sestante, sta in relazione palese con la testa dell’asse.

Sul diritto del semisse vediamo la testa di Minerva Roma con galea corinzia crestata, desunta tipologica mente forse dalla Pallade attica di Eraclea (Gardner. The types, XI, 13; Garrucci, tav. CI, n. 6-9 e GII, 1-3) ma corrispondente col tipo divenuto specifico di Cales con le dilitre romano-campane iscritte ROMANO e ROMA, col triente dell’aes grave urbano e col dupondio urbano trientale (Garrucci, tav. XXXI, 2). La galea corinzia crestata che copre questa testa, e l’espressione medesima del viso alzato, non ci lascia il più lontano dubbio che cosi nell’aes grave urbano, della nostra serie, di aes grave come nell’altra serie, Garrucci, tav. XXXVIII, di cui diremo più innanzi, e nelle monete coniate romano-campane, sia ritratta a disegno [p. 57 modifica]la dea Roma augurium capiens del frontone settentrionale Capitolino, rinnovato dagli Ogulnii (296 a. C), la quale è rappresentata in modo chiaro e sicuro su taluni denari romani anonimi riferiti al 106 a, C. (?) (Babelon, I, p. 72) ed altresì nei denari di Petilio Capitolino (Babelon, II, p. 292)28. Siccome la dea Roma del tempio di Giove Capitolino era, come dice espressamente Svetonio (Oct. 94) in confronto con Dione XLV, 1, il signum Reipublicae emerge senz’altri commenti la significazione religiosa e politica di questo importante tipo monetario29.

Quanto alla testa femminile del rovescio, — non capisco come non sia ancora stata riconosciuta — essa rappresenta certamente Venere, ed è sicuramente desunta dal tipo della Sibilla Cumana e Partenopea, [p. 58 modifica]due divinità l’una all’altra identica e confondentisi con Venere Ciprigna ed Ericina, la Diva potens di Orazio, l’alma Venus di Vergilio e l’Aeneadum genetrix di Lucrezio30. Che la testa muliebre del semisse sia la Venere frigia, Vergiliana, identificata con la Sibilla Cumana (virgo), è dimostrato dal delfino, tipo del triente, dai grani di frumento del quadrante e dal nicchio marino del sestante, tutti propri suoi simboli, i quali troviamo sulle stesse monete di Cuma ed in quelle posteriori di Napoli, la nuova città dei Cumani.

Se potessero rimanere dei dubbi sulla mia identificazione della testa nuda del semisse con la Sibilla Cumana, direi dovessero completamente sparire dinanzi ai semissi di emissione straordinaria, Garrucci, tav. XLI, 2, XLII, 2 (= Marchi e Tessieri, incerte tav. II, 1), sfuggiti finora a qualunque classificazione ed interpretazione, e che pure esibiscono in modo ancora più determinato e sicuro: da una parte la testa della Sibilla Cumana (Cymaea Sibylla) avvolta nelle sacre vittae fatidiche e sacerdotali (Sacerdos cfr. Vesta-Vestales)31; dall’altra un chicco di grano (semen) chiuso nell’involucro (vagina, Cic. Senect. 15), simbolo [p. 59 modifica]insieme verginale (Virgo = Parthenope) e della fisica fecondità (Venus = Astarte) appunto come nelle monete di Cuma, dove è aggiunto anche il nicchio di Venere Genitrice ed il Cerbero custode dei misteri Cumani (Garrucci, tav. LXXXIII, 22-26 e LXXXIV, 1-4)32.

La connessione religiosa e politica fra Minerva-Roma augurium capiens e la Sibilla Cumana, appena ha bisogno di essere, dopo ciò, rilevata33.

La folgore, tipo principale del triente, è quella vibrata da Giove Fulguratore Capitolino, nei quadrigati urbani e capuani; la stessa folgore, simbolo del sancito foedus romano-campano (Serv. ad Aen. XII, 200), espressa nei quadrilateri visti dal Borghesi (Garrucci, p. 6), quella medesima che stringe fra gli artigli l’aquila volante dell’aes signatum quadrilatero, n. 6, (v. cap. III), [p. 60 modifica]e l’aquila delle prime monete d’ oro romano-campane col Giano bifronte giovanile34.

Eloquente è anche il tipo della mano aperta del quadrante, la quale — ed anche questo è strano che nessuno abbia mai veduto — rappresenta manifestamente il manipulus della coorte militare romana, insegna la quale ha l’origine che tutti sanno35, e che qui viene per giunta illustrata dai grani di frumento del rovescio e dal falcetto aggiunto nella seconda emissione di questa serie di aes grave. Il grano d’orzo o di frumento è poi anche sul rovescio delle citate monete di Capua, e sta quindi in relazione con la Sibilla Cumana, ossia con la Venere del semisse (cfr. sopra).

I tipi delle frazioni più spicciole, (oncia e semoncia), non sono specifici di questa serie soltanto; tuttavia l’astragalo dell’oncia, tipo di Imera di Sicilia quando questa città modificò il suo sistema monetario sul piede attico (Head, p. 126), sta apertamente in relazione con Venere, dea del giuoco, e col ludo degli astragali, di origine ateniese (perciò appare sugli oboli di Atene), per certo molto diffuso nelle colonie attiche di Lucania (Velia, Turio, Eraclea)36.

[p. 61 modifica] La ghianda della semoncia, propria solamente della prima emissione della serie a testa di Giano e comune a qualche altra serie di aes grave più pesante, esprime bene il valore spicciolo dell’ultima frazione aliquota dell’aes grave, riferendosi alla più vile derrata dei campi e della stessa Campania Felix.

Dopo quanto ho osservato, mi pare che non si possa invero esitare ad assegnare a Capua la emissione dell’aes grave a testa di Giano imberbe e giovanile.

Capua, datasi ai Romani nel 338 a. C., divenne il più importante centro della monetazione romano-campana durante le guerre sannitiche; essa divenne la più diretta emanazione dell’Urbs, come è dimostrato tanto dai tipi del suo aes grave, quanto da tutti quelli della cosiddetta monetazione romano-campana. Il grandissimo numero di pezzi di questa nostra serie rinvenuto a Vicarello (più di 1109, V. sopra p. 44, nota 10), ed il ripostiglio di Ostia composto esclusivamente di pezzi di questa stessa serie, non può sorprenderci, perchè di tutte le serie di aes grave del gruppo cosiddetto laziale e che io dirò piuttosto romano, questa era senza dubbio la più accreditata e la più strettamente congiunta con quella ch’io chiamo Urbana.

Come abbiamo accennato, della serie di Giano imberbe, ch’io dunque assegno a Capua, abbiamo due emissioni distinte primitive:

1a Emissione, senza segni, di peso forte; cioè di sistema attico-campano: mina di 16 once, ridotta effettivamente da 14 a 12 once.

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2a Emissione, col segno del falcetto, di peso debole; cioè di sistema romano librale, ridotta generalmente al peso di once 11-10-9.

Ad un tempo assai più tardo, come spiegheremo più innanzi, appartiene l’emissione coniata di peso sestantale, il cui asse ben conosciuto (Garrucci, tav. LXXXVII, 7), reca da una parte appunto la testa di Giano giovanile imberbe, e dall’altra la quadriga di Giove Fulguratore con sotto il nome osco (= kapva). Si confrontino e si considerino, dopo quello che abbiamo detto, tutti i tipi del bronzo capuano di peso trientale, e sestantale (Garrucci, tav. LXXXVII, ecc.), e mi si dica se può rimanere qualche dubbio sulla mia nuova assegnazione ed interpretazione dei singoli tipi.

Ho detto che all’epoca della prima riduzione dell’asse romano sul peso oscillante da 10 e 9 once, Suessa-Aurunca non emise più aes grave; la emissione romano-campana del bronzo sarebbe stata naturalmente trasportata al più presto possibile a Capua, e di qui estesa a qualche città circostante della Campania.

I tipi ed i pesi delle serie finora incerte credute laziali,

A. — Garrucci, tav. XXXV, asse con duplice testa di Roma coperta da galea frigia, con o senza clava (due emissioni distinte);

B. — Garrucci, tav. XXXVIII, D/ testa di Minerva-Roma con galea corinzia crestata, R/ cratere a larghe anse,

si possono dire paralleli coll’aes grave a testa di Giano giovanile di seconda emissione.

La duplice testa di Roma con galea frigia ritorna tanto nelle più antiche monete d’argento romano[p. 63 modifica]campane (Garrucci, tav. LXXVII, 16; Head, p. 28, fig. 10) e nei decussi e tripondi urbani del periodo trientale (Garrucci, tav. XXX e XXXI), quanto in una serie di aes grave con dupondi e tripondi librali, avente una evidente relazione con l’aes grave etrusco (cfr. la ruota, tipo del rovescio) e stata dal Garrucci attribuita a Sutri e dal Mommsen ad Alba Fucense (I, p. 187).

Il tipo della testa di Roma con galea frigia, a me sembra alludere trasparentissimamente alle origini di Roma37, più tardi cantate da Virgilio nell’epopea nazionale romana, e lo credo posteriore alla occupazione di Capua, e connesso coi presagi contenuti nei famosi libri sibillini, i quali cominciavano ad avverarsi appunto coll’annessione di Capua e del territorio Cumano, ossia col possesso del luogo dove aveva la prima volta sbarcato Enea, e dove Enea aveva appreso i propri destini.

L’oracolo della Sibilla Cumana, contenuto nei libri sibillini che si conservavano in Campidoglio fin dal tempo di Tarquinio Prisco (vedi Preller-Jordan I, p. 146) e cantato poi da Virgilio (lib. VI), diventa un fatto compiuto; ed allora Roma riconosce la sua origine troiana e la celebra nelle sue monete, rappresentandosi con l’elmo proprio di Enea e dei Troiani38. Insieme con Roma e Capua celebrano lo stesso fatto probabilmente Aricia, erede di Alba, e Ardea, la capitale dei Rutuli, dove Enea prese [p. 64 modifica]terra, e sposando Lavinia (= Vesta ?), divenne il capostipite della gente romana39.

La parafrasi di tutto il poema vergiliano e l’esegesi rigorosa dei nostri tipi monetari è appunto contenuta nei primi sette versi dell’Eneide (cfr. Orazio, Od., IV, 4 V. 53-56):

Arma virumque cano Troiae qui primus ab oris
Italiam fato profugus Laviniaque venit
litora, multum ille et terris iactatus et alto
vi superam, saevae memorem Iunonis ob iram,
multa quoque et bello passus, dum conderet urbem
inferretque deos Latio, genus unde Latinum
Albanique patres atque altae moenia Romae.

La duplice testa di Roma coperta della galea frigia sostituisce dunque nell’asse il Giano imberbe della 3a e 4a emissione capuana; mentre nelle frazioni minori (semisse, triente, quadr., ecc.) sono duplicatamente espressi i medesimi tipi principali delle serie capuane. La clava, segno di una di tali serie (Garrucci, tav. XXXV), potrebbe accennare alla presa di Teano Sidicino, di cui i Romani si impossessarono nel 318 a. C.40, o meglio, considerando i pesi, al protettorato di Eraclea di Lucania, assunto dai Romani nel 272 a. C.

La serie parallela col vaso a larghe anse slanciate, sta invece più decisamente in relazione con Cales, colonia romana nel 334 a. C, e mi par dimostrato: 1a dalla presenza e dalla peculiare forma del cratere, la quale è specifica della celebre stoviglia cosiddetta etrusco-campana di Cales (figulina di Canoleio)41; 2a dalla testa alta ed attenta di [p. 65 modifica]Minerva-Roma con galea corinzia crestata, adottata anche nella monetazione dell’argento con l’iscrizione CALENO42.

È altresì notevole al postutto, che, mentre queste due serie e quelle di seconda emissione da noi assegnate a Suessa Aurunca ed a Capua, si collegano metrologicamente alla serie romana urbana più antica, le serie di prima emissione di Suessa e di Capua, corrispondono metrologicamente alla serie di Luceria di Apulia43, città fondata dai Romani soltanto nel 314 a. C, la quale emise l’aes grave sul piede della mina attico-campana di 16 once (gr. 436).

Principalmente, e direi anzi unicamente per questa ragione metrologica, il Soutzo, nei suoi studi sulla prima monetazione italica44, espresse l’opinione, che le serie del cosiddetto gruppo laziale dovessero riferirsi ai generali romani che coniarono le monete romano-campane.

Come credo di avere, in parte, dimostrato, e come proverò anche meglio nel cap. III, nell’opinione del Soutzo si nascondeva in parte la verità. Tuttavia egli doveva distinguere fra serie e serie laziale, e doveva tener conto del concetto fondamentale romano di lasciare alle città alleate o confederate ed alle colonie il diritto di battere moneta a scopo [p. 66 modifica]commerciale e politico, volendo i Romani con ciò dimostrare com’essi intendevano e sapevano rispettare le municipali autonomie.

Roma verso la fine del secolo IV a. C. teneva ormai — lo proverò in altra occasione — il monopolio del bronzo, prima esercitato dagli Etruschi45; e questo metallo essa forniva alle città alleate ed alle colonie per irradiarlo direttamente o indirettamente per tutta Italia ed averne in cambio l’argento e l’oro di cui abbisognava per la sua espansione, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia, in Sicilia, in Oriente.




Note

  1. Per dare un’idea del valore relativo rappresentato anticamente dal nostro ripostiglio, ricorderò che cinquanta assi librali era la cifra canonica delle minori multe sacramentali; che tanto importava l’ammenda per qualunque controversia intorno alla libertà individuale, (Gaio, IV, 14); e che venticinque assi era la minor multa stabilita dalle XII tavole, per cui Gellio N. A., 20, 1, 2, scrive: « quis enim erit tam inops quem ab injuriae faciendae libidine viginti quinque asses deterreant?». Un bove nella legge Iulia Papiria o Tarpeia del 430 a. C. era computato cento assi (centussis), una pecora dieci (decussis).
  2. Su questo ripostiglio vedasi altresì Marchi e Tessieri, La stipe delle Acque Apollinari, p. 22; Gennarelli, op. cit., p. 22, nota 1 e Mommsen-Blacas, Hist. de la Monn. rom., I, p. 175. — Nel ripostiglio di Vulci, insieme con una grande quantità di aes rude informe di piccolo taglio, si rinvennero i seguenti spezzati di quadrilatero editi dal Garrucci: a) Spina pesce, tav. XI, 1; b) Tripode e pegaso, tav. XV, 2; c) Pollo e rostro, tav. XVIII, 2; d) Bove, tav. XXI, 1. — Garrucci nella tavola XVIII dà come proveniente da Vulci anche il quadrilatero intero coi polli ed i rostri del Museo Britannico, ma non lo conferma nel testo, p. 10. A p. 13 dice essersi rinvenuti nel ripostiglio alcuni pezzi di aes grave ovali con la clava, simili a quelli dati a tav. XXVII.
  3. Samwer, Geschichte des ält. röm. Münzwesens, herausgegeben von Bahrfeldt nella Numism. Zeitschrift, Wien, 1883.
  4. Cfr. l’asse rinvenuto a Nicotera in Calabria (Notizie degli scavi, 1882, p. 285; Garrucci, tav. LXX, 2); ed i quattro pezzi di questa serie trovati sul Dos Trento: un triente, un quadrante, un sestante, un’oncia. (V. Orsi, Un gruppo di aes grave trovati a Trento; nell’Arch. storico di Trieste, 1882, I, fasc. IV). Marchi e Tessieri, L'aes grave, p. 61, avvertivano dal loro canto vagamente che: «questa serie veniva dalle vicinanze di Roma e più da quelle che toccano il mare». I ripostigli di Monte Mario e di Amelia diedero ciascuno un esemplare (asse e triente). La stipe di Vicarello diede, secondo Garrucci (op. cit., p. 18), 112 pezzi di questa serie (assi 14, semissi 2, trienti 10, quadr. 14, sestanti 9, oncie 78); il lago Fucino: 39 assi, 1 semisse, 4 trienti, 7 quadr., 14 sestanti, 12 oncie; Tarquinia: assi 8; Cervetri, assi 1; Sarzano presso Capua diede 17 quadranti; Agnone nel Sannio: 2 assi (cfr. Mommsen-Blacas, I, p. 186); ora la Bruna presso Spoleto ci esibisce 6 assi. Nel Museo di Firenze esistono, provenienti probabilmente dall’ Etruria o dall’Umbria, i seguenti pezzi: 5 semissi (gr. 167, 152, 142, 186); 2 trienti (gr. 116, 107); 4 quadr. (gr. 83, 80, 79, 66); 2 sestanti (gr. 65, 56); 2 once (gr. 29, 21).
  5. Vicarello secondo Garrucci, pag. 20 a, diede più di 1109 pezzi di questa serie: 16 assi, 4 semissi, trienti ?, quadr. 58, sest. 95, oncie 581, semoncie 361. Ostia offrì un ripostiglio tutto composto di assi di questa serie (Marchi, Aes grave, p. 48); parecchi assi diede il deposito di Monte Mario; 3 assi quello di Amelia; 4 assi e 8 trienti quello di Cervetri (D’Ailly, Recherches, etc, I, p. 56, n. 1). Secondo Garrucci, Genzano presso Civita Lavinia ci offrì 2 semissi; e Tarquinia, 1 triente. A Musarna presso Viterbo si rinvenne 1 semisse (Bull. Inst., 1850, p. 43); e sul Dos Trento, oltre il triente, il quadr. e l’oncia descritti da Giovannelli, (Dei Rezi, p. 81), si rinvennero: 1 triente, 2 quadr., 2 sest, 4 oncie e 4 semoncie nel ripostiglio descritto dall’Orsi, loc. cit. Secondo Fiorelli (Monete rare, 1843, p. 12), le più piccole frazioni di questa serie, dal triente in giù, si trovano anche nell’Apulia. Nel Museo di Firenze di questa serie esistono soltanto un asse (gr. 335, mal conservato) e un semisse (gr. 113,8), da me acquistati nel 1885 come provenienti dalla Maremma toscana. Con ciò credo che la statistica di questa serie, a cui ora si aggiunge la Bruna (2 assi), sia tutt’altro che completa.
  6. Per limitarci all’aes grave si confronti: iniziale certa di Luceria; A iniziale certa di Asculum.
  7. Cfr. Varro, L.L., VII, 28; Bücheler, Rh. Mus. XXXIII, p. 489 seg.
  8. Vedasi il catalogo delle colonie latine presso Mommsen-Blacas, III, p. 182 e p. 186, nota 8.
  9. È particolarmente stringente il confronto con il tipo degli stateri tanto diffusi di Lampsaco (dominazione ateniese), esibenti la testa di Apollo-Helios. Lo stile è quasi identico, e per giunta la testa è con- contornata tutto in giro dai raggi solari (Head, Hist Num. p. 466, fig. 281). Nell’asse a testa di Apollo di Pesaro (Garrucci, tav. XXXIII, 8) sono aggiunti da una parte perfino i raggi solari. Il simbolo poi del grappolo d’uva, da cui è contraddistinto l’esemplare di Pesaro, lo collega con l’esemplare rinvenuto in Calabria (Garrucci, tav. LXX, 2), e lo designa come appartenente ad una emissione posteriore (cfr. anche i pesi).
  10. ROMANO, ortografia con anusvara per ROMANOM (cfr. Longpérier, Rev. Num., 1864, p. 888, 66). no e nom sono desinenze certe del genitivo latino arcaico (Bücheler).
  11. Intorno alla storia della Campania vedasi il buon lavoro di Beloch, Kampanien, Breslau, 1890.
  12. Il cavallo sormontato dall’astro solare vedesi anche nelle monete di Arpi riferibili al tempo dell’alleanza con Roma (326 a. C. Head, Hist. Num., p. 37; Garrucci, tav. XCIII, 1).
  13. Si noti che la monetina di Metaponto della Collezione Garrucci (tav. CVI, 4), esibisce nel diritto le teste accoppiate dei Dioscuri come nel tipo dei Brezzi (Garrucci, tav. CXXIV, 12), e nel rovescio tre grani d’orzo ed un astro. Altri oboli campaniani esibiscono da una parte la testa del Sole e dall’altra il grano d’orzo (Garrucci, tav. LXXXIX, n. 80-84).
  14. La prima emissione dell’argento di Suessa-Aurunca reca la semplice iscrizione latina SVESANO (= SVESANOM). L’argento e il bronzo con le iscrizioni: SVESANO e ROBOM, RBOM, RBOVM e ROBVM, appartengono ad un’emissione assai più tarda (epoca trientale e sestentale), quando, sotto l’inflaenza osca, fa combinata la lega monetaria fra Suessa, Aquino, Cales, Teano, Calvi (Calatia), Caiazzo (Caiatia), Napoli e Benevento, adottando per emblema comune il gallo sormontato dall’astro solare, congiunto, o alla testa d’Apollo di Saessa, o a quella di Minerva di Cales. La voce ΠROBVM, che troviamo anche a Benevento (Garrucci, XC, 16, ΠROΠOM), quasi abbreviatura di PROBATOM o PROBATVM, io la metto in relazione col PROB e PRO delle contromarche latine del tempo imperiale romano. Si veda la legge puteolana citata da Garrucci (Syll., 927, v. 51-53) e le mie osservazioni sulle contromarche repubblicane nel Mus. Ital, II: Di alcuni ripostigli. ecc., p. 909 e segg.
  15. Cfr. le osservazioni che facciamo più innanzi p. 54 seg. Il Vulcano Capitolino (Volcanus) sta in relazione coi fenomeni vulcanici laziali che avvolgono le origini di Roma; altrettanto si può dire del Volcanom di Aesemia che sta pure in relazione coi terremoti del Sannio (cfr. Head, Hist, Num., p. 24). Come dio primordiale Vulcano, sposo a Maia, occupa un posto eminente nell’antichissimo fastigio Capitolino (v. Daremberg e Saglio, Dictionn., art. Capitolium) connesso con l’Hephaistos dell’isola di Lemno (Αἰθάλη, etr. Seθlans), padre dei Cabiri di Samotracia. Questo in ordine religioso (più ampie spiegazioni darò trattando ex professo della religione e delle Divinità degli Etruschi, v. nota 27, p. 54; intanto vedi Preller-Jordan, Röm. Mythol., II, 147 e seg.; Preller-Plew, Griech. Mythol., II, p. 148 e seg., e Rapp, nel Roscher Mythol. Lexikon, Hephaistos). Dal punto di vista materiale Vulcano è il Dio per eccellenza delle officine minerarie, meccaniche, monetali; come dio degli armamenti guerreschi prende l’epiteto di Militaris, come dio della monetazione quello di Quietus. Vulcano, dio specifico dell’officina monetale, credo debbasi riconoscere nelle monete di Populonia (Garrucci, tav. LXXIV, 5-7).
  16. Per me ha torto il Garrucci, p. 41, ad espungere questo asse, il quale anzi, tipologicamente, io reputo più sicuro degli altri due.
  17. L’esemplare simile (Garrucci, tav LXIV, 8), acquistato dal Fiorelli per il Museo di Napoli e messo in dubbio dal Garrucci, desta anche a me serio sospetto. Oltre che per il peso troppo forte (gr. 396,50; sistema campaniano ?!), io dubito anche per l’incertezza delle ultime lettere, le quali io credo debbansi leggere CN • F • e non GR • F., come ritenne Garrucci, accusando a torto d’inesattezza il Mommsen.
  18. Cfr. Head, Ancients coins, tavv. 2, 18, 19; 18, 20, 21; Coinage of Syracuse, tav. VI, 15, del tempo di Timoleonte 345 a. C.
  19. Per le fonti, vedi Mommsen-Blacas, II, p. 11, nota 2; e per il luogo di Varrone in Charis., p. 105, ed. Keil, vedi Mommsen-Blacas, I, p. 252, nota 1 e p. 244, 1, non che Garrucci, p. 62 e seg.
  20. Notevoli sono i pesi del quadrigatus a leggenda incusa, i quali oscillano da gr. 6,77 a 5,70, e quelli a leggenda in rilievo, che oscillano da gr. 6,82 a 4,27; bisogna però tener conto del diverso grado di conservazione (Cfr. D’Ailly, I, p. 166 e segg.).
  21. Servio, ad Aen,, XII, 198: Ipse (Ianus) faciendis foederibus praeest: nam postquam Romulus et T. Tatius in foedera convenerunt, Iano simulacrum duplicis frontis effectum est, quasi ad imaginem duorum populorum. I luoghi relativi a Giano battagliero e pacifico sono riportati dal Rapp nel Roschers Lexikon, II, p. 40; perciò negli aurei romano-campani alla testa di Giano fu contrapposta la rappresentazione appunto del foedus romano-campano (cfr. cap. IV).
  22. Ciò dimostrerò nei miei studi da lungo in preparazione, sulla Religione e le Divinità degli Etruschi. I risaltati di questi miei studi ho in parte comunicato privatamente, fin dal 1884, ad alcuni scienziati miei amici, fra i quali, l’egittologo E. Schiaparelli, G. Wissowa, autore del Sacralwesen (Marquardt, Röm, Staatsverwal., 2* ed. III), e il grande Mommsen. Ragioni di salute e d’ufficio, per la nuova installazione e l’ordinamento del R. Museo Etrusco Centrale cui sono preposto, mi hanno finora impedito di pubblicare i detti miei studi; ma se non l’opera completa, la quale richiede ancora molto tempo, almeno i risultati principali, sono ormai deciso di darli fuori quanto prima.
  23. Adesso è apparsa in Roma, insieme con l’iscrizione originale che celebra i ludi saeculares di Augusto, una notevolissima Ara Augusta dell’anno 1° d. C., dedicata a varie divinità nazionali e peregrine: in prima linea a Mercurio (Deo Aeterno Mercurio), indi a Giove, Giunone, Minerva (la triade Capitolina), Iside, ecc. In nome di tutte queste divinità si felicita, in quest’ara, il buon anno ad Augusto, all’impero (suppl. Bormann) di lui, del Senato e del Popolo Romano ed alle universe genti (et gentibus). Il concetto religioso mondiale di questo monumento, il cui contenuto mi è stato gentilmente comunicato, mentre si stampava il presente scritto, dal mio amico Bormann, sta in piena conformità con le osservazioni da me fatte qui ed altrove (vedi pag. seg. e cap. III e IV). — Codest’ara ci richiama del resto la famosa Ara Pacis Augustae (Ovid., Fast. I, 709 segg.), rispondente al medesimo concetto dell’unità e del benessere mondiale (cfr. Mon. Ancyr. C. I. L. III, p. 790-91). La scoperta degli insigni avanzi dell’ara Pacis Augustae la dobbiamo al von Duhn (Miscellanea Capitolina. 1882, p. 11 segg.).
  24. Vedi il mio scritto: I Frontoni di un tempio tuscanico scoperti in Luni, nel Mus. Ital., 1884, vol. I, p. 90. Cfr. più innanzi nota 84 e p. 67 segg.
  25. L’argomento della restituzione di questa moneta, l’antico guadrigatus per parte di Traiano (vedi D’Ailly, I, p. 159), è davvero incrollabile. Altri argomenti sono toccati e svolti dal Garrucci, op. cit., p. 62 segg. Per me è poi decisiva la particolarità tecnica dell’iscrizione incusa, ritrovandosi nei primi denari urbani (cfr. cap. IV).
  26. Livio, IX, 20; cfr. Lenormant in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des Antiquités art. denarius.
  27. A rischio non di esser creduto per ora, devo accennare anche a questo probabile e recondito risaltato de’ miei studi sulle divinità degli Etruschi; v. nota 27.
  28. Intorno alla dea Roma nel tempio di Giove Capitolino, oltre Preller-Jordan, Röm. Mythol., II, p. 856, si vedano: la memoria speciale del Köhne, Revue num. Belge, 1870, p. 51, tav. III; Berliner Blätter für Münz- und Wappenkunde 1870, V, p. 257 e seg,, tav. LXII e singolarmente le mie osservazioni nel Museo Italiano, 1884, vol. I, I Frontoni ecc., p. 90, sulle quali devo oggi più che mai richiamare l’attenzione dei dotti. Una rappresentazione più completa del soggetto offertoci dai citati denari repubblicani, l’abbiamo nel marmo Colonnese di Marino (opus sectile) pubblicato dal Tomassetti, Bull. dell’Ist., 1886, tav. I, p. 1 segg., senza però riconoscervi il notevole rapporto col gruppo Capitolino da cui dipende. Fra la dea Roma che prende l’augurio (augurium capiens) stando seduta sopra un mucchio di scudi gallici, e la lupa degli Ogulnii, sono, in questo marmo raffigurati il fico Ruminale e Faustolo, cioè la parte stata trascurata dall’artista monetario per abbreviazione del soggetto (cfr. la lupa con Faustolo ed il fico Ruminale nelle monete campane, Garrucci, tav. LXXIX, 19-20, ecc.). L’imagine di Roma (v. nota 72) corrisponde con quella esibitaci dalle monete riferibili alla dedizione dei Locresi, 277 a. C. (Garrucci, tav. CXII. 81, 82), onde si vede quanto essa sia antica. Le ali della galea nei denari di Petilio furono aggiunte posteriormente, vedi cap. IV; e cosi è posteriore il tipo della galea del marmo Colonnese.
  29. Che il Capitolium con le relative divinità e nel suo insieme fosse la quintessenza della religione politica romana e come tale una propria creazione romana di Stato, fu giustamente rilevato anche dal Jordan, Topographie der Stadt Rom, Berlin 1882, pag. 85 e segg.
  30. Vedansi, per quanto inesatti, i tipi delle monete di Cuma in Carelli, tav. LXXI, e quelli meglio disegnati in Garrucci, tav. LXXXUI, 21, segg. e LXXXIV, particolarmente in confronto col tipo ricciuto del semisse (Garrucci, tav. XXXVII, 2).
  31. Le bende, solite a darsi a Saffo (cfr. i monumenti presso Jahn, Abhdl. sächs. Ges., VIII, tav. II-V, e quelli ultimamente pubblicati dal Comparetti, Museo Italiano II, p. 41 e seg.), ora si capisce come esprimano la esaltazione ed il furor fatidico di quella poetessa. Per le bende tanto caratteristiche della Sibilla, oltre le monete citate di Cuma, vedansi tutte quelle di Napoli con la Sibilla identificata a Parthenope (Carelli, tav. LXXII-LXXIX; Garrucci, tav. LXXXIV-LXXXV), e altresì le monete di Lilibeo (Sicilia) che pure esibiscono la Sibilla Cumana con testa ravvolta nella cuffia e polos sacerdotali (Head, p. 182). Ora io ravviso la Sibilla anche nelle monete di Hybla di Sicilia con l’iscr. ΥΒΛΑΣ ΜΕΓΑΛΑΣ, suonante come (Σ)ΥΒΛΑΣ ΜΕΓΑΛΑΣ: nel D. la stessa testa velata della Sibilla (dea magna) col polos sacerdotale come nelle monete di Hyria; nel B. Artemis-Hekate con il cane e la face (?) (non Dionysos), identificantesi con la Sibilla (Trivio).
  32. Il Cerbero s’incontra per ciò anche nelle monete romano-campane (Garrucci, tav. LXXXVI, 2S). Altri pezzi di aes grave stanti per me in rapporto evidente con le monete di Cuma e con la Sibilla sono:
    a) triente, Garrucci, tav. XLV, 2: D. Sibilla di faccia con capelli ricci serpentini disciolti, cfr. le monete di Napoli (Garrucci, tay. LXXXIV, 28, 24, 81 e le monete di Irina e Fistelia (Garrucci, tav. LXXXIX); B. astro lunare, cfr. l’epiteto Trivia dato da Vergilio alla Sibilla.
    b) quadr., Garrucci, tav. XLV, 3: D. spoglia di mastino: R. testa di verro (?), come nelle monete di Cuma (Garrucci, tav. LXXXIII, 22, 28).
    c) quadrante, Garrucci, tav. XLI, 4: D. astro di Trivia; B. grano di frumento, come nel semisse con la Sibilla (Garrucci, tav. XLI, 2).
    d) quadrante, Garrucci, tav. XLV, 7: D. testa della Sibilla a d. B. testa di Grifo (?), simbolo di Apollo.
  33. Per la connessione della Sibilla con Venere vedansi le monete di Napoli con Parthenope; per la connessione della Sibilla con Athena-Parthenos e quindi con Minerva-Roma, vedansi le monete di Cuma (Garrucci, tav. LXXXIII, 27-80). — Ora diventa chiaro tutto ciò che si riferisce alla Pizia (Πειθώ): soprannome di Artemis (Paus, II, 21, 1), sue statue nei templi di Afrodite Pandemos (Paus, 1, 18,6; I, 22,8), e appena si potrà dubitare che l’Arethusa ossia Ortygia (= Artemis-Afrodite), delle monete di Siracusa, come le stesse dee eponimo di città: Terina, Eryx, Catana, Camarina, Pandosia, ecc. non siano tutte forme della stessa dea magna Astartea (cfr. il mio scritto: Dionysos, Eirene e Pluto nel Bull. Ist. 1890, p. 94 segg).
  34. Più oltre a p. 67 vedremo che l’aquila colla folgore è a un tempo l’aquila Capitolina e l’aquila insegna delle legioni romane. Nel triente coniato di Capua a iscr. osca (Garrucci, tav. LXXXVII, 9), troviamo appunto la folgore contrapposta alla testa di Giove Capitolino.
  35. Marquardt, Röm. Staatsverwaltung II, p. 334. Nel Museo Cortonese (tav. LXXXI) si conservano due di queste insegne originali di epoca antichissima (arte italica).
  36. A proposito degli astragali, tipo cosi diffuso delle once di varie serie, ricorderò che ben trecento once con l’astragalo duplicato (serie a testa di Roma con galea frigia) furono trovate nel regno di Napoli in Apulia, e che Fiorelli ne possedeva egli stesso 45 esemplari nella sua collezione (vedi Fiorelli, Monete rare, p. 12). Quanto all’oncia col tipo dell’astragalo recante sul rovescio l’iscrizione SAF, da Garrucci (tav. XL, 8) riferita a questa serie (v. p. 19) e da lui data come prova che essa debba appartenere ai Sabini, bisognerebbe conoscerne il peso per assegnarle il posto che le spetta, L’iscrizione non mi sgomenta punto, perchè, a seconda del peso, potrei riferirla, o ai Sanniti (Safineis) nel tempo ch’erano alleati dei Romani, cioè prima dell’occupazione di Capua, o ai Sanniti soggiogati dai Romani.
  37. Marchi e Tessieri, L’aes grave, p. 44 e segg., avevano bene intravveduta la connessione della serie con le origini di Roma; ma errarono nella interpretazione dei tipi.
  38. Sembrerà ora tanto più stringente anche la nostra interpretazione del tipo del semisse assegnato a Capua, dove noi vedemmo rappresentata la Sibilla Cumana identificantesi con Venere, madre di Enea.
  39. La ruota del rovescio (simbolo solare, v. Gaidoz, Revue Arch. 1885 p. 176 segg.) accenna bene tanto alla origine tirrena dei Rutuli, quanto al loro nome.
  40. Cfr. le sue monete d’argento coi tipi erculei (Carelli, tav. LXVI; Garrucci, tav. LXXXIII, 6, 6); non che le monete d’argento romano-campane, Garrucci, tav. LXXVII, 12, 15.
  41. Si confronti il cratere, di tipo un po’ diverso, similmente speci- fico di Arezzo e delle celebri fabbriche aretine (aretina vasa) nell’aes grave proprio di tale città (Garrucci, tav. LI, 2). — La presenza del cratere di tipo caleno mi fa assegnare a Cales anche il quadrante, Garrucci, tav. XLIII, 4, esibente dall’altra parte la galea di Minerva-Roma, ed il semisse, Garrucci, XLIII, 2, con l’aper campaniano.
  42. Vedi le monete, Garrucci, tav. LXXXIII, 18-17, Carelli tav. LXVII, in confronto colla testa di Roma augurium capiens del citato denaro repubblicano (Babelon, I, p. 72). — Cfr. nota 88.
  43. Vedi gli Annexes G, H, in Mommsen-Blacas, I.
  44. Introduction à l’étude des monnaies romaines de l’Italie antique. Paris, 1890, parte II, p. 22 e seg. Gli studi del Soutzo sono scritti senza sfoggio di erudizione, ma con retti e sani criteri metrologici.
  45. Le miniere donde gli Etruschi ed i Romani traevano il rame erano nelle maremme Grossetane e Massetane. Vedansi gli interessanti studi minerari del Haupt, pubblicati nella Berg- und Hüttenmaennische Zeitung, 1888, febbraio-maggio, p. 48, 51, 61, ecc., col titolo: Der Bergbau der Etrusker.